Diritto Criminologia e criminalistica

È possibile determinare scientificamente la volontà? Il neuroimaging funzionale per l’analisi della prova dichiarativa

1.     Introduzione 

Con il presente lavoro, si vuole affrontare il rapporto tra neuroscienze e volontà al fine di evidenziarne i punti di contatto, per la prospettazione di un possibile connubio tra le prime e l’analisi della prova dichiarativa. A tal proposito, bisogna partire da queste considerazioni:

  • non ha senso parlare di libero arbitrio in senso assoluto e generalizzante;
  • non è razionale e logico analizzare il libero arbitrio fuori dal caso concreto;
  • l’ uomo è dotato di libero arbitrio;
  • la volontà umana è un fattore deterministico;
  • la volontà umana può essere determinata;
  • non vi è un rapporto di esclusione in astratto tra determinismo e libero

In un mondo relativistico, dove la conoscenza non è assoluta e la stessa scienza, così come il diritto, non forniscono verità assolute, ogni fattore può produrre effetti differenti in base ad un certo tempo e ad un certo contesto.

In astratto, le neuroscienze non hanno la capacità di determinare la volontà umana, ma non è tanto analizzare le neuroscienze in sè rileva analizzare, quanto come quest’ultime vengono impiegate e per quali fini. Tanto basta per guardare alle neuroscienze con fiducia. Se, infatti, il sistema penale funziona bene, ogni fattore esterno che possa entrare in contatto con lo stesso può essere valutato e questa è già una condizione sufficiente per prospettare il maggior impiego delle neuroscienze nel procedimento penale, anche in campi dove fino ad ora questo risulta impensabile, l’analisi della prova dichiarativa. Del resto, ci si è allontanati molto sia dalla fallacia propria delle tecniche para-scientifiche come il poligrafo, sia da un sistema penale inquisitorio disancorato dalla legalità e dalla giustizia.

Si è soliti pensare al libero arbitrio in opposizione ad ogni forma di determinismo. Il fatto stesso di prospettare il problema tra una scelta aut-aut ci conduce ad una primissima riflessione. Siamo noi in grado di capire l’assolutezza dei fenomeni (siano essi materiali o metafisici)?

Si può affermare che, il mondo sia conosciuto in modo relativistico e di conseguenza ogni teoria non può avere il pregio di escluderne una di senso opposto. Si pensi ad un diverbio tra due bambini sul colore di una macchina che hanno appena visto passare. Si può verificare una condizione in cui entrambi concordino sul tipo di colore, ad esempio il blu, ma si può verificare che uno di loro affermi che il colore sia blu ma, l’altro dica che sia azzurro. Esiste una verità oggettiva escludente il suo opposto, del tipo la macchina non è qualsiasi altro colore rispetto al blu o all’azzurro? Pur ammettendo che questa condizione venisse superata in segno positivo, è possibile affermare una verità oggettiva tra il colore blu o il colore azzurro? In un contesto dove operano solo quei due bambini e la macchina, gli agenti coinvolti sono due e l’oggetto di valutazione è la macchina. Per cui si dovrebbe avere la possibilità di osservare quella macchina e di conseguenza propendere o per il blu o per l’azzurro. Ma tale condizione non è sempre possibile e dunque il dilemma come dovrebbe risolversi? La macchina è tale per cui entrambi lo riconoscono, solo che è blu per uno dei due soggetti ed azzurra per l’altro. Dovremmo applicare il rapporto matematico della valenza del meno quanto si hanno segni opposti? Dovremmo considerare che l’una rappresentazione escluda l’altra, senza alcun riscontro obiettivo? Pare logico e intuitivo che vi siano due piani di valutazione, uno soggettivo ed uno oggettivo e che in tale contesto operino entrambi, il soggettivo per come è stato espresso e l’oggettivo per come è stato interpretato. Ne discende che in un mondo relativistico, perché potuto essere conosciuto come tale, lo sfondo su cui mantenere la discussione che seguirà, debba essere quello dell’interpretazione soggettiva e con essa quello della relatività dell’oggettivismo1.

2.     Libero arbitrio

L’uomo è libero o in quanto tale è non libero perché determinato sempre e comunque dalle leggi fisiche che lo governano? Tale è la concezione di quanti asseriscono alla tesi del libertarismo assoluto2 o se si preferisce a quella dell’indeterminismo assoluto. L’errore di tali costrutti teorici è insito nelle stesse presupposizioni di cui si forgiano. Infatti, se si vuole indagare l’esistenza della libertà in relazione all’uomo, postulare un mondo indeterminato in assoluto negherebbe in radice la libertà stessa, poiché nemmeno l’uomo sarebbe in grado di determinare alcunché e si sprofonderebbe nelle anomie del caos3.

