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Il salario minimo

Il salario minimo è il salario sufficiente secondo la Costituzione.

Una Repubblica democratica fondata sul lavoro (articolo 1 della Cost.), è fondata sul lavoro se dà a chi lavora anche un’adeguata retribuzione.

L’attività economica Non può svolgersi (…) in modo da recare danno alla dignità umana (articolo 41 della Cost.). La dignità è il diritto al rispetto. Ancora il rispetto della persona richiede che il suo lavoro sia retribuito adeguatamente.

L’articolo 36 della Cost. stabilisce che la retribuzione deve essere proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato e in ogni caso sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa.

Il contadino che con il lavoro manuale sa piantare e far crescere ogni specie di pianta, sa ricavare il formaggio dal latte o il vino dall’uva, o il calzolaio che con la materia e il lavoro manuale sa fare un paio di scarpe, compiono lavori di notevole qualità e che richiedono molto tempo.

Lavoro di notevole qualità è quello dell’insegnante che ogni giorno studia per rendere agevole la comprensione della lezione ai propri allievi ed allieve.

Lavoro di notevole qualità e che richiede tanto lavoro è quello di chi essendo amministratore di un Comune o al governo del Paese svolge la propria funzione non per il bene proprio o di questa o quella parte della città o del Paese ma per il bene comune.

Lavoro di notevole qualità e che richiede fatica è quello dell’operatore ecologico che pulisce bene la strada a cui è addetto.

Vorrei significare che la quantità e la qualità di un lavoro non dipende dal lavoro in sé, ma da come qualsiasi attività viene svolta, poiché se è svolta bene e quindi con qualità è faticosa ed è utile, mentre se è svolta senza dedicare ad essa il tempo dovuto è in generale priva di qualità ed è poco utile, se non risulti finanche dannosa a chi se ne dovrebbe avvalere.

Libera e dignitosa significa innanzi tutto libera dal bisogno e decorosa.

Nel rapporto di lavoro subordinato privato – ove non esiste un diritto soggettivo del lavoratore alla parità di trattamento – il principio costituzionale della proporzionalità della retribuzione va parametrato alla quantità (in numero di ore) del lavoro prestato e alla qualità (come valutata dalle parti collettive) della prestazione. In particolare, la circostanza che, nella stessa azienda, vi possano essere soggetti che, esplicando le medesime mansioni, siano retribuiti in misura diversa secondo le retribuzioni del contratto nazionale ovvero di uno specifico contratto aziendale non viola il principio di proporzionalità, non potendo essere affidata al giudice la valutazione della giustezza del corrispettivo, salva la violazione del diverso principio della sufficienza della retribuzione (06/8310) [Commentario Breve al Codice Civile, Edizione per prove concorsuali ed esami, 2019, a cura di G. Cian, articolo 2099, V. Il principio di parità di trattamento retributivo, punto 1, p.2837].

Il precetto dell’art. 36 Cost., il quale impone che la retribuzione sia proporzionata alla quantità e   qualità del lavoro prestato e sufficiente ad assicurare al lavoratore e alla sua famiglia un’esistenza libera e dignitosa, non è derogabile né dal contratto individuale né dal contratto collettivo nazionale o aziendale, e pertanto il giudice può procedere all’adeguamento anche della retribuzione corrisposta alla stregua della disciplina collettiva, sempreché dia adeguata motivazione del suo convincimento (89/513)”.

Ai fini del giudizio circa l’adeguatezza della retribuzione ai sensi dell’art. 36 Cost., il giudice di merito deve accertare la natura e l’entità qualitativa e quantitativa delle prestazioni lavorative del dipendente, nonché le effettive esigenze del medesimo e della sua famiglia per un’esistenza libera e dignitosa: a tale scopo, può fare riferimento, come espressione parametrica delle condizioni di mercato, al contratto collettivo di categoria, ove questo non sia direttamente applicabile, o ad altro contratto che concerna prestazioni lavorative affini o analoghe (16/26953)” [Commentario cit., articolo 2099, VI. La determinazione della giusta retribuzione ex art.36 Cost., punti 1, 2, pp.2837-2838].

L’articolo 4 della Cost. riconosce a tutti cittadini il diritto al lavoro e pone il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.

Non c’è chi non comprenda che un diritto o un dovere per essere tale deve essere tutelato nei confronti del titolare, e un aspetto di tale tutela è una giusta retribuzione secondo la legge.

