Dove ci porteranno i media
(di Marino D’Amore)
Il sistema mediale è attraversato, attualmente, da profondi cambiamenti soprattutto dopo aver imboccato la strada della digitalizzazione. Un processo che si palesa continuamente intorno noi ma che rimane, per alcuni aspetti e soprattutto per l’utenza finale, ancora sconosciuto nella portata e nelle direzioni che intende intraprendere. Tali cambiamenti hanno inevitabilmente delle implicazioni sociologiche che influenzano la quotidianità comunicativa di ognuno di noi ma soprattutto, cosa più importante, causano profondi cambiamenti del ruolo dell’utenza, che diventa attrice attiva, abbandonando quella passività acritica e inconsapevole che l’ha caratterizzata per anni. Questa nuova età mediatica è riscontrabile su alcuni mezzi di comunicazione più che in altri e in particolar modo sulla Rete per antonomasia: Internet, grazie anche al connubbio con il medium televisivo (IPTV e web TV). Internet, ossia la contrazione linguistica della locuzione inglese interconnected networks (reti interconnesse) è, come tutti sanno, una rete mondiale di computer ad accesso pubblico, attualmente rappresentante il principale mezzo di comunicazione di massa, che offre all’utente una vasta serie di contenuti informativi e servizi di varia natura accomunati da un medesima caratteristica: essere costantemente in contatto con tutto il mondo. La Rete rende quest’ultimo una sorta di villaggio globale, anzi glocale. Internet è il medium della cosidetta glocalizzazione termine introdotto dal sociologo Zygmut Bauman che si costituisce, sia linguisticamente che semanticamente, sulla crasi tra globalizzazione e local e si sostanzia su un’azione caratterizzata da dinamiche di interrelazione tra i popoli, tenendo conto però delle loro peculiarità culturali, delle loro istanze identitarie e di appartenenza territoriale, inquadrate in un contesto storico ben determinato. Il web nel tempo è diventato strumento quotidiano nelle mani di un’utenza sempre più alfabetizzata e fidelizzata, baluardo e simulacro di quel processo democratizzante descritto prima, processo anche sociale come dimostrato dai Social Network: MySpace, Facebook, Twitter, veri e propri catalizzatori di condivisione e relazioni irrealizzabili, almeno apparentemente, nel mondo reale. Per quanto riguarda la televisione occorre puntualizzare che il suo avvento, nel secolo scorso, ha meravigliato tutto il mondo per lo straordinario potere di abolire le distanze e i tempi, riunendo gli utenti in immense comunità transnazionali, ma, ancora oggi, riesce a sorprenderci per la sua capacità di viaggiare liberamente fra i media, di ibridarsi e offrire la sua presenza al pubblico in forme, in parte o del tutto, nuove. Una nuova esperienza comunicativa tout court che, grazie alle potenzialità e alle nuove possibilità che offre, coinvolge l’utente del nuovo millennio con la stessa intensità con cui la vetero tv attirava il suo pubblico. Una nuova concezione del mezzo che mitiga e rinegozia i confini tra i media e i loro contenuti tipici e lascia intravedere come tutto il sistema, che ci ha intrattenuto e informato fino ad oggi, mostri segni di cedimento e debba essere analizzato in una prospettiva di più ampio respiro. Tuttavia l’aspetto più caratterizzante, la trasformazione più radicale consiste, per la televisione, nella perdita del suo status di medium di massa, di elargitrice di contenuti diffusi dall’alto verso il basso prodotti secondo modalità industriali, per approdare finalmente nel territorio di quella che potremmo definire democrazia mediale, o meglio, Democratizzazione Mediale. Infatti oggi ci troviamo di fronte ad un processo sotteso a dinamiche meccanicistiche di causa-effetto che, almeno allo stato attuale, appare lontano dal suo compimento, evidenziando tutti i risultati raggiunti ma, al tempo stesso, anche tutte le potenzialità inespresse, che possiede in fieri e che possono diventare realtà in un futuro prossimo. La tv vede ridimensionata la sua sacralità, la sua aurea di pulpito postmoderno, il suo carattere di divinità tecnologica portatrice di verità mediatiche assolute e incontrovertibili e al contempo si umanizza, assume le caratteristiche di mezzo di comunicazione al servizio di chiunque voglia usarlo solo perché, in un dato momento e in un dato luogo, ha semplicemente qualcosa da vedere o da dire. Un’evoluzione che quindi muta profondamente il ruolo di quello che fino a poco tempo fa era un semplice consumatore, dando vita ad una nuova, complessa figura spettatoriale, che diventa di conseguenza anche autoriale produttrice di contenuti. Esso rappresenta la definitiva emancipazione dell’utente da un’anacronistica passività e la conseguente assunzione di una consapevolezza nuova e affascinante: l’identificarsi in un ruolo fortemente attivo in cui le vecchie classi mediali si livellano fino a formare una grande classe, una sorta di ceto mediatico omnicomprensivo che racchiude in sé categorie prima separate da uno schermo.
