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dichiarazione infedele

(di Giulia Piva)

In data 7 ottobre 2015, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il D. Lgs. 24 settembre 2015 n. 158 – che ha profondamente modificato la disciplina dei reati e degli illeciti tributari, attraverso l’introduzione di importanti novità – principalmente – in materia di cause di esclusione della punibilità e di circostanze aggravanti.

In un’ottica di favor rei, la riforma fiscale ha, infatti, modificato le soglie di non punibilità previste per i reati di cui all’art. 10-bis e 10-ter del D. Lgs. n. 74/2000, elevandole – rispettivamente – a 150.000 Euro ed a 250.000 Euro e riducendo così, notevolmente, l’area del penalmente rilevante. Per quanto riguarda il diverso reato di cui all’art. 10-quater del D. Lgs. n. 74/2000, la riforma che qui ci occupa non ha, invece, apportato alcuna modifica alla soglie di non punibilità ivi previste (che pertanto restano pari ad Euro 50.000), bensì ha rivisitato il relativo impianto sanzionatorio, differenziandolo a seconda che l’indebita compensazione si riferisca a crediti non spettanti (per i quali rimane invariata la pena prevista) – ovvero – a crediti inesistenti (per i quali è, invece, intervenuto un inasprimento della pena edittale – elevata ad 1 anno e 6 mesi nel minimo ed a 6 anni nel massimo).

Ai sensi della riforma fiscale, il beneficio delle più alte soglie di non punibilità è applicato anche ai contribuenti che – in passato – avevano un debito per omesso versamento IVA e/o per omesso versamento delle ritenute dovute o certificate per somme inferiori alle nuove soglie – con la conseguenza che il novellato regime si applicherà anche ai contribuenti con un procedimento penale tuttora in corso.

Il nuovo decreto ha, inoltre, introdotto – all’art. 13 del D. Lgs. n. 74/2000 – una specifica causa di non punibilità per i reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1, del medesimo decreto, consistente nell’estinzione del debito tributario laddove, antecedentemente alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, sia intervenuto il pagamento integrale – anche in relazione alle sanzioni ed agli interessi – delle somme dovute.                                         Sempre ai fini della concessione dell’istituto premiale di cui al predetto art. 13, la riforma fiscale ha previsto la possibilità della rateazione del debito tributario da parte del contribuente, a condizione che – al massimo entro 6 mesi dalla dichiarazione di apertura del dibattimento (è, infatti, prevista una tolleranza di 3 mesi e una proroga di ulteriori 3 mesi – quest’ultima concessa a discrezione del Giudice) – sia intervenuto il pagamento integrale delle somme dovute.

All’indomani dell’intervenuta riforma fiscale, restano pertanto esclusi dall’ambito di punibilità – in relazione ai reati di cui agli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater, comma 1 – i debiti tributari per somme inferiori alle nuove ed elevate soglie, nonché i debiti – anche extra soglia – estinti integralmente (compresi pertanto gli interessi e le sanzioni) entro la dichiarazione di apertura del dibattimento – ovvero – entro 6 mesi al massimo dalla prima udienza dibattimentale, in caso di pagamento rateizzato. Alla luce di quanto sopra esposto, ne consegue l’esclusione dall’ambito applicativo della non punibilità delle indebite compensazioni aventi ad oggetto i crediti inesistenti – per i quali restano in vigore le ordinarie procedure, anche in caso di pagamento integrale delle somme dovute.

La causa di non punibilità introdotta all’art. 13 del D. Lgs. n. 74/2000 opera – altresì –  per i reati di dichiarazione infedele e di omessa dichiarazione di cui agli artt. 4 e 5 del medesimo decreto, qualora l’estinzione del debito tributario (attraverso il ravvedimento operoso o la presentazione della dichiarazione) sia intervenuta ex ante – e pertanto volontariamente – rispetto alla conoscenza da parte dell’autore del reato di un accertamento amministrativo e/o di un procedimento penale a proprio carico.

