Il mercato degli aspiranti artisti (Junk Market)
(di Marco Guenzi)
Durante la precedente analisi si è potuto constatare come il mercato dell’arte contemporanea non sia costituito da un blocco monolitico, ma che in realtà possono distinguersi al suo interno quattro segmenti, ognuno caratterizzato da logiche e dinamiche a sé stanti.
Nel presente articolo e nei prossimi si intende analizzare la natura dei diversi comparti del mercato dell’arte in base al livello delle quotazioni raggiunte (relativi cioè rispettivamente agli artisti esclusi dal sistema, emergenti, affermati e celebrità), andando a esaminare le loro caratteristiche e i relativi meccanismi di funzionamento. Si cominci l’analisi da basso, andando ad esaminare il mercato degli artisti esclusi dal mercato.
Analisi degli attori
Tale segmento, anche denominato (non sempre a ragione, come si vedrà) in termini dispregiativi Junk Market (“mercato spazzatura”)[1], rappresenta il comparto inferiore del mercato dell’arte contemporanea in relazione al livello delle quotazioni. Esso è costituito da tutti quegli (aspiranti) artisti agli esordi o che non sono riusciti a trovare rappresentanza da parte di una galleria che si trovano quindi nella condizione di non essere visibili all’interno del sistema, vivendo di fatto ai margini di esso.
Questi artisti non riescono di fatto a sbarcare il lunario con la sola arte, e quindi sono spesso costretti a trovare impieghi collaterali; ne consegue che la produzione di opere più che un mestiere si configura come un hobby. Ciò che quindi denota in primis questo settore è la non professionalità degli attori coinvolti. In secondo luogo bisogna sottolineare che le motivazioni che spesso spingono questo genere di artisti non sono di tipo economico ma piuttosto legate alla passione e al bisogno di comunicazione.
Sebbene mossi da un impeto creativo che porta a sperimentare moltissimo all’interno della loro attività produttiva, il fine che molti di questi artisti si pongono (soprattutto quelli più giovani spinti dal desiderio e dalla speranza di farsi strada) è quello di entrare nel circuito delle gallerie, così da perdere la condizione di apolidi all’interno del sistema.
I mezzi utilizzati nel tentativo di trovare l’appoggio di un gallerista possono essere diversi: cercare di produrre un’arte originale e significativa, in cui si possa distinguere chiaramente la stile personale dell’artista, in modo da essere apprezzabili e vendibili sul mercato; farsi notare da qualcuno partecipando ad esposizioni collettive e organizzando personali in spazi a disposizione; utilizzare lo spazio pubblico come palcoscenico (come fanno ad esempio gli street artist); cercare di mettere in atto una attività di Public Relationship (PR) frequentando gli eventi che si svolgono all’interno del sistema, in modo utilizzare le proprie conoscenze personali come canale per entrare nelle grazie di qualche gallerista o di critico o collezionista (la raccomandazione purtroppo costituisce agli esordi forse la via più facile ed efficiente per entrare in un sistema chiuso basato quasi esclusivamente sui rapporti interpersonali).
Poiché, come si è visto, le opere d’arte sono un bene in partenza senza un valore intrinseco, che viene poi attribuito successivamente in base al riconoscimento da parte del sistema, il valore delle opere risulta a questo stadio indeterminato e fortemente aleatorio. Per questo motivo l’attività che le gallerie mettono in atto è finalizzata a fungere da garante della qualità artistica (e quindi del prezzo), fornendo informazioni al mercato attraverso operazioni di segnalazione e screening[2].
Poiché nel segmento degli aspiranti artisti manca purtroppo la presenza di un intermediario, ciò determina che l’informazione sia distribuita in maniera inefficiente e asimmetrica, creando le premesse perché i potenziali acquirenti divengano disorientati nel dover scegliere un’opera, non avendo essi né le conoscenze né gli strumenti necessari per discernerne il valore e la qualità. Neppure ha senso che i collezionisti si avvalgano di una consulenza a pagamento ad hoc per opere di poca importanza, rendendo per loro preferibile non avventurarsi in acquisti di cui potrebbero presto pentirsi.
