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In caso di licenziamento ingiustificato il Giudice determina l’indennità risarcitoria

sentenza corte costituzionale

In caso di licenziamento ingiustificato il Giudice determina l’indennità risarcitoria

(di Daniele Nicola Cocco ed Elisa Beccari)

Premessa

La Corte Costituzionale, con la sentenza nr. 194 dell’8 Novembre 2018, ha giudicato incostituzionale l’art. 3, comma 1, del D.Lgs. 4 Marzo 2015, n. 23, il quale prevede il criterio di determinazione dell’indennità spettante al lavoratore licenziato ingiustamente: in particolare il criterio basato sull’anzianità.

La sentenza

Il Decreto in commento è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, del 6 Marzo 2015, e disciplina la materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti.

La materia è applicabile ai lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato a partire dal 7 Marzo 2015.

Le norme del decreto incidono sulle conseguenze dei licenziamenti illegittimi, sia collettivi che individuali, prevedendo discipline avente ad oggetto misure tese ad evitare la revoca del licenziamento e inserendo un’indennità da parte del datore di lavoro, NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego).

Ad oggi, per effetto della L. 96/2018, che ha modificato il D.Lgs. 81/2015, così detto “decreto dignità”, l’indennità di licenziamento è cambiata. Prima del decreto dignità, con il jobs act, l’indennità di servizio è così determinata:

  • un’indennità di 2 mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di 4 mensilità e un massimo di 24.

A seguito del Decreto dignità, l’indennità di servizio è così calcolata:

  • un’indennità di 2 mensilità per ogni anno di servizio con un minimo di 6 mensilità e un massimo di 36.

Non rientrano, invece, in queste disposizioni i licenziamenti discriminatori, le condizioni di salute psico-fisiche del lavoratore, i casi di nullità o insussistenza del fatto. Tali fattispecie non determinano l’applicazione dell’indennità ma della reintegrazione del lavoratore.

La sentenza in commento afferma che il meccanismo di quantificazione è in contrasto con la Costituzione poiché rende l’indennità rigida e uniforme per tutti i lavoratori con la stessa anzianità.

“Pertanto, il Giudice, nell’esercitare la propria discrezionalità nel rispetto dei limiti, minimo (4, ora6 mensilità) e massimo (24, ora 36 mensilità), dell’intervallo in cui va quantificata l’indennità, dovrà tener conto non solo all’anzianità di servizio ma anche degli altri criteri desumibili in chiave sistematica dell’evoluzione della disciplina limitativa dei licenziamenti”, cioè il numero dei dipendenti occupati, le dimensioni dell’attività economica, il comportamento e le condizioni delle parti.

Secondo la Corte Costituzionale, la disposizione contrasta con il principio di eguaglianza e di ragionevolezza, in più sarebbe contraria agli artt. 4 e 35 della Costituzione, poiché il Decreto in questione non rispetta il diritto al lavoro come diritto fondamentale.

La disposizione, infine, viola anche gli artt. 76 e 117 della Carta Costituzionale, secondo cui per assicurare l’esercizio del diritto a una tutela in caso di licenziamento, le parti contraenti si impegnano a riconoscere “il diritto dei lavoratori, licenziati senza un motivo valido ad un congruo indennizzo o altra adeguata riparazione”.

Conclusioni

Da questa sentenza si deduce che per la Corte Costituzionale, non risulta inammissibile il divieto di reintegro ma soltanto il metodo con il quale viene calcolata l’indennità da parte del datore di lavoro.

Di conseguenza, questo nuovo metodo comporta per l’azienda un aumento dei costi, in quanto il giudice ha la facoltà di decidere se, oltre all’indennizzo per l’anzianità di servizio, dover addebitare al datore di lavoro un aumento per:

  1.  il numero di dipendenti occupati,
  2.  le dimensioni dell’attività economica,
  3.  il comportamento e le condizioni tra le parti.

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