Giurisprudenza

L’elusione fiscale diventa un reato: sanzioni penali per chi sceglie i paradisi fiscali

Stretta della Corte di cassazione sugli imprenditori che trasferiscono nei paradisi fiscali le loro società per pagare meno tasse in Italia. La sentenza n. 7739 della Terza sezione penale depositata ieri ha annullato il non luogo a procedere deciso dal Gup di Milano nell’aprile 2011 nei confronti degli stilisti Domenico Dolce e Stefano Gabbana e altri imputati e affermato che quando le alchimie societarie «si concretizzano nell’infedeltà dichiarativa, il comportamento elusivo non può essere considerato tout-court penalmente irrilevante», anche quando manca, come in effetti manca nel nostro ordinamento, una espressa previsione penale che sanziona l’abuso del diritto.

I giudici, dopo un’attenta ricognizione della giurisprudenza in materia, dalla quale emerge una difformità di orientamenti sulla rilevanza penale delle condotte elusive, scelgono la strada di una maggiore severità cui approdano al termine di un complesso ragionamento che ricorda come i reati ipotizzabili nel caso di condotte elusive, il cui rischio dovrebbe essere comunque escluso dalla possibilità per il contribuente di presentare un interpello preventivo all’amministrazione finanziaria, sono soprattutto quelli di omessa dichiarazione e di dichiarazione infedele.

Reati che trovano una loro collocazione adeguata in questo contesto se solo si tiene conto, ricorda la sentenza, della linea di politica criminale adottata dal legislatore in occasione della riforma del penale tributario del 2000. A essere abbandonato è stato il modello del «reato prodromico», con una linea di intervento repressivo attestata sulla fase di preparazione dell’evasione, per concentrare l’azione punitiva sulla dichiarazione annuale come atto che realizza da parte del contribuente il presupposto oggettivo dell’evasione. «Pertanto – osservano i giudici – se le fattispecie criminose sono incentrate sul momento della dichiarazione fiscale e si concretizzano nell’infedeltà dichiarativa, il comportamento elusivo non può essere considerato tout court penalmente irrilevante. Se il bene tutelato dal nuovo regime fiscale è la corretta percezione del tributo, l’ambito di applicazione delle norme incriminatrici può ben coinvolgere quelle condotte che siano idonee a determinare una riduzione o una esclusione della base imponibile».

Quanto al rapporto con il principio di legalità, la sentenza osserva che se questo fa venire meno la possibilità di contestare la truffa, caratterizzata da una specifica condotta elusiva, tuttavia non impedisce in assoluto la rilevanza penale del medesimo comportamento «trattandosi di un risultato interpretativo “conforme a una ragionevole prevedibilità”, tenuto conto della ratio delle norme, delle loro finalità e del loro inserimento sistematico». L’affermazione di una rilevanza penale della condotta elusiva, nell’ambito di fattispecie di reato già esistenti come quelle relative alla dichiarazione, apre però la strada alla lettura da parte del giudice quanto, per esempio, all’elemento determinante del superamento delle soglie di punibilità. Con la possibilità ammessa ormai in maniera assolutamente pacifica di uno scostamento tra le conclusioni del giudice penale da quelle del giudice tributario.

La conclusione per quanto riguarda la vicenda di Dolce e Gabbana, è che sia effettuata una perizia sul valore della società lussemburghese «Gado» alla quale gli stilisti avevano trasferito la proprietà dei loro marchi al prezzo di 360 milioni di euro, inferiore al prezzo di mercato che – secondo il pm Laura Pedio – sarebbe di un miliardo e 200 milioni circa.

Leggi la sentenza.

29 febbraio 2012

(Fonte: il Sole24Ore)