L’articolo 3, secondo comma, Cost., stabilisce che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Se le condizioni retributive del lavoratore o della lavoratrice non consentono di dare alla famiglia una casa decorosa e una vita decorosa e ai figli l’opportunità di un’istruzione adeguata chiediamoci che senso ha la cittadinanza. La quale dal punto di vista formale è un complesso di norme che disciplina, ad es., l’acquisto o l’elezione della stessa, ma nella sostanza è la condizione che permette o no di sentirci parte della società civile e partecipi delle sue potenzialità. In un tempo nel quale l’economia ha un peso nella nostra vita, come mai era accaduto, per l’affermarsi del principio settecentesco dell’eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, occorre costruire il diritto alla cittadinanza più complicato, quello alla cittadinanza economica.

Diamo uno sguardo alla Direttiva (UE) 2022/2041, relativa a salari minimi adeguati nell’Unione, la cui attuazione da parte dei Paesi membri è prevista entro il 15 novembre 2024 (art. 17 – Recepimento e attuazione).

Il PARLAMENTO EUROPEO E IL CONSIGLIO DELL’UNIONE EUROPEA

Considerando quanto segue”:

(5)” La direttiva rimanda al pilastro europeo dei diritti sociali, proclamato a Goteborg il 17 novembre 2017 dal Parlamento europeo, dal Consiglio dell’Unione europea e dalla Commissione. Del quale (‘pilastro’), il principio 6. Retribuzioni, del Capo II, dichiara: “a. I lavoratori hanno diritto a una retribuzione equa che offra un tenore di vita dignitoso. b. Sono garantite retribuzioni minime adeguate, che soddisfino i bisogni del lavoratore e della sua famiglia in funzione delle condizioni economiche e sociali nazionali, (…) La povertà lavorativa va prevenuta”.

E il principio 1. Istruzione, formazione e apprendimento permanente, del Capo I, recita: “Ogni persona ha diritto a un’istruzione, a una formazione e a un apprendimento permanente di qualità e inclusivi, al fine di mantenere e acquisire competenze che consentono di partecipare pienamente alla società e di gestire con successo le transizioni nel mercato del lavoro”.

Sappiamo che I capaci e meritevoli, anche se privi dei mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi (art.34 Cost.), ma il principio 1. del Capo I citato parla di ogni persona che se pure non capace meritevole se appartenente a una famiglia che abbia un reddito adeguato potrà avvalersi di un’istruzione e formazione di qualità, mentre non potrà avvalersene, nelle stesse condizioni, se il reddito della propria famiglia non è adeguato. La possibilità dell’accesso ad un’istruzione di qualità per i figli del lavoratore o della lavoratrice è ragionevolmente elemento decisivo per stabilire quale debba essere il salario sufficiente secondo la Costituzione.

(7) Migliori condizioni di vita e di lavoro, anche attraverso salari minimi adeguati ed equi, apportano vantaggi ai lavoratori e alle imprese dell’Unione, come pure alla società e all’economia in generale, e sono un presupposto fondamentale per conseguire una crescita equa, inclusiva e sostenibile. (…)”.

(8) (…) I salari minimi che garantiscono un tenore di vita dignitoso, (…), possono contribuire (…) a sostenere la domanda interna e il potere d’acquisto, a rafforzare gli incentivi al lavoro, (…)”.

(10) Donne, lavoratori giovani, migranti, lavoratori poco qualificati, lavoratori con disabilità, hanno più probabilità di percepire salari bassi. Considerato l’elevato numero di “donne nei lavori a bassa retribuzione, il miglioramento dell’adeguatezza dei salari minimi contribuisce alla parità di genere, (…)”.

(19)” Le disposizioni dell’art.153 del TFUE prevedono che l’Unione per conseguire gli obiettivi della promozione dell’occupazione e del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di cui all’art.151 del TFUE sostenga e completi l’azione dei Paesi membri, ma non si applicano alle retribuzioni, al diritto di associazione, a quello di sciopero né a quello di serrata (5° paragrafo). Conformemente all’art.153, paragrafo 5, del TFUE la direttiva non mira ad armonizzare il livello dei salari minimi in Europa né ad istituire un meccanismo uniforme per la determinazione del salario minimo. Ogni Paese è libero di stabilire per legge un salario minimo o attraverso la contrattazione collettiva. La direttiva non stabilisce il livello delle retribuzioni che rientra nel diritto delle parti sociali per mezzo di accordi nazionali in tal senso e nella competenza dei Paesi membri.   

(25) Gli Stati membri caratterizzati da un’elevata copertura della contrattazione collettiva tendono ad avere una piccola percentuale di lavoratori a basso salario e salari minimi elevati. (…)”.