Sin dalla sua formazione, l’uomo entra in stretto contatto con il concetto della libertà, la quale è affrontata in una prospettiva multidimensionale e diacronica, ora come necessità di sopravvivenza (uomo-cacciatore), ora come conquista sociale (affrancazione dalla schiavitù (4) ora come le libertà (5), ora come propulsore per i diritti fondamentali (6). In tale prospettiva, la libertà assume una connotazione dinamica perché si evolve con l’evolversi dell’uomo. E se così è, ecco che la libertà è sempre un concetto di relazione. L’uomo è libero non solo in quanto tale, ma è libero rispetto a qualcosa o a qualcuno, è libero da qualcosa o da qualcuno, è libero in un luogo o non in un altro, è libero relativamente. Allora si potrà affermare che l’uomo è sempre libero in astratto, ma può non esserlo in concreto. Si pensi alla condizione carceraria. Si può affermare che tutti i carcerati non siano liberi perché sottoposti ad un regime di coercizione fisica? Si deve rispondere in maniera negativa. E’ vero che un detenuto non è libero di fare molte cose (viaggiare per esempio!), ma è altrettanto vero che rimarrà libero di farne delle altre (pensare, dormire, scrivere, parlare ecc!). L’esempio del detenuto ci è utile per fare una nuova distinzione fondamentale sul piano concettuale, quella tra le libertà e la possibilità di esercitarle. Un uomo si può dire libero solo in relazione alla possibilità di esserlo in relazione a qualcosa o a qualcuno7. Per l’esempio che si è fatto poc’anzi, la prigionia è un fattore di coercizione che annichilisce la libertà di movimento, che affievolisce la libertà di comunicazione, ma non potrà mai annientarle in assoluto e la risposta è nella libertà personale stessa (articolo 13 Cost.). In ordine alla garanzia della libertà personale, non sono ammesse le così dette pene eterne (l’ergastolo è sottoposto al regime della libertà condizionale), non sono ammesse pene e trattamenti inumani e degradanti, sono previsti tempi e modi per comunicare con le persone care, è prevista la possibilità di dedicarsi ad attività varie come lo svolgimento del lavoro all’esterno.

Non è della libertà che ci si deve occupare allora. Ci si deve occupare dell’uomo capace di essere libero in relazione a ciò che si sta indagando nel caso specifico, in un certo tempo e in un certo contesto. Si pensi alla domanda: Sono libero di uccidere qualcuno? In via generale, poche persone risponderebbero a brucia pelo. Quella pausa di riflessione osta alla verità della risposta. Infatti, si tenderà a rispondere di no, perchè si avvertirà il senso morale interiore ed il senso sociale della sfera relazionale. Ma la verità precede quel frangente che si instaura tra il momento in cui la domanda viene completamente recepita e l’insorgere del pensiero controllato. In verità, la risposta non può che essere positiva. Tale libertà (che rappresenta sul piano valoriale la più forte) non è scalfita nella sua essenza, così come non lo sono tutte le libertà interiori. Per comprende il vero senso della libertà allora, bisogna cambiare la domanda, che diventa: abbiamo il diritto di uccidere qualcuno? In questo caso non ci si sarà alcuna pausa, perchè la risposta è imminente ed è negativa. Ma questo dato ci deve fare riflettere. Abbiamo la libertà di uccidere, ma non il diritto di uccidere (in tale ragionamento non si includono quei casi in cui è necessario uccidere per difendere la proprià o l’altrui incolumità perchè si tratterebbe appunto di esercizio del diritto di difendersi e non del diritto di uccidere)8 ed allora ci si deve chiedere il perchè si uccide e nello stesso tempo il perchè non lo si fa. La differenza tra le due condizioni appena esposte, la si rinviene nello stesso potere di scegliere e che implica la libertà di farlo e di non farlo. Non si può pensare che la sola minaccia di una pena detentiva severa (come l’ergastolo) sia in grado di agire come fattore determinante la non scelta di uccidere, nel caso contrario non si registrerebbe alcuno omicidio. Si può però affermare che in via generale non esiste un diritto di uccidere. Infatti, avere il diritto di uccidere vorrebbe dire ritornare allo stato di natura9 dove il mondo è sorretto solo dalle leggi naturali e non a quelle dell’uomo stesso (norme). Anche le leggi naturali operano dall’esterno, ma queste seguono i criteri della forza e non quelli della giustizia. In altre parole, nonostante il mondo agisca sulla basi di leggi deterministiche, l’uomo in relazione agli altri individui si troverebbe in una condizione di partenza basata sull’uguaglianza e da tale condizione egli è capace di effettuare delle scelte d’azione, che sono in grado di modificare il corso degli eventi che era stato determinato dalle leggi della fisica. In buona sostanza l’uomo è un fattore che determina, così come lo è la natura ed in tal senso in un corso di eventi, egli può essere in grado di determinare quale produrre. E’ in questo senso che si può affermare che l’uomo è dotato di libero arbitrio. La volontà umana non è un fattore che è avulso dalle leggi deterministiche, ma è essa stessa una delle leggi deterministiche10 e sarà in grado di fungere da causa escludente gli altri fattori, solo quando si troverà in una posizione di pari forza rispetto alle altre leggi11. E’ questo, ad avviso di chi scrive, il concetto centrale che si deve osservare quando si esamina il libero arbitrio. L’uomo è capace di libero arbitrio quando può autodeterminarsi e può autodeterminarsi quando la sua volontà è più forte dagli altri fattori determinanti12 che co-agiscono insieme a lui, nella determinazione dell’evento finale o nella realizzazione di una certa condotta, a prescindere dalla produzione o meno di un certo evento. Tale è il fondamento della teoria retribuzionistica di Carrara, secondo il quale la pena debba indirizzarsi solo nei confronti dei soggetti che hanno scelto di delinquere (adesione psicologica al fatto di reato e realizzazione dello stesso), proprio perchè l’uomo è in grado di compiere libere scelte di azione (uomo come essere dotato di libero arbitrio). Ne consegue che chi non è in grado di compiere libere scelte di azione, non può essere ritenuto punibile perchè non colpevole13. L’articolo 8514 del codice penale fissa tale condizione ed infatti stabilisce che “nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se, al momento in cui l’ha commesso non era imputabile” e specifica che “è imputabile chi ha la capacità di intendere (si deve precisare che con il termine intenzione si vuole indicare la capacità di comprensione che è cosa diversa dall’intenzionalità) e di volere”. L’imputabilità15, dunque, è la base di partenza che legittima l’indagine sull’elemento psicologico del reato, che poi proseguirà con la verifica della sussistenza dello stesso (dolo, colpa, preterintenzione). Da tale norma si può comprendere come l’autodeterminazione appartenga a tutti, ma solo chi è in grado di autodeterminarsi può esercitarla.

