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(di Marco Guenzi)

Sul mercato dell’arte contemporanea si sono riscontrate una serie di anomalie (situazioni di concorrenza monopolistica e oligopolio, asimmetrie informative, selezione avversa, moral hazard, beni pubblici di fronte a fenomeni di free riding, esternalità positive, meccanismi discriminatori di pricing) che sono d’ostacolo ad un suo efficiente funzionamento. Più in particolare questi fenomeni determinano sullo stesso mercato l’insorgenza di elevati costi di transazione nonché una situazione di poca trasparenza e bassa liquidità: fattori questi ultimi che a loro volta tendono a scoraggiare l’investimento in opere d’arte.

In questo e nei prossimi articoli si passeranno in rassegna da vicino alcuni di questi fenomeni degni di particolare attenzione, vale a dire le conseguenze delle asimmetrie informative nella contrattazione di opere d’arte, la dinamica di selezione avversa degli artisti e delle gallerie e il meccanismo di determinazione dei prezzi sul mercato dell’arte contemporanea.

Informazione e contrattazione

L’informazione sta assumendo un peso sempre più rilevante nell’economia mondiale. Non a caso essa è comunemente definita come “l’oro del ventunesimo secolo”. In realtà essa è sempre stata di fondamentale importanza. L’unica novità è che ora si è in grado, grazie alle moderne tecnologie informatiche, di raccogliere un grandissimo quantitativo di dati che vengono poi conservati in maniera sistematica, estrapolati e manipolati in modo da ottenere informazioni utili per i processi economici.

Si esamini nella fattispecie il caso della contrattazione. Oggi si è in presenza di un enorme quantitativo di dati di possibile utilizzo raccolti in seno alla domanda e all’offerta (si va dai nominativi, gusti e abitudini dei consumatori da una parte, ai prezzi e caratteristiche dei prodotti offerti dalle aziende dall’altra): queste informazioni di fatto facilitano il meccanismo di matching sul mercato, rendendolo più efficiente.

Queste considerazioni non sono tuttavia completamente valide per il mercato dell’arte contemporanea. Si è rilevato infatti in precedenza che il bene opera d’arte è difficilmente classificabile, nonché è difficile determinazione il suo valore in termini artistici ed economici. La raccolta dell’informazione relativa all’attività di compravendita risulta quindi essere particolarmente complessa (e per questo assume un’importanza importanza strategica). Essa tuttora costituisce il valore aggiunto su cui gli intermediari basano la loro attività.

Bisogna inoltre rilevare che, quando ci si riferisce all’attività di compravendita di un bene (ma più in generale si può dire di ogni tipo di contrattazione), essa ha maggiori probabilità di successo quando le controparti risultano essere ben informate di tutte le eventualità che possono sorgere in capo all’atto stesso. In tale caso non possono insorgere spiacevoli sorprese, e i soggetti contraenti, consapevoli dei rischi corsi, dopo la pattuizione aumentano entrambi la propria soddisfazione. Ciò è valido anche per le compravendite sul mercato dell’arte. Tuttavia questa situazione, come si vedrà ora, tende raramente a manifestarsi.

Asimmetrie informative e selezione avversa

Nel mercato dell’arte, come in molte altre realtà economiche, ci si trova spesso in una condizione in cui l’informazione non è distribuita in maniera omogenea tra i contraenti sul mercato. Questo fenomeno, denominato “asimmetria informativa” (asimmetric information) determina seri problemi nella contrattazione, con conseguenze sulla struttura dell’intero mercato.

Questa situazione è stata analizzata da Akerlov in un suo famoso scritto[1] in riferimento al mercato delle auto usate. Egli sottolinea come su tale mercato chi vende, essendo a conoscenza di come ha tenuto il veicolo nel tempo e se esso ha dovuto sostenere in precedenza degli incidenti, si trova in una condizione di vantaggio nella contrattazione in quanto ha molta più informazione di chi acquista. In tale situazione viene a determinarsi sul mercato un meccanismo anomalo denominato selezione avversa (adverse selection), dove, poiché non ci sono garanzie per il compratore e quindi il prezzo non risulta essere indicatore dello stato di conservazione del prodotto, chi vuole vendere un’auto ben tenuta non riesce a spuntare il prezzo che essa effettivamente vale, mentre chi ha un auto sinistrata (bidone o “lemon”) farà un affare se riuscirà a venderla. Ne consegue una situazione in cui non si vorrà più mettere in vendita le auto tenute meglio e quindi resteranno sul mercato solo le auto-bidoni, che non vorranno però essere più acquistate, determinando in ultima analisi la scomparsa del mercato.