(28)” I salari minimi sono reputati adeguati se sono equi rispetto alla distribuzione salariale del Paese considerato e in quanto consentano un tenore di vita dignitoso al lavoratore con un rapporto di lavoro a tempo pieno. “(…) un paniere di beni e servizi a prezzi reali stabilito a livello nazionale può essere utile per determinare il costo della vita al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso. Oltre alle necessità materiali quali cibo, vestiario e alloggio, si potrebbe tenere conto anche della necessità di partecipare ad attività culturali, educative e sociali. È opportuno considerare la fissazione e l’aggiornamento dei salari minimi legali separatamente dai meccanismi di sostegno al reddito. (…)”.

(34)” I lavoratori dovrebbero aver facile accesso con i mezzi informatici alle informazioni sui salari minimi e sulla tutela assicurata dal salario minimo prevista dai contratti collettivi al fine della trasparenza delle condizioni di lavoro, e in particolare i lavoratori con disabilità, secondo la direttiva 2016/2102, art.1.

(37) (…) Poiché gli obiettivi della presente direttiva non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della loro portata e dei loro effetti, possono essere conseguiti meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’art. 5 del TUE”. Secondo tale principio nei settori che non sono di esclusiva competenza dell’Unione, questa interviene nella misura necessaria al conseguimento degli obiettivi, ossia nel rispetto del principio di proporzionalità (articolo 5, paragrafi 1, 3, 4, TUE).

HANNO ADOTTATO LA PRESENTE DIRETTIVA:

CAPO I DISPOSIZIONI GENERALI

Nell’art.1 – Oggetto e ambito di applicazione – la direttiva dichiara:

“1. Al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto e alla riduzione delle disuguaglianze retributive, la presente direttiva istituisce un quadro per:

  1. a) l’adeguatezza dei salari minimi legali al fine di conseguire condizioni di vita e di lavoro dignitose;
  2. b) la promozione della contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari;
  3. c) il miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo ove previsto dal diritto nazionale e/o da contratti collettivi”.

Agli atti con cui i Paesi membri danno attuazione alle “misure relative ai salari minimi dei marittimi stabilite periodicamente dalla commissione paritaria marittima o da altro organismo autorizzato (…)” non si applicano le disposizioni del II Capo della presente direttiva. Tali atti “lasciano impregiudicato il diritto di contrattazione collettiva e la possibilità di adottare livelli salariali minimi più elevati” (5°paragrafo).

L’art. 3 – Definizioni – recita: “Ai fini della presente direttiva” si intende per:

1) ‘salario minimo’: la retribuzione minima stabilita per legge o da contratti collettivi che un datore di lavoro, anche nel settore pubblico, è tenuto a pagare ai lavoratori per il lavoro svolto durante un dato periodo;

2) ‘salario minimo legale’: un salario minimo stabilito dalla legge o da altre disposizioni giuridiche vincolanti, ad esclusione dei salari minimi determinati da contratti collettivi che sono stati dichiarati universalmente applicabili senza alcun margine discrezionale quanto al contenuto delle disposizioni applicabili da parte dell’autorità dichiarante.

5) ‘copertura della contrattazione collettiva’: la percentuale di lavoratori a livello nazionale cui si applica un contratto collettivo, calcolata come rapporto tra il numero di lavoratori coperti da contratti collettivi e il numero di lavoratori le cui condizioni di lavoro possono essere disciplinate da contratti collettivi conformemente al diritto e alle prassi nazionali”.

L’art.4 – Promozione della contrattazione collettiva nella determinazione dei salari – al 1° paragrafo, recita: “(…) gli Stati membri, con la partecipazione delle parti sociali e conformemente al diritto e alle prassi nazionali: d) al fine di promuovere la contrattazione collettiva sulla determinazione dei salari, adottano misure, se del caso, per proteggere i sindacati e le organizzazioni dei datori di lavoro che partecipano o intendono partecipare alla contrattazione collettiva da qualsiasi atto di interferenza reciproca (…)”.

Il Paese membro, se il tasso di copertura della contrattazione collettiva è inferiore alla soglia dell’80%, “prevede un quadro di condizioni favorevoli alla contrattazione collettiva, per legge a seguito della consultazione delle parti sociali” o attraverso un accordo con le medesime. Il Paese membro definisce un piano d’azione che promuova la contrattazione collettiva, dopo avere consultato le parti sociali od un accordo con le medesime o, quando vi sia stata una richiesta congiunta delle parti sociali, come da queste concordato. Il piano è reso pubblico e notificato alla Commissione europea (2° paragrafo).

