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sezioni unite

(di Andrea Orabona)

In data 27 maggio 2016, le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione hanno finalmente proceduto al deposito delle motivazioni della sentenza n. 22474/16 – volta a dirimere la contrastata quaestio iuris sull’attuale rilevanza penale del falso valutativo ex artt. 2621 e 2622 c.c. all’indomani dell’abrogazione letterale dell’inciso “ancorchè oggetto di valutazioni” dalle medesime fattispecie di reato ad opera della recente legge di riforma n. 69/2015 -.

Invero, le sezioni semplici della Suprema Corte di cassazione, più volte chiamate a pronunciarsi sul punto, avevano reso pronunce tra loro nettamente contrastanti, escludendo – in un primo momento – la punibilità del “falso valutativo” in relazione alle fattispecie di false comunicazioni sociali, per successivamente affermare (con la pronuncia n. 890/2016) la rilevanza penale delle medesime condotte criminose – tanto da aver reso necessario l’intervento delle Sezioni Unite che, in occasione della pronuncia del 27.5.2016, hanno ritenuto di aderire all’orientamento favorevole alla sussunzione nelle maglie dei reati ex artt. 2621 e 2622 c.c. di azioni e/o omissioni aventi anche ad oggetto false stime o valutazioni di bilancio -. In particolare, con la sentenza n. 22474/2016 la Suprema Corte di cassazione ha respinto l’indirizzo giurisprudenziale secondo cui l’espunzione dell’inciso “ancorchè oggetto di valutazioni” dalle fattispecie di false comunicazioni sociali avrebbe comportato un’implicita abrogazione parziale del falso valutativo – finendo col sostenere, diversamente, la natura tipicamente concessiva, ovvero, esplicativa dell’inciso stesso, la cui eliminazione non risulterebbe certamente tale da compromettere il nucleo sostanziale dei reati p. e p. ex artt. 2621 e 2622 c.c. -.

Ed, invero, non può certamente revocarsi in dubbio come nella (ridotta) espressione “fatti materiali” di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. rientrino, anche e soprattutto, le valutazioni o stime dei dati indicati nel bilancio, anch’esse, infatti, idonee a costituire oggetto di false comunicazioni sociali – ove contrastanti con i criteri di redazione contabile normativamente disciplinati, nonché tecnicamente condivisi, ovvero, imposti dal Codice Civile, dalla normativa comunitaria, nonché dai principi internazionali direttamente applicabili (artt. 2423 e ss. c.c., nonché principi contabili IAS/FRS) -. Difatti, escludere il “falso valutativo” dal novero delle condotte rilevanti ai sensi delle false comunicazioni sociali equivarrebbe a svuotare in nuce di significato il contenuto del reato p. e p. dagli artt. 2621 e 2622 c.c. – stante la natura valutativa della quasi totalità delle voci iscritte a bilancio e come tali sottese ad un continuo processo estimativo volto a garantire la fedele e corretta rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria ed economica della società o Gruppo d’appartenenza -.

Dalla lettura delle motivazioni di cui alla sentenza n. 22474/16 delle Sezioni Unite, appare, dunque, evidente come la ratio sottesa alle nuove fattispecie di falso in bilancio consista nella tutela (sempre e comunque) della veridicità e completezza nella rappresentazione di dati sociali – con conseguente sanzionabilità di ogni condotta consapevolmente volta all’esposizione in bilancio di fatti non rispondenti al vero o di omissioni di fatti rilevanti, al fine di garantire la genuinità dell’informazione (desumibile, appunto, dai dati di bilancio) nei confronti di soci, creditori, nonché del pubblico dei terzi/investitori -. Sotto tale profilo, la recente pronuncia n. 22474/16 delle S.U. della Suprema Corte precisa – altresì – come il riformato testo normativo delle false comunicazioni sociali non vada unicamente interpretato sulla scorta di un criterio ermeneutico/letterale, bensì (e soprattutto) alla luce della ratio legis sottesa alla recente legge di riforma n. 69/2015 – volta, in concreto, alla repressione di qualsivoglia condotta avente ad oggetto la falsificazione di dati di bilancio – vuoi di natura obiettiva vuoi di matrice valutativa e/o estimativa -. Invero, l’eventuale riduzione della portata normativa delle incriminazioni di falso in bilancio (per effetto della non punibilità delle false valutazioni) avrebbe ex adverso determinato l’indicata frustrazione della finalità repressiva dei reati economici auspicata dal legislatore nazionale, contrariamente intervenuto (con la legge di riforma n. 69/2015) per l’inasprimento dell’apparato sanzionatorio delle false comunicazioni sociali, peraltro configurate quali delitti di pericolo – connotati da dolo specifico e perseguibili d’ufficio -.

In concreto, l’intervento di riforma operato dal legislatore in materia di false comunicazioni sociali è stato propriamente quello di realizzare un apparato normativo/sanzionatorio complessivamente e significativamente più ordinato – volto alla repressione delle sole falsificazioni di dati e stime iscritte a bilancio consapevolmente contrastanti con i criteri di valutazione previsti ex lege, ovvero, con quelli eccezionalmente indicati nella nota integrativa propriamente in deroga ai principi di redazione contabile normativamente fissati e, vieppiù, idonee a trarre in errore la fedele percezione dei destinatari/terzi sulla situazione economica, finanziaria e patrimoniale della società o Gruppo d’appartenenza -.

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