Di fronte ai gravi problemi di selezione avversa causati dalla presenza di asimmetrie informative il mercato delle auto usate può rischiare il collasso. Esistono allora delle possibili soluzioni?

L’azzardo morale e lo “screening

Una possibile via di uscita da questa situazione di empasse (teorizzata da Stiglitz[2]) è quella della presenza di un intermediario che funga da garante (“screening”): ad esempio le auto usate dovrebbero venire vendute da meccanici di fiducia, che da una parte, supervisionandole, sarebbero in grado di capire l’effettivo stato di conservazione degli autoveicoli, dall’altra, in virtù dell’importanza che essi danno alla reputazione che si sono costruiti nel tempo, potrebbero mettere il cliente al riparo da spiacevoli sorprese.

Se si analizza la situazione del mercato dell’arte contemporanea chi acquista in genere non ha le competenze necessarie per apprezzare la qualità e il valore delle opere e quindi ha bisogno di una consulenza nell’acquisto[3]. D’altra parte il produttore, cioè l’artista, benché abbia un metro soggettivo di giudizio del proprio valore artistico, difficilmente è in grado sia di trovare una controparte, sia di quotare le proprie opere sul mercato. Il prezzo di vendita di un’opera infatti dipende in ultima analisi più che dalle sue qualità intrinseche da fattori quali le disponibilità economiche del collezionista, nonché il grado di fiducia che quest’ultimo ripone nel venditore.

Queste premesse hanno determinato le ragioni economiche del diffondersi della categoria dei galleristi, i quali da una parte fungono da garanti della qualità delle opere vendute nei confronti del collezionista, dall’altra aiutano gli artisti a trovare una controparte che sia disposta ad acquistare le loro opere al giusto prezzo.

Lo screening tuttavia non può assicurare la buona condotta di chi lo mette in atto: come un meccanico non può rappresentare una garanzia assoluta per l’acquirente di un’auto usata, la presenza del gallerista in sé non può escludere rischi e “fregature” per il collezionista. Infatti, nonostante le gallerie cerchino di fare il proprio meglio per cercare di rassicurare i collezionisti sul reale valore dei propri artisti, c’è sempre il rischio che esse, consapevoli di non dover rispondere legalmente delle proprie dichiarazioni, si comportino in maniera opportunistica (“azzardo morale” o “moral hazard”).

Questa contingenza si presenta poiché, a causa del basso quantitativo di informazioni a disposizione (e di tempo per raccoglierle), all’atto della complessa operazione di investire in arte gli acquirenti decidono di farsi indirizzare nell’acquisto chiedendo un parere al gallerista stesso, facendo sorgere un evidente conflitto di interessi: come il consulente di investimenti di una banca è tentato nel consigliare ai propri clienti titoli Parmalat o bond argentini di turno per alleggerire il portafoglio della banca da posizioni pericolose, allo stesso modo alcune gallerie potrebbero pensare di trarre vantaggio da una richiesta di consulenza vendendo come pezzi di grande qualità artistica opere difficilmente piazzabili sul mercato, soprattutto (come prevede la teoria dei giochi) nel caso in cui il rapporto si prefiguri non essere continuativo.

Questa contraddizione non si risolverebbe però neppure se il collezionista si rivolgesse ad un consulente indipendente (come ad esempio un critico). I critici in genere infatti hanno rapporti continuativi e articolati con le gallerie, che si espletano in ricompense in cambio di recensioni e dell’apporto di nuovi clienti. Tali rapporti prevalgono ovviamente in termini di interesse su quelli occasionali di consulenza forniti ai collezionisti[4].

Conseguenze della selezione avversa nel mercato dell’arte

Come si è visto le asimmetrie informative, l’adverse selection e il moral hazard sono parenti molto stretti. Si vedrà ora come l’insorgere di questi fenomeni abbia conseguenze deleterie sulla qualità della produzione artistica di un paese, con ricadute più in generale sulla cultura e sul suo indotto.

