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circolare

(di Valerio Micheli)

La circolare n. 142 dell’INPS del 29 luglio 2015 fornisce chiarimenti sulla NASpI, la Nuova prestazione di Assicurazione Sociale per l’Impiego e segue l’altra circolare sul tema, la n. 94 del maggio scorso.

Risulta interessante il punto 3., nel quale si tratta il licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione e il licenziamento disciplinare. In particolare, in merito al licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione (di cui all’art. 6 del D. Lgs. 23 del 2015) si conferma che tale accettazione – con rinuncia all’impugnazione al licenziamento – non è ostativa al riconoscimento dell’indennità NASpI. Tale fattispecie di risoluzione del rapporto di lavoro rimane inquadrata come licenziamento e, pertanto, la disoccupazione nella quale “cadrà” il lavoratore è quella volontaria conseguente ad atto unilaterale di licenziamento del datore di lavoro. La NASpI, inoltre, può essere riconosciuta anche ai lavoratori licenziati per motivi disciplinari: la disoccupazione a seguito di tale licenziamento, infatti, non è considerabile come volontaria.

Il punto 9. della circolare si concentra sul tema di una nuova attività lavorativa in corso di prestazione. Durante il godimento della NASpI, il beneficiario potrà intraprendere attività di lavoro accessorio, ossia prestazioni lavorative che non danno luogo a compensi superiori ai 7.000 euro (con riferimento alla totalità dei committenti) nel corso di un anno civile. Secondo il comma 2 dell’art. 48 del d. lgs. 81/2015, i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito possono rendere prestazioni di lavoro accessorio nel limite complessivo di 3.000 euro di compenso per anno civile. L’INPS provvede a sottrarre dalla contribuzione figurativa relativa alle prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito gli accrediti contributivi derivanti dalle prestazioni di lavoro accessorio. L’indennità NASpI è interamente cumulabile con i compensi derivanti dallo svolgimento di lavoro accessorio nel limite complessivo di 3.000 per anno civile. Per i compensi che superano detto limite e fino a 7.000 euro per anno civile la prestazione NASpI sarà ridotta di un importo pari all’80 per cento del compenso rapportato al periodo intercorrente tra la data di inizio dell’attività e la data in cui termina il periodo di godimento dell’indennità o, se antecedente, la fine dell’anno. La comunicazione del compenso da tale attività dovrà essere fatta dal beneficiario all’INPS.

La circolare tocca altri interessanti punti, di seguito si riporta il sommario della stessa:

  1. Premessa
  2. Effetti sull’indennità NASpI in caso di rifiuto alle proposte di lavoro o di trasferimento del lavoratore.
  3. Licenziamento con accettazione dell’offerta di conciliazione di cui all’art. 6 del D.Lgs. n. 23 del 2015 e licenziamento disciplinare.
  4. Requisito contributivo: almeno tredici settimane di contribuzione contro la disoccupazione nei quattro anni precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione.

4.1. Meccanismo di neutralizzazione.

4.2. Neutralizzazione aspettativa sindacale ex art. 31 della Legge n. 300 del 1970.

4.3. Neutralizzazione dei periodi di CIG in deroga.

4.4. Neutralizzazione dei periodi di lavoro all’estero in Paesi non convenzionati.

  1. Requisito lavorativo: trenta giornate di lavoro effettivo, a prescindere dal minimale contributivo, nei dodici mesi che precedono l’inizio del periodo di disoccupazione.

5.1. Perfezionamento del requisito delle 30 giornate di effettivo lavoro per i lavoratori addetti ai servizi domestici e familiari.

5.2. Eventi che consentono neutralizzazione ai fini della ricerca delle trenta giornate di lavoro “effettivo”.

5.2.a. Aspettativa sindacale ex art. 31 della legge n. 300 del 1970 e Cig in deroga.

5.2.b. Malattia integrata dal datore di lavoro.

  1. Durata. Procedimento di calcolo. Ulteriori precisazioni.
  2. Domanda di indennità di mobilità o di indennità di disoccupazione NASpI.
  3. Servizio Civile Nazionale e indennità di disoccupazione NASpI.

