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Livia Cherubino

(di Livia Cherubino)

PARTE SECONDA

CRESCITA ECONOMICA E REDISTRIBUZIONE DEI REDDITI: LE DUE FACCE DI UNA STESSA MEDAGLIA

2.1. Redistribuzione

Il riflesso delle politiche economiche sui redditi delle famiglie è di fondamentale importanza, soprattutto se si considera che esiste un forte legame tra reddito e consumo. Diverse evidenze dimostrano come il livello di consumo e il livello di reddito siano collegati (14) per questa ragione, quando siano carenti i dati sui redditi, il livello di consumi è adottato come parametro per la misurazione del benessere della popolazione. L’ipotesi è, quindi, che a un aumento dei soggetti percettori di reddito corrisponda un aumento dei consumi, ma non viceversa: fondamentale per la ripresa economica è, dunque, il fattore redistribuzione, più che l’abbassamento dei prezzi, tenendo in considerazione che non si può certo affermare il contrario, ossia, che a un aumento dei consumi (determinato dalla riduzione dei prezzi) corrisponda certamente un aumento dei redditi.

Liberalizzare efficacemente, però, comporta una dolorosa “rivoluzione sociale”, perché il rimescolamento dev’essere attuato attraverso politiche che mirino a far scendere -nella gerarchia delle retribuzioni- coloro che beneficiano di rendite e far salire i detentori di un livello maggiore di competenze che meglio possano contribuire alla produttività del Paese (15), il che comporta una migliore redistribuzione del reddito, ma non a “costo zero”, che il momento storico pare imporre, poiché lo stesso benessere sociale sembra richiedere di “andare contro le corporazioni e i gruppi di interessi particolari, per favorire gli interessi di tutti”(16).

La relazione tra crescita economica e distribuzione del reddito è, tuttavia, molto complessa. A livello teorico, la relazione della c.d. “U rovesciata” proposta da Kuznets, pubblicata intorno alla metà degli anni Cinquanta del Novecento, così come il modello dualistico prospettato da Lewis, concordano nell’affermare che la crescita economica porta a un aumento iniziale della disuguaglianza e che la distribuzione dei redditi si riequilibra solo in un successivo momento. Tali modelli economici, tuttavia, non tengono in considerazione gli effetti negativi che, a monte degli interventi, una disuguaglianza elevata può determinare sulla crescita economica di un Paese: diversi modelli (17) hanno difatti provato che alti livelli di disequilibrio nella distribuzione dei redditi all’interno della società provocano una crescita economica più lenta, che sarebbe, per contro, accelerata da una maggiore equità di partenza (18). D’altronde, se un Paese cresce partendo da una situazione di grande disuguaglianza, la porzione di crescita di cui i poveri andrebbero a godere sarebbe, in ogni modo, limitata (19).

(di Livia Cherubino)

PARTE PRIMA

LE LIBERALIZZAZIONI, FAVORENDO LA CONCORRENZA, RILANCIANO LA CRESCITA ECONOMICA

1.1. Le liberalizzazioni a presidio del rilancio dello sviluppo economico

La concorrenza (1) è alla base della capacità di un sistema economico di valorizzare le proprie risorse, di attrarne di nuove e di generare ricchezza. Promuoverla vuol dire stimolare l’innovazione negli individui e nelle imprese, e questo è il motore dello sviluppo.

Porre l’attenzione sulle regole, per tutelare il libero funzionamento del mercato e al tempo stesso per ovviare ai suoi fallimenti, è un caposaldo del pensiero liberale. Ma se, per tradizione, detto pensiero s’incardina sull’idea che il libero mercato perfettamente concorrenziale sia la modalità organizzativa più efficiente per rendere massimo il benessere materiale di tutti, ad oggi si fa sempre più dilagante la convinzione che si tratti di una modalità non esistente in natura e che sia, per lo più, una creazione dell’uomo evoluto, perché un mercato non sottoposto a regole né controlli finirebbe con l’autodistruggersi a causa dell’endemica tendenza dei soggetti che vi operano a ridurre la concorrenza o a collocare il mercato stesso su traiettorie esplosive.

Per questo, più che una totale e piena eliminazione delle regole poste a presidio dei meccanismi economici, ciò di cui il momento economico abbisogna è di norme primarie chiare e stabili, una regolamentazione del mercato e delle professioni di qualità e non più di quantità. Se la concorrenza va guidata e limitata in alcuni casi ben individuati e va garantita e tutelata in altri, le liberalizzazioni sono comunque il perno da cui deve ripartire il rilancio dello sviluppo economico.