In un mercato come quello dell’arte dove vi sono asimmetrie informative, come meglio si avrà modo di vedere nel prossimo articolo, gli artisti di qualità più alta (che definiremo “di avanguardia”) non riescono di per sé a differenziarsi da quelli di qualità più bassa. Né essi possono, in presenza di comportamenti opportunistici da parte de i critici e gallerie, avvalersi del ruolo di screening di questi ultimi. In tal caso infatti critici e gallerie non sarebbero interessati a fornire ai collezionisti un metro di giudizio del valore artistico delle opere da acquistare, ma preferirebbero svolgere piuttosto la loro attività consulenziale al fine di smaltire il portafoglio opere e attuare le proprie politiche commerciali. Si può quindi dire che sul mercato dell’arte la presenza di asimmetrie informative, accompagnata da un moral hazard, fa sì che il prezzo di vendita di un’opera, più che essere un indicatore della sua qualità, divenga invece espressione del potere contrattuale della galleria nei confronti del collezionista.

A tutto ciò va aggiunto che, qualora l’artista di avanguardia mettesse le proprie opere sul mercato vendendole, e quand’anche le sue opere dovessero in un futuro andare (legittimamente) incontro a un successo artistico e quindi acquistare un notevole valore commerciale, l’autore, in quanto le ha cedute, sarebbe comunque estromesso dai vantaggi economici che ne derivano[5].

Tutti questi elementi rappresentano un disincentivo per l’artista di qualità a mettere le sue opere sul mercato. Le conseguenze finali sarebbero che il mercato verrebbe a comporsi quasi esclusivamente di opere di medio-bassa levatura (“di mercato”) e che il surplus prodotto finirebbe per andare in gran parte nelle mani degli artisti meno innovativi a discapito di quelli d’avanguardia, con il rischio di estinzione per questi ultimi.

Bisogna rilevare tuttavia che, a differenza di quanto avviene per i “lemons”, il mercato dell’arte non andrebbe verso un collasso. La domanda in gran parte infatti non sarebbe in grado di accorgersi dell’inadeguatezza della qualità dell’offerta, e continuerebbe a comprare opere di basso valore artistico. Soltanto quando ci fosse un cambiamento nei gusti dei collezionisti il mercato potrebbe essere saturo. Nello stesso tempo solo quando il mercato diventasse saturo (e quindi il prezzo di riferimento degli artisti di mercato cominciasse a scendere) ci sarebbe spazio per nuove correnti e quindi per un’evoluzione del gusto. In breve ci si troverebbe ugualmente in una situazione di empasse, non con l’effetto tuttavia di un collasso del mercato ma bensì di una défaillance dello sviluppo culturale delle arti visive.

Il “signaling” e i costi di transazione

Secondo Spence[6] un altro modo per cercare di ovviare al problema delle asimmetrie informative è quello di utilizzare dei “segnali” che diano prova del valore dell’oggetto. Come chi vuole essere assunto in un colloquio di lavoro deve avere un curriculum di tutto rispetto che ne certifichi le abilità, chi vende (cioè la galleria) deve cercare di dimostrare ai collezionisti la qualità dei suoi (selezionati) artisti. Poiché i collezionisti sono poco avvezzi a seguire ciò che avviene nel mondo dell’arte contemporanea (spesso perché non ne hanno neppure il tempo), preferiscono dirigersi verso articoli e intermediari di brand, che li tutelino dall’insicurezza che mina le loro scelte. In questo senso le gallerie decideranno di comprovare il valore di un artista, che di per sé non ha alcun elemento oggettivo, investendo molti soldi nella promozione: occuperanno sedi prestigiose, posizionate in zone alla moda e in edifici particolari; allestiranno mostre con curatori di un certo livello, spendendo molto per inviti, catering e comunicazione che siano all’altezza; inviteranno e corteggeranno facoltosi collezionisti e le persone che contano nel gotha dell’arte; parteciperanno alle maggiori fiere di arte contemporanea, pagando commissioni altissime. Così esse saranno in grado di vendere, con l’opera d’arte, uno status sociale e la convinzione che le scelte dei collezionisti siano quelle giuste[7].

Come meglio si vedrà nel prossimo articolo, gli artisti a loro volta, per essere selezionati, cercheranno di testimoniare le proprie qualità alle gallerie, mettendo in evidenza il corso di studi seguito, le mostre personali e collettive fatte, le recensioni avute, le gallerie che li hanno rappresentati in passato e ogni altra cosa che possa metterli in buona luce. In un certo senso, così come un’accademia o un’università seleziona i propri docenti o ricercatori, si può dire che il reclutamento degli artisti rappresenta un asset strategico per una galleria, poiché esso ne costituisce forse il primo segnale di qualità[8].