8.1 Premessa ed evoluzione del quadro normativo.

8.2 Disciplina dei rapporti fra indennità di disoccupazione NASpI e Servizio Civile nazionale.

  1. Nuova attività lavorativa in corso di prestazione.

9.1.Effetti del lavoro occasionale accessorio sull’indennità NASpI.

9.2 Effetti del lavoro intermittente sull’indennità NASpI.

9.3 Effetti del lavoro all’estero sull’indennità NASpI.

  1. Espletamento di cariche pubbliche elettive e non elettive in corso di prestazione.
  2. Precisazioni alla circolare INPS n. 180 del 2014.

(di Valerio Micheli)

Il decreto competitività (decreto legge del 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014 n. 116) attribuisce ai soggetti titolari di reddito d’impresa un credito di imposta per investimenti in beni strumentali nuovi e destinati a strutture produttive ubicate nel territorio dello Stato, effettuati dal 25 giugno 2014 al 30 giugno 2015. Il credito di imposta, riconosciuto per investimenti (progetti di investimento) di importo unitario di almeno 10.000 euro, è pari al 15% delle spese sostenute in eccedenza rispetto alla media degli investimenti in beni strumentali compresi nella divisione 28 della tabella ATECO 2007 realizzati nei cinque periodi d’imposta precedenti[1].

La circolare 5/E dell’Agenzia delle Entrate del 19 febbraio 2015 fornisce precisazioni in merito alla misura agevolativa, ai soggetti beneficiari, agli investimenti agevolabili, all’efficacia temporale dell’agevolazione, alla sua determinazione e all’utilizzo e alla rilevanza del credito di imposta.

Rimandando per approfondimenti al testo della circolare, si riportano di seguito i tratti essenziali e gli elementi più rilevanti sul tema.

L’agevolazione è applicabile ai soggetti titolari di reddito d’impresa – senza distinzioni “di sorta” – purché effettuino investimenti destinati a strutture produttive ubicate in Italia. Sono ammesse all’agevolazione sia le imprese residenti che le stabili organizzazioni nel territorio dello Stato di soggetti non residenti. Beneficiari potranno essere anche enti non commerciali con riferimento all’attività commerciale eventualmente esercitata e imprese costituitesi successivamente alla data di entrata in vigore del c.d. decreto competitività (25 giugno 2014).

La circolare esamina poi gli investimenti agevolabili, che dovranno essere investimenti in beni strumentali nuovi compresi nella divisione 28 della tabella ATECO 2007, denominata “Fabbricazione di macchinari ed apparecchiature N.C.A. [non classificabili altrimenti]”, rientrante nella sezione “C” denominata “Attività manifatturiere”.

I beni oggetto dell’investimento – e quindi agevolabili – devono avere il requisito della “strumentalità” rispetto all’attività esercitata dall’impresa che beneficia del credito d’imposta (cfr. 2.2. Requisiti dei beni agevolabili), quindi essere di uso durevole e atti ad utilizzo come strumenti di produzione nel processo produttivo dell’azienda. Tutto ciò esclude, tra gli altri, beni-merce o materiali di consumo (anche se rientranti nella divisione 28). Si ricorda inoltre che i beni devono essere nuovi, quindi non sono agevolabili beni già utilizzati a qualunque titolo.

L’investimento – rectius il progetto d’investimento – deve essere almeno di 10.000 euro e l’agevolazione spetta sia per beni acquistati da terzi, sia per la realizzazione in economia o mediante contratto di appalto[2]. Sono agevolabili anche beni acquisiti mediante locazione finanziaria che presenti l’opzione di acquisto finale del bene a favore dell’utilizzatore.

Il paragrafo 4 della circolare tratta la “Determinazione dell’agevolazione”, esplicando la determinazione del credito spettante, la fattispecie di imprese di recente o nuova costituzione che abbiano quindi un’attività di impresa inferiore ai cinque anni o costituite successivamente all’entrata in vigore del decreto legge.