3.     Determinismi

Il problema del libero arbitrio emerse in tempi antichi a causa della correlazione tra la libertà dell’uomo ed il determinismo, inteso come determinismo fisico (naturale o biologico), determinismo psicologico (bio- psichico), determinismo teologico (commistione tra Dio e natura) e determinismo fatalista (derivante dal caso o dal caos). L’errore fondamentale che si cela all’interno di ogni forma di determinismo, è quello di pensarlo in maniera assoluta. Infatti, se si pensa al determinismo assoluto naturale, non vi è spazio alcuno per qualsiasi altra forma di determinismo, perchè tutto dipenderebbe dalle leggi naturali e così via. Se si ragiona in termini relativistici, invece, si riescono ad apprezzare tutte le forme deterministiche cui si è fatto cenno poc’anzi, poiché ognuna avrà causa propria e di conseguenza saranno tutte vere. Altro discorso è l’individuazione dell’essenza deterministica. Ci si riferisce al cosa sia il determinismo e se questo possa essere descritto come un fattore costrittivo. Si pensi ad una malattia neurale che renda un individuo incapace di ragionare. In tal caso, la malattia è un fattore costrittivo perchè azzera la capacità di ragionare di tale individuo. Adesso si pensi ad un uomo minacciato di fare o non fare qualcosa, da un altro uomo che utilizza una pistola contro di lui. In tale caso si può affermare che l’uomo minacciato sia privo di libero arbitrio?

Potenzialmente l’uomo minacciato potrebbe non acconsentire ad alcunchè e correre il rischio di essere ferito o ucciso o di subire qualche altro male ingiusto. Si ponga il caso in cui l’uomo minacciato scelga di non opporsi alla minaccia dell’uomo armato di pistola e riesca a colpirlo disarmandolo e mettendolo in fuga. In tale esempio si può affermare che l’uomo minacciato abbia esercitato la propria capacità di autodeterminarsi, perchè libero era il suo arbitrio. Si pensi sempre allo stesso esempio ma, questa volta con effetti diversi per l’uomo minacciato, il quale si oppone e rimane ferito o ucciso. Anche in questo esempio l’uomo ha esercitato la propria capacità di scelta. Da ultimo, si pensi che l’uomo minacciato acconsenta alle minacce e faccia o non faccia quella cosa, che l’uomo armato gli ha costretto di fare o di non fare. In tal caso si dovrebbe pensare che l’uomo minacciato non abbia il libero arbitrio? Sarebbe una conclusione errata, perchè la stessa sarebbe determinata solo dagli effetti diversi prodotti dalle condizioni che si sono verificate nell’ultimo esempio. In realtà, quell’uomo ha scelto considerando più fattori e probabilmente, affrontando nella sua mente ogni possibile conseguenza a cui si è fatto riferimento nei tre esempi riportati. In questo caso, è corretto pensare all’uomo che minaccia un altro uomo, con una pistola, come un fattore costrittivo? Se si pensa che un fattore costrittivo annienti il libero arbitrio, allora la risposta dovrà essere negativa. Se invece si pensa allo stesso come un fattore deterministico, allora la risposta sarà positiva, poiché il libero arbitrio non è stato annientato. Ne consegue che non ogni fattore costrittivo è in grado di annientare il libero arbitrio e che non ogni fattore costitutivo è in grado di determinare una scelta di azione e se questo è vero, non è vero che costrizione e libero arbitrio si annullino reciprocamente. Se, infatti, più fattori deterministici interagiscono nel medesimo tempo e nelle medesime circostanze, saranno tutti fattori causali, a meno che uno di questi non assuma una forza tale da superare la forza degli altri fattori concorrenti e risultare in tal modo la sola causa. Ne consegue che il libero arbitrio non è annichilito per il solo fatto di concorrere con altri fattori deterministici16. Allo stesso tempo, è vero pure che nel caso concreto il libero arbitrio possa ritrovarsi fortemente limitato o azzerato a causa della forza indomabile di un altro fattore. In definitiva, la volontà può essere così forte da domare tutti gli altri fattori deterministici, che concorrono con essa, in un certo tempo ed in un certo contesto, così come può essere determinata dai medesimi, quando questi ultimi assumano una carica dominante.

