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Maternità surrogata: quando la dignità serve a giustificare un divieto

1. Introduzione

La surrogazione di maternità è una pratica procreativa in virtù della quale una donna si impegna a portare avanti una gestazione per conto di una coppia committente e a consegnare, dopo il parto, il bambino a tale coppia. Può essere realizzata sia con l’interazione dei gameti femminili e/o maschili della coppia committente, poi impiantati nell’utero della gestante, sia con il ricorso alla donazione dei gameti da parte di soggetti terzi (maternità surrogata totale), sia con l’apporto dei gameti da parte della stessa gestante. La molteplicità fattuale, appena evidenziata, comporta sul piano giuridico diverse problematiche legate alla rilevanza dei legami genetici e sociali tra i soggetti che prendono parte attiva alla stessa, anche in relazione alla tutela  del nascituro. Sul punto, assume un ruolo centrale il bilanciamento tra il favor veritatis e la situazione giuridica sostanziale, il c.d. rapporto di fatto. In sostanza, ci si chiede se debba prevalere la situazione di fatto instauratesi e con essa i legami concreti o il legame biologico.

Partendo dal presupposto che, ad oggi, la verità biologica non è intesa in senso assoluto e preponderante, tanto che si preferisce parlare di più verità, conformemente alle diverse situazioni giuridiche sostanziali che si possono concretizzare, l’elemento discriminante non può più essere rintracciato sul piano astratto/normativo, anche in considerazione del divieto e forse soprattutto per questo. Infatti, la causa delle incertezze interpretative è legata, maggiormente, all’assenza di una normativa che vada a regolare direttamente gli effetti prodotti dal ricorso alla maternità surrogata, proprio perchè il divieto della pratica non ne è improduttivo. Sul piano civilistico, si potrebbe parlare di nullità per contrarietà alla legge o all’ordine pubblico, nullità dell’oggetto perchè illecito e contrario all’ordine pubblico, ma tali categorie non risultano idonee considerati i valori e gli interessi che interagiscono. Proprio la valenza dei diritti fondamentali costituisce la ratio per la quale la contrarietà della pratica all’ordine pubblico non può determinare la nullità degli effetti ex tunc, perchè non si può ripristinare alcunchè. La classica struttura contrattuale, e con essa i suoi rimedi, non possono essere applicati nella regolamentazione dei rapporti derivanti da maternità surrogata. Ne consegue che si parte da quanto costituito in atto estero e ci si ferma alla situazione di fatto generatesi sul piano interno ed è da quest’ultima che bisogna ricavarne la tutela.

Nella maggior parte degli Stati membri dell’Unione Europea la maternità surrogata risulta vietata (Italia, Francia, Germania e Spagna) o non vi è alcuna norma che la regoli (Paesi Bassi, Irlanda, Belgio). Il Regno Unito e il Portogallo sono parzialmente aperti alla medesima, il primo riconoscendola lecita solo per i cittadini britannici e solo a titolo gratuito, mentre il secondo riconoscendola alle sole coppie eterosessuali con esigenze mediche e solo a titolo gratuito.

Risulta consentita anche, a pagamento, in Russia e in Ucraina[1].

Il divieto di ricorrere alla maternità surrogata si giustifica, in primo luogo, in ordine alla tutela della dignità della donna ma, dietro a tale principio, forse, si celano altri orpigli. In particolare, ci si chiede se il fatto che in tutti i Paesi in cui la maternità surrogata è vietata, sia preponderante la professione della religione cattolica, mentre i Paesi che aprono parzialmente alla stessa e quelli in cui la pratica sia del tutto lecita, siano caratterizzati dalla diffusione di altre fedi religiose, sia solo una strana coincidenza o se tale fattore sia invece determinante in ordine alle scelte politiche effettuate su questa tematica.

Che il diritto sia il riflesso dei valori sociali generalmente condivisi è un fatto noto e connaturato allo stesso ma, quando l’etica plasma la coscienza giuridica, si crea una pericolosa distonia tra la natura e la funzione dell’ordinamento giuridico. In altre parole, sebbene il diritto sia caratterizzato anche da valori etici, la sua funzione, invece, dovrebbe realizzarsi in modo neutrale al fine di garantire l’oggettività, posta a tutela dell’imparzialità della giustizia nel caso concreto. Se poi ci si riferisce al sistema penale, tale discorso si amplifica e si complica. La tutela della libertà personale, infatti, non ammette giudizi di valore, tanto meno se risultano eticamente caratterizzati, perchè qualsiasi giudizio, orientato in tal senso, finirebbe per violare non solo la funzione del diritto penale ma anche la sua stessa natura.

L’impronta etica del divieto di maternità surrogata la si può rilevare proprio dal divieto penale. Infatti, dall’analisi sistematica della fattispecie penale, in combinato all’applicazione pratica della medesima, si evince un gap che solo eticamente può essere giustificato. Ci si riferisce al principio di offensività in concreto, in combinato al diritto fondamentale dell’autodeterminazione, interpretati considerando il dato storico-sociale e al difetto di determinatezza della fattispecie, indice della scarsa, se non assente, applicazione in concreto della medesima.

