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Diritto dell'Unione Europea

Il potere esecutivo e giudiziario tra ordinamento italiano ed europeo

(di Verdiana Gorruso)

Continuando nell’ottica di comparazione tra la titolarità dei poteri nell’ordinamento italiano ed europeo, e delineando quindi i confini dell’esercizio della funzione esecutiva, non si può non sottolineare che questi sono definiti dal Governo nel panorama italiano e dalla Commissione nel panorama europeo.

In particolare, benché entrambi gli organi rappresentino i bracci operativi dell’archetipo istituzionale e abbiano un rapporto di stretta connessione con il rispettivo Parlamento, rappresentano nel loro complesso differenti tratti legati sia alla formazione sia alla struttura.

In riferimento alla struttura dell’Esecutivo italiano, si sottolinea che l’articolo 92 I comma C. afferma che “il Governo della Repubblica è composto dal Presidente del Consiglio e dei Ministri che insieme formano il Consiglio dei Ministri”, senza quindi accennare alle figure esistenti nella prassi del Vice Presidente del Consiglio, ai Ministri senza dicastero, ai Vice ministri e ai Sottosegretari.

Rispetto alla formazione del Governo, invece, il medesimo articolo di legge al II comma dispone che “Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio e su proposta di questo i Ministri

Pertanto viene formalizzata solo la terza fase dell’iter procedurale di formazione di Governo, lasciando le fasi delle consultazioni e dell’incarico alla Costituzione materiale.

Infatti, nella realtà, il Presidente della Repubblica deve nominare un Governo che sia in grado di ottenere la fiducia della maggioranza parlamentare e, pertanto, prima di procedere con la nomina è necessario che il Presidente conferisca l’incarico di formare il nuovo Governo ad un soggetto (Presidente del Consiglio incaricato) dopo aver proceduto alle consultazioni con i segretari dei partiti e dei presidenti dei gruppi parlamentari. Il soggetto incaricato procederà a predisporre la lista dei ministri.

Si rileva altresì che, dopo la nomina del Presidente del Consiglio e dei Ministri, da parte del Presidente della Repubblica, essi prestano giuramento nelle mani del Capo di Stato ex articolo 93 C.

Successivamente al giuramento (momento che designa la conclusione dell’iter di formazione dell’esecutivo) il nuovo Governo, entro dieci giorni, deve presentarsi alle Camere per esporre il programma e ottenere la fiducia ex articolo 94 C. I comma. Ciascuna Camera accorda o nega la fiducia mediante la mozione di fiducia che deve essere approvata a maggioranza semplice e con voto palese. Una volta ottenuta la fiducia, il Governo entra nella pienezza dei poteri e può iniziare a realizzare il programma presentato al Parlamento.

Può succedere che durante la legislatura si possano verificare delle crisi di Governo, ossia l’Esecutivo perde l’appoggio della maggioranza parlamentare.

A tal proposito, si rilevano elementi desumibili dalla Costituzione formale (crisi parlamentari derivanti dall’approvazione della mozione di sfiducia) e materiale (crisi parlamentari derivanti dalla questione di fiducia e crisi extraparlamentari).

Da tali osservazioni, si deduce che sia il momento di formazione sia le varie ipotesi di crisi del Governo hanno spesso la matrice nella prassi costituzionale più che nel mero formalismo letterale, cosicché tale discrasia da una parte può essere foriera di instabili equilibri costituzionali, ma dall’altra permette una maggior adattabilità all’evolversi della realtà concreta da parte dell’azione politica.

Il “Governo” dell’Unione è senz’altro rappresentato dalla Commissione, la quale è il motore dell’intera Comunità data l’ampiezza e la rilevanza delle sue funzioni.

I Commissari sono 28, “un cittadino di ciascuno Stato membro”, inclusi il Presidente e i Vicepresidenti, e durano in carica per un quinquennio, analogamente alla durata del mandato degli europarlamentari.

Il Presidente della Commissione europea è nominato dal Parlamento, dopo essere stato designato dal Consiglio europeo. Dalle elezioni del 2014 il Parlamento ha introdotto la procedura dei candidati capilista (SpitzenKandidat): ciascun partito politico europeo presenta un candidato alla carica di Presidente della Commissione e il partito che ottiene il maggior numero di voti può proporre il proprio candidato per tale carica. Il Presidente ha diversi poteri, tra i quali quello di “indicare” i nomi dei futuri commissari e il conseguente potere, eventuale, di farli decadere, così come disciplinato dall’art. 17 Trattato UE, che afferma: “un membro della Commissione rassegna le dimissioni se il Presidente glielo chiede”.