4.     Neuroimaging e valutazione della prova dichiarativa

Nello studio del fenomeno criminale, la ricerca della verità delle dichiarazioni rilasciate dall’autore di un reato, ricopre un ruolo di grande attenzione. Già in tempi molto lontani sono state studiate e sviluppate tecniche finalizzate all’identificazione della menzogna17. Erano assai diffuse tecniche legate a credenze popolari di origine mistica e/o fatalista che, in alcuni casi, assumevano i caratteri della tortura, anch’essa spesso utilizzata per costringere i sospettati a confessare18.

Sugli sviluppi degli esperimenti di Eristrato, nel 1581 Galileo Galilei inventò il Pulsilogium19 (una scoperta importante per la misurazione del battito cardiaco avente valenza scientifica). Confermando i risultati raggiunti dal medico greco, maggiore era l’emozione avvertita, maggiore era la frequenza del battito cardiaco. Nel corso del tempo, con lo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate e calibrate sul funzionamento del corpo umano (misurazione delle funzioni psico-fisiologiche), si è giunti all’invenzione del poligrafo20 che, è stato applicato, sin dalla sua introduzione, per rilevare la menzogna. Il poligrafo ed in genere tutti i metodi per la ricerca scientifica della menzogna, si basano sull’idea di fondo che quando un soggetto mente, avverte una certa carica emotiva (più o meno intensa). Il coinvolgimento emotivo a cui è sottoposto un soggetto che risponde mentendo è dipeso dall’impegno, dalla concentrazione necessaria, dalla resistenza psico-fisica che lo stesso deve mettere in atto, per rendere credibile la sua versione e non essere quindi scoperto21. Il problema non è tanto che tali tipi di test funzionano secondo logiche statistiche e di conseguenza non sono infallibili22, poichè l’intera scienza è fallibile e si ragiona in termini probabilistici. Il problema è tosto, nella validità dei risultati in relazione ai presupposti di partenza. Infatti, sono molti gli studi psicologici che, già a partire dagli anni ’70, hanno dimostrato che è possibile controllare la propria sfera emotiva (falso negativo), a maggior ragione quando ci si allena in tal senso23. Di converso, le reazioni emotive non sarebbero idonee per essere generalizzate, perché strettamente connesse alla sfera individuale, tale per cui un soggetto potrebbe rispondere positivamente (falso positivo) a domande pertinenti, solo per l’alto livello di ansia o emotività che appartengono alla propria personalità e che nulla hanno a che vedere con l’implicazione o meno nel caso legale trattato24. In uno Stato come l’Italia, che fonda il proprio sistema penale sulla massima garanzia della libertà personale, così come stabilito dalla Costituzione, l’ingresso di strumenti para-scientifici come il poligrafo, crea non poche perplessità e resistenze. Si pensi all’importanza dell’autodeterminazione, posta a fondamento della responsabilità penale, che può essere inficiata e compromessa dall’impiego di tecniche come quella del poligrafo. Ma le neuroscienze sono altra cosa rispetto a tali tipi di strumenti. Infatti, allo stato attuale, non sorgono dubbi sulla validità scientifica delle neuroscienze e, tra queste, sulla validità del neuroimaging. Di conseguenza, non si discute sulla loro validità processuale, intesa in termini di oggettività del metodo. Cosa diversa, è il margine di valutazione che tali tecniche assumono in relazione al tipo di esame svolto e al tipo di attività legale a cui sono funzionali. Infatti, lo stesso dato scientifico può essere ritenuto valido o meno a seconda del dato processuale che si vuole verificare. Un conto è diagnosticare una lesione cerebrale, un altro è diagnosticare la presenza di un gene particolare che può assumere rilevanza in termini di cattiva formulazione del pensiero (volontà) e dell’azione che da questo scaturisce. Si ragiona in termini di peso in relazione al grado di oggettività di un certo risultato. Ciò che risulta sottovalutato, ad avviso di chi scrive, è il funzionamento del sistema processuale stesso e con esso la funzione svolta dal giudice. Infatti, a volte ci sfugge che il processo non è mai incentrato sulla verità assoluta, ma appunto segue la logica della verità processuale (25), che a sua volta si basa sul metodo dell’inferenza (26) e sul metodo dell’induzione (27). Quando si sente parlare, soprattutto in ambito penale, della c.d. prova regina (28) (si pensi alla confessione e alla testimonianza), si commette l’errore di pensare che quella prova, sia la sola a dimostrare un certo risultato processuale. La realtà ci dimostra che non è mai così, anzi la maggior parte delle volte i processi si scardinano intorno ad una serie di prove indiziarie (29) (indizi gravi, precisi e concordanti). Questo dato non ci deve sconvolgere e certamente non vi è alcuna violazione delle regole processuali che, anzi lo ammettono. La base è abbastanza intuibile. Tornare indietro non si può e raramente si dispone di un dato che possa ricostruire perfettamente la dinamica di un caso (video-riprese) e, quando lo si dispone, non vi è alcun automatismo perché, il processo si fonda sul contraddittorio tra le parti (possibilità di contrastare una risultanza probatoria) ed inoltre ogni prova deve comunque essere valutata dal giudice (30) (analisi del caso concreto attraverso il confronto probatorio calato nel contesto di riferimento) che è libero, secondo un metodo logico-razionale-legale, nel suo convincimento (di cui darà dimostrazione attraverso la motivazione della sentenza). Per capire tale dinamica, si può fare riferimento all’annoso dibattito sul nesso di causalità (dibattito mai sopito del tutto) che sembra aver trovato un risultato solido con la pronuncia Franzese. Ecco, in tale dibattito scientifico-penalistico, si è lavorato molto sull’analisi del grado probabilistico, in relazione alla rilevanza di un certo dato nella dinamica causale di un certo evento avente rilevanza giuridica. Sul punto, vi era chi propendeva per una certezza probabilistica tendente al 100% (31) (Federico Stella su tutti) e chi, invece, avvedutosi della mancata possibilità di un simile risultato (in particolare Marcello Gallo (32)), calava il giudizio sull’analisi del caso concreto applicando i criteri razionali e logici propri della valutazione processuale che è chiamato a svolgere il giudice (credibilità logica). Per ciò che ci riguarda rilevano due dati:

