Economia

Il problema dell’equità nel mercato dell’arte contemporanea

(di Marco Guenzi)

Negli ultimi articoli si è avuto modo di analizzare la problematica dell’efficienza del mercato dell’arte contemporanea sia come bene di consumo che come forma di investimento. In particolare si è evidenziato come l’obbiettivo di efficienza corrisponda con quello della massimizzazione del surplus sul mercato, sia da un punto di vista quantitativo che qualitativo.

Bisogna tuttavia rilevare che non sempre il conseguimento di un livello efficiente di output corrisponde a una massimizzazione del benessere dei soggetti interni al sistema, dipendendo ciò da sia dalla distribuzione del surplus prodotto in seno a questi (cioè dalla suddivisione dei profitti tra artisti, intermediari e investitori e dell’utilità, in termini di dividendo estetico, tra collezionisti e pubblico), sia più in generale dal raggiungimento di una certa equità in termini di opportunità per i diversi soggetti che vi fanno parte (il concetto di equità fa quindi capo ad una situazione di giustizia sociale, dove vengano garantiti a tutti gli stessi diritti e nello stesso tempo venga premiato il merito). Anzi si può dire che spesso tra efficienza e benessere sociale si determini un trade-off, per cui risulta impossibile arrivare ad una situazione ottimale, ma bisognerà accontentarsi di arrivare ad un punto di second-best.

Tuttavia il trade-off tra efficienza ed equità può presentarsi in diverse misure a seconda dei mercati e delle scelte di politica economica. Per quanto riguarda il mercato dell’arte contemporanea, le misure precedentemente delineate al fine di conseguire un maggior grado di efficienza (la creazione di chinese walls nel sistema arte; la penalizzazione dell’insider trading; l’istituzione di un registro di tutte le compravendite che renda ufficiali i prezzi delle transazioni e contestualmente di una tassa sul valore aggiunto culturale e sui capital gain (IVAC); una normativa anti-trust per favorire la concorrenza degli intermediari; la formazione di nuove figure di investitori quali i fondi di investimento in arte contemporanea; la normazione della comproprietà artistica) non sembrano a livello teorico avere riflessi negativi diretti in termini di equità del sistema, ma tutt’al più vanno in una direzione di ridistribuire il reddito prodotto. Tuttavia ciò non significa che la questione dell’equità non meriti una trattazione a sé stante.

Bisogna infatti sottolineare che l’arte costituisce un bene pubblico, che produce esternalità positive che si riflettono sull’immagine del paese, sul suo grado di sviluppo culturale e indirettamente sull’industria del turismo. Il settore delle arti visive va quindi incanalato verso una equa distribuzione delle opportunità in modo da attenuare, come si avrà modo di vedere, i meccanismi di selezione avversa degli artisti.

Per via della natura morale sottostante le scelte che la concernono, la questione del benessere esula da problematiche strettamente economiche, sconfinando nei campi della filosofia e della politica. Le decisioni che la concernono sono infatti in ultima analisi soggettive, sebbene, è bene sottolinearlo, sussistano elementi di oggettività.

L’ottica utilitaristica

Se si passano in rassegna le diverse correnti di pensiero che hanno trattato questo tema, troviamo innanzitutto l’approccio utilitarista, teorizzato da Bentham[1].

L’ottica utilitaristica prevede che la funzione di benessere sia determinata dalla somma delle singole utilità percepite dai soggetti interni al sistema. Vale a dire il benessere viene a dipendere direttamente dal surplus totale prodotto nell’interno del sistema economico, qualunque sia la sua forma distributiva. Secondo tale approccio (ancor oggi alla base di valutazioni di sviluppo economico come il PIL pro-capite) in ultima analisi il benessere viene a coincidere con un obbiettivo generale di efficienza del sistema.

Se si andasse ad applicare tale forma di pensiero al sistema dell’arte varrebbero le considerazioni fatte nei passati articoli[2] e il discorso sull’equità non avrebbe senso di essere dibattuto. In realtà questo approccio risulta essere riduttivo, in quanto è quasi universalmente riconosciuta l’importanza non solo che si producano risorse, ma anche che esse siano (almeno in una certa misura) equamente ridistribuite.

