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La valenza sostanziale della struttura camerale in relazione alla forma di Stato

Abstract: Il pieno accoglimento del principio rappresentativo, avutosi nel solco del passaggio dallo Stato assoluto a quello liberale, ha comportato la necessità di predisporre un assetto istituzionale pienamente rispettoso dei valori sottesi a detto principio. In questo senso, l’articolazione strutturale delle camere non si configura come dato neutro, come profilo di mera ingegneria costituzionale, ma diviene momento fondamentale per consentire all’istituzione parlamentare di dare adeguato risalto alle istanze popolari, alla cui soddisfazione essa è tenuta. La varietà di ragioni a sostegno dell’adozione del monocameralismo piuttosto che del bi, o pluricameralismo, e viceversa, testimoniano come tale tema sia strettamente connesso al modo d’essere nonché alla qualità della forma di Stato. Senza peraltro tralasciare come, in taluni ordinamenti, la questione, invero, già complicata, risulta essere arricchita di ulteriori elementi di complessità legati alla composizione politico-rappresentativa degli organi di giustizia costituzionale.

La questione afferente all’articolazione strutturale del Parlamento impegna da tempo la dottrina costituzionalistica in ragione delle implicazioni che ne derivano.

La scelta di optare per il monocameralismo piuttosto che per il pluricameralismo o viceversa affonda le proprie radici in concezioni ideologiche legate ab origine al modo di intendere la società.

Se si muove dall’assunto in ordine al quale l’istituzione parlamentare rappresenta la sede della rappresentanza politica e dunque, correlativamente, la cassa di risonanza degli interessi del popolo detentore della sovranità, può certamente sostenersi che l’adozione di un modello piuttosto che un altro risulta qualificante rispetto al modo d’essere della forma di Stato[1]. In termini più semplici, il pieno accoglimento del principio rappresentativo potrebbe richiedere, o comunque, rendere preferibile, l’esistenza di plurime strutture ciascuna della quale si configuri come “specializzata” rispetto al soddisfacimento degli interessi della cui classe si cura.

Il pluralismo sociale e la fisionomia della forma di governo, che vuole il Parlamento quale organo pienamente inserito all’interno del circuito dell’indirizzo politico, rendono indispensabile la riflessione sulla sua struttura.  Da ciò può dunque desumersi che cotanta attenzione non avrebbe ragion d’esservi dedicata laddove il dato strutturale fosse neutro o difettasse di riscontri di tipo qualitativo. L’articolazione camerale è infatti conducente rispetto alla qualità ed alla fisiologia di un sistema politico democratico in senso formale e sostanziale[2].

Ciò detto, è opportuno sgomberare previamente il campo da equivoci. Non è la scelta di adottare due camere invece che una a rendere democratico un sistema ed anti-democratico un altro, bensì è la corrispondenza dei moduli disciplinari ai princìpi ed ai valori del pluralismo a classificare un sistema in un senso piuttosto che in un altro.

Del resto, se così non fosse, i fiumi d’inchiostro dedicati a detto tema sarebbe riproducibili di considerazioni aprioristiche e storicamente datate.

Ictu oculi si potrebbe essere indotti a pensare che ad una pluralità di camere parlamentari corrisponda una molteplicità di classi sociali rappresentate, e di converso, il monocameralismo sarebbe l’automatica conseguenza di uno Stato monoclasse o socialmente indifferenziato.

E’ da un canto vero che prima del disfacimento dell’ideologia comunista, fondata- come se fosse necessario ricordarlo- sul ripudio della suddivisione in classi, il monocameralismo aveva trovato in molti Stati d’Europa e del mondo larghissima adesione ;  tuttavia ciò non è in alcun modo sintomatico della sussistenza di un nesso immediato e diretto tra adozione del monocameralismo e negazione del pluralismo.

Basti pensare alla circostanza secondo cui, in seno all’Assemblea Costituente italiana, vi furono taluni esponenti di forze politiche assolutamente lontani dall’estrema sinistra, che ebbero ad optare per l’adozione del monocameralismo  quale articolazione del potere legislativo.

Se si sposa la piena compatibilità del binomio monocameralismo- pluralismo, bisogna pur sempre individuare quegli elementi sulla base dei quali un solo “spazio fisico” assicuri la capacità di dare adeguata soddisfazione alle istanze di tutto il popolo sovrano.

Come messo in evidenza da brillante dottrina, il monocameralismo ed il bicameralismo, più che essere riconducibili alla corrispondenza rispetto ad un dato  numerico, sarebbero invece riconducibili a due princìpi sostanziali di funzionamento: possono difatti esistere Parlamenti composti da una sola camera ma funzionanti ed operanti in senso bicamerale, e viceversa.

Non trascurando il dato empirico secondo cui è ritenuta preferibile l’esistenza di due Camere in modo tale da rendere maggiormente ponderato ed accorto l’esercizio delle prerogative parlamentari, costituzionalmente previste nell’ottica che ciascun membro dell’Assemblea rappresenta tutta la nazione (c.d. ragione razionale di adozione del bicameralismo), bisogna purtuttavia evitare la sovrapposizione tra dato empirico e dato giuridico.

Si può dunque intuire perché si parli di Parlamenti formalmente monocamerali ma effettivamente funzionanti secondo logiche (razionalmente) bicamerali[3].

Se, come detto, la logica bicamerale vuole la maggiore accortezza e ponderazione nell’esercizio delle funzioni (basti pensare a quella legislativa), inclusività delle forze politiche di opposizione, democraticità dei moduli procedimentali attraverso cui si perviene alle deliberazioni, non è escludibile che tali finalità possano essere perseguite all’interno di un unico “spazio fisico”.

