È salvo il diritto al rimborso dell’IVA non detratta ai sensi dell’originario art. 19 bis 1, comma 1, lett. c) e d) del D.P.R. n. 633/72
(di Debora Mirarchi)
Di recente la Corte di Cassazione ha sciolto diversi dubbi, dai risvolti anche pratici, in merito alle modalità per chiedere il rimborso dell’IVA non detratta sugli acquisti, sulla manutenzione e sulla gestione di autoveicoli, e motocicli di cui all’art. 19 bis 1, comma 1, lett. c) del D.P.R. 29 ottobre 1972, n. 633, e sui servizi di telefonia mobile ai sensi della lett. d) del medesimo articolo.
Le deroghe in parola come qualsiasi altra deroga al diritto di detrazione dell’IVA d cui all’art. 19 delD.P.R. n. 633/72, trovavano la loro giustificazione in ragioni di natura congiunturale che, in quanto tali, avrebbero dovuto avere efficacia temporanea.
Così, invece, non è stato!
Attraverso la previsione di una serie di proroghe le limitazioni in parola, di fatto, hanno assunto carattere di stabilità.
La svolta si è avuta con la Commissione provinciale di Trento che dubitando della legittimità di tali limitazioni, ai sensi dell’art. 234 Trattato CE, con ordinanza 21 marzo 2005, ha sollevato la relativa questione pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee che con la sentenza 14 settembre 2006, causa C-228/05, in Foro it. 2006, 481 ha dichiarato l’incompatibilità delle limitazioni de quibus rispetto ai dettami europei.
Gli effetti di tale pronuncia sono stati immediati.
Il Governo al fine di “congelarli” almeno temporaneamente, il 15 settembre 2006 (il giorno successivo rispetto alla decisione della Corte di Giustizia) ha emanato il D.L. n. 258/2006 con cui ha rinviato il diritto di detrarre l’IVA sui acquisti in oggetto e previsto una procedura ad hoc per il rimborso dell’imposta che prevede la presentazione di apposita istanza correlata da specifica documentazione.
Sull’applicabilità di tale decreto sono sorti diversi contenziosi.
Da una parte l’Agenzia delle Entrate tentava di attribuire al decreto in parola efficacia retroattiva (mai prevista espressamente dal Legislatore e, quindi, in contrasto con il principio di irretroattività della disciplina tributaria ai sensi dell’art. 3 dello Statuto dei diritti del contribuente) al fine di disconoscere il rimborso per tutti quei contribuenti che avevano presentato istanza e, a volte, anche successivo ricorso prima dell’entrata in vigore del decreto, dall’altra i contribuenti che per anni si erano visti negare il diritto di detrarre l’IVA, difendevano tale diritto di poter ottenere il rimborso dell’imposta.
La tesi più volte sostenuta dai vari Uffici, chiamati in giudizio dai contribuenti, può essere così sintetizzata: poiché il diritto alla detrazione dell’Iva con riferimento agli acquisti de quibus deriva dalle modifiche intervenute sull’art. 19 bis 1, del D.P.R. n. 633/72, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia, il contribuente, che ha già presentato l’istanza prima dell’entrata in vigore del decreto, al fine di ottenere il rimborso dell’IVA non detratta, è tenuto a ripresentare una nuova istanza corredata da tutta la documentazione prevista dal citato decreto, pena il disconoscimento del rimborso.
Sul punto è intervenuta, di recente, la Corte di Cassazione che ha chiarito che “il diritto alla detrazione, al pari del corrispondente diritto al rimborso della eccedenza di imposta, è direttamente disciplinato dalle norme della direttiva comunitaria e rinviene il proprio fatto generatore esclusivamente nella effettuazione di una delle operazioni considerate imponibili dalla legge (cfr. Corte Cass. 5^ sez. 28.6.2012 n. 10808), insorgendo il diritto nel momento stesso in cui diviene esigibile la imposta applicata sulla cessione di beni prestazione di servizi” (Cass., sez. V, 14 febbraio 2014, n. 3456).
Da ciò deriva che “la circostanza che sia la richiesta di rimborso Iva sia il ricorso al giudice tributario siano stati presentati anteriormente all’entrata in vigore del D.L. n. 258, porta ad escludere l’applicabilità della normativa sopravvenuta limitatamente alle formalità prescritte per l’ammissibilità della domanda” (Cass. civ., sez. V, 2 aprile 2014, n. 7641).