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(di Ivana Colombo)

Oggi le imprese hanno bisogno di personale con un livello di formazione elevato, diversamente qualificato: le Risorse Umane sono diventate un fattore cruciale della competitività aziendale.

L’assunto sottostante è che quanto più le risorse sono istruite, maggiore sarà la performance aziendale.

Per questo le aziende avrebbero sviluppato una tendenza ad assumere personale sempre più qualificato in senso ampio e a liberarsi di personale a bassa qualificazione (1).

Risulta certamente vincente aggiornare le proprie competenze e ampliare le proprie conoscenze, potenziando continuamente le capacità, ma non è detto che qualunque investimento in Risorse Umane risulti efficace, così come non esiste un modo perfetto di gestirle: occorre prestare attenzione al contesto e alle esigenze/finalità di ciascun sistema produttivo (2).

1. Il sistema formativo italiano

Considerando la formazione scolastica come base di partenza, il sistema italiano è orientato all’“appropriatezza”, una tipologia di studi che assicura un certo livello di conoscenze e competenze prima dell’ingresso nel mercato del lavoro, collocabile all’interno del cosiddetto “modello latino” basato sulla separazione tra scuola e impresa.

Al contrario il “modello renano” (sistema duale tedesco, che integra il percorso formativo con periodi di apprendistato sul campo) prevede integrazione e collaborazione tra scuola e impresa, ove la prima si preoccupa di formare le risorse secondo le esigenze delle seconde quanto più possibile (3).

Le scuole aziendali istituite da alcune grandi imprese italiane negli anni ‘50-‘60 per assicurarsi l’esatto grado di competenze loro necessarie hanno in parte funzionato finché non sono state superate dalla rivoluzione tecnologica e dal conseguente riassetto organizzativo e le poche rimaste in funzione non sono riuscite a compensare la sostanziale mancanza di un efficiente sistema di apprendistato capace di fornire una preparazione adatta a più situazioni.

In Italia la formazione è competenza delle Regioni, che la attuano direttamente o mediante il ricorso a convenzioni con Enti privati, mentre l’istruzione è di competenza dello Stato centrale (quella Universitaria di competenza delle Regioni), che la attua attraverso scuole pubbliche e disciplina l’attività delle scuole private (4).

Quando si parla di formazione continua (continuing vocational training), invece, ci si riferisce più specificatamente alla formazione sul lavoro e quindi alla riqualificazione professionale e all’attività di aggiornamento del lavoratore. In questo ambito rientra la formazione degli occupati che abbia carattere di sviluppo e completamento (aggiornamento e perfezionamento) di competenze professionali già acquisite.

Le attività possono essere finanziate sia dalle imprese per i propri dipendenti, sia sostenute da fonti finanziarie diverse (finanziamenti di tipo pubblico o privato) e destinate ai singoli lavoratori che, a prescindere dalle esigenze della propria azienda, vogliano autonomamente accedere a percorsi formativi che supportino il loro sviluppo professionale. Si tratta di attività formative rivolte ai soggetti adulti, occupati o disoccupati, al fine di adeguarne o di svilupparne conoscenze e competenze professionali, in stretta connessione con l’innovazione tecnologica ed organizzativa del processo produttivo e in relazione ai mutamenti del mondo del lavoro (5). Finalizzata al mantenimento delle condizioni di occupabilità lungo l’arco della vita e allo sviluppo della capacità di adattamento dei lavoratori al mondo del lavoro, la formazione continua costituisce una componente essenziale della formazione cosiddetta permanente.

Attualmente il sistema italiano di formazione continua è regolato dalla legge 19 luglio 1993, n. 236. La normativa prevede che il Ministero del Lavoro, le Regioni e le Province autonome possano finanziare attività destinate a:

• operatori e formatori dipendenti degli Enti di formazione

• lavoratori dipendenti di aziende beneficiarie dell’intervento straordinario di integrazione salariale

• lavoratori dipendenti di aziende che contribuiscono in misura non inferiore al 20% del costo delle attività

• soggetti privi di occupazione e iscritti alle liste di disoccupazione che hanno partecipato ad attività socialmente utili.

La formazione continua può svolgersi indifferentemente in azienda o presso enti di formazione (6).

2. Riqualificare dopo i 45

Per gli adulti l’unico modo di rispondere ai continui stimoli di mercato è dunque riadeguare la formazione iniziale. I responsabili delle Risorse Umane e i titolari di impresa hanno piena coscienza della necessità di potenziare il capitale umano attraverso piani formativi di qualità, strutturati e finalizzati. Molto spesso ciò si scontra con l’insufficiente disponibilità di budget (7). Per favorire lo sviluppo della formazione ci sono molti dispositivi di finanziamento che, utilizzati in modo complementare, sono un indispensabile sussidio per abbattere i costi della formazione. Vanno però conosciuti, nelle loro specificità e modalità di funzionamento, per scegliere quelli più funzionali alle singole esigenze e utilizzarli al meglio (8).