Ora, un possibile indicatore della qualità (gratuito e sempre a disposizione) c’è, ed è il prezzo di vendita delle opere sul mercato. Tuttavia si è visto che il prezzo perde di significatività in presenza di asimmetrie informative, poiché viene ad instaurarsi sul mercato un meccanismo di selezione avversa secondo cui non c’è modo di distinguere per l’acquirente tra le opere di qualità e “bidoni” (“lemons”)[3]. La conseguenza è che i migliori artisti di questo segmento, che invece svolgono ricerca e hanno consapevolezza dell’impegno da essi profuso, non vedono riconosciuto il valore simbolico delle proprie opere e sono quindi disincentivati a metterle in vendita. Spesso essi preferiscono non cercare uno sbocco su un mercato che non li premia, ma piuttosto accumulare le proprie opere nel proprio studio, andando avanti nella propria attività di ricerca artistica, nella speranza (che purtroppo non sempre si avvera) di venire un giorno scoperti ed apprezzati da un gate-keeper che gli possa aprire le porte del sistema.
A volte la chiusura di questi artisti nel loro guscio può essere legata più che a una consapevolezza del proprio valore a un loro eccessivo senso critico. Per contro gli artisti emergenti di minor valore spesso hanno una considerazione eccessiva del proprio valore, sovrastimando le proprie capacità in relazione al proprio desiderio narcisistico di essere riconosciuti. Di conseguenza essi tendono a praticare prezzi di vendita talvolta elevati rispetto al proprio valore, il che in ultima analisi riflette la percezione distorta che l’artista ha del proprio talento. Ciò comporta che in generale il livello dei prezzi praticati in questo segmento non rifletta assolutamente le capacità dei giocatori in campo, rendendo la scelta dei collezionisti un’operazione ardua e complessa.
Il meccanismo della selezione avversa determina quindi che nel segmento rimangano in vendita in prevalenza opere di bassa qualità, con il risultato di disincentivare ulteriormente i potenziali collezionisti dal tentare operazioni di avanscoperta (bisogna ricordare che i prezzi a cui è possibile acquistare le opere, in ragione della mancata presenza di intermediari, sono decisamente inferiori rispetto al comparto degli artisti emergenti).
La composizione di domanda e offerta
La domanda di opere d’arte di artisti che rimangono esclusi dal circuito delle gallerie risulta quindi essere asfittica, relegata in primis agli acquirenti di opere, sempre che non le si voglia considerare manufatti, di tipo “decorativo” (che facciano cioè pendant con le tende del salotto di casa o con il colore delle pareti di un ristorante), cui si somma uno sparuto gruppo di collezionisti che, con spirito pioneristico e incuranti del rischio, sicuri del proprio giudizio personale, dotati di una buona disponibilità finanziaria e di un certo bagaglio culturale, cercano di scovare la “vera avanguardia” (che purtroppo si è visto rappresentare solo una minima parte delle opere presenti sul Junk Market)[4]. Mentre per i primi l’opera d’arte costituisce integralmente un bene di consumo, mancando l’aspettativa di poterla successivamente rivendere con profitto, e il prezzo costituisce un indicatore fondamentale per la valutazione dell’acquisto, ciò non è vero invece per i collezionisti d’avanguardia. Per questi ultimi è rilevante piuttosto l’aspetto dell’investimento e le loro scelte si basano principalmente sulla selezione della qualità piuttosto che sulla convenienza economica. Essi sono dei veri e propri cacciatori di talenti (talent-scout): spesso riescono a scovare opere di loro gradimento visitando mostre organizzate direttamente dagli artisti o da organizzazioni no profit, oppure su segnalazione di qualche critico d’arte che conosce direttamente il lavoro dell’artista. Tra il collezionista e l’artista d’avanguardia si instaura in genere un rapporto di stima di tipo collaborativo, assumendo le sembianze di un vero e proprio mecenatismo in tempi moderni.