CAPO II SALARI MINIMI LEGALI

Secondo l’art.5 – Procedura per la determinazione di salari minimi legali adeguati – I Paesi membri in cui sono contemplati salari minimi legali istituiscono procedure per la loro determinazione ed aggiornamento; determinazione e aggiornamento che “sono basati su criteri stabiliti per contribuire alla loro adeguatezza, al fine di conseguire un tenore di vita dignitoso, ridurre la povertà lavorativa, promuovere la coesione sociale e una convergenza sociale verso l’alto e ridurre il divario retributivo di genere. (…)” I Paesi membri “possono decidere il peso relativo di tali criteri, (…), tenendo conto delle rispettive condizioni socioeconomiche nazionali” (paragrafo1). I criteri di cui al 1° paragrafo comprendono almeno i seguenti elementi: “a) il potere d’acquisto dei salari minimi legali, tenuto conto del costo della vita; b) il livello generale dei salari e la loro distribuzione; c) il tasso di crescita dei salari; d) i livelli e l’andamento nazionali a lungo termine della produttività” (2° paragrafo).

Ogni Paese membro istituisce organi consultivi “per fornire consulenza alle autorità competenti sulle questioni relative ai salari minimi legali” (6° paragrafo).

Ai sensi dell’art. 6 – Variazioni e trattenute – gli Stati membri che autorizzino salari minimi diversi per specifici gruppi di lavoratori o trattenute che riducono la retribuzione a un livello inferiore a quello del salario minimo legale previsto, provvedono a che tali variazioni e trattenute rispettino il principio di non discriminazione e quello di proporzionalità, “il quale comprende il perseguimento di un obiettivo legittimo” (1°paragrafo).

All’art. 7 – Coinvolgimento delle parti sociali nella determinazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali – la direttiva stabilisce che i Paesi membri “adottano le misure necessarie a coinvolgere la parti sociali nella determinazione e nell’aggiornamento dei salari minimi legali (…)”, anche mediante la loro partecipazione negli organi consultivi di cui al 6° paragrafo dell’articolo 5. Coinvolgimento che riguarda ad es. “la selezione e l’applicazione dei criteri” di cui all’art.5 “per la determinazione del livello del salario minimo legale (…)” (paragrafo 1, lettera a).

L’art. 8 – Accesso effettivo dei lavoratori ai salari minimi legali – prevede che gli Stati membri, con la partecipazione delle parti sociali, effettuino, per mezzo degli ispettori del lavoro o degli organismi responsabili dell’applicazione delle disposizioni sui salari minimi legali, controlli ed ispezioni (1°paragrafo, lettera a).

CAPO III DISPOZIONI ORIZZONTALI

Ai sensi dell’art. 9 – Appalti pubblici – gli Stati membri pongono in essere misure volte a garantire che le imprese e quelle che per esse operano in subappalto, “nell’aggiudicazione e nell’esecuzione di appalti pubblici o contratti di concessione”, si uniformino agli obblighi riguardanti i salari, posti dal diritto dell’Unione, da quello nazionale, dai contratti collettivi e dalle norme internazionali in materia di lavoro.  

All’art. 10 – Monitoraggio e raccolta dei dati – la direttiva prevede che i Paesi membri raccolgano dati al fine di “monitorare la tutela garantita dal salario minimo” (1°paragrafo). I Paesi membri comunicano alla Commissione europea ogni due anni i seguenti dati e informazioni: “a) il tasso e lo sviluppo della copertura della contrattazione collettiva; b) per i salari minimi legali: ì) il livello del salario minimo legale e la percentuale di lavoratori coperti da tale salario minimo legale; ìì) una descrizione delle variazioni e delle trattenute esistenti e dei motivi della loro introduzione, nonché la percentuale di lavoratori interessati da tali variazioni, (…); c) per la tutela garantita dal salario minimo prevista esclusivamente dai contratti collettivi: ì) le retribuzioni più basse previste dai contratti collettivi che coprono i lavoratori a basso salario o una loro stima, se le autorità nazionali competenti non dispongono di dati accurati, e la percentuale di lavoratori da esse coperta, o una loro stima” in mancanza di dati accurati; ìì) il livello dei salari versati ai lavoratori non coperti dai contratti collettivi e il suo rapporto con il livello dei salari versati ai lavoratori coperti dai contratti collettivi.” (2° paragrafo). La Commissione europea analizza i dati e le informazioni di cui al paragrafo 2 e il piano d’azione di ciascun Paese di cui al 2° paragrafo dell’art. 4, riferisce al riguardo ogni due anni al Parlamento europeo e al Consiglio dell’Unione europea e pubblica i dati e le informazioni trasmessi dai Paesi membri (3°paragrafo).