Se questo era già chiaro a valle delle numerose indagini empiriche portate avanti da tempo e intensificate negli ultimi anni, ad oggi sembra rappresentare un imperativo economico. Relativamente al rapporto tra liberalizzazioni e crescita, le evidenze empiriche e la stessa letteratura economica (2) hanno ampiamente confermato che una regolamentazione eccessiva e onerosa ostacola l’ingresso sul mercato di nuovi soggetti, scoraggia gli investimenti e incide negativamente sulla
produttività; per contro, alcuni studi hanno stimato che un miglioramento della qualità della regolamentazione aumenterebbe il tasso di crescita annuo del PIL, quantificando, dunque, i vantaggi legati alle politiche di liberalizzazione non solo in termini di risparmio economico per i consumatori, ma anche di crescita dell’intero Paese.(3)

La qualità delle regole, dunque, non costituisce solo un elemento essenziale allo Stato di diritto, in risposta alle basilari esigenze delle democrazie liberali; il sistema regolatorio condiziona in modo significativo il funzionamento delle economie di mercato e per questo è addotto quale fattore essenziale di crescita e strumento utile per uscire dalle crisi.(4)

La crisi economica, infatti, necessita di una tipologia d’interventi normativi chiari e ben calibrati, sia per porre un argine alle onerose ricadute date dai difetti del sistema regolatorio, sia perché rappresenta una politica di crescita a “costo zero”, o comunque a basso costo. La qualità delle norme costituisce un valido strumento per l’innalzamento degli investimenti, del livello di competitività del Paese (5), nonché della credibilità, influenza e forza impositiva dello stesso sul piano internazionale, perché non bisogna dimenticare che spesso è la (positiva) percezione di un sistema a “qualificare” il sistema stesso.

Da ciò è ragionevole trarre che le regole sono, al tempo stesso, sia (con)causa che valido strumento per uscire dalle situazioni di crisi (6).

Il riordino della legislazione, unita a un’analisi d’impatto della regolazione, volta preventivamente a valutare i vantaggi e gli svantaggi di ogni nuova disposizione normativa, si pone a monte delle manovre finanziarie, il cui apparato di regole prende il nome di “regolamentazione economica” e impone di riconsiderare il ruolo dello Stato nell’economia che -attraverso una programmazione di regole non di quantità ma di qualità, chiare, accessibili ed emanate nel quadro di una valutazione di priorità e coerenza degli interventi- persegua la politica della concorrenza, finalizzata all’apertura dei mercati per contribuire ad accrescere la produttività e a rafforzare la crescita economica.

Anche la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 8/2013, ha dichiarato che tra l’attività di razionalizzazione dell’attività economica e quella di gestione della finanza pubblica corre un legame evidente: dal momento che le politiche di liberalizzazione sono prodromiche alla crescita economica, “[…] è ragionevole ritenere che le politiche economiche volte ad alleggerire la regolazione, liberandola da oneri inutili e sproporzionati, perseguano lo scopo di sostenere lo sviluppo dell’economia nazionale”. Con tale pronuncia anche la Corte, con una chiarezza senza eguali, prende posizione relativamente all’importanza della concorrenza, sostenendo la liberalizzazione dell’attività economica come strumento di crescita del Paese.

La cultura della concorrenza si radica alla base della convinzione per cui la riduzione delle barriere nei mercati, così come la diminuzione dei vincoli normativi, riesca a imprimere un forte slancio alla crescita produttiva perché, nei sistemi in cui i limiti all’attività economica sono contenuti, le risorse si allocano in modo efficiente traducendosi in guadagni di produttività.

L’elaborato, attraverso un’analisi sommaria degli effetti macroeconomici delle politiche di deregolamentazione e –più attentamente- di liberalizzazione delle attività professionali (con specifico riferimento alla “vicenda taxi”), si pone l’obiettivo di delineare gli effetti redistributivi del reddito che dalle stesse discendono, rilevando come dette politiche siano necessarie, ma nello stesso tempo sia indispensabile individuare il modo migliore per attuarle, per consentire a tutti gli operatori economici di raggiungere condizioni di maggiore efficienza.

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