E’ interessante infine rilevare che, in virtù del fatto che i collezionisti non hanno in genere un rapporto continuativo con chi vende (come invece avviene nel caso delle gallerie), la costruzione di un legame di fiducia tra le controparti risulta essere meno determinante.
In relazione a queste considerazioni che forma avrà la curva di domanda del Junk Market?
La domanda di opere di tipo decorativo sarà influenzata negativamente dal prezzo[5], poiché viene ad instaurarsi un effetto convenienza[6], cioè la maggior appetibilità di beni che costano meno. Assumerà invece un’influenza marginale l’effetto qualità di Stiglitz[7], cioè l’importanza data al prezzo come fattore segnaletico della qualità (che come si vedrà risulta essere preponderante nel segmento degli artisti emergenti).
Per le opere d’avanguardia invece il prezzo di vendita non costituisce né tanto un fattore disincentivante (tenuto conto che in genere esso non comprende le commissioni di intermediazione ed è quindi mediamente più basso di quello applicato dalle gallerie) né un fattore segnaletico (i collezionisti di avanguardia hanno le idee ben chiare rispetto al genere di arte che gli interessa). La domanda di opere d’avanguardia, oltre ad essere di marginale importanza, risulta quindi essere maggiormente rigida.
Tuttavia questa diventa quasi nulla quando i prezzi assumono valori importanti, arrivando a raggiungere le quotazioni di base praticate dalle gallerie. Ciò è legato al fatto che, a causa di un elevato grado di rischio, non è conveniente investire somme rilevanti in questo mercato.
La domanda complessiva del settore, costituita dalla somma delle due componenti è rappresentata nelle figure 1 (breve periodo) e 2 (lungo periodo).
Per contro l’offerta di questo settore è svincolata nel breve periodo in gran parte da fattori economici. Quindi ne consegue che la produzione avviene spesso anche in perdita e che la curva di offerta, risultando quindi parzialmente insensibile al prezzo, divenga particolarmente rigida e spostata più a destra della curva dei costi marginali (vale a dire oltre il livello pareto-efficiente, si veda la figura 1)[8]. La produzione totale sarà di gran lunga superiore alla domanda e nel comparto si verificherà un grande accumulo di stock. Di questo, essendo la produzione artistica non finalizzata alla vendita nella maggioranza dei casi, solo una parte verrà messa sul mercato, e ulteriormente solo una piccola frazione di quest’ultima andrà venduta. La quasi interezza delle opere di artisti esclusi dal circuito delle gallerie nel tempo sarà quindi destinata a perdersi.
Nel lungo periodo invece, a causa dell’accumulo di stock, l’offerta sarà più spostata verso destra e risulterà più elastica che nel breve (figura 2), poiché gli artisti non si trovano nella condizione di avere vincoli di tempo per sviluppare la propria creatività (sebbene essi debbano sottostare alla necessità di trovare una forma continuativa di sostentamento, spesso decidendo di svolgere attività collaterali per finanziare la propria produzione artistica).
Per quanto riguarda il mercato Junk dell’art service, ovvero l’utilizzo di opere d’arte ai fini espositivi, se si esclude il pubblico interessato alle opere degli artisti di avanguardia, la domanda tende a coincidere con quella di art stock. In realtà in corrispondenza del limite superiore del comparto, cioè per quei pochi aspiranti artisti (d’avanguardia) che riescono a vendere a prezzi simili a quelli delle gallerie, viene a crearsi una divergenza tra le due variabili (si veda la figura 3).
Ciò è dovuto principalmente al fatto che, mentre, al salire delle quotazioni, questi artisti divengono poco appetibili per chi deve comprare, essi invece cominciano ad acquistare interesse per il pubblico. Il divario tra domanda di art stock e di art service, come meglio si vedrà, tende poi a ricucirsi parzialmente quando si passa al segmento degli artisti emergenti.