– la struttura stessa del processo segue un metodo probabilistico;

– non esiste una prova che possa avere un’evidenza assoluta in generale, ma solo un’evidenza calata nel caso concreto.

Ne consegue che un certo dato o una certa tecnica o un certo sapere ,non può essere escluso a priori dal circuito processuale solo perchè non vi è una certezza oggettiva generale e quasi assoluta, perché il processo questo non lo richiede. Gli stessi criteri Daubert, ripresi dalla sentenza Cozzini, non si riferiscono al raggiungimento di un risultato assoluto, si parla di accettazione scientifica generale, ma tale dato non è rilevante se preso singolarmente, risulta valido se posto in relazione ad una particolare tecnica o scoperta, risultando avvalorati anche gli altri criteri che puntano più sul dato concreto. Ad esempio, l’analisi dei casi giudiziari legati al processo causale, in relazione a sostanze tossiche come l’amianto e l’insorgenza di malattie polmonari mortali, esprimono quanto fino ad ora esposto. Nel panorama scientifico non vi è ancora una scoperta certa sulla causa dei tumori (33), vi sono però dati statistici i quali devono essere correlati all’analisi del caso specifico nella sua interezza. Ragionando in termini di evidenza scientifica, tutti i processi legati a tale nesso, non dovrebbero nemmeno cominciare. Ma non è così. Infatti, sia la struttura che il funzionamento di tali tecniche, rispondono ai parametri propriamente scientifici, sia in termini di oggettività del metodo e sia in termini di attendibilità dei risultati. La questione, allora, si sposta sul tipo di dato che si sottopone all’analisi neuroscientifica, in relazione alle regole propriamente penali-processuali. In sostanza, bisogna capire se è vero che tali tecniche possano compromettere il libero arbitrio dell’individuo che vi è sottoposto. E’ qui che rileva il rapporto tra neuroscienze e libertà morale. Sul punto, si devono analizzare due condizioni:

-le neuroscienze operano come fattore costrittivo;

– le neuroscienze operano come fattore descrittivo.