La democratizzazione mediale costituisce, come detto, un fenomeno comunicativo in fieri, che appare, almeno allo stato attuale, lontano dal suo compimento definitivo. Il termine stesso evidenzia i caratteri della provvisorietà, abita il contesto semantico dello stato intermedio, preconizzando il raggiungimento di una piena democrazia. Nonostante tale condizione di sostanziale incompiutezza, che però ha inscritta in sé la volontà di assurgere ad un totale regime democratico-comunicativo, l’età mediatica che stiamo vivendo rappresenta, nella sua unicità, una svolta epocale in questo ambito, un progresso senza precedenti che hai il sapore della conquista e dell’emancipazione da retaggi culturali vetusti e, ormai, obsoleti. Per la prima volta nella storia della comunicazione la distanza che separava un tempo produttori di contenuti dai consumatori si riduce drasticamente fino ad annientarsi; quello che era un rapporto mediatico unilaterale tra un attore attivo e uno passivo diventa gradualmente, ma inesorabilmente, biunivoco e si arricchisce di significati socioculturali fino a poco tempo fa nemmeno contemplati in potenza. Il palcoscenico dell’intrattenimento e dell’informazione si abbassa al livello dell’audience e i suoi protagonisti perdono quell’aura di divinità mediatiche irraggiungibili, il loro culto si laicizza e vengono fagocitati in una massa indistinta di individui con una crescente consapevolezza, una coscienza critica che domina con disinvoltura standard e supporti tecnologici. Questa nuova comunità comunicativa assurge a guida di una comunicazione che si tematizza, diventando attraente per un pubblico numeroso che da monolite roccioso si differenzia in tante nicchie e, al tempo stesso, attira e stimola gli investitori pubblicitari che calibrano i loro spot in maniera più precisa e mirata.
Insomma la tecnologia smette di essere una barriera per diventare un’ importante abilitatrice a beneficio di coloro che hanno un’idea originale, surrogata da una sufficiente base tecnica e da una strumentazione adeguata e accessibile: una telecamera, circa 20 anni fa, era un investimento al di fuori della portata della gente comune, come le infrastrutture necessarie per il montaggio e per la distribuzione, sacrifici economici che potevano affrontare solo i professionisti del settore. Oggi non è più così. La digitalizzazione del video e la miniaturizzazione delle componenti elettroniche ha raggiunto un livello di evoluzione e diffusione tale da costituire un mercato fortemente competitivo, circostanza che ha abbattuto i costi di produzione e di vendita, aprendo questo universo alle masse di consumo. Attualmente la maggior parte delle persone dispone di una videocamera, un oggetto piccolo e quindi trasportabile, ma al tempo stesso incredibilmente potente, un occhio mediatico puntato costantemente sul mondo e sempre pronto a cogliere e a imprimere nella sua memoria estendibile qualunque avvenimento gli si presenti davanti. È all’interno di questo costante divenire, che vede una progressiva diffusione e condivisione delle tecnologie e delle tecniche, che Internet diventa una piattaforma completa, solida, facilmente usabile e, fattore da non sottovalutare, in molti casi completamente gratuita. È in questo nuovo scenario mediale in cui ci si muove, questo è il contesto dove viviamo, che costituisce le fondamenta su cui si poggia una vera e propria rivoluzione, un mutamento epocale che non può e non deve essere sottovalutato, perché riforma, nel suo complesso e nella sua struttura, un modello mediatico che da anacronistico, in quanto non più rispondente ai gusti e alle esigenze degli spettatori, diventa attuale e futuribile. Un modello a disposizione di tutti, che concretizza un processo di