Da una parte, vi è il dato storico-sociale delle coppie che scelgono di andare all’estero per ricorrere alla maternità surrogata, dall’altra, vi sono le problematiche normo-strutturali poc’anzi evidenziate. Nonostante questi fattori, le forze politiche sembrano non prendere in considerazione alcun tipo di apertura nei confronti della pratica. Al contrario, il contemporaneo dibattito politico è incentrato sulla riforma in peius, al fine si di ridurre l’incertezza applicativa, ma pur sempre orientata a rafforzarne il divieto. Tale avversione, come anticipato, si basa sulla tutela della dignità della donna, così come affermato dalle Corti più autorevoli. La maternità surrogata violerebbe la dignità della donna perchè quest’ultima sarebbe un oggetto alla mercè dei desideri altrui. Una simile conclusione è comprensibile se è il frutto di scelte normative basate sulla tradizione culturale interna. Giacchè le Corti non possono stabilire giudizi di valore, questi appartengono necessariamente al legislatore, il quale dovrebbe rappresentare l’acquis popolare. Sul punto sorgono però molti problemi, alcuni di natura valoriale, altri strettamente giuridici. Sul piano dei valori vengono in gioco scelte che incidono sulla sfera intima e familiare degli individui e tanto basta per porre dei limiti al potere legislativo. Lo Stato, infatti, non svolge più una funzione paternalistica, anzi è chiamato a garantire la realizzazione dell’espressione personale senza alcuna distinzione (artt. 2 e 3 Cost.). La risposta a tale appunto è stata fornita dalla giurisprudenza, quando ha indicato l’adozione in casi particolari come un’alternativa. Quando si parla di valori, infatti, non è la maternità surrogata che funge da parametro, ma il diritto alla genitorialità, intesa sia come diritto dei genitori che come diritto dei figli. Essendo la genitorialità ormai sganciata dalla sua radice terminologica (gene-trasmissione genetica), il mezzo per realizzarla non assume alcuna rilevanza in astratto. Ma tale modo di ragionare, come recentemente messo in luce dalla Corte Costituzionale, costituisce una scelta a rime obbligate, in ottica di assicurare la tutela del minore e dunque è un modo per trovare la migliore soluzione disponibile nel caso concreto. Niente di tutto questo ha a che vedere con la problematica della maternità surrogata. Risulta, infatti, considerando il contesto sociale attuale troppo lassista il giudizio ancorato alla semplice formula, è vietata perchè mina la dignità della donna, in quanto la rende una merce di scambio. Un giudizio altamente formalistico e moralizzante, se non accompagnato dalla realtà fattuale. In altri termini, tale contributo aspira anche a verificare quanta realtà concreta vi sia nel divieto e quanta propaganda moralizzante, invece, vi si celi.

2. Il divieto di maternità surrogata e la dignità della gestante

In Italia, come noto, la maternità surrogata[2] (gestazione per altri) è espressamente vietata[3] e punita penalmente dall’art. 12, comma 6, ex l.n. 40/2004 (lo stesso articolo, al comma 1 prevede anche l’applicazione di una sanzione amministrativa per l’utilizzazione di gameti estranei alla coppia, che a seguito della pronuncia della Corte Cost. 162/2014, ad oggi si riferisce alla sola pratica della maternità surrogata). Il divieto penale, trova la sua ratio nella tutela della dignità della donna[4], “la maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane”, costituendo, in tal senso, espressione del principio di ordine pubblico[5] (Corte Cost[6]. sent. 162/2014, Cass. sent. n.12962/ 2016[7], Cass. sent. n.12193 del 2019[8], Corte Costituzionale n. 272 del 2017[9], nonché l’ordinanza interlocutoria della Cassazione Civile, n.8325 del 29 aprile 2020[10]).

La dignità della donna, tutelata dagli artt.1 Carta di Nizza, 2 Cost. e 5 c.c., viene intesa in senso oggettivo, per cui lo Stato si erge a garante della sua tutela, non assumendo la sfera dell’autonomia individuale, di fatto, alcuna rilevanza. Come noto, l’art. 5 c.c. stabilisce che non sono ammessi atti di disposizione del corpo quando questi siano lesivi, in modo permanente, dell’integrità psicofisica personale o contrari alla legge, al buon costume e all’ordine pubblico. La disposizione dell’art. 12 della legge 40/2004, sancendo il divieto di tale pratica dal momento che secondo l’id plerumque accidit non ne derivano lesioni psico-fisiche, si allinea sia al riferimento della contrarietà alla legge, che alla violazione del principio di ordine pubblico. Ne consegue che, nell’ordinamento interno il divieto di maternità surrogata è legittimato dalla disposizione legislativa sopra richiamata, mentre nei rapporti extra-statali, applicando le norme di diritto internazionale privato, si giustifica per la violazione del principio di ordine pubblico[11]. Infatti, come già accennato, tale pratica è a questo contraria in quanto mina la dignità della donna e le relazioni personali, perchè si ritiene che il corpo della donna venga mercificato a discapito della reale volontà della medesima che, sarebbe determinata[12], in tal senso, da prospettive di guadagno. Inoltre, si ritiene che la maternità surrogata offenda la ratio dell’istituto dell’adozione internazionale eludendone, di fatto, la funzione. Invero, le possibilità che si verifichino, in concreto, simili condizioni non sono remote. Si pensi al problema della tratta degli esseri umani e alla vendita degli organi, maggiormente diffusi nei Paesi sotto-sviluppati. A tal proposito, però, ci si deve chiedere se il pericolo che dalla pratica della maternità surrogata possano generarsi attività di sfruttamento e mercificazione delle donne, a fronte del bilanciamento con il principio di autodeterminazione delle medesime, non possa, in realtà, essere risolto dall’introduzione di misure diverse (preventive e di controllo) e da previsioni normative che vadano a regolare tale pratica non in astratto sic et simpliciter, ma graduando la tutela nel caso concreto. Inoltre, ci si deve interrogare se il divieto di ordine pubblico sia realmente coerente con la tutela alla dignità personale o se quest’ultima, appartenendo alla sfera individuale, non abbia, invece, significati diversi. Ci si riferisce al principio personalistico, al principio/diritto dell’autodeterminazione e alla possibilità, recentemente in auge in dottrina, di differenziare tali pratiche, in base alla gratuità o meno delle medesime[13], pur nella consapevolezza che nell’ordinamento interno, come più volte enunciato dalla Corte Costituzionale, non  vi sia alcuna apertura sul punto, dal momento che il divieto penale si fonda sull’offesa alla dignità della donna tout court, prescindendo dalla gratuità o meno della pratica. Invero, sul punto si potrebbe riprendere la disposizione stessa del comma 6 dell’art. 12 l. 40/2004, nella parte precettiva: “Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di  embrioni  o  la  surrogazione  di maternità…” effettuando un’operazione ermeneutica rivolta ad applicare il principio del favor rei, valorizzando la finalità della commercializzazione che, può essere ricondotta anche alla maternità surrogata. Infatti, la fattispecie potrebbe essere interpretata seguendo proprio la lettera della legge, la quale, punisce chiunque realizza, organizza o pubblicizza, non la donazione, il trattamento, lo scambio dei gameti/embrioni o la surrogazione di maternità tout court, ma la commercializzazione degli stessi, compresa la maternità surrogata. Tale interpretazione, ad avviso di chi scrive, appare suffragata dalla volontà, expressis verbis, di non perseguire penalmente l’utilizzazione, a fini procreativi, di gameti/embrioni estranei alla coppia, prevedendo, infatti, al comma 1 della stessa disposizione l’applicazione di una sanzione amministrativa. A fronte della pronuncia della Corte Cost. n. 162/2014, tale comma è stato ritenuto incostituzionale solo in riferimento alla procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo, permanendo invece in relazione alla maternità surrogata. Proprio la vigenza di tale disposizione, ci consente di avvalorare l’interpretazione favorevole sopra richiamata. Infatti, prevedere l’applicazione sia della sanzione amministrativa, sia della sanzione penale per lo stesso fatto comporterebbe, non solo un eccesso di tutela in violazione del principio di proporzionalità della pena, ma anche la manipolazione della ratio legis, rivolta a graduare l’intervento punitivo sulla base del grado di offensività della condotta. La stessa ratio è stata recentemente seguita dalla Corte Costituzionale, sentenza n. 149, depositata il 16 giugno 2022, in materia di doppia punibilità, amministrativa e penale, stabilendo che la sanzione amministrativa blocca, per gli stessi fatti, l’applicazione della sanzione penale. E’ pur vero, come già espresso, che la stessa Corte Costituzionale considera il divieto della pratica in senso assoluto, ma non per questo (stante la non vincolatività del precedente) non si può, invece, avvalorare l’interpretazione più favorevole che aggancia il divieto alla sola onerosità della stessa.