Il Presidente occupa altresì una posizione privilegiata in quanto definisce gli orientamenti nel cui quadro la Commissione esercita i suoi compiti e decide anche in merito all’organizzazione interna di quest’ultima, per assicurare la coerenza e l’efficacia della sua azione.

Attualmente il ruolo di Presidente è ricoperto dal lussemburghese Jean Claude Juncker, ma dal primo novembre 2019 cederà il posto alla tedesca Ursula von der Leyen dell’Unione Cristiano-Democratica di Germania (CDU), partito che nell’ambito dell’Unione aderisce al Partito Popolare Europeo (PPE).

Il Presidente nomina il primo vicepresidente e gli altri vicepresidenti, ad eccezione dell’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza, che è anche vicepresidente in virtù del suo mandato.

In particolare, quest’ultima ultima figura, introdotta con il Trattato di Lisbona, è nominata dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata, in accordo con il Presidente della Commissione, ed entra in carica solo dopo aver avuto l’approvazione da parte del Parlamento.

L’Alto rappresentante “guida la politica estera e di sicurezza dell’Unione” e “presiede il Consiglio Affari esteri” (art. 18 Trattato UE). L’italiana Federica Mogherini verrà sostituita dallo spagnolo Josep Borrell i Fontelles, membro del PSE al Parlamento europeo e attuale Ministro degli esteri spagnolo. La nomina formale da parte del Consiglio necessita dell’accordo della neo eletta Presidente della Commissione.

I commissari europei, invece, sono nominati dal Consiglio europeo, dopo una procedura complessa.

Nella prima fase è il Consiglio europeo, di comune accordo con il neo-eletto Presidente della Commissione, che adotta l’elenco delle persone che intende nominare commissari. Tale elenco è redatto sulla base delle proposte presentate da ciascuno Stato membro. I designati commissari devono presentarsi dinanzi alle varie commissioni parlamentari in base alle proprie competenze (ogni commissario europeo è responsabile di un settore, paragonabile a un ministero), dopodiché ogni commissione si riunisce per elaborare una valutazione delle competenze e delle prestazioni del candidato che sarà poi trasmessa al Presidente del Parlamento. I membri della Commissione devono agire nel mero interesse dell’Unione, infatti gli Stati membri rispettano l’indipendenza dei commissari e “non cercano di influenzarli nell’adempimento dei loro compiti”.

 Successivamente la Commissione così formata, per entrare nella pienezza dell’esercizio delle sue funzioni, deve ottenere il voto di approvazione da parte del Parlamento e, infine, la nomina ufficiale da parte del Consiglio europeo.

Rispetto alle sue funzioni si sottolinea che la Commissione è il “braccio operativo” dell’Unione e pertanto rende esecutive le decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio dell’UE, presenta al Parlamento europeo e al Consiglio disposizioni legislative da adottare e stabilisce, inoltre, le priorità di spesa dell’UE, unitamente al Consiglio e al Parlamento.

La Commissione, oltre a preparare i bilanci annuali da sottoporre all’approvazione del Parlamento e del Consiglio, controlla come vengono usati i fondi, sotto l’attenta sorveglianza della Corte dei conti europea.

La Commissione, di concerto con la Corte di Giustizia, garantisce che il diritto dell’UE sia correttamente applicato in tutti i Paesi membri e rappresenta l’UE sulla scena internazionale.

A dispetto della disamina del potere legislativo ed esecutivo, il potere giudiziario, in omaggio alla funzione attribuita dall’ordinamento, presenta una posizione sui generis finalizzata a contribuire al bilanciamento di poteri della macchina istituzionale tramite il precipuo scopo di far applicare e interpretare in modo uniforme le norme giuridiche.

Nell’ordinamento italiano, titolare di quest’ultimo potere è la Magistratura la quale è composta dall’insieme di organi che costituiscono la giustizia civile penale ed amministrativa. Quest’ultima è disciplinata dall’articolo 101 del testo costituzionale, il quale al primo comma dispone che la “giustizia è amministrata in nome del popolo” e al secondo comma che i “giudici sono soggetti soltanto alla legge” e pertanto devono essere “autonomi ed indipendenti da ogni altro potere”.

In Europa, invece, il potere giudiziario è attribuito alla Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE) che comprende due sezioni giurisdizionali (Corte di Giustizia e Tribunale), nonché le Corti specializzate in alcuni settori.

La Corte di Giustizia, composta da un giudice per ogni Stato membro e da undici avvocati generali, tratta le richieste di pronuncia pregiudiziale presentate dai Tribunali nazionali e alcuni ricorsi per annullamento e impugnazioni.