In realtà la velocità delle modifiche che l’accelerazione tecnologia ha imposto e impone, la globalizzazione col suo mutare costantemente gli scenari e gli interlocutori, l’avere a che fare con il livello internazionale in moltissimi ambiti, rendono in fretta superato quasi ogni tipo di preparazione, che richiede di essere aggiornato con maggiore frequenza rispetto al passato. Tra le forme di intervento più ricorrenti si possono includere il finanziamento di Piani formativi aziendali oppure di voucher per accedere a percorsi formativi o di incentivi per l’assunzione di particolari categorie di lavoratori (per es. over 45, donne, disoccupati, ecc.), corsi di formazione continua per l’aggiornamento, il perfezionamento e la specializzazione dei professionisti durante tutto il corso della vita (Lifelong learning), un insegnamento che coniuga la pratica con la teoria applicando conoscenze e metodi d’avanguardia (9).

Il Fondo Sociale Europeo (FSE) ha sviluppato una strategia molto articolata individuando tre obiettivi specifici, ciascuno dei quali dedicati ad un tema prioritario. Il primo obiettivo a) è quello più esplicitamente dedicato allo sviluppo della formazione continua, il secondo b) e il terzo c) sono finalizzati rispettivamente a intervenire sull’organizzazione e sulla qualità del lavoro e a sviluppare servizi di anticipazione del cambiamento promuovendo l’imprenditorialità. Questa strategia di intervento presenta forti potenzialità sul tema generale dell’adattabilità, dal momento che gli obiettivi specifici in cui si articola consentono di finanziare tipologie di azione non esclusivamente formative ma anche strutturali per le imprese, come gli interventi sull’organizzazione del lavoro e sull’anticipazione e gestione del cambiamento (10).

La situazione di crisi a partire dal 2008 ha, nei fatti, modificato gli obiettivi inizialmente programmati da parte delle amministrazioni: ciò ha avuto anche un chiaro riflesso sulla tipologia e la quantità di beneficiari. Infatti, in Italia particolarmente, un ammontare ragguardevole delle risorse provenienti dal Fondo Sociale Europeo è stata destinata al rafforzamento dei trattamenti di Cassa integrazione e mobilità in deroga in un collegamento più stretto tra politiche passive e politiche attive.

3. Corsi dedicati dopo la formazione base

Molte mansioni sono state eliminate dall’innovazione tecnologica degli anni ‘80-‘90. In particolare le funzioni produttive e amministrative sono andate perdendo centralità rispetto alla commercializzazione del prodotto, area che richiede capacità relazionali di assistenza al cliente (ma anche ai fornitori) e quindi figure tecniche con profili trasversali a queste funzioni, che abbiano capacità di capirne e valorizzarne i bisogni, considerando che l’utenza è sempre più esigente e richiede la soddisfazione di esigenze sempre più sofisticate (11).

La flessibilità richiede ai lavoratori di essere utilizzati in funzioni polivalenti che uscendo dalle qualifiche professionali classiche rendono sfumato e più ampio il campo delle competenze professionali acquisite e da tenere aggiornate, che si trovino all’ingresso nel mondo del lavoro o nel momento di potenziare la loro professionalità. Ogni sistema produttivo richiede schemi di utilizzo delle risorse umane differenti rispetto anche solo a 10-15 anni fa e ciò conduce inevitabilmente verso una gestione multivariata delle Risorse Umane, volta a conseguire una crescente integrazione delle diverse culture professionali.

Sostenere la formazione continua e soprattutto mirata risulterà fondamentale per ottenere il massimo incontro (match) tra domanda delle imprese e offerta di forza lavoro adeguata.

Note

(1)     Non è detto che un più elevato investimento in personale qualificato risulti più efficace: occorre prestare attenzione a seguire modelli rivelatisi funzionali in altri Paesi, si dà per scontato che investire una certa percentuale del PIL in formazione produca automaticamente una resa maggiore dell’offerta di Risorse Umane.