In merito all’utilizzo del credito di imposta, il decreto-legge (al comma 4 dell’articolo 18) dispone che esso “va ripartito nonché utilizzato in tre quote annuali di pari importo” ed è utilizzabile “esclusivamente in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n, 214”. L’utilizzo di tale credito è ammissibile a partire “dal 1° gennaio del secondo periodo di imposta successivo a quello in cui è stato effettuato l’investimento”.

La circolare fornisce poi – al paragrafo 6 – nove esempi di calcolo utili per comprendere l’entità del credito e le sue modalità di utilizzo.

L’agevolazione è – come scritto nell’ultima sezione della circolare, la numero 8 – revocabile se si verificano alcuni presupposti: il credito d’imposta, ad esempio, è revocabile “se l’imprenditore cede a terzi o destina i beni oggetto degli investimenti a finalità estranee all’esercizio di impresa prima del secondo periodo di imposta successivo all’acquisto”. Per beneficiare dell’agevolazione, pertanto, è necessario che i beni siano mantenuti nel processo produttivo aziendale almeno fino alla fine del periodo di imposta successivo a quello dell’acquisto ; ciò per evitare lo smobilizzo dei beni oggetto dell’investimento agevolato che possa nascondere comportamenti elusivi.

Altra fattispecie che comporta la revoca del beneficio è il trasferimento – secondo un termine ben preciso[3] – in strutture produttive situate al di fuori dello Stato, anche se appartenenti al beneficiario dell’agevolazione.

La circolare si chiude trattando dei crediti di imposta indebitamente utilizzati, del loro versamento e del recupero degli importi indebitamente versati accertati a seguito di controlli.

Note

[1] Il beneficiario ha facoltà di escludere dal calcolo della media il periodo in cui l’investimento è stato maggiore.

[2] Cfr. 2.3 Modalità di realizzazione degli investimenti

[3] Articolo 43, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 [entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui è stato effettuato l’investimento agevolato]

(di Valerio Micheli)

La circolare INPS 171 del 18 dicembre 2014 ha come oggetto la riforma dell’ISEE, l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente. Tale riforma è stata apportata dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 5 dicembre 2013, n. 159.

L’articolo 5 del decreto legge 201/2011, convertito con modificazioni dalla l. 214/2011 prevede una revisione delle modalità di determinazione e dei campi di applicazione dell’ISEE. La nuova disciplina in materia di ISEE è stata introdotta dal sopracitato D.P.C.M.; il decreto di approvazione interministeriale del nuovo modello di dichiarazione sostitutiva unica, delle relative istruzioni e dell’attestazione è datato 7 novembre 2014 e le nuove norme entreranno in vigore dal 1 gennaio 2015. La circolare 171 dell’INPS illustra i principi normativi e fornisce alcune indicazioni operative per l’applicazione della nuova normativa ISEE.

Tra i principi che hanno guidato la revisione delle modalità di determinazione e dei campi di applicazione dell’ISEE si annoverano: l’adozione di una nozione di reddito disponibile finalizzata all’inclusione di somme anche fiscalmente esenti; il miglioramento della capacità selettiva dell’ISEE mediante una maggiore valorizzazione della componente patrimoniale; specifica attenzione a tipologie familiari con tre o più figli o con persone con disabilità; la differenziazione dell’indicatore in riferimento al tipo di prestazione richiesta e altre.

L’ISEE rimane lo strumento per valutare l’accesso a prestazione sociali agevolate, prestazioni cioè non destinate alla totalità dei soggetti, bensì limitate a chi sia in possesso di determinati e particolari requisiti di natura economica, ovvero prestazioni sociali non limitate al possesso di questi requisiti, ma collegate nella misura o nel costo a specifiche situazioni economiche.

L’ISEE è livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera m, della Costituzione; per gli enti erogatori è possibile introdurre ulteriori criteri di selezione per identificare i beneficiari delle prestazioni suddette.