democratizzazione tangibile testimoniato dai prodotti che genera: contenuti generati dagli utenti o user generated content. Un potere tanto democratico, almeno in potenza, porta con sé un indotto di accessibilità generalizzata privo di qualsiasi crisma di carattere selettivo: “ognuno può filmare, registrare, produrre ciò che vuole senza sottostare a nessun vincolo o monitoraggio se non quello del buon senso e della responsabilità personale. Il problema diventa quindi morale e deontologico. Infatti l’evoluzione comunicativa, posta alla base di tale processo democratizzante, influisce soprattutto nel mondo giornalistico, che si avvale della Rete, dei social network, dei blog, delle agenzie di stampa on line. Ogni notizia viaggia e si diffonde a velocità impensabili solo qualche anno fa, completando quell’elisione spazio-temporale che prima divideva, culture, comunità, nazioni. Tale fenomeno amplifica esponenzialmente le possibilità di comunicare tra interlocutori lontani, circostanza utile e funzionale per esempio, in caso di guerre, disastri ambientali, epidemie, virus per avvertire riguardo a eventuali pericoli diretti e indiretti, sensibilizzare la popolazione mondiale su precauzioni o aiuti, economici e non, da poter mettere in atto o per informare semplicemente. Ma tale invasività comunicativa è anche a servizio di coloro che si rendono autori di azioni esecrabili: pensiamo al terrorismo e ai barbarici proclami di Al Qaeda un tempo e dell’Isis ora, alla celebrazione mediatica dei loro attentati, delle esecuzioni, della scia di sangue e distruzione che si lasciano alle spalle. Pensiamo a siti di carattere pedopornografico ben nascosti nel Deep Internet, quello non immediatamente visibile, pensiamo ai continui aggiornamenti su omicidi, che cavalcando l’onda del forte appeal criminologico, assicurano molti clic soprattutto per le agenzie di stampa, che trattano tali tematiche trascurando modalità didascalico-descrittive o meramente informative, a favore del gossip più spicciolo e meschino. Come sappiamo una grande utenza, in termini numerici, assicura la vendita di spazi pubblicitari, la visibilità di un brand, il successo di un sito con il conseguente indotto economico. La questione remunerativa è soddisfatta, rimane aperta, come detto, quella morale. Negli ultimi giorni, ad esempio, siamo rimasti scioccati, per usare un eufemismo, dalle immagini diffuse da tutti i media, Rete compresa ovviamente, riguardanti il corpicino del bambino siriano trovato su quella spiaggia dopo quel maledetto naufragio e della giornalista che sgambetta un padre con il figlio in braccio che scappavano, perché inseguiti dalla polizia, nella speranza di trovare asilo in Ungheria. Immagini drammatiche, sconcertanti, che tolgono il fiato e riempiono il cuore di dolore, rabbia e indignazione. Doveroso diffonderle quando accompagnate da una comunicazione adeguata, ma, a mio modesto avviso, una loro sovraesposizione mediatica su più piattaforme e in un breve lasso di tempo abbandona una giusta informazione a favore di un processo di assuefazione e desensibilizzazione negli utenti rispetto a certi episodi. Questa compressione temporale informativa assicura un infoltimento evidente del pubblico e dell’indotto economico di cui si è già detto, ma è decisamente più vicina allo sciacallaggio che al giornalismo. Basterebbe dilazionare nel tempo la proposta di queste immagini, ampliare gli intervalli di proposta di quelle storie per non farle cadere nell’oblio e tenerle vive nella mente delle persone come monito etico e come perenne bagaglio informativo. Questa dovrebbe essere il vero ruolo della comunicazione da mettere in atto in tutti i mezzi in cui si declina.
Bibliografia
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