Il segmento artisti affermati (Avanguarde Market) – terza parte
(di Marco Guenzi)
In questo articolo si intende continuare la disamina dell’Avanguarde Market, trattando di quegli artisti che hanno conquistato, più o meno con merito, una certa rilevanza all’interno del sistema, così da avere l’opportunità di partecipare a importanti eventi espositivi e una certa appetibilità commerciale. Più in particolare si analizzeranno gli aspetti della dimensione geografica e della composizione della domanda e dell’offerta, evidenziando quelle che sono le peculiarità di questo segmento rispetto a quelli presi in esame in precedenza.
La dimensione geografica del mercato
La dimensione del mercato Avanguarde in termini geografici è più estesa rispetto a quelli Alternative e Junk. Gli artisti che vi operano, infatti, sono maggiormente riconosciuti e quindi possono essere commercializzati anche su mercati diversi da quello di appartenenza.
Se negli ultimi decenni si è assistito ad una tendenza generale verso l’apertura dei mercati, diversi sono stati i fattori che hanno contribuito a questo fenomeno: si visto sviluppare nel sistema dell’arte una globalizzazione del gusto e contaminazione delle diverse culture facenti capo al pensiero post-modernista, che ha portato ad una omogeneizzazione dei contenuti artistici; si è assistito alla crescita di nuove economie, con conseguente spostamento del baricentro del sistema dell’arte verso i nascenti poli; si è potuto constatare un forte sviluppo delle fiere d’arte contemporanea e delle collaborazioni tra gallerie a livello internazionale; si è stati testimoni nella nostra sfera quotidiana dell’affermazione di nuovi modelli comportamentali e comunicativi legati all’introduzione di Internet, del World Wide Web e dei social Network, che hanno determinato la nascita nuovi strumenti commerciali applicabili anche all’arte.
Tali fattori tuttavia hanno avuto un impatto diverso sull’Avanguarde Market rispetto a quello Alternative, in primis in ragione del fatto che le opere d’arte di questo segmento hanno un valore commerciale più alto e quindi maggiori margini di profitto. Maggiori utili significano infatti per le gallerie tradizionali la possibilità di sostenere maggiori costi per un’attività promozionale oltre-confine, grazie anche al consolidamento di partnership con altre gallerie tradizionali straniere e la partecipazione alle grandi fiere internazionali (spesso condividendo con queste ultime gli stand e i notevoli costi da sostenere).
E’ interessante notare che le collaborazioni internazionali tra gallerie possono prevedere uno scambio di artisti, per cui si arriva ad una rappresentanza comune, in diversi ambiti geografici: in questo caso, in cambio di una percentuale sulle vendite, la galleria di appartenenza cede il diritto di commercializzare le opere dell’artista alla galleria straniera. Tuttavia spesso si riscontra sul mercato Avanguarde il caso in cui è l’artista stesso, in ragione del suo maggior potere contrattuale, che tiene i contatti con le gallerie con cui collaborare all’estero. Nella fattispecie si viene a creare un rapporto di rappresentanza multipla, per cui l’artista non viene più a dipendere unicamente dalla galleria di appartenenza, ma contratta personalmente le condizioni con altri galleristi. Non si riscontra più, quindi, un rapporto subalterno tra gallerie, ma queste ultime sono tutte sullo stesso livello nella loro attività di commercializzazione dell’artista.
Questo fatto, e cioè che non ci sia una sola galleria che difende in maniera primaria gli interessi dell’artista, se da una parte gli consente maggiori profitti e libertà di manovra, dall’altra comporta per lui un potenziale rischio di free riding, ovvero che le diverse gallerie siano meno incentivate a spendere in attività promozionale, facendo affidamento sull’operato degli altri galleristi che lo sostengono.
Tra i diversi strumenti che si possono adottare per promuovere una strategia di internazionalizzazione è possibile anche riscontrare l’utilizzo della rete. Si noti a proposito che le gallerie tradizionali tendono a non utilizzarla come strumento commerciale (cioè operando transazioni on-line), sia per motivi pratici (Internet non consente di costruire relazioni forti con il collezionista), sia per ragioni di immagine (Internet è un mezzo per niente esclusivo), sia per praticità (le opere d’arte di un certo valore vanno in genere prima apprezzate dal vivo) e di sicurezza (paghereste più di centomila dollari in una transazione on-line?). Ciò non significa tuttavia che esse non si avvalgano delle possibilità offerte dalle nuove tecnologie. Sotto questo aspetto Internet rappresenta un mezzo molto pratico dal punto di vista promozionale, con cui far conoscere il conoscere il lavoro dei propri artisti. Strumenti come l’invio di newsletter, la creazione di eventi sui social network, la presentazione delle proprie iniziative sui maggiori portali d’arte, rappresentano solo alcuni dei diversi strumenti di comunicazione di cui le gallerie tradizionali fanno regolarmente uso nella loro attività di web marketing.
Composizione della domanda e dell’offerta
La struttura del mercato Avanguarde presenta delle peculiarità di grande interesse, sia dal punto di vista della composizione della domanda, che da quello dell’offerta.