Una delle modifiche principali apportate riguarda la pluralità di ISEE che vengono introdotti dalla riforma. Oltre all’ISEE standard o ordinario, sono previsti anche:

– ISEE Università, per l’accesso alle prestazioni per il diritto allo studio universitario;

– ISEE Sociosanitario: per l’accesso alle prestazioni sociosanitarie come l’assistenza domiciliare per persone con disabilità;

– ISEE Sociosanitario-Residenze;

– ISEE Minorenni con genitori non coniugati tra loro e non conviventi;

– ISEE Corrente.

La circolare si articola in un totale di 16 punti ed esamina dettagliatamente gli articoli e i rilevanti nuovi aspetti apportati dalla riforma dell’ISEE.

Lasciando al lettore l’approfondimento sulle singole sezioni della circolare, approfondiamo nell’articolo il punto 12. I controlli (art. 11): il sistema di controlli di cui Agenzia delle Entrate, INPS, enti erogatori e Guardia di Finanza dispongono è stato rafforzato dal Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.

L’Agenzia delle Entrate effettua controlli automatici sui dati autodichiarati, potendo rilevare omissioni e difformità con i dati del sistema informativo dell’anagrafe tributaria. Qualora l’Agenzia non possieda informazioni utili sui dati, l’INPS stabilisce procedure per il controllo automatico tramite collegamenti con gli archivi delle amministrazioni pubbliche che, invece, ne dispongono. Ulteriori e diversi controlli possono essere messi in atto dagli enti erogatori, i quali si avvalgono di archivi in proprio possesso.

(di Valerio Micheli)

Con la circolare 29/E del 26 settembre 2014, l’Agenzia delle Entrate fornisce chiarimenti in merito alla deduzione delle spese di emissione di cambiali finanziarie, obbligazioni e titoli similari che rientrano nell’ambito di applicazione del d. lgs. 239/1996 e che vengono interessati anche dal disposto dell’art. 32 del D.L. 83/2012 (Decreto Crescita).

Tale articolo modifica il regime civilistico e fiscale degli interessi degli strumenti finanziari che possono emettere le PMI per “esplorare” vie alternative agli ordinari finanziamenti bancari o dei soci (si pensi ai mini-bond).

Il Decreto Crescita ha esteso l’applicabilità del d. lgs. 239/1996 agli interessi e altri proventi dei titoli obbligazionari, dei titoli similari e delle cambiali finanziarie emessi da società con azioni non negoziate, se negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione degli Stati membri dell’UE e di quelli aderenti all’accordo sullo Spazio Economico Europeo.

Si noti che a favore degli emittenti di tali strumenti finanziari (per approfondimenti si veda la circolare allegata) è consentita la deducibilità degli interessi passivi sostenuti, senza dover tenere conto delle limitazioni imposte dalla legge 549/1995 che vincola la deducibilità su parametri di rendimento del prestito obbligazionario. Gli interessi passivi risulteranno quindi deducibili applicando le regole generali ex art. 96 TUIR.

(di Debora Mirarchi)

Con il numero di marzo della Rivista[1] è stato approfondito l’ambito di applicazione e i risvolti del nuovo diritto alla rivalsa dell’IVA accertata, previsto dal novellato art. 60, comma 7, del D.P.R. n. 633/72, anche alla luce dei chiarimenti forniti dall’Agenzia delle Entrate con la circolare del 17 dicembre 2013, n. 35/E.

Giova ribadire che il vigente art. 60 del D.P.R. n. 633/72, profondamente modificato dall’art. 93 del D.L. 24 gennaio 2012 n. 1 (c.d. Decreto liberalizzazioni), afferma il diritto del cedente/prestatore di rivalersi, nei confronti del cessionario/committente, dell’imposta dovuta sulla base di avvisi di accertamento o di rettifica.

In buona sostanza, la norma citata consente al cedente/prestatore, destinatario di un avviso di accertamento in materia IVA, con cui sia stata contestata, ad esempio, l’errata applicazione dell’aliquota IVA o la non rilevanza ai fini IVA dell’operazione sottesa, di addebitare al cliente la maggiore imposta accertata.