Anche l’offerta di art service è, se comparata agli altri settori del mercato, piuttosto limitata, sebbene vi siano diversi modi attraverso cui gli aspiranti artisti possono ottenere visibilità al di fuori delle mura domestiche: l’organizzazione eventi espositivi in gallerie negozio (cioè quelle gallerie che non svolgono la funzione di intermediari, pretendendo una percentuale sulle vendite, ma affittano il proprio spazio direttamente agli artisti); l’organizzazione di mostre sia in spazi istituzionali pubblici, sia di enti no-profit o autogestiti dagli artisti; la possibilità di utilizzare lo spazio pubblico come palcoscenico (esempio emblematico è quello della street-art); la partecipazione a premi (spesso con iscrizione a pagamento), che nel caso di selezione alla fase finale danno un diritto all’inserimento delle opere nel catalogo e alla presenza presso una collettiva dove vengono premiati i migliori lavori; la presenza sui diversi portali d’arte su Internet, visitati da un vasto pubblico costituito da altri giovani artisti, da critici e curatori alle prime armi e dai collezionisti d’avanguardia.
Tuttavia a questi artisti sono precluse le chiavi di ingresso per le porte principali nel sistema: se è raro che gli artisti non rappresentati dal circuito delle gallerie possano entrare a far parte di collezioni private importanti, è ancora più improbabile essi finiscano esposti in qualche museo.
Le caratteristiche del mercato
Il Junk Market quindi è un “mercato non mercato”, caratterizzato dall’impossibilità della formazione di un prezzo di equilibrio[9], dove pochi artisti riescono fortuitamente a trovare una controparte, mentre una gran parte di essi o non riesce a piazzare le proprie opere, o nemmeno ci prova. Ne consegue che in questo segmento il tasso di vacanza (ovvero le opere invendute sul totale) è molto alto, così come è praticamente nulla la sua liquidità.
Le prospettive degli artisti senza rappresentanza non sono tuttavia così nere. Bisogna rilevare che la diffusione di Internet e del web ha contribuito fortemente a far crescere il peso di questo comparto di mercato. Le nuove tecnologie da una parte infatti hanno creato l’occasione per gli artisti di avere nuove vetrine dove mostrarsi e farsi apprezzare (i propri siti web, i social network, i siti tematici di arte). Dall’altra, attraverso gli strumenti offerti dall’eCommerce e da alcune piattaforme specializzate, si è potuto far incontrare più facilmente domanda ed offerta, con la conseguenza di far diminuire notevolmente i costi di transazione del segmento. Inoltre la presenza di siti tematici d’arte e di social network in cui confrontarsi sul tema forniscono agli utenti del web nuovi strumenti di valutazione, permettendo ai collezionisti di acquisire una maggiore capacità critica che costituisce l’unica arma per fronteggiare il problema delle forti asimmetrie informative che connotano il questo mercato.
Nel Junk Market la domanda e l’offerta tendono ad essere legate al luogo di produzione, in quanto è raro sia che le opere d’arte siano trasportate in luoghi diversi, sia che un pubblico non autoctono entri in contatto con il lavoro di questi artisti. Ne consegue la assoluta località di questo genere di mercato. Lo sviluppo di Internet come canale di intermediazione globale ha tuttavia determinato la possibilità del comparto di assumere una dimensione più globale.
Gli artisti “Junk”, risultando al pubblico come veri e propri sconosciuti, non sono per nulla differenziati tra di loro e la loro firma non viene a costituire una riserva di valore. Il valore aggiunto di un’opera è quindi legato soltanto alle sue qualità intrinseche, a prescindere dal soggetto che l’ha prodotta. Ciò determina in primo luogo che l’opera d’arte può essere rivenduta, ma solo a patto che trovi qualcuno che ne apprezzi le caratteristiche estetiche e creative.