La soluzione è presto detta. Le tecniche neuroscientifiche si pongono su un piano diverso rispetto a quello in cui opera la volontà. Infatti, le stesse possono operare in una fase che precede la formazione della volontà in ottica predittiva (dati alcuni fattori esterni e date alcune reazioni fisio-psicologiche, si possono prevedere certi risultati) (34) o in una fase concomitante/susseguente in ottica descrittiva (dati certi rilevamenti si registrano certi risultati). Ne consegue, che non ci possa essere alcuna interferenza tra tecniche neuroscientifiche e libero arbitrio (inteso come volontà).

Diverso è il ragionamento, se si pongono in relazione le tecniche neuroscientifiche con la loro capacità di influenzare la volontà umana. Tale condizione risulta certamente vera e non per questo se ne può ricavare un giudizio negativo in merito alla validità delle neuroscienze. Infatti, è la stessa interazione tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda a fornire la certezza che l’uomo sia continuamente sottoposto ad influenze esterne. Non è tanto il mezzo impiegato che influisce su quest’ultima, ma il modo in cui tale mezzo viene impiegato. Si pensi ad una confessione che venga rilasciata dopo un’incalzante ed estenuante interrogatorio (famoso è il caso di Amanda Knox (35)). In tale caso ed in ogni altro caso, anche la confessione deve superare il vaglio dell’attendibilità e dunque soggiace alla valutazione del giudice.

4. Conclusione

Le neuroscienze non sono in grado in astratto di poter determinare la volontà umana, possono esserlo nel caso concreto, in un certo tempo ed in un certo contesto, così come ogni altro fattore dotato di tale capacità. Questo dato, a fronte dei risultati ottenuti e dei contributi già forniti, non è più sufficiente per continuare a negare alle neuroscienze l’ingresso nel procedimento penale. Ogni fattore che si inserisce in quest’ultimo, infatti, è posto in relazione e non assurge mai ad unico parametro di valutazione.

Non è dunque scorretto prospettare un sempre maggiore impiego delle neuroscienze nel campo penale e, a fronte di quanto affrontato, tale risultato è auspicabile perchè ogni tipo di progresso scientifico che abbia gli elementi per essere definito, appunto, scientifico, può solo fornire un contributo apprezzabile. Non vi è dubbio che le tecniche neuroscientifiche possano esercitare una certa pressione nel soggetto che vi è sottoposto, ma ragionando in termini di tale effetto, ogni fattore può essere in grado di produrlo. Per tale ragione, non ha molto senso logico continuare a sviluppare giudizi aprioristici sulle neuroscienze, anzi è del tutto incoerente con la ratio stessa della funzione penalistica. Il perchè è insito nella loro funzione. Infatti, le neuroscienze possono essere impiegate per prevedere il compimento di un certo comportamento o una certa azione e/o possono rivelare la causa di un certo comportamento o una certa azione già commessa. Sul punto è bene ricordare, che si procede sempre in termini di probabilità e che non si è in grado ancora di pervenire ad una certezza assoluta e non si sa se mai la si otterrà e tale dato non è un difetto delle neuroscienze, ma è una condizione che insita nella conoscenza umana, sia essa puramente scientifica, che giuridica. Tanto basta a non differenziare i risultati raggiunti da tali tecniche, rispetto a quelli ottenibili dall’impiego di mezzi scientifici classici.

Note

1 Rothacker E., Uomo tra dogma e storia. Non è tutto relativo, pag. 105, Armando Editore, 2009 (sull’incapacità assolutistica dell’oggettivismo scientifico.

2 Sono tesi per lo più basate sull’idealismo puro. L’uomo è libero in assoluto perché lo è lo spirito di cui esso è formato e che trascende il corpo (la meccanica). Mondin B., Vol. 96, No. 1, L’incontro con Dio: Gli ostacoli odierni: materialismo ed edonismo, Edizioni Studio Domenicano, 1993, pp. 155-169; Cfr. Principe S., Fichte. La condizionalità estetica della filosofia trascendentale, Diogene Edizioni, 10.10.2013, pag.102 ss; Granata G., Fichte, Schelling, Hegel, Alpha Test, 2005.

3 Monzani M., Benatti F., Criminologia, psicologia investigativa e psicopedagogia forense, pag.48, libreriauniversitaria.it, 2015, sul concetto di anomia.

4 Berdjaev N., Schiavitù e libertà dell’uomo, Bompiani, 2010

5 Della Casa A., L’equilibrio liberale storia, pluralismo e libertà in Isaiah Berlin, Guida, 2014; Della Casa A., Isaiah Berlin, Rubbettino Editore, 10.04.2018;

Maimone V., La società incerta, liberalismo, individui e istituzioni nell’era del pluralismo, Rubbettino, 2002

6 Bobbio N., L’età dei diritti, Einaudi, 14.01.2014; Politi F., Libertà costituzionali e diritti fondamentali, Giappichelli, 2016; Redazioni S., La convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, Edizioni Giuridiche Simone, 2009.