A chiarire l’efficacia temporale della norma de qua ci ha pensato l’Agenzia delle Entrate, che con la circolare n. 35/E del 2013, ha affermato che “l’articolo 60, settimo comma, del DPR 26 ottobre 1972, n. 633, così come modificato dall’articolo 93 del decreto legge 24 gennaio 2012, n. 1, si applica agli accertamenti divenuti definitivi successivamente alla sua entrata in vigore (24 gennaio 2012)”.

La data del 24 gennaio 2012 funge, secondo l’Agenzia delle Entrate, da spartiacque ai fini dell’applicabilità della novella: la nuova disciplina trova, infatti, applicazione soltanto per tutti gli atti impositivi divenuti definitivi dopo tale data.

A pochi mesi dall’emissione della citata circolare, la Commissione tributaria regionale di Bolzano con la sentenza n. 40/1/2014 smentisce la posizione sostenuta dalla Agenzia delle Entrate, affermando l’opposto principio in base al quale il diritto alla rivalsa dell’IVA o della maggiore IVA accertata deve trovare applicazione anche in ipotesi in cui l’eventuale atto impositivo sia divenuto definitivo prima del 24 gennaio 2012.

La questione sottoposta al giudizio dei giudici aveva ad oggetto un avviso di accertamento relativo al periodo di imposta 2007, con cui era stata contestata l’errata applicazione dell’aliquota IVA (10% anziché 20%). L’atto impositivo era, però, divenuto definitivo, per effetto dell’acquiescenza prestata dal contribuente, prima del 24 gennaio 2012.

Quest’ultimo aveva, dunque, addebitato l’IVA nei confronti del suo cliente e emesso la relativa nota di variazione. L’Ufficio, nel frattempo, aveva iscritto a ruolo i maggiori importi IVA definiti dal contribuente e da questo versati al Fisco.

Il contribuente aveva poi impugnato il predetto ruolo emesso dall’Ufficio.

L’Ufficio resisteva in giudizio opponendosi all’esercizio del diritto di rivalsa nel caso oggetto di giudizio perché l’atto impositivo era diventato definitivo prima della data fatidica del 24 gennaio 2012.

La controversia giunge sino al secondo grado innanzi ai giudici della Commissione tributaria regionale di Bolzano che, ponendosi in netta antitesi con l’interpretazione fornita dall’Agenzia delle Entrate, ha affermato che il diritto di rivalersi della maggiore Iva accertata deve ritenersi applicabile in via retroattiva anche in ipotesi in cui la definitività dell’atto sia da collocarsi temporalmente prima del 24 gennaio 2012.

La motivazione posta a fondamento del decisum risiede, secondo i giudici, nella naturale retroattività insita nella norma dovuta al principio del favor rei.

I giudici, dopo aver ricordato che la novella normativa è stata dettata dalla necessità di chiudere la procedura di infrazione n. 2011/4081, instaurata dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia, hanno ritenuto che il principio del favor rei, fosse applicabile anche alle ipotesi disciplinate dall’articolo in parola e dovesse ritenersi prevalente tanto da giustificare l’applicabilità della norma in via retroattiva.

Secondo i giudici della Commissione, quindi, non è il principio di neutralità dell’Iva a legittimare l’applicazione retroattiva ma un altro e ben diverso (per presupposti ed effetti) principio del favor rei.

Pur non potendosi considerare risolutiva sul punto è indubbio che alla citata sentenza deve riconoscersi il coraggio di aver affermato il diritto di rivalsa anche a discapito dell’esigenza, da sempre anteposta ad opposti interessi, di garantire in termini di certezza i rapporti giuridici sorti.

[1] Sul punto D. Mirarchi, La rivalsa dell’IVA accertata, in in Economia e Diritto, Novembre 2013. in Economia e Diritto, Novembre 2013.EconomiaeDiritto, Marzo 2014

(di Marco Cardillo)

Il legislatore ha ritenuto opportuno riaprire i termini per rivalutare i beni dell’impresa e partecipazioni mediante l’approvazione della Legge 147/2013.

Tutti i soggetti d’imposta individuati dall’art. 73 comma 1, lettera a) e b) hanno la facoltà di ricorrere alla rivalutazione predetta, a meno che che non redigano il bilancio secondo i principi contabili internazionali (IAS, IFRS).