Il meccanismo di segnalazione delle gallerie tuttavia non è di per sé in grado di risolvere tutti i problemi che nascono dalla presenza di asimmetrie informative. In particolare non può ovviamente sanare la contraddizione della indeterminatezza del valore intrinseco dell’opera d’arte. Il signaling quindi costituisce solo un sistema di convenzioni per accreditare un valore di mercato nei confronti di un determinato artista e per dirigere le scelte dei collezionisti in una certa direzione piuttosto che in un’altra.

Inoltre il problema della segnalazione è che essa risulta essere molto onerosa, con effetti diretti sul livello dei costi di transazione del mercato. Le gallerie infatti si trovano nella condizione di dover riversare le proprie spese di promozione sia sul collezionista (in termini di maggior prezzo di vendita) sia sull’artista (in termini di maggiori commissioni).

Un altro problema dell’attività di segnaling è che, dopo che le gallerie hanno investito tempo e denaro per la promozione degli artisti, questi ultimi possano lasciare la galleria[9]. Infatti se tale attività ha avuto esito positivo, gli artisti, le cui quotazioni saranno cominciate a salire, saranno incentivati a passare a una galleria di livello superiore e con migliori contatti (si prefigura quindi un moral hazard da parte di questi). In questo senso l’unico modo di cautelarsi da parte delle gallerie è di tenere molto alta la percentuale di intermediazione all’inizio del rapporto e tenere depositate in conto vendita una grande quantità di opere dell’artista, in modo che, anche qualora il rapporto di collaborazione finisse, esse, vendendo via via nel tempo le opere in giacenza, sarebbero in grado di accaparrarsi parte dei profitti dovuti all’aumento delle quotazioni. Naturalmente questo meccanismo “di difesa” da parte delle gallerie, sebbene legittimo, porta con sé la conseguenza di un ulteriore aumento dei costi di transazione.

Il rischio di azzardo morale nell’attività di segnaling non finisce qui. Nel caso infatti più gallerie rappresentassero in contemporanea un artista, ognuna di esse potrebbe pensare di rimandare alle altre l’attività promozionale, potendone tuttavia goderne i benefici. Questo comportamento sleale, che in termini economici prende il nome di “free riding”, determina che alla fine nessuna galleria sarà incentivata ad investire nell’artista. In ultima analisi risulta quindi essere conveniente sia all’artista che alla galleria un rapporto in esclusiva, almeno nell’ambito territoriale dove la galleria opera.

Alcune possibili soluzioni ai problemi dell’adverse selection e del moral hazard

Il problema che si configura in presenza di asimmetrie informative è che, anche qualora ci fossero degli intermediari che facessero da garanti (attività di screening), questi ultimi dovranno essere esenti da conflitti di interessi, pena l’insorgere di un moral hazard che porta ad un meccanismo di selezione avversa e l’instaurarsi di circoli viziosi sul mercato. Se d’altra parte venisse posta in essere dagli intermediari un’attività di segnaling si verrebbe ad accrescere in misura considerevole il livello dei costi di transazione. Quali possibili soluzioni è quindi possibile ipotizzare?

Naturalmente un primo passo è quello di andare nella direzione di eliminare le asimmetrie informative. Ciò significa dotare gli investitori di mezzi idonei per capire le caratteristiche e il valore dei prodotti, nella fattispecie delle opere d’arte. In questa direzione lo sviluppo di Internet e del web rappresenta un notevole passo in avanti. Tuttavia, in considerazione che i prezzi delle opere d’arte sono tenuti riservati dalle gallerie e quelli battuti all’asta risentono delle politiche commerciali di chi le possiede, in genere il gap tra chi vende e chi compra non può che rimanere di una certa consistenza.

Rebus sic stantibus, una possibile soluzione è quella di cercare di limitare alla base la possibile insorgenza di conflitti di interesse, in modo che lo screening possa funzionare meglio. A tal fine, se da una parte sarebbe auspicabile un intervento pubblico che limitasse la possibilità di commistione nei ruoli all’interno del sistema dell’arte attraverso l’introduzione di barriere e divieti funzionali in capo ai diversi operatori (i cosiddetti “chinese walls”, come avviene per i mercati finanziari), dall’altra essa risulta in molti casi essere di difficile se non impossibile applicazione per la natura e la configurazione stessa del sistema dell’arte. Esistono forse delle misure alternative magari meno efficaci ma sicuramente di più facile attuazione.