Ancora, si deve riflettere sull’incoerenza normativa perchè a fronte del divieto penale non si riscontra una disciplina conforme in materia civile, proprio perchè vi è la generale consapevolezza che una volta che si è violato il divieto, comunque si instaurano dei rapporti che assumono rilevanza e non potrebbe essere diversamente, dal momento che si è in materia di diritti personalissimi. Non da ultimo, il divieto penale appare in distonia con l’animus del corpo sociale il quale, anzi sembra andare nella direzione opposta, a riprova dell’effetto moralizzante che contraddistingue tale fattispecie e che si pone in contrasto con la neutralità che, invece, dovrebbe caratterizzarlo.

Le dinamiche appena evidenziate non si presentano come elementi di novità nel sistema ordinamentale. Si pensi alla tematica della prostituzione, ritenuta reato fino all’introduzione della legge Merlin (n.75/1958), considerata  lesiva della dignità della donna anche quando quest’ultima non avesse subito alcun tipo di sfruttamento. Nell’impostazione precedente alla legge citata poc’anzi, la tutela penale era orientata in senso pubblicistico[14], non assumendo l’autodeterminazione della donna alcuna rilevanza. L’abrogazione del reato di prostituzione trova la sua ratio proprio su una diversa interpretazione del principio di dignità, il quale assume carattere individualistico, venendo interpretato alla luce della libera capacità della donna di autodeterminarsi. Ciò che resta penalmente punito è, infatti, il favoreggiamento o lo sfruttamento della prostituzione perchè rileva la condotta di un terzo che trae profitto dall’attività sessuale praticata dalla donna, che solo in simili casi è privata della propria capacità di autodeterminarsi. Ancora, si prenda come riferimento la pratica dell’aborto, un tempo vietata in modo assoluto perchè si riconosceva rilevanza alla tutela dell’embrione e non alla libera volontà della madre di determinarsi in merito alla scelta di condurre o meno la gravidanza[15]. Di fatto, a fronte del divieto, si sono registrati molti casi di aborti clandenstini[16] che, in quanto tali, ponevano in serio pericolo la vita della donna che vi si sottoponeva. Tale dato, letto in relazione ad un’interpretazione orientata a dare rilievo all’autodeterminazione della donna, anche in ordine alla sua tutela psico-fisica (art. 32 Cost.), ha condotto all’introduzione della legge n.194/1978, incentrata sul bilanciamento tra il diritto di nascere del figlio trascorsi tre mesi dalla gestazione (comunque recessivo rispetto al diritto alla salute della donna) e il diritto della donna di scegliere se condurre o meno la gravidanza esercitabile liberamente entro 90 giorni dall’inizio della gestazione (non può essere una mera coincidenza, che a fronte della legalizzazione dell’aborto, il numero degli aborti praticati sia diminuito).

Come una specie di deja vu, il divieto di maternità surrogata sta facendo registrare dati e problematiche simili ai casi sopra menzionati. Infatti, a fronte del notevole ricorso a tale pratica nei Paesi esteri dove questa è ammessa (turismo procreativo), emerge di fatto e come sollevato recentemente dalla Corte Costituzionale un assetto normativo poco coerente con il mutato contesto sociale. Sul punto, bisogna precisare che ci si riferisce, in particolar modo, alla tutela del figlio nato attraverso tali pratiche vietate e non alle pratiche in se, in relazione alle problematiche socio-giuridiche che possono derivare dal ricorso alle stesse. Si pensi ai casi di scambio di embrioni[17], alla possibilità che la donna gestante (anche in assenza di legame biologico con il nato) muti opinione e decida di crescere il bambino che ha generato, alla possibilità che i genitori committenti, una volta rientrati in Italia vengano sottoposti a procedimento penale e alle conseguenze sanzionatorie a questo connesse (sebbene, per motivi che saranno sviluppati successivamente, ad oggi non risultano procedimenti penale che abbiano fatto applicazione della fattispecie ex art.12 c. 6 legge 40/2004). Nella possibilità che si verifichino tali problematiche, in assenza di una normativa specifica sul punto, come ci si deve orientare? Quali interessi prevalgono? A fronte del divieto di maternità surrogata, è possibile procedere al riconoscimento dello stato di figlio acquisito all’estero? E’ possibile riconoscere rilevanza giuridica al rapporto genitoriale instauratosi in concreto? E se la gestante, contrariamente all’impegno preso, volesse anch’essa far parte del nucleo familiare[18]?