Affinché la rivalutazione abbia effetto, il contribuente deve procedere al pagamento dell’imposta sostitutiva. Quest’ultima sostituisce sia le imposte sui redditi sia l’Irap e le eventuali addizionali, l’ammontare della stessa varia dal 16%, per i beni ammortizzabili, al 12% per quelli non ammortizzabili. Gli effetti fiscali si avranno dal 2016 per i primi, mentre dal 2017 per le plusvalenze derivanti da cessioni.

L’imposta sostitutiva può essere pagata in tre rate annuali oppure in un’unica soluzione, ed è importante sottolineare che, in qualsiasi caso, non sono previsti interessi in caso si optasse per la rateazione dell’importo dovuto.

Per procedere alla rivalutazione si può ricorrere a:

– perizie redatte da esperti indipendenti;

– perizie interne.

Alcuni contribuenti hanno ripetutamente sollevato dubbi e questioni sul fatto che si potesse procedere a rivalutare solo civilisticamente i beni dell’impresa: di conseguenza, l’Agenzia dell’Entrate con la recentissima Circolare 10/E del 14/05/2014 ha chiarito che non è possibile procedere ad una rivalutazione solo civilistica, poiché quest’ultima assume obbligatoriamente anche valenza fiscale, e si perfeziona con il pagamento dell’imposta sostitutiva.

Quindi nel caso in cui un contribuente decidesse di rivalutare solo civilisticamente i beni delle imprese, ossia senza riconoscere fiscalmente il maggior valore iscritto in bilancio, quindi senza procedere al versamento dell’imposta sostitutiva, incorrerebbe nel rischio di vedersi accertata (soggetta a controllo fiscale), da parte dell’Amministrazione Finanziaria, l’imposta sostitutiva non versata ed all’irrogazione della sanzione del 30% per omesso versamento.

(di Valerio Micheli)

È del 28 aprile la circolare dell’Agenzia delle Entrate con oggetto l’art. 1 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66 – Riduzione del cuneo fiscale per lavoratori dipendenti e assimilati, articolo che istituisce gli ormai noti 80 euro in più in busta paga promessi dal Governo Renzi per chi percepisce un determinato reddito annuo.

La finalità dell’intervento è quella di ridurre la pressione fiscale e contributiva sul lavoro nell’immediato e, strutturalmente, il cuneo fiscale. L’articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2014, n.66 riconosce un credito ai titolari di reddito di lavoro dipendente (e taluni redditi assimilati a quello di lavoro dipendente), la cui imposta lorda sia di ammontare superiore alle detrazioni da lavoro ad essi spettanti.

Il credito riconosciuto è di 640 euro per chi non supera i 24.000 euro di reddito e decresce fino ad azzerarsi al raggiungimento di un reddito di 26.000 euro (da considerarsi al netto del reddito dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze). Il credito è rapportato al periodo di lavoro nell’anno[1] e in relazione alla durata del rapporto di lavoro, considerando il numero di giorni lavorati nell’anno.

I presupposti per beneficiare del credito introdotti dall’art. 1-bis dell’art. 13 del TUIR (introdotto dal sopracitato decreto) sono tre e sono legati alla tipologia di reddito prodotto, al fatto che sussista un’imposta a debito (post detrazioni per lavoro) e all’importo del reddito complessivo.

Tra i beneficiari si annoverano i contribuenti il cui reddito complessivo è formato da redditi da lavoro dipendente[2]; da redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente[3] quali ad esempio compensi percepiti dai lavoratori soci di cooperative, compensi per lavori socialmente utili, le prestazioni pensionistiche (di cui al d.lgs. n. 124 del 1993) e altri.

Il contribuente dovrà avere un’imposta lorda di ammontare superiore alle detrazioni da lavoro loro spettanti ex art. 13, comma 1 del TUIR[4].

Il contribuente, infine, dovrà essere titolare di un reddito complessivo per l’anno di imposta 2014 pari o inferiore ai 26.000 euro.