Al giorno d’oggi sostanzialmente per questo genere di opere esiste il solo mercato primario, in quanto, essendo gli autori sconosciuti, il grado di liquidità risulta quasi nullo.
L’introduzione delle nuove tecnologie informatiche e di piattaforme web dove scambiare beni usati (come ad esempio ebay.com), fa però presumere la possibilità dello sviluppo di un vero e proprio mercato secondario di questi lavori, che tuttavia sarà soltanto parzialmente in concorrenza con quello vero e proprio (per intendersi quello intermediato da mercanti d’arte e case d’aste), poiché l’anonimato (di fatto) dell’autore ne rende diversa la finalità: non tanto investimento, status symbol e collezionismo, ma piuttosto pura fruizione estetica.
Poiché gli artisti in questo mercato non hanno un nome (o meglio una “firma”), non possono esistere per essi delle quotazioni di riferimento[10]. Il meccanismo di fissazione dei prezzi delle opere risulta essere quindi fortemente aleatorio (come pure il relativo valore), e il prezzo di vendita sarà risultante da una vera e propria contrattazione tra artista e acquirente.
La distribuzione del surplus sul mercato, oltre a essere soggetta naturalmente all’inclinazione della curva di domanda e di offerta, verrà a dipendere quindi dal fatto che il meccanismo di contrattazione di fatto finisce per pattuire un prezzo finale pari appunto alla disponibilità di spesa del collezionista (sempre che essa abbia appunto una base di partenza superiore al prezzo di riserva di chi compra). Questa meccanismo di formazione del prezzo consente quindi all’offerta (cioè all’artista) di appropriarsi, secondo una discriminazione dei prezzi di primo grado, di gran parte del surplus della domanda (cioè del collezionista).
Il Junk Market risulta poi essere fortemente concorrenziale. Si consideri infatti che il prodotto non risulta essere fortemente differenziato e che non esistono barriere all’entrata (tenuto conto che i costi di produzione sono in genere bassi, che le idee creative e un minimo di tecnica artistica sono appannaggio di molti e che non è necessario alcuna licenza, concorso o titolo di studio per praticare l’attività di artista). Al riguardo è interessante notare che la concorrenza non avviene tanto sul prezzo, ma piuttosto sul fatto di trovare dei potenziali acquirenti che siano in grado di apprezzare la qualità artistica.
Si può quindi concludere che questo mercato offre ben poche possibilità di guadagno sia per gli artisti sia per i collezionisti. Gli artisti si trovano nella condizione di dover praticare prezzi notevolmente inferiori a quelli delle gallerie (pena il rivolgersi dei collezionisti a queste ultime per acquisti più sicuri), e di dover nello stesso tempo sostenere oltre alle spese di produzione anche quelle di promozione. Gli acquirenti d’altro canto si trovano anch’essi ad acquistare opere caratterizzate da un bassissimo, per non dire nullo, grado di liquidità e da un rischio molto elevato, legato al fatto di poter pagare un prezzo non conforme alla qualità dell’opera. A ciò si deve aggiungere che il meccanismo della contrattazione non gli garantisce alcuna partecipazione al surplus sul mercato.
La carriera degli artisti e le politiche economiche
Nella teoria della produzione precedentemente presentata[11] si è visto che gli artisti impiegano i diversi fattori produttivi (tra cui in primis la ricerca artistica e la promozione) al fine di creare un valore culturale delle opere, che l’antropologo francese Bourdieu definisce “capitale simbolico”[12]. Bourdieu analizza il caso delle avanguardie, artisti che, pur rappresentando una porzione numericamente marginale di coloro che non trovano spazio nel sistema, rivestono un vero e proprio ruolo sociale, cioè quello di spingere il mondo dell’arte e la società nel suo complesso verso forme più evolute. Lo studioso mette in evidenza che il capitale simbolico da essi creato spesso non trova una adeguata contropartita in denaro, ovvero non viene tramutato in “capitale economico”.