Fino a questo momento, per risolvere le problematiche legate al riconoscimento dello status filiationis da gestazione per altri (praticate all’estero), si è fatto ricorso al bilanciamento tra il principio di ordine pubblico e l’interesse del minore a non subire le conseguenze negative di scelte effettuate dai genitori e, dunque, il suo diritto a conservare lo status acquisito in relazione al rapporto familiare instaurato e al fascio dei diritti che ne discendono (responsabilità genitoriale, rapporti parentali, diritti successori)[19]. Un lavoro interpretativo giurisprudenziale finalizzato alla tutela del minore, senza alcuna apertura, dato il divieto espresso per legge nei confronti della su detta pratica. In merito alle altre problematiche evidenziate regna l’incertezza interpretativa.

Si è consapevoli che un intervento del legislatore diretto a legalizzare la maternità surrogata, soprattutto in tale periodo storico (recentemente è stata approvata dalla Camera, la proposta di punire penalmente anche i genitori committenti, cittadini italiani, che si rivolgono a strutture estere per accedere alla pratica della maternità surrogata) può sembrare utopico[20]. Ma che attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata del principio di dignità[21], non si possa recuperare anche il senso solidaristico di una donna che liberamente scelga di aiutare un’altra donna, contribuendo a realizzare il suo progetto familiare?

E da tale interpretazione sistematica, giungere, in via giurisprudenziale, attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale del divieto tout court per contrarietà al diritto di autodeterminazione della donna ex artt. 2, 3,e 117 (violazione art. 8 CEDU) Cost., ad una parziale apertura sul punto[22]?

Del resto, il diritto è l’espressione dell’animus sociale e perciò soggetto al cambiamento, così come l’interpretazione delle norme (si pensi al revirement della Corte Costituzionale sull’istituto dell’adozione in casi particolari, sulla procreazione eterologa anche praticata da due donne). Senza tralasciare il dato storico, il quale riflette la non estraneità di tale pratica nella coscienza individuale e sociale. La maternità surrogata, infatti, in passato, veniva liberamente e ampiamente praticata a scopi solidaristici, soprattutto all’interno dello stesso nucleo parentale. Un dato che pone in evidenza l’adesione popolare ideologica e valoriale nei confronti della stessa.

3. Interesse del minore, strumenti di tutela

L’interesse del minore a conservare lo status di figlio acquisito alla nascita, come più volte enunciato, sia dalla Cassazione, che dalla Corte Costituzionale, sulla scia delle pronunce della Corte Edu (su tutti Mennesson e Labassee)[23] è prevalente rispetto alla tutela del principio di ordine pubblico, ma non è assoluto dovendosi procedere, in ogni caso, alla valutazione della situazione giuridica in concreto. E’ contestuale alla scrittura di questo testo, la pronuncia della Corte EDU[24] che ha condannato l’Italia per non aver riconosciuto il rapporto genitoriale tra il padre biologico e una bambina nata nel 2019 a seguito di maternità surrogata, proprio in ottica della tutela di quest’ultima, praticamente costretta a vivere senza un’identità. La violazione della vita privata e familiare subita dalla bambina viene riconosciuta dalla Corte EDU in riferimento al solo rapporto tra quest’ultima e il padre biologico, non pronunciandosi, in tal senso, nei confronti del genitore intenzionale, sul presupposto che avrebbe potuto agire tramite il ricorso all’adozione in casi particolari.

Anche a seguito delle numerose pronunce della Corte EDU, è cosa certa che il bilanciamento tra il principio di ordine pubblico e la tutela del nato da maternità surrogata, non può concretizzarsi in una soluzione che non assicuri la piena tutela di quest’ultimo[25]. Proprio in relazione alla piena tutela del minore, che nel diritto interno ha trovato parziale soluzione tramite il ricorso all’istituto dell’adozione in casi particolari (ex art 44 c.1-non legittimante), è intervenuta di recente la Corte Costituzionale, la quale, ne ha, invece, dichiarato l’inidoneità sul presupposto logico-giuridico che, non prevedendo lo stato di abbandono, è subordinata al consenso del genitore biologico, il quale potrebbe venire a  mancare. In tal modo, si vanificherebbe la possibilità per il genitore di intenzione di riconoscere il proprio rapporto genitoriale. L’instabilità e l’incertezza generata dall’adozione in casi particolari, quindi, determina la non idoneità della stessa ad assicurare la miglior tutela del minore, in relazione alla certezza del diritto e al suo interesse a conservare lo status acquisito e, con esso, il fascio dei diritti che ne derivano: responsabilità genitoriale, rapporti di parentela, diritti successori.

Per quanto espresso, la Corte Costituzionale ha prima lanciato un monito al legislatore al fine di intervenire per apportare misure normative risolutive sul punto e poi, a seguito dell’inerzia legislativa, si è pronunciata nuovamente sulla questione, dichiarando l’illegittimità dell’ art. 55 della legge 4 maggio 1983, n.184, nella parte in cui non consente di creare rapporti civili tra adottato e parenti dell’adottante[26].

L’intervento del legislatore, a ben vedere, non è auspicato solo in relazione alla tutela del nato, ma lo si richiede anche per regolamentare in maniera organica e risolutiva l’intera materia. A fronte della realizzazione della pratica all’estero, di fatto e normativamente, il divieto interno viene eluso e questo fattore rileva non tanto per quanto realizzato, quanto tosto per gli effetti che ne discendono. Infatti, a fronte della liceità della pratica realizzata all’estero, ne deriva la formazione di un nucleo familiare e l’interazione tra i soggetti coinvolti. Come già affermato in precedenza, le difficoltà sono di natura interpretativa, dipese proprio dal divieto e dalla contestuale non regolamentazione della materia sul piano degli effetti civili, a fronte della situazione giuridica fattuale che, invece, si crea. Si pensi al caso in cui la gestante, contrariamente all’accordo preso, muti opinione e voglia tenere con se il bambino che ha generato, nella duplice condizione in cui ha partecipato anche con l’apporto dei propri gameti o al contrario quando non ha trasmesso gli stessi. La soluzione più facile sarebbe quella di basarsi sull’irrevocabilità dell’accordo raggiunto, al fine di cristallizzare gli effetti a tutela della certezza del diritto e della stabilità dei rapporti. La nota dolente è che, in teoria, quanto realizzato all’estero non potrebbe spiegare effetto in Italia proprio a causa del divieto di ordine pubblico. Non avendo efficacia l’accordo, in una simile condizione come ci si dovrebbe regolare? Prevale il legame biologico o il progetto genitoriale? Prevale la volontà della gestante in quanto partoriente o la volontà dei committenti? Prevale il legame biologico o il rapporto di fatto?