Dal punto di vista della domanda è possibile constatare che essa non è più tanto legata a un collezionismo d’avanguardia, retto dalla motivazione di affermare il proprio gusto da intenditore e quindi di fungere da scopritore di talenti, quanto invece fa capo a un collezionismo d’investimento e status, in cui viene ad assumere un rilievo assoluto la prospettiva sia di un profitto in termini economici, sia di un ritorno di immagine. Accanto a queste finalità inoltre è possibile a volte riscontrare quella segnaletica: se un professionista (o un’azienda) ha un’opera riconoscibile nei propri uffici, ciò fa presumere che egli (essa) sia di successo e quindi che abbia notevoli capacità in termini professionali e di conseguenza sia capace di offrire un servizio migliore della concorrenza[1].
La domanda dei collezionisti quindi tende a concentrarsi sui nomi che essi ritengono più sicuri, che vendono a prezzi medio/alti, nella prospettiva (ma si vedrà purtroppo che spesso non è così) di vedere crescere ulteriormente le loro quotazioni. Questo meccanismo determina l’instaurarsi di veri e propri circoli viziosi di aspettative che si auto-avverano, che portano alla concentrazione delle attenzioni degli operatori su un ristretto numero di fortunati eletti, portandoli immediatamente alla ribalta al di là di quelli che sono i loro effettivi meriti artistici[2].
Ma secondo quale criterio vengono scelti gli artisti “sicuri”? Si può dire a questo proposito che il mercato “di per sé” tende a non premiare tanto la qualità artistica (sebbene questa costituisca una conditio sine qua non per l’affermazione sul lungo periodo), quanto invece la capacità iniziale dell’artista (e della galleria che lo sostiene) di convogliare su di sé informazioni sufficienti per orientare le scelte del “collezionista medio”, che si trova nella condizione di avere poco tempo, conoscenze e contatti per ricercare prodotti più di nicchia.
Nel mercato dell’arte, una realtà complessa e a volte oscura dove è difficile orientarsi, la chiave di volta per il successo (almeno inizialmente) è quindi costituita dalla capacità di far puntare i riflettori sul proprio lavoro, in modo da abbattere le forti asimmetrie informative. Da questo punto di vista può essere di grande aiuto un prodotto facilmente riconoscibile e commerciabile (è l’artista che fa o che ha fatto..) più ancora che un effettivo riconoscimento da parte degli esponenti della cultura[3].
Tutto ciò ha un profondo riflesso anche sulla conformazione della curva di domanda: nel comparto degli artisti affermati, in ragione del fatto che il prodotto è maggiormente conosciuto e quindi risultano più basse le asimmetrie informative, diviene marginale l’effetto qualità di Stiglitz[4], mentre, considerando che le opere sono più costose, acquista maggiore rilevanza il vincolo di bilancio di fronte al quale si trova il collezionista. Ne consegue che la curva di domanda assume nel comparto una conformazione “classica” con pendenza negativa[5].
Ma vi è un’altra importante conseguenza del maggior costo delle loro opere, nonché di una loro maggior notorietà. Questi fattori determinano infatti che nel settore Avanguarde, al contrario di quanto avviene nei segmenti sottostanti (quelli degli aspiranti artisti e degli artisti emergenti), vi sia parte del pubblico che intenda apprezzare le opere d’arte senza doverle per forza possedere. In altri termini, la domanda di servizi espositivi (art-service) non coincide più unicamente con quella di acquisto (art-stock) (si veda la figura 1).
Si viene quindi a creare una domanda espositiva autonoma, che si traduce in una parallela offerta da parte dei musei, delle biennali e delle fondazioni di arte contemporanea. La componente istituzionale comincia così a costituire parte della domanda complessiva di art-stock, influenzando anch’essa il mercato.
Ma l’influenza della componente istituzionale della domanda non è rilegata al solo fatto di condizionare le dinamiche del mercato dal suo interno. Essa assume una valenza ancora maggiore in quanto risulta essere il presupposto per quell’offerta culturale che, frutto delle decisioni dei direttori dei musei pubblici e privati (purtroppo spesso in combutta con altri pezzi grossi del sistema), tende a plasmare dall’alto il gusto del pubblico. In altre parole il fatto che un museo compri un’opera, oltre a condizionare direttamente il mercato, comporta che questa sarà successivamente esposta e quindi l’artista ne possa trarre un vantaggio in termini di notorietà.
Si può quindi affermare che la domanda istituzionale (o meglio l’offerta culturale) dovrebbe assumere una funzione essenziale di riequilibrio all’interno del sistema dell’arte: essa dovrebbe fungere da contraltare alle logiche puramente speculative del mercato, che, come si è visto, tendono a premiare solo pochi “fortunati” (o meglio abili) eletti, riportando la luce su quegli artisti meritevoli oscurati dalle dinamiche perverse del commercio.