Il Tribunale, composto da 47 giudici che saranno elevati a 56 a partire dal 1° settembre 2019 (due per ogni Stato membro), si pronuncia sui ricorsi per annullamento presentati da privati cittadini, imprese e, in taluni casi, governi di Paesi dell’UE. In pratica, ciò significa che questa sezione si occupa principalmente di diritto della concorrenza, aiuti di Stato, commercio, agricoltura e marchi.

Si precisa che il Trattato di Lisbona ha introdotto la possibilità di istituire i Tribunali specializzati. Attualmente l’unico Tribunale istituto in tal senso è quello della funzione pubblica, cioè un Tribunale specializzato nel contenzioso del personale.

La CGUE si pronuncia sui casi ad essa sottoposti, tra i quali, ad esempio: interpretare il diritto europeo tramite l’emissione di pronunce pregiudiziali, assicurare il rispetto della legge da parte degli Stati membri tramite le procedure di infrazione, annullare gli atti giuridici dell’Unione, assicurare l’intervento dell’UE a seguito del ricorso per omissione, nonché sanzionare UE tramite la richiesta di risarcimento del danno.

La Commissione e il Governo trovano la giusta collocazione sotto un unico cappello democratico in virtù anche del rapporto di stretta connessione che lega tali istituzioni con l’unico organo rappresentativo direttamente della volontà popolare (il Parlamento). Infatti tale connessione nel panorama italiano è visibile soprattutto nel rapporto fiduciario che lega il Legislatore all’Esecutivo, disciplinato da elementi della costituzione formale nonché materiale. Si precisa tuttavia che la mera procedura di formazione del Governo è diretta dal Presidente della Repubblica. Nel panorama europeo, invece, il Parlamento nomina il Presidente della Commissione e dà voto di approvazione a quest’ultima, in quanto la nomina ufficiale avviene da parte del Consiglio europeo. Il Parlamento europeo può inoltre votare una mozione di censura nei confronti della Commissione ed in tal caso quest’ultima è obbligata a dimettersi.

Rispetto al potere giudiziario, infine, si denota senz’altro una comunione di intenti nell’organizzazione del sistema giurisdizionale che caratterizza i due ordinamenti. Tali archetipi istituzionali, pur avendo sfumature diverse, collaborano in maniera sinergica pur nel riconoscimento del principio del primato del diritto europeo sul diritto interno.

Diritto dell'Unione Europea

La separazione dei poteri nell’ordinamento italiano ed europeo: il ruolo del  Parlamento

(di Verdiana Gorruso)

La separazione dei poteri rappresenta uno dei principi cardine dello Stato di diritto nonché, quindi, un tratto comune caratterizzante le diverse Costituzioni democratiche. I poteri tradizionalmente identificati sono quello legislativo, esecutivo e giudiziario e rappresentano una simbolica suddivisione della sovranità, elemento costitutivo di uno Stato.

L’importanza della suddivisione dei poteri è ben espressa anche dal filosofo francese Montesquieu, il quale nel 1749 nello “Spirito delle leggi” affermava che “Chiunque abbia il potere è portato ad abusarne; egli arriva sin dove non trova limiti” e continuava “perché non si possa abusare del potere occorre che il potere arresti il potere”.

Tale teoria, quindi, afferma che ogni funzione pubblica deve essere attribuita a un potere distinto, altrimenti la detenzione dello stesso potrebbe portare alla tirannia. Inoltre, le tre funzioni (intese come esercizio dei singoli poteri) devono essere attribuiti ad organi che agiscono secondo il principio del check and balance, cosicché il potere di un organo finisce là dove inizia l’altro. Pertanto l’esercizio di un potere deve essere autonomo dall’altro, ma al contempo vi deve essere connessione e relazione di modo che possa sussistere una reciproca limitazione.

Tale teoria, pertanto, rappresenta la cornice entro la quale si sono sviluppate ed affinate le diverse Costituzioni moderne, tra le quali, senz’altro, quella italiana nonché l’intero quadro istituzionale dell’Unione europea.

Soffermandoci sulle realtà succitate si può sottolineare che in linea teorica nel panorama italiano il potere legislativo è attribuito al Parlamento, il potere esecutivo al Governo e quello giudiziario alla Magistratura. Nel panorama europeo, invece, la funzione legislativa è esercitata nella maggior parte delle materie congiuntamente dal Parlamento dell’Unione europea e dal Consiglio dei ministri dell’Unione europea, la funzione esecutiva è di competenza della Commissione europea e quella giurisdizionale della Corte di Giustizia dell’Ue.