La Costituzione della Finlandia, ad esempio, pur prevedendo l’istituzione di un’unica assemblea parlamentare, ha congegnato moduli e procedure in guisa da abbinare al formale monocameralismo un funzionamento dell’ istituzione in senso bicamerale. Nel procedimento di formazione della legge, si rintraccia il diritto di rinviare la legge medesima in capo ad una minoranza qualificata, sollecitandone dunque il riesame in vista di potenziali emendamenti.  Vengono riprodotti quei meccanismi tipici del Parlamento ad assemblea doppia (basti pensare a quello del rimbalzo tra le due Camere quando l’una voglia apportare correttivi al testo approvato dall’altra).

La questione, invero, diviene ancor più delicata nei sistemi politici a bicameralismo simmetrico, in relazione ai quali la presenza di due camere potrebbe risultare ostativa all’ottenimento di uno standard qualitativo di democrazia apprezzabile.

In assenza di qualitative differenziazioni apportate dal costituente, l’identità di competenze e di funzioni sulle quali si fonda detta simmetria potrebbe generare un appesantimento dei procedimenti deliberativi, rallentando, o, ancor peggio, paralizzando l’attuazione dell’indirizzo dell’ indirizzo politico, riverberando tali criticità anche sull’attività del Governo.

Il rischio di fare di una Camera il doppione dell’altra ha portato parte degli studiosi ad abbracciare di una tesi la quale, rispetto alle premesse operate in sede introduttiva di trattazione, potrebbe apparire paradossale: ossia, quella secondo cui le logiche bicamerali in senso sostanziale sarebbero meglio apportabili ai sistemi parlamentari formalmente unicamerali. La garanzia sarebbe data da una maggiore agilità dei procedimenti accompagnata da una composizione pienamente rappresentativa di tutte le istanze popolari, ancorchè enucleata in un unico spazio fisico istituzionale (vale a dire, la sola camerale parlamentare).

Cionondimeno, quanto detto deve comunque fare il paio con un altro principio fondamentale, positivizzato in quasi tutti gli ordinamenti costituzionali democratici, ossia quello dell’autonomia organizzativa delle Camere.

Accogliendo un preciso ordine di considerazioni che prendono le mosse da un approccio sostanzialista, sull’articolazione strutturale in concreto del Parlamento potrebbe incidere la composizione dell’organo di giustizia costituzionale. In quei sistemi, rintracciabili principalmente con riferimento agli Stati teocratici, la composizione politica, o comunque, la nomina da parte di poteri appartenenti al circuito dell’indirizzo politico dei componenti potrebbe fungere da camera ulteriore eventualmente atta a svolgere una funzione legislativa “in negativo”.

Svincolandosi dal paradigma occidentale liberal-democratico, con riguardo al quale vi si preoccupa di non fare della Corte Costituzionale un organo rappresentativo, in altri Stati del mondo la composizione è rappresentativa di forze politiche presenti in Parlamento, di guisa che la Corte Costituzionale divenga una terza Camera, in quanto valutante alla stregua delle sensibilità politiche di cui sono immediata proiezione, l’esercizio della funzione legislativa.

Ne consegue dunque che se all’interno dell’organo di giustizia costituzionale siano presenti forze politiche insediate con maggioranze semplici o comunque non qualificate, i componenti potrebbe fungere de facto da “Camera ulteriormente potenziativa dell’indirizzo politico di maggioranza (assecondandone il programma), con netto pregiudizio per le opposizioni.

Una composizione rappresentativa delle Corti di legittimità costituzionale, qualora ai fini della designazione dei membri siano richieste maggioranze di facile formazione; del resto, oltre che a poter generare una “supercamera parlamentare ulteriore”, può incidere inoltre sulla razionalizzazione effettiva della forma di governo parlamentare, depotenziando il ruolo del Parlamento che costituisce l’organo fulcro dell’organizzazione costituzionale.

Questa prospettazione solleva un’ulteriore problema, al quale vi si limita in questa sede solo tale cenno, afferente all’inclusione delle Corti Costituzionali all’interno della forma di governo, non essendo tale nozione limitata esclusivamente alla disamina dei rapporto svolgentesi entro il c.d triangolo delle potestà (Parlamento, Governo, Capo dello Stato).

(A cura di Massimiliano Marletta)

Bibliografia di riferimento

  1. Pasquino, R.Pellizzo,- Parlamenti democratici, Il Mulino, Bologna, 2006.

Morbidelli- Diritto pubblico comparato

  1. Mastropaolo, L.Verzichelli- Il Parlamento. Le assemblee legislative nelle democrazie contemporanee, Laterza, Roma-Bari 2006.

Note

[1] Oltre che alla forma di Stato, il tema della struttura camerale è intimamente connesso anche al tipo di Stato, in quanto si pone l’esigenza di predisporre un apposito “spazio istituzionale (normalmente una camera) rappresentativo delle istanze degli enti federati o regionali.

[2] E ciò sia nella misura in cui l’articolazione camerale dovrebbe tale da garantire un’idonea ponderazione sia a livello procedimentale, sia a livello delle decisione costituenti punto d’approdo dell’iter procedimentale.

[3] In ogni caso problema di prim’ordine è quello legato all’individuazione di congegni a tutela delle minoranze; esigenza tanto più avvertita quanto più difettano istituti formali di valorizzazione delle stesse ( quali ad esempio lo Shadow Cabinet inglese) e quanto meno (fisiologicamente) anti-inclusiva sia la legislazione elettorale di riferimento.


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