Una prima semplice soluzione è quella che collezionisti e gallerie mettano in atto dei rapporti di collaborazione continuativi. Infatti il problema del moral hazard si riscontra secondo la games theory solo quando il gioco non venga continuamente ripetuto e al gallerista convenga attuare una strategia del tipo prendi i soldi e scappa. Questo è il caso in cui egli vede il collezionista come un turista straniero, cliente occasionale e sprovveduto, che probabilmente non rivedrà più e che quindi potrà tranquillamente ingannare. Tuttavia la realtà dei fatti dimostra il contrario: visto che il mercato è ristretto i galleristi hanno in genere tutto l’interesse a fidelizzare i clienti e costituire relazioni durature, ciò li disincentiverà dall’avere comportamenti scorretti.

Ma c’è di più: poiché i galleristi in genere tengono molto alla loro reputazione in mondo piccolo come il sistema dell’arte (in considerazione del fatto che ciò facilita fortemente la loro attività di promozione e segnalazione), un altro strumento di dissuasione da comportamenti opportunistici è la moral suasion, cioè la minaccia dei collezionisti di mettere in giro cattive voci sul loro conto. D’altro canto la moral suasion viene utilizzata anche in direzione opposta: nel caso infatti di collezionisti che comprino nel circuito delle gallerie per rivendere su quello delle aste, i galleristi di comune accordo creano vere e proprie black list per ostracizzare questi individui dal circuito e disincentivare comportamenti di tal genere.

Anche se il rapporto tra gallerista e collezionista non fosse continuativo, e inoltre non ci fosse la possibilità di una moral suasion, rimane tuttavia una ulteriore risorsa per risolvere il problema dell’adverse selection:quella di offrire un prodotto alternativo alla mera compravendita di opere d’arte. Per capire meglio la questione si veda ad esempio il mercato delle polizze assicurative[10]: si pensi ad una compagnia di assicurazione privata che alzi il costo della propria polizza sulla salute. Che effetti può avere? Ne conseguirà una selezione avversa. Coloro infatti che sono sani probabilmente saranno propensi farne a meno, mentre coloro che sono o affetti da malattia o cagionevoli di costituzione decideranno comunque di sottoscriverla, determinando un’ulteriore incremento dei costi di assicurazione e del relativo premio da pagarsi. Ciò innesca un circolo vizioso per cui solo chi è ammalato si assicurerà. Alla fine la compagnia assicurativa per non fallire dovrà trovare un modo alternativo di vendere l’assicurazione. Una soluzione a questa situazione di empasse, denominata “separating equilibrium, è costituita dalla scelta di operare una differenziazione dei prodotti. Se le agenzie di assicurazione offrissero due diverse polizze a due prezzi diversi, una a copertura totale e una a copertura parziale, allora si avrebbe che gli individui malati sceglierebbero la polizza a copertura totale, mentre gli individui sani sceglierebbero quella a copertura parziale. Questo meccanismo è in grado di attuare una selezione non avversa della clientela, così da non compromettere il mercato.

Per quanto riguarda la compravendita di opere d’arte il separating equilibrium si potrebbe attuare attraverso l’introduzione nel nostro ordinamento di una nuova forma giuridica in tema di comproprietà sul modello della multiproprietà azionaria applicata all’arte visiva. Essa, creando le condizioni (come in una joint-venture) per una comunanza di intenti e condivisione dei rischi tra le parti, che fungerebbe da garanzia, sarebbe in grado di risolvere alla base il problema del conflitto di interessi e dell’adverse selection. La multiproprietà artistica sarebbe, mutatis mutandis, paragonabile alla partecipazione al capitale di rischio di un’impresa da parte dei collezionisti, che fungerebbero da investitori, guidata dalla galleria o dal critico alla stregua di un venture capitalist. D’altra parte anche gli artisti stessi potrebbero usufruirne, in modo da finanziarsi secondo una forma più moderna di “mecenatismo”.

L’introduzione di questa nuova forma giuridica va nella direzione di avvicinare all’arte contemporanea nuovi investitori, prima timorosi nei confronti di questo mondo, incrementando il livello degli investimenti e la liquidità del mercato. Infatti il collezionista che vuole avere garanzie sulla qualità del suo acquisto, al pari del compratore di una macchina usata di Akerlov, può richiedere nella fattispecie di pagare solo una parte del prezzo dell’opera (ad esempio quanto spettante all’artista) in cambio di una partecipazione della galleria nella proprietà dell’opera. In questo caso determinandosi una comunanza (e non più un conflitto) di interessi, l’acquirente diviene sicuro dell’autenticità delle dichiarazioni del gallerista. In questo modo i galleristi virtuosi saranno automaticamente selezionati entro quelli che accetteranno, mentre con una moral suasion coloro che non vorranno aderire a questa forma saranno additati come in malafede.