Fino a quando le scelte si formano sul piano consensuale rispettando il decisum non sorgono problematiche rilevanti. Sono i possibili contrasti tra i soggetti coinvolti a palesare un bisogno di regolamentazione, al fine di assicurare la miglior tutela della situazione giuridica verificatesi.

In attesa di un intervento del legislatore che vada a riorganizzare la normativa in materia, in dottrina, nell’ottica di superare il deficit di tutela e avendo come scopo la tutela del nato, in relazione al rapporto genitoriale instauratosi, si sono sviluppate alcune tesi, tutte basate sull’interpretazione estensiva favorevole delle norme presenti. Ad esempio, c’è chi ritiene che ci si debba basare sull’istituto della responsabilità genitoriale, traendo dal fascio dei diritti e doveri a questa riconnessi, la legittimazione giuridica a rivendicare il riconoscimento del rapporto genitoriale[27].

Chi, invece, rinviene uno strumento di tutela nella disposizione dell’art. 279 c.c. che disciplina l’azione per l’esercizio della responsabilità per il mantenimento e l’educazione, la quale può essere esercitata in relazione a tutti i figli nati fuori dal matrimonio (e dunque anche ai c.d. figli irriconoscibili), ex artt. 30 Cost. e 315 c.c. (principio dell’unicità dello status filiationis[28]) e non prevede il consenso del genitore biologico (è prevista l’autorizzazione del giudice volta a vagliare l’interesse del minore). In tal modo, si supererebbe l’impasse generato dall’applicazione della disposizione sull’adozione in casi particolari e si potrebbe ottenere, in via incidentale, l’accertamento del rapporto di genitorialità di fatto instaurato, eludendo le problematiche riconnesse al riconoscimento formale dello status filiationis[29]. Da ultimo, c’è chi continua a non ritenere possibile la via del riconoscimento, prospettando come unico strumento l’istituto dell’adozione in casi particolari (soluzione avallata dalla già richiamata sentenza della Cassazione del 2022).

A parer di chi scrive, tali ipotesi, sebbene abbiano il pregio di offrire alternative logiche e normativamente centrate, peccano tutte del requisito dell’effettività della tutela. Tralasciando il riferimento all’adozione in casi particolari, in quanto si condivide l’analisi e la conclusione elaborata dalla Corte Costituzionale, il ricorso all’istituto della responsabilità genitoriale e all’azione per l’esercizio della responsabilità per il mantenimento e l’educazione dipendendo dall’interpretazione giurisprudenziale, non offrono la garanzia che al minore venga assicurata quella tutela effettiva che, invece, si richiede, in considerazione alle problematiche che in tal senso si intendono evitare: l’incertezza e l’instabilità. Infatti, il riconoscimento della responsabilità genitoriale esercitata di fatto sicuramente si presta ad essere un rimedio valido per l’accertamento e il riconoscimento del rapporto genitoriale instauratosi tra il genitore di intenzione e il figlio, soprattutto a vantaggio del primo, ma non riesce ad offrire la medesima garanzia di tutela se ci si riferisce al figlio, perchè non è in grado di produrre alcun effetto nei confronti del genitore di intenzione che non volesse assumere alcun dovere nei confronti di quest’ultimo e perchè dipenderebbe dall’interpretazione del caso concreto effettuata dal giudice. Venendo meno il requisito di fatto, costituito dal rapporto concreto, non vi è, infatti, alcun modo per assicurare al figlio l’adempimento dei doveri che discendono dal progetto genitoriale a cui ha partecipato il genitore intenzionale. Fino ad ora, si è ragionato molto nella prospettiva di assicurare l’uguaglianza tra il genitore biologico e il genitore intenzionale orientando l’interpretazione in favore di quest’ultimo. Non risulta, invece, che si sia proceduto nel senso di analizzare tale situazione nell’ottica della tutela si, del minore, ma anche del genitore biologico, il quale può, di fatto, ritrovarsi solo nella gestione e nella cura del rapporto genitoriale. Le medesime problematiche le si ritrovano considerando la possibile applicazione dell’istituto ex art. 279 c.c. sopra richiamato. Ne consegue che, qualsiasi sforzo interpretativo, allo stato attuale, non è in grado di realizzare una tutela piena ed effettiva, perchè si è costretti ad intervenire indirettamente e parzialmente, mentre si necessita di organicità e di esaustività. Per le ragioni già esposte, non si ritiene che si possano applicare per analogia, le norme che disciplinano il contratto in generale e quelle sulla donazione nella specie. Pur essendovi una similitudine tra lo schema della donazione e la realizzazione della pratica, entrambe basate sullo spirito di liberalità, sulla volontà libera e consapevole, sull’intento di donare per la realizzazione di un interesse non patrimoniale e per spirito di solidarietà, non contrastante con il divieto di fare uso delle parti del corpo ex art. 5 c.c. e pur essendo la donazione irrevocabile, il che potrebbe eliminare l’incertezza interpretativa nel caso che si verificassero pretese da parte della gestante, comunque sono schemi normativi calibrati sulla circolazione dei beni, il che collide con il valore della persona, centrale nello schema della maternità surrogata. Invero, l’azzardo analogico lo si potrebbe pure realizzare proiettando dal fatto una figura di donazione sui generis, dove la gestante si potrebbe trovare nella situazione di donare in modo definitivo i propri gameti e in modo temporaneo il proprio corpo. Un simile azzardo, però, può rimanere solo negli intenti, perchè vige il divieto e questo gambizza ogni tentativo di soluzione altra, rispetto al ricorso all’adozione in casi particolari. Invero, la risposta potrebbe pervenire direttamente dalla legge 40/2004 attraverso l’applicazione analogica delle norme che regolano la procreazione medicalmente assistita eterologa, il cui discrimine consiste nella gestazione condotta da un terzo.  Allo stato attuale però, si potrebbe consentire il riconoscimento solo se si escludesse la realizzazione della pratica in maniera gratuita dalla fattispecie del reato per i motivi già esposti e solo valorizzando la situazione di fatto, a fronte del divieto in generale che comunque consente di applicare la sanzione amministrativa a chiunque, a qualsiasi titolo utilizzi gameti estranei alla coppia, rimanendo illesi dal divieto, solo chi utilizzi i propri gameti e realizzi la pratica in maniera gratuita. Non da ultimo, almeno in relazione ai rapporti instaurati all’estero, si potrebbe fare applicazione del principio di ordine pubblico internazionale ed eludere in tal modo il divieto penale stesso. Ma sempre di elusione si parla e considerato il valore dei diritti che si trovano al centro del problema, una simile soluzione non può dirsi soddisfacente.