Sia nel contesto italiano che europeo, il Parlamento svolge una funzione di primaria importanza ossia è adibito a produrre norme giuridiche all’interno dei rispettivi ordinamenti. Come sopra citato, occorre fin da subito sottolineare la netta differenza tra il contesto italiano ed europeo: nel primo il potere legislativo è attribuito esclusivamente al Parlamento, mentre nell’Unione esso è di competenza del Parlamento e del Consiglio.

Il Parlamento italiano (artt. 55-82 C.) è l’unico organo costituzionale eletto direttamente dal popolo ed è suddiviso in due Camere con pari funzioni (bicameralismo perfetto).

Le sue funzioni principali, oltre a quella legislativa, sono quelle di controllo e di indirizzo politico nei confronti del Governo, nonché di revisione costituzionale.

Relativamente alla funzione legislativa, appare opportuno sottolineare che tra i membri con potere di iniziativa vi è altresì il Governo. Quest’ultimo, prima di entrare nella pienezza dei suoi poteri, deve ricevere la fiducia del Parlamento tramite l’approvazione della mozione di fiducia. Si delinea in tal modo il rapporto di fiducia tipico della forma di governo della Repubblica parlamentare.

Volgendo lo sguardo al di fuori dai confini italiani, si rileva che l’attuale testo normativo dal quale si può evincere sia la struttura sia il funzionamento dei singoli organi europei è il Trattato di Lisbona. Quest’ultimo è entrato in vigore il primo dicembre del 2009 e si suddivide al suo interno in due sezioni: il Trattato sull’Unione europea (TUE) e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE).

Ai sensi dell’articolo 13 del TUE, “L’Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuovere i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stai membri, garantire la coerenza, l’efficacia e la continuità delle politiche e delle sue azioni”. Pertanto l’architettura istituzionale posta alla sua base dovrebbe avere come filo conduttore la creazione di un equilibrio istituzionale finalizzato a consolidare il cuore democratico dell’Unione.

Il Parlamento europeo, oltre ad essere la prima istituzione menzionata nei singoli trattati dell’Unione, è l’unico organo ad essere investito della legittimazione democratica con l’elezione diretta dei suoi membri da parte dei cittadini dell’Unione.

All’origine dei trattati istitutivi non esisteva un organo chiamato Parlamento, bensì una “Assemblea comune della Ceca” formata da 78 membri designati dai Parlamenti nazionali degli allora Sei stati fondatori.

Con i Trattati di Roma del 19 marzo 1958, l’Assemblea comune della Ceca divenne “l’Assemblea parlamentare europea” composta da 142 membri nominati secondo le elezioni di secondo livello e con un ruolo meramente consultivo cosicché si attribuiva al Consiglio, cioè ai governi nazionali, il quasi monopolio della funzione legislativa.

Il 30 marzo 1962 l’Assemblea mutò nome in “Parlamento europeo” e solo il 20 settembre 1976 il Consiglio dell’Unione decise che il Parlamento europeo dovesse essere costituito da membri eletti a suffragio universale diretto con un mandato della durata di 5 anni.

Rispetto alle sue funzioni, si precisa che il Parlamento è titolare, insieme al Consiglio, del potere legislativo. La procedura di formazione della norma europea può essere ordinaria o speciale.

Nel primo caso sussiste l’adozione congiunta con il Consiglio di un regolamento, di una direttiva o di una decisione su proposta della Commissione. Quella speciale, invece, consiste nell’adozione di un regolamento, di una direttiva o di una decisione da parte del Parlamento con la consultazione del Consiglio o viceversa. Il Parlamento decide, inoltre, sugli accordi internazionali e in merito agli allargamenti, rivede il programma di lavoro della Commissione e le chiede di presentare proposte legislative.

L’Europarlamento, inoltre, esercita un controllo democratico su tutte le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’UE e in particolare sulla Commissione, poiché ha il potere di approvare e respingere la nomina dei commissari europei e di censurare collettivamente tale organo. Esamina le petizioni dei cittadini e discute la politica monetaria con la Banca centrale europea; infine, elabora insieme al Consiglio il bilancio dell’Unione europea e approva il bilancio di lungo periodo dell’UE, il “quadro finanziario pluriennale”.

Si precisa, altresì, che. sebbene il potere di iniziativa legislativa spetti alla Commissione, il Trattato di Maastricht prima e di Lisbona successivamente hanno concesso al Parlamento europeo un diritto di iniziativa legislativa che gli consente di chiedere alla Commissione di presentare una proposta.