L’art.11 – Informazioni sulla tutela garantita dal salario minimo – stabilisce che gli Stati membri provvedano a rendere le informazioni sui salari minimi legali e quelle attinenti alla tutela garantita dal salario minimo prevista dai contratti collettivi universalmente applicabili facilmente e completamente accessibili, anche ai lavoratori e alle lavoratrici con disabilità.

Secondo l’art. 12 – Diritto di ricorso e protezione da trattamento e conseguenze sfavorevoli – gli Stati membri provvedono affinché ai lavoratori, inclusi quelli il cui rapporto di lavoro è terminato, venga garantito il diritto di ricorso nel caso di violazione del diritto al salario minimo legale e alla tutela garantita dal salario minimo, ove tali diritti siano preveduti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi (1°paragrafo). I Paesi membri pongono in essere le misure volte a proteggere i lavoratori e i loro rappresentanti “da qualsiasi trattamento sfavorevole da parte del datore di lavoro” o “da qualsiasi conseguenza sfavorevole” che derivi da un reclamo diretto al datore di lavoro o da una procedura finalizzata al rispetto della tutela garantita dal salario minimo ove tale tutela sia prevista dal diritto nazionale o dai contratti collettivi (2° paragrafo).

Ai sensi dell’art.13 – Sanzioni – i Paesi membri prevedono sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive”, nelle ipotesi di “violazione dei diritti e degli obblighi” che derivano dall’attuazione della direttiva, “nella misura in cui tali diritti ed obblighi siano previsti dal diritto nazionale o dai contratti collettivi”. Nei Paesi in cui non sono previsti salari minimi legali (come è ad es. tuttora in Italia) le norme sanzionatorie “possono contenere o limitarsi a un riferimento alla compensazione e/o alle penalità contrattuali” stabilite dalle disposizioni sull’applicazione dei contratti collettivi.

CAPO IV DISPOSIZIONI FINALI

L’art. 16 – Non regresso e disposizioni più favorevoli – stabilisce che la direttiva non rappresenta un motivo “per ridurre il livello generale di protezione” che uno Stato membro già offra ai lavoratori.

La direttiva non pregiudica la prerogativa di ogni Stato membro di “promuovere o consentire” una contrattazione collettiva più favorevole ai lavoratori, e “non deve essere interpretata in modo da impedire a uno Stato membro di aumentare i salari minimi legali”.

Fatto a Strasburgo, il 19 ottobre 2022”.

Al fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro nell’Unione, in particolare l’adeguatezza dei salari minimi per i lavoratori al fine di contribuire alla convergenza sociale verso l’alto ed alla riduzione delle disuguaglianze retributive,” (Direttiva 2041/2022, art.1 paragrafo 1), servono risorse ovvero scelte.

La Repubblica richiede l’adempimento dei doveri inderogabili (articolo 2, Cost.), tra cui il dovere di concorrere alle spese pubbliche in ragione della capacità contributiva (art.53, Cost.).

Consideriamo di quanto potrebbero aumentare le retribuzioni e le pensioni di ogni lavoratore e di ogni lavoratrice se la fedeltà fiscale si realizzasse.

Si ipotizzi di restituire ai consumatori il 70% del costo della pubblicità.

Il consumatore ottiene una detrazione sul prezzo pari al 70%, calcolato sulla parte del prezzo del prodotto riferibile al costo della pubblicità del prodotto acquistato. Calcolare quanto del prezzo del prodotto è riferibile alla pubblicità del medesimo richiede di calcolare quanto un produttore spende in pubblicità per ogni unità di prodotto immesso sul mercato.

Si fa un esempio numerico, assumendosi che il costo della pubblicità sia uguale al 5% del prezzo di mercato del prodotto. Per cui si ha:

3,5 centesimi sono il 70% di 5 centesimi, assunti questi come spesa per la pubblicità di un prodotto che ha il prezzo di 1 euro.

Tizia spende in 12 mesi 3.000,00 euro.

Moltiplicando euro 3.000,00 x 0,035 euro, si ottengono euro 105,00 (che sono il 70% del costo della pubblicità che Tizia risparmia perché tale costo le viene detratto dalla spesa di 3.000,00 euro).

105,00 euro corrispondono pressoché al 70% della spesa pubblicitaria pro capite (questa è la spesa che in un anno le marche sostengono per raggiungere ogni consumatore).

Con l’aumento dei redditi di tutte le famiglie aumenterebbe il volume degli scambi, diminuirebbe il numero delle famiglie disagiate e si amplierebbe l’ambito del ceto medio.

Ne deriverebbe una maggiore partecipazione democratica, fortemente indebolita da un progressivo rifiuto del voto ad ogni livello di governo.

Ma le risorse o complicate scelte indicate hanno una condizione complicata: il primato del diritto e dunque della politica.

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