(2)     È bene tenere presente l’effettiva domanda delle imprese; in Italia ad esempio data la struttura a prevalente presenza di Pmi non sono necessari tutti i laureati che auspica la Ue nelle sue linee guida: servono piuttosto più diplomati e tecnici, fatto salvo un maggior livello di cultura dirigenziale dei piccoli proprietari d’impresa che li avvicini al livello internazionale. In Italia secondo i dati rilevati dagli studiosi di relazioni industriali si registra un eccesso di laureati al sud, in Germania di operai specializzati, in Francia, Spagna e Italia di operai a bassa qualificazione, a conferma di quanto sia importante tenere conto delle strutture organizzative dei diversi mercati del lavoro.

(3)     Fornisce alla gran parte di chi entra nel mercato del lavoro competenze ampie e variate, addirittura in eccesso rispetto all’utilizzo immediato, ma fruibile in seguito in diverse tipologie di aziende. Le quali vengono inoltre poste al riparo da atteggiamenti predatori da parte dei concorrenti, evitando la sottrazione di personale formato e dei relativi costi sostenuti per la loro formazione.

(4)     In Lombardia i dati mostrano una offerta crescente di formazione continua rispetto alla formazione iniziale, anche se l’iniziativa è sostanzialmente lasciata alle singole imprese o al singolo lavoratore che si attiva per conto proprio nella ricerca dell’investire in formazione riqualificante. Alcuni problemi legati alla certificazione delle competenze poi (valore, durata, specifiche e riconoscimento elle stesse sul mercato) hanno finito per ridurre a serbatoio secondario la formazione professionale che in teoria doveva concretizzarsi in effettivo addestramento al lavoro. La gestione delle Regioni ha finito per raccogliere gli espulsi dal mercato principale, limitando l’intervento alla mera gestone dei corsi più che alla rilevazione degli effettivi bisogni di preparazione di ambo le parti, imprese e lavoratori. Va da sé che questa rigidità, unita all’obsolescenza del sistema didattico tradizionale non ha prodotto l’effetto innovativo desiderato.

(5)     Per un maggiore approfondimento si veda www.isfol.it.

(6)     A partire dal 1999 è stata introdotta la sperimentazione dei voucher formativi, strumenti finalizzati all’ampliamento delle competenze e delle conoscenze individuali, non sempre necessariamente coincidenti con le necessità delle aziende. Recentemente, con l’articolo 118 della legge 23 dicembre 2000, n. 388 (integrato dall’art. 48 della legge 27 dicembre 2002, n. 289), è stata disposta l’istituzione dei Fondi paritetici interprofessionali nazionali per la Formazione Continua, costituiti attraverso accordi interconfederali tra le organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori. Scopo dei Fondi è quello di promuovere l’accrescimento della formazione continua, ovvero di sostenere e finanziare la qualificazione e la riqualificazione professionale dei lavoratori. Attraverso il finanziamento di piani di formazione concordati tra imprese e sindacati, i Fondi intendono promuovere, la crescita occupazionale e la competitività delle imprese.

(7)     In questo senso le Agenzie del lavoro che funzionano di più sono quelle che si rendono conto che sul mercato si fa strada il bisogno di pizzaioli e prevede corsi di formazione per il proprio staff atti a soddisfare la richiesta crescente di operatori di questa categoria. Vale per tutte le altre posizioni e in questa direzione svolgono selezione del personale riducendo realmente i costi di selezione/formazione per le aziende.

(8)     Colombo L. (2003), Finanziare la formazione continua. Fondi Interprofessionali, dispositivi nazionali e programmi europei. Quali sono e come usarli in modo efficace, in funzione degli obiettivi aziendali, FrancoAngeli, Milano. Il volume propone schede pratiche sui più importanti dispositivi di finanziamento per la formazione. I contenuti sono presentati in “stile aziendale” e non burocratico, favorendo la comprensione anche delle sezioni più tecniche. Numerosi testimonial aziendali e istituzionali spiegano attraverso il loro vissuto le principali opportunità offerte dai fondi.

(9)     V. Unione italiana educazione adulti, www.unieda.it.

(10) Il FSE infatti cofinanzia assieme alle Regioni e alle Province corsi, prevalentemente gratuiti, che consentano ai partecipanti l’acquisizione di qualifiche e competenze richieste dal mercato del lavoro. Anche il Fondo Sociale Europeo incentiva la Formazione continua intesa come adeguamento dei lavoratori – in particolare quelli minacciati dalla disoccupazione, in cassa integrazione o in mobilità – all’evoluzione dei sistemi produttivi e alle trasformazioni industriali.

(11) Se un’impresa produce orologi il cliente è in grado di valutare immediatamente se funziona o no, se produce un servizio il cliente lo saprà solo una volta fruito e la sua valutazione sarà comunque soggettiva (gusti, necessità, soddisfazione di rapporto personale).

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