Da tale descrizione deduciamo, quindi, che, il Parlamento europeo in alcune materie è titolare insieme al Consiglio dell’Unione della funzione legislativa, invece in politica estera, di difesa comune e di politica economica ha solo un ruolo di consultazione. Inoltre, è da sottolineare il rapporto stretto tra Parlamento e Commissione: il Parlamento elegge infatti il Presidente della Commissione, la quale entra in funzione solo con il voto di approvazione del Parlamento e se quest’ultimo vota una mozione di censura approvata dai 2/3 dei parlamentari, allora la Commissione è obbligata a dimettersi.

Il rapporto tra Parlamento e Commissione può richiamare quello esistente tra Parlamento e Governo italiano.

Passando la nostra analisi al Consiglio dei ministri, le cui origini risalgono al Trattato di Parigi del 1951 si rileva che, insieme alla Commissione europea e al Parlamento europeo, è uno degli attori principali nel panorama politico istituzionale europeo,

I vari Trattati europei, dalla creazione della CEE del 1957 al Trattato di Maastricht del 1993, hanno esteso la portata e la natura del ruolo politico del Consiglio, conferendogli maggiore importanza.

Il Consiglio dell’Unione europea ha una composizione fissa e variabile allo stesso tempo. Fissa, poiché si riunisce sempre mediante rappresentanti dei governi nazionali degli Stati membri. Variabile, perché la composizione delle riunioni cambia in relazione all’oggetto delle questioni all’ordine del giorno. Anche per questo, l’altro nome del Consiglio dell’Unione Europea è Consiglio dei ministri dell’Ue.

La funzione principale del Consiglio è, come precisato precedentemente, quella di esercitare la funzione legislativa. Come ricordato, tale attribuzione può essere svolta o insieme al Parlamento (procedura legislativa ordinaria), oppure con la mera consultazione di quest’ultimo organo.

Il Consiglio, inoltre, coordina le politiche economiche dell’UE e svolge un ruolo importante in materia di politica estera e sicurezza.

Come sopra affermato, quindi, sia nell’ordimento italiano che in quello europeo il Parlamento rappresenta l’unica istituzione i cui membri sono eletti direttamente dal corpo elettorale (fatta eccezione per i senatori a vita nel Parlamento italiano). Entrambi sono titolari della funzione legislativa e si caratterizzano per avere una stretta connessione con l’organo titolare del potere esecutivo ossia il Governo, in Italia, e la Commissione, nell’Unione europea.

È opportuno a tal proposito sottolineare il recente riempimento di poteri del Parlamento europeo rispetto alla più remota definizione delle funzioni parlamentari identificate dall’Assemblea costituente al momento della redazione del progetto di Costituzione. Infatti solo con il Trattato di Lisbona la procedura legislativa ordinaria diviene la principale modalità per legiferare in diversi settori incrementando in tal modo il ruolo del Parlamento europeo.

Post-Brexit: i rischi di concorrenza fiscale nei rapporti tra Unione Europea e Regno Unito

di Claudio Melillo

Conseguenze post-brexit anche sul piano fiscale. Si traccia un bilancio obiettivo in vista dell’imminente separazione formale dall’Ue, come annunciato dalla stessa Theresa May.

A meno di un anno dalla decisione del Regno Unito di uscire dall’Unione Europea, le polemiche non sembrano placarsi. I quesiti a cui dare risposte certe sono ancora tanti, soprattutto per quanti, in veste di semplici spettatori o di studiosi, stiano tentando di pronosticare il susseguirsi degli eventi.

(di Mariella Orlando)

La fattura elettronica nei rapporti con la Pubblica Amministrazione si colloca nell’ambito delle linee di azione dell’Unione europea (Direttiva del 13 luglio 2010 n. 2010/45/UE e la Direttiva del 28 novembre 2006 n. 2006/112/CE) che incoraggia gli Stati membri a dotarsi di un adeguato quadro normativo, organizzativo e tecnologico per gestire in forma elettronica l’intero ciclo degli acquisti. Recependo tale direttiva già altri Paesi europei hanno avviato un programma di introduzione della fatturazione elettronica utilizzando aLnche la leva normativa della Pubblica Amministrazione per favorirne l’adozione nei rapporti tra imprese. L’utilizzo della fattura elettronica permetterà nel tempo la dematerializzazione del processo di fatturazione; in particolare i fornitori della P.A. possono procedere alla trasmissione delle fatture in modo elettronico, direttamente, o tramite gli intermediari, ai sistemi delle Amministrazioni Pubbliche ed ed averne, successivamente, visibilità dello stato di trattamento all’interno degli uffici che le ricevono, contabilizzano, e procedono al loro pagamento.