7 Rum A. L., Per la Corte Costituzionale, la misura della quarantena obbligatoria è istituto che limita la libertà di circolazione e non la libertà personale, riv. Il diritto amministrativo, n. 3, 09.2023, www.ildirittoamministrativo.it, consultato in data 19.03.2023.

8 Art. 52 c.p. Legittima difesa, art.54 c.p., Stato di necessità, tutte su www.brocardi.it

9 Schiavi M. Ciobanu V., Stato e società nella crisi del moderno. Una riflessione sui classici della teoria politica da Thomas Hobbes a Hannah Arendt, Centro Studi Campostrini, 2007

10 Sciascia P., La dottrina della volontà nella psicologia inglese, dall’Hobbes fino ai tempi nostri studio storico-critico, Tip. dir. da G. Spinato, dig. 15.01.2009, pubb. 1895, sulla contrapposizione tra volontà deterministica e determinismo puro, pag. 73

11 Concezione sviluppata dall’autore di questo libro.

12 De Caro M., Lavazza A., Sartori G., Siamo davvero liberi? Le neuroscienze e il libero arbitrio, Codice edizioni, Torino, 2010. La gran parte degli autori che partecipano oggi al dibattito, tuttavia, concorda nel ritenere che il libero arbitrio presupponga    due condizioni: che all’agente si prospettino diversi corsi d’azione alternativi e che la scelta tra tali corsi non avvenga casualmente (non sia cioè il prodotto di fattori fuori dal controllo dell’agente), ma dipenda da una sua autonoma e razionale determinazione.

13 Lusa V., Pecora B., Dissertazioni criminologiche nell’Italia pre e post unitaria, Aspetti teorici e pratici e loro valenza nel processo penale, Key Editore, 2005, sullo sviluppo della criminologia come scienza, il pensiero illuminista e la pena come retribuzione secondo la scuola classica, sul fondamento del libero arbitrio.

14 www.brocardi.it, Rubricato capacità di intendere e di volere.

15 D’Agostino F., Autodeterminazione. Un diritto di spessore costituzionale? Atti del Convegno nazionale dell’U.C.C.I. (Pavia, 5-7 dicembre 2009), Giuffrè, 2012.

16 Merzagora Betsos I., De Servo arbitrio, ovvero: le neuroscienze ci libereranno dal pesante fardello della libertà?, Rassegna Italiana di Criminologia – 1/2011.

17 Palma A.,U., Le “prove di verità” e la libertà morale del dichiarante, in Archivio Penale, 2020, n.1, pp.9 ss., sulle tecniche impiegate per rilevare la menzogna, https://archiviopenale.it/File/D, consultato in data 17.04.2023.

18 Bianchi A., Gulotta G., Sartori G., Manuale di neuroscienze forensi, Giuffrè, 2009, pp. 235 ss., sull’utilizzo della tortura come strumento investigativo e come pena; Cassese A., I diritti umani oggi, Editori Laterza, 1.09.2015; Luparia L., Marchetti P., Selvaggi N., Confessione, liturgie della verità e macchine sanzionatorie. Scritti raccolti in occasione del Seminario di studio sulle ‘Lezioni di Lovanio’ di Michel Foucault, Giappichelli, 21.05.2015; Scott G.R., Storia della tortura, Mondadori, 25.07.2017.

19 Righini Bonelli M.L., Vita di Galileo, Nardini: centro internazionale del libro, 1974, pag. 42.

20 Andreoli A., Identità alla prova la controversa storia del test del DNA tra crimini, misteri e battaglie legali, Sironi, 2009, pag. 39; De Ceglia F.P., Dibattista L., Il bello della scienza, intersezioni tra storia, scienza e arte, Franco Angeli, 2013, pag. 48.

21 Profeti M.G., La menzogna, Alinea, 2008, pp. 512 ss. Sulle attività cognitive poste in essere nell’azione del mentire.

22 Garofano L., Pensieri M.G., La falsa giustizia, La genesi degli errori giudiziari e come prevenirli, Infinito Edizioni, 18.06.2019, sugli errori nelle tecniche di indagine e durante le interviste.

23 Caso L., Vrij A., L’interrogatorio giudiziario e l’intervista investigativa. Metodi e tecniche di conduzione, Il Mulino, 2009, sull’intervista giudiziaria in genere; De Cataldo Neuburger L., Gullotta G., Trattato della menzogna e dell’inganno, Giuffrè, 1996, pp.244 ss.; Pais S., Perrotta G., L’Indagine Investigativa. Manuale Teorico-Pratico, Primiceri Editore, 2015, pag. 348, sull’intervista in sede di interrogatorio.