Si pensi ad esempio al caso di Vincent Van Gogh, che da vivo non trovò praticamente nessuno disposto a comprare le sue opere, mentre una volta scomparso il suo successo divenne planetario. Quello di Van Gogh rappresenta naturalmente un caso limite, ma in realtà la storia dell’arte è costellata da altri artisti che per secoli non hanno trovato un adeguato posto in relazione al loro valore, per non parlare degli innumerevoli altri artisti di talento che sono rimasti e tuttora sono dimenticati.
Nel caso delle avanguardie vengono quindi a crearsi sul mercato esternalità positive, cioè non viene loro riconosciuto economicamente il ruolo che esse hanno nel sistema (naturalmente ciò è sempre vero ai loro esordi, ma spesso anche nel prosieguo della loro carriera nel caso questa rimanga ancorata alle prime fasi di sviluppo). Urge quindi un intervento pubblico nel Junk Market a sostegno di questa categoria, in modo da premiare la qualità artistica.
In quest’ottica le politiche economiche e sociali in questo comparto devono andare nella direzione della meritocrazia più che assistere nel suo complesso la categoria degli artisti esclusi dal mercato, il cui valore aggiunto dal punto di vista artistico risulta in media molto basso. Allo stato attuale invece è possibile assistere spesso a misure di tipo assistenzialistico, come i sussidi o bonus fiscali concessi agli artisti del comparto in maniera indiscriminata (si ricordi ad esempio nel nostro paese le agevolazioni IVA per le vendite senza intermediazione[13]).
Il problema che gli artisti di avanguardia hanno agli inizi della loro carriera è che tendono ad essere più propensi ad investire le loro risorse nella ricerca artistica, trascurando invece quell’attività relazionale e promozionale che diventa un fattore strategico per entrare nel circuito delle gallerie, finendo per essere by-passati da artisti di mercato e sensazionalistici che invece hanno nella strategia di marketing il loro punto di forza[14].
Secondo quest’ottica politiche socio-economiche di stampo meritocratico possono ottenersi ottemperando diverse misure che vanno dall’istituzione di premi gratuiti che diano visibilità e ricompensino economicamente i migliori artisti senza rappresentanza; l’organizzazione di mostre tematiche in musei e istituzioni pubbliche che siano realmente aperte a tutti nella loro partecipazione (in questo caso la selezione va effettuata non sulla base di inviti da parte dei curatori, ma attraverso un vero e proprio concorso, la cui giuria deve risultare composita al fine di garantire l’imparzialità del processo selettivo); l’istituzione dell’obbligo per i musei e le maggiori istituzioni culturali pubbliche di impiegare una parte delle proprie risorse nell’acquisto di opere di artisti non riconosciuti da esporre periodicamente nelle proprie sedi (alla stregua delle quote rosa per la selezione dei candidati politici); la creazione di nuovi canali alternativi attraverso cui il pubblico possa fruire dell’arte di avanguardia (che vanno dalla creazione di portali artistici sul web, all’utilizzo di spazi pubblici per la diffusione del lavoro di giovani artisti); l’istituzione di centri di aggregazione e confronto per artisti apolidi; l’elargizione di borse di studio e residenze che premino gli artisti più originali.
Se si pensa poi che uno dei maggiori ostacoli allo sviluppo di questo comparto di mercato è costituito dalla presenza di asimmetrie informative, una possibile misura potrebbe essere quella di comprendere nel programma di storia dell’arte che viene insegnata nelle scuola dell’obbligo e alle superiori anche l’arte contemporanea fino al giorno d’oggi. Naturalmente per applicare tale misura bisognerebbe prevedere costanti corsi di aggiornamento per gli insegnati di storia dell’arte.
Infine un punto interessante della questione delle politiche economiche risiede nel cambiamento di alcune dinamiche di mercato che determinano un meccanismo di selezione avversa degli artisti, per cui le gallerie di scoperta, che fungono da gate-keeper nel sistema, preferiscono investire le loro risorse nei confronti di artisti dalle dubbie capacità artistiche, ma di facile vendibilità sul mercato, piuttosto che aprire le loro porte ad artisti di qualità. Di questa questione e più in generale del mercato degli artisti emergenti (Alternative Market) si parlerà nel prossimo articolo.
