Diritto

La dittatura gentile delle app: per il controllo ora basta un click

L’articolo analizza il sistema pervasivo di sorveglianza e controllo sociale che si cela dietro al colosso digitale WeChat, un’applicazione cinese “tuttofare” che permette agli utenti di svolgere un ampio ventaglio di funzioni. Dopo aver chiarito in che modo la piattaforma, che conta oltre 1,2 miliardi di utenti, applica censure sistematiche su ogni genere di contenuto, viene proposto un confronto fra le normative sulla privacy europea (GDPR) e cinese (PIPL).

WeChat: un’applicazione tuttofare

Una delle promesse su cui la tecnologia moderna punta di più al giorno d’oggi è quella di semplificarci la vita, rendendo tutto più veloce, pratico ed accessibile. In questa sfida digitale, nonostante l’alta competitività, si distingue senza dubbio un vincitore indiscusso: WeChat, l’app cinese universale.

WeChat, rilasciata da Tencent nel 2011, è l’app di messaggistica più grande al mondo, con oltre 1,2 miliardi di utenti attivi mensili in tutto il mondo, la cui quasi totalità vive in Cina. Questa piattaforma si presenta come una fusione tra diverse applicazioni, come Whatsapp, Twitter, Facebook, Instagram e PayPal, ed è in grado di offrire a chi ne usufruisce un vastissimo range di funzioni, tra cui: inviare messaggi, fare chiamate e videochiamate, giocare ai videogiochi, fare acquisti, pagare le tasse, inviare soldi agli amici e leggere le notizie.

Controllo, sorveglianza e censura

Ma che cosa si cela davvero dietro ad una comodità di così facile (troppo facile) accesso? WeChat, nella sua vera essenza, altro non è che un ingegnoso cavallo di Troia digitale al cui interno risiede un obiettivo tutt’altro che benefico per la comunità: il controllo.

Questo ingegnoso strumento, infatti, maschera una vera e propria “dittatura gentile”, caratterizzata da un sistema di sorveglianza pervasivo grazie al quale ogni cosa, e persona, è tracciata e monitorata. È la stessa informativa sulla privacy di WeChat a specificare ciò che il governo ha il permesso di fare e in che modo tutti gli utenti possono essere sorvegliati. In particolare viene dichiarato che l’applicazione potrebbe dover “conservare, divulgare e utilizzare” le informazioni degli utenti in risposta alle richieste del governo, il quale, se lo desidera, può sapere molto sulle persone che hanno lasciato il paese, sulle modalità e i luoghi di incontro tra i civili e anche sugli scambi di denaro.

A questa supervisione della popolazione va aggiunta anche un’opprimente censura. Nel 2020, il gruppo di ricerca Citizen Lab, con sede a Toronto, ha scoperto che WeChat impone la censura automatica in tempo reale delle immagini e delle chat attraverso una combinazione di riconoscimento del testo e visivo, il quale, non appena rilevati contenuti soggetti a restrizioni, impedisce immediatamente a tutti gli utenti la loro divulgazione. Più precisamente il procedimento di censura funziona così: tutte le regole per la censura si trovano su un server remoto gestito da Tencent (la società madre di WeChat), attraverso il quale passa qualsiasi messaggio inviato da un utente ad un altro e che rileva la presenza di parole chiave incluse nella blacklist, permettendo al messaggio di raggiungere il destinatario solo dopo aver superato questo filtro.

WeChat, inoltre, è uno dei pochi social media cinesi che funziona senza distinzioni sia all’interno che all’esterno del paese (TikTok, ad esempio, offre agli utenti stranieri un servizio diverso da quello utilizzato in Cina) trasmettendo questo sistema di controllo anche a chi vive all’estero.

Un esempio pratico che aiuti a comprendere il modus operandi con cui viene gestito questo sistema risale al 13 ottobre 2022, due giorni prima del XX Congresso del Partito Comunista, quando i manifestanti hanno appeso striscioni di protesta su un cavalcavia di Pechino, con sopra scritte frasi come “rimuoviamo il dittatore e traditore nazionale Xi Jinping”. Secondo il MIT Technology Review WeChat ha immediatamente bloccato la ricerca di contenuti che includessero parole come “Pechino” e “ponte”, facendo capire immediatamente agli utenti dell’applicazione che se avessero pubblicato foto o commenti relativi all’evento sarebbero stati soggetti ad un ban permanente.

Il meccanismo dell’inganno

Se non si rispettano le linee guida imposte è possibile essere banditi in vari modi, in maniera temporanea o anche definitivamente, il che significa avere accesso bloccato ai servizi digitali associati ai propri account per interi giorni o persino settimane.

In buona parte dei casi, però, il governo non deve neanche “sporcarsi le mani”, dal momento in cui i cittadini, ben indottrinati, si gestiscono personalmente con un’autocensura che gli garantisce la propria sopravvivenza digitale. La tecnologia si fa persuasiva e dietro alla maschera del “servizio” viene nascosta la deprivazione di alcuni diritti fondamentali, dando vita al cosiddetto “chilling effect” (raffreddamento del dissenso), ovvero la riluttanza e la refrattarietà ad esercitare un proprio diritto per paura di sanzioni legali.

A conferma di questo meccanismo ingannevole, basta mettere a confronto la normativa sulla privacy europea con quella cinese, rispettivamente dette GDPR e PIPL.

A differenza del GDPR, che si impegna a garantire trasparenza nella protezione dei dati personali e soprattutto autonomia delle autorità di controllo, il PIPL obbliga le aziende a collaborare con le autorità statali, le stesse che svolgono le attività di protezione dei dati.  Mentre la normativa europea separa nettamente le operazioni delle autorità pubbliche da quelle private, infatti, quella cinese consente agli organi statali di accedere ai dati anche senza il consenso dei diretti interessati, garantendo dunque una privacy più teorica che reale.

Conclusione

Nell’era digitale trovare un giusto equilibrio fra innovazione e sicurezza, soprattutto dei diritti umani, sembra un’ardua impresa, visto il graduale snellimento della linea di confine che esiste tra libertà e controllo.

WeChat, che rappresenta un caso estremo, non è l’unica applicazione che mette a rischio la privacy degli utenti, dal momento in cui anche piattaforme apparentemente più sicure come TikTok, Facebook e Instagram raccolgono enormi quantità di dati personali.

In uno scenario che sembra “peggiorare” sempre di più bisogna dunque chiedersi se le leggi dei paesi democratici siano sufficienti a garantire salvaguardia alla popolazione e se un’educazione alla libertà non sia più necessaria di un’educazione alla tecnologia.

Bibliografia

Herman, A. (2023, 3 febbraio). WeChat: China’s Other Trojan Horse. Forbes.

Human Rights Watch. (2020, 14 agosto). WeChat Is a Trap for China’s Diaspora. Human Rights Watch.

Kenyon, M. (2020, 7 maggio). WeChat Surveillance Explained. The Citizen Lab. The Citizen.

Wikipedia contributors. (s.d.). Chilling effect. Wikipedia.

Il Sole 24 Ore – NT+ Diritto. (2021, 19 ottobre). Il GDPR e il PIPL: similitudini e differenze.

Sigmar. (2025, 28 marzo). GDPR e PIPL: il grande divario nella tutela della privacy tra UE e Cina. Sigmar.

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