Conclusione

Dato quanto affermato, pur volendo considerare la dignità come un valore che appartiene si alla persona, ma che si riferisce ad essa in ottica generale e astratta (la donna in senso generale), tanto da assumere valenza super-individuale, il rispetto del principio di legalità (prevedibilità e determinatezza) e dell’oggettività, impongono coerenza e certezza normativa. Si è consapevoli che i concetti ampi si prestano ad interpretazioni diverse, in relazione alla fattispecie concreta posta in essere, ma tale diversità si realizza, appunto, sul piano fenomenico e non sul piano astratto e valoriale. Quando accade questo, il pericolo di una manipolazione dei valori per fini puramente politici è elevato e un simile rischio non può essere tollerato in materia di diritto penale.

Un divieto assoluto postulato sulla base di un principio valvola come la dignità, in materia penale, necessita di essere concretizzato, non solo perchè si riferisce alla sfera personale dell’individuo intaccando proprio la sua dignità, nell’accezione della propria determinazione e dello sviluppo della propria sfera psico-emotiva, ma anche nei confronti dei principi fondamentali che lo regolano e che sono proiettati al garantismo e non al giustizialismo. L’incoerenza assiologica è, ad oggi, più di un sospetto e ci fa propendere per un’incapacità preventiva e di controllo da parte dell’apparato statale, mitigando la stessa sotto l’ombrello della dignità. La necessità di garantire una tutela ampia per l’emergenza del pericolo della mercificazione della donna, infatti, non può tradursi in una soluzione punitiva tout court. Anzi, proprio il divieto interno, spingendo verso altri Paesi, molti dei quali meno sviluppati con problematiche di governo del territorio ampiamente maggiori, conduce alla concretizzazione stessa del pericolo. Uno stato democratico impronta il proprio diritto penale alla necessarietà, dovendo assicurare il controllo sociale con tutti i mezzi che ha a disposizione e solo ove questo non sia possibile o funzionale si può ricorrere a quest’ultimo. In altre parole, la politica criminale non può saggiare il suo intervento a causa dell’incapacità organizzativa dello Stato apparato, nè tanto meno può fregiarsi di etica e morale.

Se è vera la condizione che la norma nasce dal fatto per regolarlo, allora si deve ritenere vera anche la condizione in cui la norma non più idonea e coerente al fatto vada riformata. Si è dato atto delle situazioni fattuali generate dall’espresso divieto di ricorrere alla maternità surrogata e dell’incapacità sistemica di assicurare una tutela organica e coerente sia in relazione al principio personalistico, sia in rapporto alle problematiche riscontrate concretamente.

Il divieto di maternità surrogata, a parer di scrive, è distonico sia nei confronti delle scelte fattuali, sia con il principio stesso della dignità che si prefigge, in apparenza, di voler tutelare. Al contrario, proprio l’effetto del turismo procreativo contribuisce, sensibilmente, ad aumentare il rischio che si verifichino condizioni reali di sfruttamento della donna, a causa dell’incapacità sistemica ed organizzativa della maggior parte degli Stati esteri, in cui è facile ricorrere a tale pratica. Invero, l’unica forma di maternità surrogata che potrebbe generare un aumento del rischio dello sfruttamento della donna è quella economica. Infatti, a fronte del principio personalistico e solidaristico che permea il nostro sistema ordinamentale, non si vede come tale pratica possa essere considerata lesiva della dignità della donna, a maggior ragione quando il giudizio è svolto a priori, in astratto, senza nessuna valutazione e considerazione del fatto concreto e soprattutto, senza attribuire alcuna rilevanza all’autodeterminazione dei soggetti coinvolti. Autodeterminazione che rappresenta la massina espressione del principio di dignità. E’ la visione distorta del principio di dignità che, infatti, giustifica sul piano normativo il divieto.

Per tutte le ragioni esposte, si ritiene che il divieto di maternità surrogata tout court si ponga in contrasto con il valore della dignità personale per quello che essa rappresenta realmente e non per il concetto pubblicistico idealizzato. Si auspica, dunque, il recupero della funzione personalistica della dignità e di converso una riforma del divieto della pratica che vada a graduare la tutela nel caso concreto attraverso una regolamentazione specifica, differenziata, improntata al rafforzamento della prevenzione con strumenti di controllo effettivi, calibrati sulla reale esigenza del caso concreto. Proprio la regolamentazione graduale si presta ad essere la miglior soluzione per risolvere i contrasti valoriali ed ermeneutici legati alla realizzazione della pratica. Proprio l’abolizione del divieto tout court permette di bilanciare realmente gli interessi contrapposti nel caso concreto, che troverebbero una soluzione certa grazie alla regolamentazione espressa. Attraverso la regolamentazione, infatti, si recupera la garanzia della certezza del diritto e la funzione personalistica del sistema normativo. Entrambi punti cardine del nostro diritto interno, ma continuamente frustrati dalle scelte politiche estremiste illiberali e antidemocratiche.

Note

[1] Per visualizzare la distribuzione terrritoriale completa cfr https://it.euronews.com/2018/09/13/maternita-surrogata-dove-e-legale-in-europa#:~:text=Italia%2C%20Spagna%2C%20Francia%20e%20Germania,ogni%20forma%20di%20maternit%C3%A0%20surrogata.