Un’ulteriore novità è conseguita dall’introduzione, sempre all’interno del D. Lgs. n. 74/2000, dell’art. 13 bis – che ha previsto, in via residuale, la possibilità per gli autori del reato di usufruire della diminuzione della pena sino alla metà laddove – fuori dalle ipotesi di esclusione della punibilità di cui sopra – sia intervenuto il pagamento integrale del debito tributario. Il decreto n. 158 del 2015 ha, pertanto, profondamente revisionato il sistema sanzionatorio – sia penale che amministrativo – dei reati e degli illeciti tributari, comportando l’operatività delle sole sanzioni amministrative per la restante – ed ampia – “gamma” di condotte illecite. Tuttavia, se prima facie l’intervenuto decreto legislativo n. 158/2015 sembrava aver introdotto una disciplina totalmente permeata dal principio di favor rei, dall’altra parte – invero – è opportuno evidenziare anche gli elementi di severità che sono stati introdotti in riferimento ad alcune fattispecie delittuose e volti ad un più efficace contrasto all’evasione ed alle frodi fiscali. Al riguardo, lo stesso nuovo art. 13 bis ha introdotto una specifica circostanza aggravante – che ha determinato l’inasprimento, sino alla metà, delle pene previste per i delitti di cui al Titolo II del D. Lgs. n. 74/2000 – per il correo che, nell’esercizio dell’attività di intermediazione fiscale, abbia operato attraverso l’elaborazione di modelli seriali di evasione fiscale.

Tale normativa ha, tuttavia, comportato risvolti critici da un punto di vista ermeneutico, considerata l’assenza di una specifica ed uniforme interpretazione in merito all’esatto significato di tali elaborazioni.

Non solo.

Il nuovo D. Lgs. n. 158 del settembre 2015 ha, altresì, elevato le pene previste per il reato di occultamento o distruzione delle scritture contabili, modificando la pena massima da 5 a 6 anni di reclusione. Tale variazione ha comportato – inevitabilmente – l’assoggettamento dell’art. 10 del D. Lgs. n. 74/2000 alla disciplina delle intercettazioni – esperibili, infatti, per i reati punibili nel massimo con una pena di 5 anni di reclusione.    Identico discorso deve essere svolto in relazione alle compensazioni di crediti inesistenti superiori ad Euro 50.000, per i quali – contrariamente alla diversa condotta di utilizzo di crediti non spettanti – la pena massima edittale è stata innalzata ad anni 6 di reclusione. Per tale ultima fattispecie delittuosa è, altresì, consentita l’applicazione della custodia cautelare in carcere -irrogabile, ai sensi dell’art. 280 C.p.p., per i soli reati puniti nel massimo con una pena non inferiore ad anni 5 di reclusione – fermo restando il rispetto delle ulteriori e necessarie condizioni di cui al codice di rito penale in vigore.

In ultima analisi, l’inasprimento sanzionatorio previsto per il diverso reato di omessa dichiarazione (la cui pena massima è stata elevata ad anni 4 di reclusione), nonché l’introduzione della nuova condotta criminosa di omessa presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta – ai sensi del nuovo comma 1 bis dell’art. 5 del D. Lgs. n. 74/2000 – ha implicato l’inevitabile possibilità, anche per tali reati, dell’applicazione delle misure coercitive differenti dalla custodia in carcere – sempre nel rispetto degli ulteriori presupposti previsti in merito. Molte altre sono, tuttavia, le novità introdotte dalla riforma fiscale – alcune sempre volte all’introduzione di una normativa più favorevole al reo ed altre maggiormente repressive e deterrenti.  Pertanto, l’intervenuta riforma fiscale sembra aver operato su un “doppio binario” caratterizzato, in primo luogo, dalla volontà di snellire e razionalizzare – attraverso la depenalizzazione delle condotte e/o la concessione di istituti premiali – la procedura di riscossione delle somme dovute all’erario dall’autore dell’illecito, anche in un’ottica di collaborazione e benevolenza nei confronti del contribuente in reali difficoltà economiche.