Il panorama di questo segmento risulta essere più composito e complicato anche dal punto di vista dell’offerta. Infatti nel settore degli artisti affermati, dove si presume l’artista sia ancora vivente, viene a crearsi una concorrenza tra opere appena prodotte (o rimaste invendute) messe in vendita sul mercato primario attraverso il circuito delle gallerie e opere già vendute a collezionisti, mercanti d’arte o investitori istituzionali e da questi messe in vendita sia tramite trattativa privata che per mezzo del circuito delle case d’aste.
A tal fine va fatta una distinzione nel mercato tra offerta potenziale e offerta effettiva. L’offerta potenziale si è visto essere il numero di opere di un determinato artista prodotte e in circolazione. L’offerta effettiva consiste invece nelle sole opere poste in vendita sul mercato in un determinato momento. Quando si riscontra una discrasia tra le due componenti si può parlare di tasso di vacanza, che riflette l’offerta effettiva diviso quella potenziale.
Come si avrà modo di vedere meglio in seguito, come ad esempio avviene sul mercato del lavoro, laddove ci si trovi in una condizione di inefficienza informativa del mercato e siano presenti forti costi di transazione, viene a crearsi un cosiddetto tasso di vacanza frizionale, che diviene una componente strutturale del meccanismo di aggiustamento del mercato.
Ci interessi per il momento riscontrare che, mentre nei segmenti sottostanti, essendo stato piazzato sul mercato un numero esiguo di opere sul totale di quelle prodotte, il rapporto tra offerta effettiva e offerta potenziale (cioè il tasso di vacanza) era particolarmente alto (tendente ad uno), nel settore Avanguarde tale rapporto si riduce notevolmente.
Ciò avviene per due principali motivi: da una parte una frazione delle opere prodotte è stata venduta (si ricordi al riguardo che gli artisti per riuscire ad approdare a questo settore devono prima aver saturato il quello Alternative); dall’altra gli artisti non vogliono più mettere un gran quantitativo di nuove e vecchie opere in vendita, perché sanno che ora un aumento dell’offerta si riflette negativamente (e non più positivamente) sul livello delle quotazioni. L’offerta quindi deve seguire il proprio corso, in base all’interesse dimostrato dalla domanda, ovvero dai collezionisti privati, dai mercanti d’arte, dagli investitori istituzionali e dai musei.
Non solo: l’offerta da parte degli artisti deve tenere conto anche delle opere vendute in precedenza che potrebbero essere messe sul mercato. Da questo punto di vista è bene che le loro quotazioni crescano in maniera graduale e costante: il fatto che crescano troppo o al contrario possano addirittura scendere potrebbe invogliare collezionisti, mercanti d’arte e investitori istituzionali a vendere le opere in portafoglio[6].
Gli artisti (o meglio le gallerie che operano le scelte commerciali per loro conto) devono quindi scegliere con attenzione quante opere mettere sul mercato. Inoltre essi devono anche scegliere quali opere e a chi, in quanto risulta di fondamentale importanza che le opere di una certa qualità finiscano nelle mani di qualcuno (i musei per esempio) che le metta pubblicamente in mostra.
Le politiche dell’offerta quindi risultano essere molto complesse e dipendono da molteplici fattori:
dal numero di contendenti sul mercato, dal loro peso in termini di quota di mercato, dal ruolo che essi giocano e dalla loro credibilità all’interno del sistema, dalla strategia di commercializzazione e dal meccanismo di determinazione dei prezzi. Si andranno ad analizzare questi aspetti del segmento Avanguarde a partire dal prossimo articolo.
Note
[1] Cfr. Spence M.(1973), “Job Market Signaling”, Quarterly Journal of Economics, The MIT Press, Vol. 87 No. 3 pp. 355–374.
[2] Adler (1985), “Stardom and Talent”, American Economic Review, Vol. 75, pp. 208-212.
[3] Senza fare nomi e cognomi è abbastanza comune ritrovare nella ristretta cerchia di coloro che si sono affermati esempi di artisti apertamente disdegnati dalla critica, ma che trovano forte consenso tra il pubblico e i collezionisti proprio grazie alla riconoscibilità e semplicità del proprio linguaggio espressivo.
[4] Stiglitz J. (1987), “The causes and consequences of the dependence of quality on price”, Journal of Economic Literature, Vol. 25, N. 1 , pp. 1-48.
[5] La domanda di arte contemporanea in questo segmento è calcolabile in relazione alle disponibilità finanziarie della popolazione (cioè al numero di HNWI e VHNWI, high e very high net worth individuals), che a loro volta dipendono da variabili quali la numerosità della popolazione, il reddito pro-capite e la distribuzione della ricchezza.
[6] In realtà i collezionisti possono decidere di vendere un’opera per motivi diversi dal fare cassa in ottica di operare nuovi investimenti. Essi a volte vendono perché non ritengono più loro di gradimento un’opera, in corrispondenza quindi di un cambiamento del gusto. In altri casi l’offerta sul mercato secondario fa capo ad avvenimenti non prevedibili, come ad esempio quando incorrono le tre “D”: death, divorce e debt, cioè in caso di successione, divisione dei beni e di liquidazione fallimentare. Per i mercanti d’arte e gli investitori istituzionali invece le alienazioni di opere d’arte seguono un’ottica prettamente speculativa.