Note
[1] Cfr. Zorloni A. (2011), L’economia dell’arte contemporanea, Mercati, strategie e star system, Franco De Angeli, Milano.
[2] Sebbene la qualità artistica sia comunque un fattore soggettivo, legato ai gusti e alle conoscenze individuali, essa tuttavia trova pur sempre degli elementi oggettivi nella condivisione di misure di giudizio comuni. Per un’analisi delle asimmetrie informative cfr. Guenzi (2014), “Anomalie del mercato dell’arte contemporanea: le asimmetrie informative nel processo di contrattazione”, Economia e Diritto, n.10.
[3] Akerlof G. A. (1970), “The Market for ‘Lemons’: Quality Uncertainty and the Market Mechanism”, Quarterly Journal of Economics, Vol. 84, n.3, pp. 488-500.
[4] E’ interessante notare che la domanda istituzionale sul Junk Market è praticamente nulla.
[5] Oltre che dal prezzo la domanda i opere decorative è influenzata da altri fattori quali la configurazione del gusto in un determinato periodo storico, la numerosità degli acquirenti (quindi della popolazione), il livello di reddito pro-capite, il grado di istruzione medio e la dimensione media delle abitazioni.
[6] Nella teoria microeconomica classica l’effetto convenienza viene scomposto effetto reddito ed effetto sostituzione. Cfr. Varian H. R. (2007), Microeconomia, Cafoscarina, Venezia.
[7] Stiglitz J. (1987), “The causes and consequences of the dependence of quality on price”, Journal of Economic Literature, Vol. 25, n. 1 , pp. 1-48.
[8] Inoltre l’elasticità della curva di offerta dipende dalla composizione anagrafica degli artisti (e quindi dallo stadio assunto dalle opere nel ciclo di vita del prodotto). I giovani artisti infatti hanno una curva di offerta più elastica, avendo prodotto poco in passato, mentre essa risulta essere mediamente più rigida per quegli artisti di una certa età che non hanno trovato sbocchi sul mercato e hanno accumulato un notevole stock di opere invendute.
[9] Situazione che alcuni economisti definiscono “fallimento del mercato”.
[10] Si rileva a proposito che la mancata importanza della firma dell’artista determina un’assenza del fenomeno dei falsi nel segmento, che invece caratterizza i mercati dove la riconoscibilità dell’artista è la determinante per la quotazione di un’opera. Al contrario su questo mercato (soprattutto per quanto riguarda le opere d’avanguardia) sussiste il rischio del plagio, poiché gli artisti risultano avere pochi mezzi per difendere la loro proprietà intellettuale (soprattutto nei confronti dei loro colleghi più affermati).
[11] Guenzi (2015), “La teoria della produzione del valore artistico”, Economia e Diritto, n. 15-16.
[12] Bourdieu P. (1996), The Rules of Art, Stanfort University Press, Stanfort, e Bourdieu P. (1993), The Field of Cultural Production. Essay on Art and Literature, Polity Press, Cambridge.
[13] Nel nostro ordinamento è infatti previsto che gli artisti che vendano un’opera direttamente ad un collezionista siano soggetti ad un’IVA ridotta del 10%, mentre le vendite delle gallerie devono scontare un’imposta del valore aggiunto pari all’aliquota normale del 22%. Cfr. Pirrelli M., Barrilà S. (2011), “Dove conviene comprare? Confronto del tax rate in 20 paesi del mondo”, in ArtEconomy24, Plus24, supplemento de “Il Sole 24Ore” del 29 gennaio 2011 e Rossi E. (2014), “Le tasse nel mondo”, Il giornale dell’arte, n. 342, maggio 2014.
[14] Cfr. Guenzi (2015), Op. Cit..