Dall’altra parte il decreto che qui ci occupa ha invece inteso perseguire in modo più concreto ed attuale gli illeciti ed i reati tributari connotati da un maggior grado di offensività – attraverso l’introduzione, sotto il profilo penale, di sanzioni più severe nonché di circostanze aggravanti e nuove fattispecie delittuose. In conclusione, il comune denominatore sotteso al nuovo intervento normativo non è stato unicamente quello volto a ridimensionare l’ambito di punibilità degli illeciti tributari, bensì anche quello di differenziare nettamente le condotte penalmente rilevanti – e pertanto meritevoli di essere perseguite tramite procedimenti e sanzioni penali – da quelle ritenute “bagatellari”, per le quali si è ritenuta sufficientemente adeguata la minaccia di una sanzione amministrativa – il tutto sempre in un’ottica di concreta ed efficace lotta all’evasione e alle frodi fiscali.

(di Federico Tosone)

In data 17 settembre 2011 è entrato in vigore il D.L. 138/2011 (convertito in legge n. 148/2011) che ha abbassato la soglia di punibilità ad Euro 50.000,00 per il reato di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 D. L.gs. 74/2000, ed ad Euro 30.000,00 per il reato di omessa dichiarazione di cui all’art 5 D. Lgs. 74/2000.

Prima della suddetta novella legislativa, la precedente versione delle citate norme (per l’omessa e infedele dichiarazione) escludeva la punibilità se l’imposta evasa non fosse stata superiore ad Euro 77.468,53 per ciò che concerne l’omessa dichiarazione (art.5) e ad Euro 103.291,38 con riferimento alla dichiarazione infedele (art. 4).

Pertanto, con l’entrata in vigore del decreto legge 138/2011, il legislatore ha introdotto un trattamento sanzionatorio più pregnante per le omesse o infedeli dichiarazioni fiscali avendo abbassato le soglie di punibilità sopra descritte.

Da ciò ne consegue che per i reati tributari commessi prima delle entrata in vigore del suddetto decreto legge – 17 settembre 2011 – i contribuenti che si sono resi agenti delle menzionate ipotesi delittuose (omessa o infedele dichiarazione) potranno beneficiare del trattamento sanzionatorio più mite previsto dalla precedente versione degli artt. 4-5 D. Lgs. 74/2000, in osservanza del principio dell’irretroattività della legge penale sfavorevole di cui all’art. 25, II comma, Cost.

Ciò premesso, la lettura comparata dell’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000 (omesso versamento I.V.A.) con la precedente versione degli artt. 4-5 D. Lgs. 74/2000 – relativamente a fatti commessi prima dell’entrata in vigore del D.L. 138/2011, ovvero, 17 settembre 2011 – ha fatto sorgere dubbi di legittimità costituzionale sollevati in diversi procedimenti penali.

Infatti, a scioglimento della riserva assunta all’udienza del 26 febbraio 2013, il Tribunale di Bologna con Ordinanza del 13 giugno 2013 ha dichiarato la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale per l’asserita violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. con riferimento all’art. 10-ter D.lgs. 74/2000, nella parte in cui quest’ultimo punisce l’omesso versamento I.V.A. per importi – regolarmente dichiarati – superiori, per ciascun periodo di imposta, ad Euro 50.000,00 ma inferiori ad Euro 77.468,53 soglia di punibilità prevista per il diverso reato di omessa dichiarazione, di cui all’art. 5 D. Lgs. 74/2000.

Alla medesima conclusione di non manifesta infondatezza sono giunti i giudici del Tribunale di Bergamo, i quali con Ordinanza del 17 settembre 2013 hanno sottolineato i dubbi di incostituzionalità dell’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000, nel caso in cui l’importo non versato avesse superato Euro 103.291,00, ossia la soglia di punibilità precedentemente prevista per la dichiarazione infedele ai sensi dell’art. 4 D. Lgs. 74/2000 per la presunta violazione dell’art. 3 Cost.

Di talché, l’applicazione di soglie di punibilità più elevate per l’omessa o infedele dichiarazione (nella precedente versione e rispettivamente di Euro 77.468,53 ed Euro 103.291,38) rispetto al reato di omesso versamento I.V.A. (la cui soglia è pari ad Euro 50.000) è l’oggetto della questione di legittimità costituzionale per l’asserita violazione dell’art. 3 Cost. sollevata nei procedimenti penali pendenti avanti i Tribunali di Bergamo e Bologna e ritenuta da quest’ultimi non manifestamente infondata.