Il D. M n. 55 del 3 aprile 2013 si è occupato di individuare le regole tecniche e le linee guida per la gestione dei processi di fatturazione elettronica verso la Pubblica Amministrazione in ossequio al percorso legislativo attivato con la Legge Finanziaria 2008 (Legge n. 244 del 2007).

Il presente lavoro si pone come obiettivo quello di delineare le linee guida – sulla scorsa della normativa di riferimento – di questo sistema elettronico di fatturazione.

 

CARATTERISTICHE

La fattura è il documento amministrativo per eccellenza, il più importante documento aziendale in grado di rappresentare nel tempo un’operazione commerciale, e da cui scaturiscono risvolti fiscali (detrazioni dell’Iva e deducibilità dei costi), civili (ingiunzione di pagamento ed efficacia probatoria ), penale (reati tributari e reati disciplinati dal diritto fallimentare) e finanziari (la gestione del credito e la riconciliazione delle fatture ai pagamenti e agli incassi).

La fattura elettronica, in quanto documento elettronico predisposto secondo le regole tecniche previste dal Codice dell’amministrazione digitale, presenta le seguenti caratteristiche:

  • è un documento statico non modificabile;
  • la sua emissione, al fine di garantirne l’attestazione della data e l’autenticità dell’integrità, prevede l’apposizione del riferimento temporale e della firma elettronica qualificata;
  • deve essere leggibile e disponibile su supporto informatico;
  • deve essere conservata e resa disponibile secondo le linee guida e le regole tecniche predisposte dall’Agenzia per l’Italia digitale e approvate dalla Commissione SPC.

In particolare per tutti i soggetti titolari di P.IVA che cedono beni o prestano servizi alle P.A. non sarà più possibile, con scadenza diversificate in funzione della tipologia della P.A., emettere fattura cartacea.

La conseguenza dell’emissione di una fattura cartacea in luogo di quella elettronica sarà la mancata accettazione da parte della pubblica amministrazione e conseguentemente l’impossibilità a procedere al relativo pagamento. Tale obbligo di fatturazione elettronica decorre :

–          Dal 6 giugno 2014, per le fatture emesse nei confronti dei Ministeri, delle Agenzia fiscali e degli Enti nazionali di previdenza ed assistenza sociale;

–          Dal 31 marzo 2015, per tutte le fatture emesse nei confronti delle altre P.A., ivi comprese le Amministrazioni locali (es: i Comuni)[1].

Il D.M. n. 55 del 2013 specifica che le pubbliche amministrazioni destinatarie di fatture elettroniche sono chiamate a inserire l’anagrafica dei propri uffici depurati alla ricezione delle fatture elettroniche nell’indice delle Pubbliche Amministrazioni (IPA), istituito all’art 11 del decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 31 ottobre 2000. L’IPA provvede quindi ad assegnare un codice univoco a ciascuno degli uffici e a renderlo pubblico. E’ chiaro che il codice univoco è un elemento essenziale per la trasmissione della fattura allo specifico ufficio dell’amministrazione committente.

 

EMISSIONE DELLA FATTURA ELETTRONICA

L’art. 2, quarto comma, del D.M. n. 55 del 2013 stabilisce che “ la fattura elettronica si considera trasmessa per via elettronica, ai sensi dell’art.. 21, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633, e ricevuta dalle amministrazioni di cui all’art. 1, comma 2, solo a fronte del rilascio delle ricevuta di consegna da parte del Sistema di interscambio”.

Questa previsione è sicuramente coerente col disposto dell’art. 21 , comma 1 , del D.P.R. 633/72, che considera emessa la fattura cartacea o elettronica all’atto della sua consegna, spedizione, trasmissione o messa a disposizione del cessionario o committente.

Infatti, la ricevuta di consegna viene rilasciata in un momento sicuramente successivo al quello in cui la fattura è nella disponibilità della pubblica amministrazione committente. In tal senso il rilascio, da parte del Sistema di Interscambio, della ricevuta di consegna – identificato tramite il codice univoco di portato nella fattura medesima – è certamente sufficiente a provare sia l’emissione della fattura elettronica, sia la sua ricezione da parte della pubblica amministrazione committente.

In funzione dell’esito di tale inoltro, il Sistema di interscambio rilascia al soggetto che ha inviato la fattura una ricevuta di consegna, nel caso in cui l’inoltro abbia avuto esito positivo, ovvero una notifica di mancata consegna[2], nel caso in cui l’inoltro abbia avuto esito negativo.