[2]    Zatti P., Maternità e surrogazione, in La nuova giurisprudenza civile commentata, n. 3/2000, pp. 197 ss

[3]    Bozzi L., Maternità surrogata, le ragioni del divieto e le proposte di regolamentazione: un cerchio che non si chiude, Actualidad Jurídica Iberoamericana nº 16 bis, 6/2022, su https://www.revista-aji.com/wp-content/uploads/2022/06/126.-Lucia-Bozzi-pp.-3318-3341.pdf; Gatta G.L.,, Surrogazione di maternità come “reato universale”? A proposito di tre proposte di legge all’esame del Parlamento, in Riv. SistemaPenale, 2 maggio 2023; Liberali B., Il divieto di maternità surrogata e le conseguenze della sua violazione: quali prospettive per un eventuale giudizio costituzionale?,in AIC, Osservatorio costituzionale, Fasc. 5/2019, ottobre 2019, su https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/2019_5_13_Liberali.pdf;

Pulitanò D., Surrogazione di maternità all’estero. Problemi penalistici; ivi, p. 2746 ss., con nota di Chibelli A., La maternità surrogata e il diritto penale: l’intervento della Corte di cassazione, in Dir. pen. proc., 2017, p. 896 ss; Venuti M.C., Coppie sterili o infertili e coppie «same-sex». La genitorialità negata come problema giuridico in Rivista critica di diritto privato, 2015, pp. 280 ss.

[4]    Balistreri M., Considerazioni bioetiche sulla riproduzione assistita e sulla maternità surrogata, una critica della prospettiva conservatrice, Etica & Politica / Ethics & Politics, XXIV, 2022, 1, pp. 265-286; Gattuso M., Dignità della donna, qualità delle relazioni familiari e identità personale del bambino, in riv. Questione Giustizia, 2/2019, su https://www.questionegiustizia.it/data/rivista/articoli/621/qg_2019-2_09.pdf

[5]    Pezzini B., Riconoscere responsabilità e valore femminile: il “principio del nome della madre” nella gravidanza per altri, in S. Niccolai e E. Olivito (a cura di), Maternità, filiazione, genitorialità. I nodi della maternità surrogata in una prospettiva costituzionale, Jovene,  Napoli, 2017, pp. 91 ss. Per quanto riguarda l’evoluzione del principio di ordine pubblico a tutela dei diritti fondamentali si veda Fuscaldo F., In nome dell’ordine pubblico, Parte I. Un tuffo nel passato, il caso Taricco e i controlimiti, riv. Economia & Diritto, in corso di pubblicazione su www.economiaediritto.it

[6]    Corte cost., 10 giugno 2014, n. 162, su cui vds. Baldini A.,Cade il divieto di pma eterologa: prime riflessioni sulle principali questioni, in Vita notarile, 2014, pp. 617 ss.; Ferrando G., Autonomia delle persone e intervento pubblico nella riproduzione assistita. Illegittimo il divieto di fecondazione eterologa, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2014, II, pp. 393 ss.; Basile M., I donatori di gameti, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2015, II, pp. 223 ss.; Ruggeri A., La sentenza sulla fecondazione «eterologa»: la Consulta chiude al «dialogo» con la Corte Edu, in Quaderni costituzionali, 2014, pp. 659 ss.; D’Amico G., La Corte e il peccato di Ulisse nella sentenza n. 162 del 2014, ibid., pp. 663 ss.

[7]    Cass., sez. I, 30 settembre 2016, n. 19599 (pres. S. De Palma, est. A. P. Lamorgese), in Articolo 29, con nota di Schillaci A., Le vie dell’amore sono infinite. La Corte di cassazione e la trascrizione dell’atto di nascita straniero con due genitori dello stesso sesso, 3 ottobre 2016 (www.articolo29.it/2016/le-vie-dellamore-sono-infinite-la-corte-di-cassazione-e-la-trascrizione-dellatto-di-nascita-straniero-con-due-genitori-dello-stesso-sesso); Palmeri G., Le ragioni della trascrivibilità del certificato di nascita redatto all’estero a favore di una coppia same sex, in La nuova giurisprudenza civile commentata, 2017, p. 362

[8]    Nel 2019 la Cassazione a S.U. ha suscitato, con la pronuncia n.12193, grande interesse in dottrina e in giurisprudenza, tanto da essere citata in numerose pronunce successive. Con la sentenza della Cassazione n. 12193/2019 si pone in evidenza in modo innovativo un profilo della valutazione di compatibilità con i principi di ordine pubblico, forse rimasti all’ombra delle precedenti decisioni. Tale pratica, ribadisce la Cassazione, rimasta pertanto invariata al vaglio della giurisprudenza dell’ultimo quinquennio, comporterebbe una mercificazione del corpo della gestante, la quale rinuncerebbe alla propria maternità a favore dei committenti e per questo motivo lesiva della sua dignità.

[9]    Corte cost., 18 dicembre 2017, n. 272 (pres.P. Grossi, est. G. Amato), in materia di impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità ex art. 263 cc; sulla sentenza, vds.Schillaci A., La Corte costituzionale e la conservazione dello status fliliationis acquisito all’esterno: (molte) luci e (poche) ombre, tra verità biologica e interesse del minore, in Diritti comparati, 18 gennaio 2018; Sassi A., Gestazione per altri e ruolo delle azioni di stato, in Rivista diritto e processo, 2017, pp. 272-301. (www.rivistadirittoeprocesso.eu/upload/Riviste/Rivista%202017.pdf).

[10]  Luccioli G., La maternità surrogata di nuovo all’esame delle Sezioni Unite. Le ragioni del dissenso, in riv. Minori e Famiglia, 28.10.2022, su https://www.giustiziainsieme.it/en/news/74-main/129-minori-e-famiglia/2508-la-maternita-surrogata-di-nuovo-all-esame-delle-sezioni-unite-le-ragioni-del-dissenso; Rossi F., Ordinanza interlocutoria della Cassazione n. 8325/2020: giusto far prevalere l’interesse del minore o dell’ordine pubblico?, in riv. Famiglia, 20.05.2020, su http://www.salvisjuribus.it/ordinanza-interlocutoria-della-cassazione-n-8325-2020-giusto-far-prevalere-linteresse-del-minore-o-dellordine-pubblico/.

[11]  Sul punto vi sono due filoni interpretativi giurisprudenziali opposti. Il primo si allinea a tale conclusione richiamando il principio di ordine pubblico interno che erge a parametro anche la legge. Il secondo, invece, ritiene che vada applicato il concetto di ordine pubblico internazionale che riflette la tutela dei diitti fondamentali generalmente riconosciuti e per tale ragione esclude che il divieto di maternità surrogata possa fungere quale parametro del su detto principio, in quanto espressione della discrezionalità del legislatore e perciò soggetto alle dinamiche politiche.