Infatti, al centro del dubbio interpretativo di rilevanza costituzionale vi è la presunta disparità di trattamento tra il contribuente che, con riferimento ai fatti commessi fino al 17 settembre 2011, pur essendo tenuto a dichiarare e versare un I.V.A. per un importo superiore ad Euro 50.000 ma inferiore a 77.468,53, non abbia presentato la relativa dichiarazione annuale, ed il contribuente che, pur non versando l’imposta indiretta in esame per un importo parimenti compreso tra le due soglie di cui sopra, abbia invece regolarmente presentato la relativa dichiarazione annuale.

Sicchè, limitatamente ai fatti commessi entro il 17 settembre 2011, le ipotesi suddette porterebbero all’irragionevole corollario per cui, il primo caso sarebbe irrilevante sotto il profilo penale posto il mancato superamento della soglia di punibilità (Euro 77.4689,53), mentre la seconda ipotesi sarebbe punibile, con l’irragionevole effetto di premiare il contribuente che, relativamente ad un’imposta rientrante nella forbice delle differenti soglie di punibilità, non dichiari e conseguentemente non versi l’imposta dovuta. Mentre il contribuente che dichiari per poi omettere il versamento della relativa imposta, sarebbe punibile ai sensi dell’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000.

Ciò detto, nulla quaestio sull’evidente disparità di trattamento derivante dal precedente assetto normativo, si pongono tuttavia dei dubbi sull’effettiva violazione del principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost. che ha concesso ai giudici costituzionali di eliminare dall’ordinamento norme ingiustificatamente discriminatorie che prevedevano un trattamento diverso per situazioni uguali o omogenee e – per converso – situazioni differenti sottoposte ad una disciplina uniforme

La Corte tuttavia, pur avendo fatto larga applicazione del principio sino ad estendere il proprio sindacato all’intrinseca ragionevolezza delle scelte legislative anche indipendentemente dalla comparazione di singole norme, ha ribadito in molteplici occasioni che nel giudizio di legittimità costituzionale con riferimento all’art. 3 Cost. non può essere sindacata la disciplina generale ma quella ingiustificatamente derogatoria, in quanto la funzione della Corte è diretta al riequilibrio del sistema normativo mediante una disciplina eguale per tutti perseguibile mediante la caducazione ex-post di deroghe non supportate da una ragionevole esigenza di politica legislativa.

Alla luce di quanto sopra esposto, è lecito dubitare che la disparità di trattamento sopra descritta violi effettivamente il principio di uguaglianza, secondo i parametri esegetici forniti dalla Corte medesima, o se, per converso, sia un altro esempio di una scelta legislativa che, pur miope, rientri pacificamente nella discrezionalità politica del legislatore non sindacabile in sede di giudizio costituzionale.

Ne discende uno concreto spunto di riflessione sul generale atteggiamento refrattario del legislatore ad una tecnica di produzione legislativa che si adegui alle esigenze puntuali e contingenti di una realtà socio-economica e civile globale ed iper-dinamica, ma senza compromettere le esigenze sistematiche che faciliterebbero non solo i giuristi ma soprattutto i destinatari, nella fattispecie i contribuenti, con maggiori possibilità di deterrenza all’evasione/elusione fiscale realizzando così il principio di uguaglianza ai sensi dell’art. 3 Cost. e quello della capacità contributiva di cui all’art. 53 Cost.  Basti, a tal riguardo, rimembrare le varie questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 10-ter D. Lgs. 74/2000 al momento della sue entrata in vigore con il D.L. 223/2006 per la presunta violazione degli artt. 3 e 25, II comma, Cost. .

Stretta della Corte di cassazione sugli imprenditori che trasferiscono nei paradisi fiscali le loro società per pagare meno tasse in Italia. La sentenza n. 7739 della Terza sezione penale depositata ieri ha annullato il non luogo a procedere deciso dal Gup di Milano nell’aprile 2011 nei confronti degli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana e altri imputati e affermato che quando le alchimie societarie «si concretizzano nell’infedeltà dichiarativa, il comportamento elusivo non può essere considerato tout-court penalmente irrilevante», anche quando manca, come in effetti manca nel nostro ordinamento, una espressa previsione penale che sanziona l’abuso del diritto.

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