Affinché si possa procedere alla fatturazione elettronica la P.A. deve necessariamente effettuare un censimento dei fornitori, così da poter aggiornare tempestivamente e coerentemente l’indice delle P.A. e consentire al Sistema di Interscambio di recapitare correttamente la fattura agli uffici di pertinenza.

 

TECNICHE DI TRASMISSIONE DELLE FATTURE.

La trasmissione delle fatture al SDI e da questi all’Amministrazione destinataria avviene attraverso l’utilizzo di uno dei seguenti canali:

–          Un sistema di posta elettronica certificata (Pec) o un analogo sistema di posta elettronica basata su tecnologie che certificano data ed ora dell’invio e della ricezione delle comunicazioni, nonché l’integrità del contenuto delle stesse;

–          Un sistema di trasmissione in via telematica attraverso il sito del sistema d’interscambio (www.fatturapa.gov.it) ;

–          Un sistema di cooperazione applicativa con servizio esposto tramite web service (SDICoop);

–          Un sistema di cooperazione applicativa (web service) tramite il Servizio Pubblico di Connettività (SPCoop);

–          Un sistema di trasmissione fati tra terminali remoti basato sul protocollo FTP (SDIFtp).

L’invio delle fatture può essere effettuato direttamente dal fornitore o tramite intermediario; analogamente, le P.A. destinatarie possono ricevere direttamente le fatture, oppure avvalersi di intermediari.

DIVIETO DI PAGAMENTO IN ASSENZA DI FATTURA ELETTRONICA.

L’art. 6, comma 6 , del D.M. n. 55 del 2013 prevede che, trascorsi tre mesi dalla data di decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica, le pubbliche amministrazioni non possono procedere ad alcun pagamento, nemmeno parziale, sino all’invio delle fatture in formato elettronico.

Tuttavia ci si è chiesti se tale divieto debba intendersi esteso alle fatture in forma cartacea, emesse prima della data di decorrenza dell’obbligo di fatturazione elettronica. In proposito, la circolare interpretativa del MEF n. 1 del 31 marzo 2014, ha chiarito che l’obbligo di emissione in forma elettronica preceda di tre mesi la corrispondente decorrenza del divieto di accettazione e pagamento di fatture in forma cartacea. Si tratta di un periodo di transizione, durante il quale le pubbliche amministrazioni possono accettare e pagare fatture emesse entro il termine di decorrenza dell’obbligo, mentre i fornitori, a partire dal suddetto termine di decorrenza dell’obbligo, non possono più emettere fattura in forma cartacea.

La ratio di questo periodo di transizione è da individuarsi nella constatazione che la trasmissione di una fattura cartacea non è istantanea. A titolo di esempio, nel caso di spedizione a mezzo di posta ordinaria, sicuramente il caso più comune, decorrono alcuni giorni dal momento dell’emissione a quello della ricezione. Inoltre, una volta ricevuta la fattura, all’interno della pubblica amministrazione committente si instaura una procedura amministrativa volta alla verifica di quanto esposto in fattura, e solo se la verifica si conclude positivamente l’amministrazione procede al pagamento.

Pertanto, ove la pubblica amministrazione possieda oltre la scadenza indicata al comma 210 fatture emesse in formato cartaceo e non ancora pagate, l’amministrazione potrà senz’altro portare a compimento il relativo procedimento e, ove sussistano tutte le condizioni, procedere al pagamento.

E’ invece da escludere la possibilità, per le pubblica amministrazioni, di accettare fatture in forma cartacea emessa successivamente allo scadere del medesimo termine di cui al comma 209.

 

LA CONSERVAZIONE DELLE FATTURE ELETTRONICHE.

L’art. 1 co. 209 della L. 244/2007, nell’istituire l’obbligo di fatturazione elettronica nei confronti della P.A., prevede l’adozione di procedure elettroniche anche in relazione agli ulteriori adempimenti di archiviazione e conservazione delle fatture così da garantire nel tempo la validità legale a tutti i documenti informatici firmati digitalmente.

Ciò significa che ogni tipologia di documento informatico conservato nel rispetto delle regole previste dal Codice dell’amministrazione digitale, ha effetto probatorio ad ogni effetto di legge consentendo alla PA ed alle aziende di risparmiare sui costi di stampa, stoccaggio e archiviazione.