Note

[1] Akerlof, George A. (1970). “The Market for ‘Lemons’: Quality Uncertainty and the Market Mechanism”, Quarterly Journal of Economics, The MIT Press, Vol. 3 No. 84, pp. 488–500. Oltre che in quello dell’arte e delle automobili usate, le asimmetrie informative sono presenti in molti altri mercati dove il valore del bene è fortemente aleatorio, tra cui quello finanziario, tantoché gran parte dei risparmi sono gestiti da operatori professionisti e vi sono agenzie di rating che fungono da esperti nella valutazione del rischio degli investimenti. In particolare il principio di adverse selection si applica al mercato assicurativo, dove chi sottoscrive una polizza è a conoscenza dei rischi in cui incorre molto più della compagnia di assicurazioni.

[2] Stiglitz J. E. (1975), “The Theory of ‘Screening’, Education, and the Distribution of Income,” American Economic Review, American Economic Association, Vol. 65 No.3, pp. 283-300.

[3] Nell’attività di compravendita di opere d’arte la presenza di asimmetrie informative si può anche presentare, a parti invertite, nel caso più sporadico dell’erede che deve vendere parte della collezione ricevuta e si rivolge ad un mercante d’arte. Esistono poi i casi di collezionisti molto esperti e avveduti per i quali non vi è un problema di asimmetrie informative nell’acquisto.

[4] Il critico quindi tende ad allearsi con il gallerista facendo a questi da eco su quelle che sono le sue direttive di vendita. L’azzardo morale è presente inoltre in molte altre attività oltre a quella consulenziale. La stessa attività recensiva dei critici è sottoposta ad un rischio di comportamenti opportunistici, in quanto essi hanno tutto l’interesse, sebbene si proclamino indipendenti, nel promuovere in maniera artificiosa gli artisti delle gallerie sulle riviste su cui scrivono. Il moral hazard si manifesta anche nella forma dell’insider trading, ovvero nell’utilizzo da parte di operatori di informazioni riservate (come ad esempio la futura presenza di un artista nelle mostre dei musei importanti o nelle biennali) al fine di speculare al rialzo sul valore delle opere di quest’ultimo. Infine anche i curatori dei musei possono mettere in atto comportamenti illeciti, decidendo di “sponsorizzare” gli artisti di determinate gallerie piuttosto che altri, per esempio organizzando mostre su commissione o decidendo di far entrare un artista nella collezione del museo, in cambio del sostenimento delle spese organizzative della mostra, o di un prezzo di favore (per non parlare di vere e proprie “ricompense” personali). Cfr. Thomson D. (2009), Lo squalo da 12 milioni di dollari: la bizzarra e sorprendente economia dell’arte contemporanea, Milano, Mondadori.

[5] A parte quanto spettantegli eventualmente per il diritto di seguito, che comunque rimane un importo marginale rispetto ai guadagni in conto capitale delle opere. Cfr. Santagata W. (2005), Beni d’arte, modelli di scambio, istituzioni di mercato, in Santagata W. (a cura di) (2005), Economia dell’arte. Istituzioni e mercati dell’arte e della cultura, Torino, Utet, pp. 15-42.

[6] Spence M.(1973), “Job Market Signaling”, Quarterly Journal of Economics, The MIT Press, Vol. 87 No. 3 pp. 355–374.

[7]Thompson D. (2009), op. cit..

[8] La relazione tra artista e gallerista si configura come una vera e propria partnership, una specie di joint-venture, in cui la reputazione dell’artista si riflette direttamente su quella del gallerista. Cfr. Gay A. (2005), “Selezione e affollamento”, in Santagata W. (a cura di) (2005), Economia dell’arte. Istituzioni e mercati dell’arte e della cultura, Torino, Utet, pp. 76-120.

[9] Cfr. Santagata W. (2005), Op. Cit..

[10] Rothschild M., Stiglitz J. (1976), “Equilibrium in Competitive Insurance Markets: An Essay on the Economics of Imperfect Information”, The Quarterly Journal of Economics, Vol. 90 No. 4, pp. 629-649.

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