Quanto premesso esclude dal credito i contribuenti il cui reddito non è formato da quelli specificati dal comma 1-bis, quelli che non hanno un’imposta lorda superiore alle detrazioni sopra citate e chi – pur avendo un’imposta capiente – è titolare di un reddito maggiore ai 26.000 euro.

Il credito eventualmente spettante viene riconosciuto dai sostituti di imposta “in via automatica” e “ripartendolo fra le retribuzioni erogate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto, a partire dal primo periodo di paga utile”. La circolare ricorda chi sono i sostituti di imposta tenuti ad applicare la ritenuta a titolo d’acconto, tra i quali si annoverano gli enti e le società indicati nell’art. 73, comma 1, del TUIR; le società e le associazioni indicate nell’art. 5 del TUIR; le imprese agricole; il curatore fallimentare, tra gli altri. Sono tenute a riconoscere il credito anche le amministrazioni dello Stato, della Camera dei deputati e del Senato, tra le altre.

La dicitura “in via automatica” comporta che i sostituti di imposta dovranno riconoscere il credito in aggiunta alla retribuzione erogata e senza richiesta da parte dei beneficiari. L’erogazione del credito avverrà a partire dal mese di maggio 2014, salvo impossibilità dovute a ragioni esclusivamente tecniche legate alle procedure di pagamento, che potranno far slittare la prima erogazione al mese di giugno.

La determinazione della spettanza del credito viene effettuata dai sostituti di imposta sulla base dei dati reddituali a loro disposizione, su dati previsionali e sulle detrazioni, oltre che a dati in loro possesso per effetto di comunicazioni da parte del lavoratore. Il decreto definisce puntualmente gli adempimenti dei sostituti di imposta e al comma 5 dell’art. 1 stabilisce che per l’erogazione del credito il sostituto utilizza l’ammontare complessivo delle ritenute disponibile in ciascun periodo di paga e, per la differenza, i contributi previdenziali dovuti.

Qualora i soggetti beneficiari abbiano remunerazioni non erogate da un soggetto sostituto di imposta, essi potranno richiedere il credito nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di imposta 2014. Si precisa che tale procedura di richiesta potrà essere anche seguita dai contribuenti per i quali il credito “ non sia stato riconosciuto (in tutto o in parte) dai sostituti d’imposta di cui agli articoli 23 e 29 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, ad esempio perché relativo a un rapporto di lavoro cessato prima del mese di maggio”.

Qualora il sostituto di imposta abbia riconosciuto il credito a soggetti con reddito complessivo superiore ai 26.000 euro (derivante da redditi diversi da quelli erogati dal sostituto), questi dovranno comunicarlo al sostituto che, nelle buste paga che seguiranno la comunicazione, recupererà il credito non spettante. Il credito non spettante (in tutto o in parte) andrà restituito dal contribuente in sede di dichiarazione dei redditi.

La Circolare ricorda infine che il credito non concorre alla formazione del reddito e quindi le somme ricevute non sono imponibili ai fini delle imposte sui redditi (comprese addizionali regionali e comunali). Tali crediti, inoltre, non incidono sul calcolo dell’IRAP dei soggetti eroganti.

____________

[1] Cfr. comma 2, art. 1 del decreto. Considerando che il credito è rapportato al periodi di lavoro nell’anno, qualora il rapporto di lavoro abbia la durata dell’intero anno, alcuni “correggono” il tiro del Governo: anziché 80 euro, su base annua il “beneficio” è di 53,33 euro (640/12 = 53,33. Sono 80 in quanto l’importo di 640 verrà erogato in 8 dei 12 mesi del 2014).

[2] Cfr. art. 49, comma 1, TUIR.

[3] Cfr. art. 50, comma 1, TUIR.

[4] L’importo di dette detrazioni è stato modificato dall’art. 1, comma 127, della legge 147/2013 (legge di stabilità per il 2014) e per la loro determinazione il reddito complessivo va assunto al netto del reddito dell’unità immobiliare adibita ad abitazione principale e delle relative pertinenze.

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