 

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Note

[1] Il termine, originariamente fissato al 6 giungo 2015, è stato anticipato al 31 marzo 2015 dall’art. 25 del D.L. 66/2014 (cd. Decreto Spending review), convertito nella legge 89/2014

[2] La notifica di mancata consegna è recapitata entro 48 ore se il canale di comunicazione tra SDl e pubblica amministrazione è costituito dalla posta elettronica certificata (PEC), entro 24 ore negli altri casi. (Circolare interpretativa del MEF n. 1 del 31 marzo 2014).

(di Debora Mirarchi)

Di recente la Corte di Cassazione ha sciolto diversi dubbi, dai risvolti anche pratici, in merito alle modalità per chiedere il rimborso dell’IVA non detratta sugli acquisti, sulla manutenzione e sulla gestione di autoveicoli, e motocicli di cui all’art. 19 bis 1, comma 1, lett. c) del D.P.R. 29 ottobre 1972, n. 633, e sui servizi di telefonia mobile ai sensi della lett. d) del medesimo articolo.

Le deroghe in parola come qualsiasi altra deroga al diritto di detrazione dell’IVA d cui all’art. 19 delD.P.R. n. 633/72, trovavano la loro giustificazione in ragioni di natura congiunturale che, in quanto tali, avrebbero dovuto avere efficacia temporanea.

Così, invece, non è stato!

Attraverso la previsione di una serie di proroghe le limitazioni in parola, di fatto, hanno assunto carattere di stabilità.

La svolta si è avuta con la Commissione provinciale di Trento che dubitando della legittimità di tali limitazioni, ai sensi dell’art. 234 Trattato CE, con ordinanza 21 marzo 2005, ha sollevato la relativa questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee che con la sentenza 14 settembre 2006, causa C-228/05, in Foro it. 2006, 481 ha dichiarato l’incompatibilità delle limitazioni de quibus rispetto ai dettami europei.

Gli effetti di tale pronuncia sono stati immediati.

Il Governo al fine di “congelarli” almeno temporaneamente, il 15 settembre 2006 (il giorno successivo rispetto alla decisione della Corte di Giustizia) ha emanato il D.L. n. 258/2006 con cui ha rinviato il diritto di detrarre l’IVA sui acquisti in oggetto e previsto una procedura ad hoc per il rimborso dell’imposta che prevede la presentazione di apposita istanza correlata da specifica documentazione.

Sull’applicabilità di tale decreto sono sorti diversi contenziosi.

Da una parte l’Agenzia delle Entrate tentava di attribuire al decreto in parola efficacia retroattiva (mai prevista espressamente dal Legislatore e, quindi, in contrasto con il principio di irretroattività della disciplina tributaria ai sensi dell’art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente) al fine di disconoscere il rimborso per tutti quei contribuenti che avevano presentato istanza e, a volte, anche successivo ricorso prima dell’entrata in vigore del decreto, dall’altra i contribuenti che per anni si erano visti negare il diritto di detrarre l’IVA, difendevano tale diritto di poter ottenere il rimborso dell’imposta.

La tesi più volte sostenuta dai vari Uffici, chiamati in giudizio dai contribuenti, può essere così sintetizzata: poiché il diritto alla detrazione dell’Iva con riferimento agli acquisti de quibus deriva dalle modifiche intervenute sull’art. 19 bis 1, del D.P.R. n. 633/72, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia, il contribuente, che ha già presentato l’istanza prima dell’entrata in vigore del decreto, al fine di ottenere il rimborso dell’IVA non detratta, è tenuto a ripresentare una nuova istanza corredata da tutta la documentazione prevista dal citato decreto, pena il disconoscimento del rimborso.

Sul punto è intervenuta, di recente, la Corte di Cassazione che ha chiarito che “il diritto alla detrazione, al pari del corrispondente diritto al rimborso della eccedenza di imposta, è direttamente disciplinato dalle norme della direttiva comunitaria e rinviene il proprio fatto generatore esclusivamente nella effettuazione di una delle operazioni considerate imponibili dalla legge (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 28.6.2012 n. 10808), insorgendo il diritto nel momento stesso in cui diviene esigibile la imposta applicata sulla cessione di beni prestazione di servizi” (Cass., sez. V, 14 febbraio 2014, n. 3456).

Da ciò deriva che “la circostanza che sia la richiesta di rimborso Iva sia il ricorso al giudice tributario siano stati presentati anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 258, porta ad escludere l’applicabilità della normativa sopravvenuta limitatamente alle formalità prescritte per l’ammissibilità della domanda” (Cass. civ., sez. V, 2 aprile 2014, n. 7641).

di Micol Nantiat

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