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Oksana Akulich

(di Pietro Pavone)

Sembrerebbe che l’americano Paul Krugman, premio Nobel per l’economia, dopo aver appreso che Friedrich Nietzsche, nella sua “Genealogia della morale”, nel parlare del debito come origine del denaro, aveva di fatto sottolineato che in lingua tedesca <<schuld>> significhi non solo <<debito>>, bensì anche <<colpa>>, abbia esclamato: “Ora mi è tutto chiaro”.

L’aneddoto è emblematico e, oltre ad auspicare un approccio interdisciplinare nel volgere lo sguardo alla comprensione delle dinamiche economico – sociali, ambisce ad un ampliamento mentale assolutamente necessario oggi più di ieri.

Una critica dell’economia si impone.

Abituati agli illustri intellettuali del nostro tempo che, con esemplare distanza scientifica, osservano e commentano i fenomeni come fossero concetti ultraterreni (per non parlare della tendenza a porre al centro del dibattito temi che sono altri rispetto a quelli che la maggioranza degli italiani vive nella quotidianità), assistiamo, inermi e spaesati, alla farsa che ci propinano.

Non è raro sentir parlare di capitalismo come formazione storica tutt’altro che “naturale”, una sorta di parentesi nella storia dell’umanità; eppure le odierne argomentazioni non fanno che collocarsi dentro quella cornice di cui tanto si discute ma che mai si tenta di contraddire, anzi sembrano essere tratte proprio dal copione “saggiamente” ideato dagli sceneggiatori di quella triste rappresentazione teatrale della vita di cui siamo spettatori.

Come reagire?

È nella differenza tra storicità ed eternità che risiede la più grande delle nostre speranze.

Quando una circostanza, una contingenza storica (il capitalismo) viene letta e professata come una verità assoluta ed eterna, il passaggio dal piano della possibilità a quello dell’ovvietà è compiuto: il capitalismo si realizza. L’uomo obbedisce. La democrazia boccheggia.

In un’epoca in cui l’astratto domina il concreto, è effettivamente difficile immaginare economisti e “liberi” pensatori che possano non predicare teorie preconfezionate da vendere all’opinione pubblica. Come dire, a Marx possono essere mosse molte critiche, ma mai si potrà dire che la sua analisi non partisse dal concreto.

Mancando, nel presente, questa impostazione di fondo, sembra alquanto difficile un cambio di rotta.

La comprensione del nostro tempo – è intuitivo – non può prescindere dai dati, unica fonte di verità, i quali invece sono spesso usati per avvalorare tesi che con essi nulla hanno a che vedere.

Ebbene, da questa situazione si potrà uscire solo se saremo capaci di fare comunità. Organizzandosi. È un dato che il capitale abbia sviluppato una solida coscienza di sé, agendo compatto come classe, ai danni del lavoro che, di contro, stenta ad organizzarsi. Questa fatica, questo arrancare, questo ritardo, alla lunga si paga.

L’aumento del grado di sfruttamento del lavoro tramite la costante destrutturazione normativa dei contratti di lavoro ne è solo un esempio, drammatico.

Svegliarsi dallo stato di ipnosi collettiva che ci incanta e ci seduce è possibile solo comprendendo che “la vita nel presente, nella sua materialità e nelle sue relazioni, è presa in ciò che ancora dobbiamo chiamare capitalismo[1].

Sarebbe quantomeno un valido punto di partenza.

Sperimentando radicalmente, ogni giorno, “l’umiliante alternativa di fronte alla quale il tardo capitalismo mette segretamente tutti i suoi sudditi: diventare un adulto come tutti gli altri o restare un bambino[2], si avverte il peso delle infinite difficoltà che si incontrano tutte le volte che si tenta di uscire dalla rappresentazione ordinaria del mondo, quando cioè si prova a mutare “il nostro rapporto critico con la formazione sociale nella quale siamo cresciuti e viviamo, il capitalismo[3].

Non ci resta che lottare, continuando a sbattere la faccia contro queste difficoltà per smontare certe letture semplicistiche delle dinamiche in atto che ne neutralizzano le potenzialità liberatorie.

Note

[1] Paolo GODANI. Senza padri. Economia del desiderio e condizioni di libertà nel capitalismo contemporaneo

[2] Theodor W. ADORNO. Minima Moralia – Meditazioni della vita offesa

[3] P. GODANI, cit.

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