24 Rivista di diritto processuale penale, Vol.n.3, A. Giuffrè, 1956, pp. 205 ss. Sulle problematiche in ordine all’attendibilità di tali tipi di test in relazione alla sfera emotiva del soggetto esaminato.

25 Incampo A., Garofoli V., Verità e processo penale, Giuffrè, 2012; Parpaglia P.P., Verità processuale, Edizioni La Zattera, 2015; Tuzet G., Filosofia della prova giuridica, Giappichelli, 2016.

26 Conte M., Gemelli M., Licata F., Le prove penali, Giuffrè, 2011, pag. 354; Ferrua P., La prova nel processo penale.Volume 1, G. Giappichelli, 2015, pag. 78; Pascali V., Causalità ed inferenza nel diritto e nella prassi giuridica, Giuffrè, 2011.

27 Fallone A., Il processo aperto, il principio di falsificazione oltre ogni ragionevole dubbio nel processo penale · Numero 60, Giuffrè, 2012, pag. 22; Traversi A., La difesa penale. Tecniche argomentative e oratorie, Giuffrè, 2009, pag. 80.

28 Angeletti R., Le invalidità nel processo penale, G. Giappichelli editore, 2017, pag. 319; Carlizzi G., Tuzet G., La prova scientifica nel processo penale, Giappichelli, 11.12.2018, pag. 65; De Cataldo Neuburger L., La prova scientifica nel processo penale, CEDAM, 2017, pag. 35.

29 Belloni E., La prova indiziaria nel processo penale italiano, C. dell’Avo, pubb.1902, dig. 22.02.2008; Naimoli C., Principio di falsificazione tra prova indiziaria e prova scientifica riflessioni sul caso Garlasco e M. Kercher, Pacini Giuridica, 2017; Riziero A., Il processo indiziario, Giappichelli, 4.03. 2021; Russo V., Abet A., La prova indiziaria e il «giusto processo». L’art. 192 c.p.p. e la legge 63/2001, Jovene, 2001.

30 Carcaterra G., Presupposti e strumenti della scienza giuridica, Giappichelli, 2012, pp. 245ss.; Daniele M., Regole di esclusione e regole di valutazione della prova, G. Giappichelli, 2009; Deganello M., I criteri di valutazione della prova penale. Scenari di diritto giurisprudenziale, Giappichelli, 2005.

31 Canzio G., Donati L.L., Prova scientifica e processo penale, Cedam, 17.05.2022; Gianti D., Monateri P. G., Balestrieri M., Causazione e giustificazione del danno, Giappichelli, 2016, pp. 98ss., sulla teoria di Federico Stella inerente al grado di probabilità accettabile per provare il nesso causale; Guerrieri T., Studi monografici di diritto penale. Percorsi ragionati sulle problematiche di maggiore attualità, Halley, 2007, pp.85 ss.

32 Bartoli R., Il problema della causalità penale, dai modelli unitari al modello differenziato, Giappichelli, 2010, sul confronto delle teorie probalistiche; Gallo I.M., Diritto penale italiano. Appunti di parte generale. Volume primo, Giappichelli, 2014.

33 Sui casi giudiziari che hanno comportato il confronto tra l’incertezza scientifica e la necessità di addivenire ad una decisione razionale e giusta in ambito processuale, in particolare, l’esposizione a sostanze tossiche, morte e nesso di causalità in relazione alla responsabilità penale, Bettin G., Dianese M., Petrolkiller, Feltrinelli, 2002 e Casson F., La fabbrica dei veleni, Sperling & Kupfer, 2007.

34 Libet B., et al., «Time of conscious intention to act in relation to onset of cerebral activity (Readiness-Potential). The unconscious initiation of a freely voluntary act», in Brain, 106, 1983, pp. 623-642. Sono celebri le ricerche condotte da Benjamin Libet, lo scienziato che per primo applicò metodi di indagine neurofisiologica per studiare la relazione tra l’attività cerebrale e l’intenzione cosciente di eseguire un determinato movimento volontario. Nei suoi esperimenti, Libet invitava i partecipanti a muovere, quando avessero voluto, il polso della mano destra e, contemporaneamente, a riferire il momento preciso in cui avevano avuto l’impressione di aver deciso di avviare il movimento: l’obiettivo era infatti quello di indagare il rapporto tra la consapevolezza dell’inizio di un atto e la dinamica neurofisiologica sottostante. Cit. De Caro M., in www.incircolorivistafilosofica.it/wp-content/uploads/2017/12/Sulla-presunta-illusorietà-del-libero- arbitrio-De-Caro.pdf.

35 Bruzzone R., Magrin V., Delitti allo specchio. I casi di Perugia e Garlasco a confronto oltre ogni ragionevole dubbio, StreetLib, 31.08.2017.

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Lombroso, A. Torno, L’uomo delinquente:quinta edizione, 1897, Bompiani, 2013.

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