[12]  Sul concetto di determinismo in contrapposizione al libero arbitrio, si veda Fuscaldo F.  E’ possibile determinare scientificamente la volontà?,Youcanprint, 2023.

[13]  Sono molti i Paesi che hanno proceduto all’adeguamento normativo in materia di maternità surrogata in relazione al mutato contesto sociale. In particolare, è molto diffusa la ricezione della pratica gratuita.

[14]  Acquaviva M., Perchè la prostituzione non è reato?, riv. La legge per tutti, 18.09.2019, su https://www.laleggepertutti.it/299421_perche-la-prostituzione-non-e-reato#google_vignette.

[15]  Scirè G., L’aborto in Italia:storia di una legge, Mondadori Bruno, 2011.

[16]  Pastorino M., Controllo all’italiana. Le interruzioni di maternità, Bologna, Edizioni Avanti!, 1964.

[17]  Scalera A., E’ madre chi porta a termine la gravidanza: l’ordinanza del Tribunale di Roma sullo scambio degli embrioni, riv. Altalex, 3.9.2014, su https://www.altalex.com/documents/2014/09/03/e-madre-chi-porta-a-termine-la-gravidanza-l-ordinanza-del-tribunale-di-roma-sullo-scambio-di-embrioni.

[18]  Sul punto, vi è chi propone l’esercizio del diritto di visita e chi invece propende per il riconoscimento del rapporto di fatto instauratosi.

[19]  Mirzia R.B., Le Sezioni Unite e i figli nati da maternità surrogata: una decisione di sistema. Ancora qualche riflessione sul principio di effettività nel diritto di famiglia, riv. Giutizia insieme, 6.02.2023, su https://www.giustiziainsieme.it/en/minori-e-famiglia/2645-le-sezioni-unite-e-i-figli-nati-da-maternita-surrogata-una-decisione-di-sistema-ancora-qualche.

[20]  Concas A.,Maternità surrogata reato universale: ok dalla camera, riv. Diritto.it, 28.07.2023, disponibile su https://www.diritto.it/maternita-surrogata-cedu-contro-la-trascrizione/

[21]  Si rammenti, che la dignità umana (art. 1) è associata al diritto all’integrità personale, della quale il «divieto di fare del corpo umano […] una fonte di lucro» (art. 3, comma 2) è una delle manifestazioni. È la dignità della persona, che la Corte costituzionale ha ritenuto offesa in modo “intollerabile” dalla maternità surrogata, giacché “mina nel profondo le relazioni umane” a prescindere dalla natura commerciale o altruistica dell’accordo. In entrambi i casi, infatti, tale pratica cancella il rapporto tra la donna e il figlio che porta in grembo, assimilando la prima a supporto materiale e lo stato filiale del nato a oggetto di scambio.

[22]  Liberali B., Il divieto di maternità e le conseguenze della sua violazione: quali prospettive per un eventuale giudizio costituzionale?, in Osservatorio costituzionale, 2019, fasc. 5  pag. 197 – 219; Niccolai S., Alcune note intorno all’estensione, alla fonte e alla “ratio” del divieto di maternità surrogata in italia , in GenIUS, 2017, fasc. 2  pag. 49 – 59.

[23]  Danisi C., Superiore interesse del fanciullo, vita familiare o diritto all’identità personale per il figlio nato da una gestazione per altri all’estero? L’arte del compromesso a Strasburgo, articolo29, 2014; Tomasi M., Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – Mennesson e Labassee v. Francia: diritto dei figli nati da maternità surrogata ad ottenere il riconoscimento del rapporto di filiazione da parte delle autorità statali, biodiritto.org, 2014; Tonolo S., Identità personale, maternità surrogata e superiore interesse del minore nella più recente giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, core.ac.uk.

[24]  Corte EDU 31 agosto 2023, causa C. contro Italia (condanna per non aver riconosciuto il legame tra la bambina nata da maternità surrogata nel 2019 e il padre biologico).

[25]  La Corte europea dei diritti dell’uomo, con un parere consultivo del 15 aprile 2019, pur avendo affermato che il diritto del minore nato da pratiche di maternità surrogata al rispetto della vita privata (ex art. 8 CEDU) richiede che la legislazione nazionale preveda la possibilità di riconoscere una relazione del minore con il cosiddetto genitore intenzionale, ha anche statuito che tale riconoscimento non deve necessariamente avvenire consentendo la trascrizione del certificato di  nascita nei registri dello Stato, potendosi delineare anche delle soluzioni diverse  rispettose del superiore interesse del minore (margine di apprezzamento).

[26]  La Corte si è pronunciata sulla questione di legittimità dell’art. 55 della legge 184/1983 nella parte in cui, con rinvio all’articolo 300 cod. civ., stabilisce che l’adozione in casi particolare non induce alcun rapporto civile tra l’adottato e i parenti  dell’adottante. La Corte ha rilevato questa preclusione in contrasto con il principio di parità di trattamento di tutti i figli, nati all’interno o fuori dal matrimonio e adottivi, che trova la sua fonte costituzionale negli artt. 3 e 31 Cost. ed è stato inverato dalla riforma sulla filiazione (l. 219/2012) e dal rinnovato art. 74 cc che ha reso unico senza distinzioni, il vincolo di parentela che scaturisce dagli status filiali con la sola eccezione dell’adozione del maggiorenne. Corte Cost. sentenza n. 79 del 28 marzo 2022.

[27]  Scarcella A., Maternità surrogata: va tutelato il diritto al riconoscimento del rapporto genitore-figlio, Altalex.com, dicembre 2022.

[28]  Legge n.219 del 2012, così come attuata dal d. lgs 154 del 2013.

[29]  Cfr Chiappetta G., Le sentenze della Corte Costituzonale n. 32 e n. 33 del 2021 e l’applicabilità dell’art. 279 c.c, in Minori e Famiglia, riv. Giustizia insieme, 6 giugno 2021.

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Scarcella A., Maternità surrogata: va tutelato il diritto al riconoscimento del rapporto genitore-figlio, Altalex.com, dicembre 2022, https://www.altalex.com/documents/2022/12/01/maternita-surrogata-tutelato-diritto-riconoscimento-rapporto-genitore-figlio;

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