Se infatti la quasi totalità delle risorse fosse concentrata nelle mani di pochi operatori, cioè di pochi artisti, gallerie, mercanti d’arte, musei e collezionisti di brand, si verrebbe a togliere linfa a quegli artisti e movimenti d’avanguardia che nascono dal basso e a quegli intermediari che li sostengono, togliendo loro l’opportunità di emergere nonostante il loro valore artistico.

Purtroppo è questo il caso in cui il sistema dell’arte si trova ormai da qualche decennio, per cui è possibile riscontrare una continua ascesa delle quotazioni degli artisti di punta e un sempre maggiore profitto delle maggiori gallerie e case d’asta, a discapito del mercato di fascia bassa dove i soggetti fanno fatica a sostentarsi[3]. Al giorno d’oggi, in mancanza di strutture pubbliche e di una critica indipendenti, il valore di mercato degli artisti è divenuto ormai un indice del loro valore artistico, attuando di fatto una profezia che si auto-avvera: cioè che gli artisti supportati dal sistema, al di là dei loro meriti in termini di creatività, espressività e innovazione, non potranno che ottenere (solo e unicamente loro) notorietà e successo.

L’approccio Rawlsiano

Una definizione alternativa di benessere, in contrasto con quella utilitaristica, è quella Rawlsiana[4]. Secondo Rawls la funzione di benessere è costruita sulla base dell’utilità dell’individuo che sta peggio. Tale approccio prevede quindi che la finalità di un intervento pubblico sia quello di salvaguardare e migliorare la situazione dei più deboli e disagiati, anche al prezzo di perdere in termini di qualità ed efficienza del sistema.

Anche la teoria Ralwsiana fa sorgere delle perplessità, in quanto è altrettanto chiaro che un sistema non può andare solamente verso una direzione assistenziale senza considerare l’importanza che il merito sia premiato.

A riguardo è importante sottolineare che le misure a sostegno degli artisti in fieri vanno attentamente studiate. Il fatto di dare ad esempio sussidi generalizzati all’attività artistica può essere una politica improduttiva, poiché essi determinano di fatto una condizione assistenziale per gli artisti che non premia la qualità.

Un possibile approccio intermedio

Se sia l’approccio utilitarista sia quello Rawlsiano hanno, per ragioni diverse, dimostrato evidenti limiti, ci si trova nella necessità di costruire misure alternative che possano essere indicatori del benessere del sistema arte nel suo complesso. Tuttavia la costruzione di tali indicatori risulta essere particolarmente complessa e di natura arbitraria.

Un possibile approccio alternativo potrebbe ad esempio essere quello di prendere in considerazione il benessere marginale in termini relativi dei singoli soggetti che fanno parte del sistema, intendendo per esso l’utilità marginale che ogni individuo o istituzione ottiene per ogni unità di surplus che ha in più. La funzione di benessere viene quindi costruita come una curva Cobb-Douglas che soppesa l’utilità dei soggetti interni al sistema.

Secondo tale approccio se un artista che guadagna 1000 euro al mese ha un aumento dei suoi redditi di 100 euro produce un incremento del suo benessere marginale in termini relativi pari al 10%. Da un punto di vista sociale questo aumento è altrettanto auspicabile in termini di benessere quanto un profitto extra di 1000 euro ottenuto da un gallerista che ne guadagna 10.000.

Tale forma di curva di benessere, che è caratterizzata da un’elasticità costante dell’utilità rispetto al surplus dei soggetti interni al sistema, ha il pregio di attuare una forma di progressività nell’ottenimento dei benefici sulla base del reddito, divenendo una approccio meno estremo di quello Rawlsiano. Essa tuttavia non risolve alla base il problema di fondo che è stato finora riscontrato, e cioè quello di essere un indicatore che inglobi al suo interno il merito e quindi anche la qualità artistica prodotta dal sistema. Questo approccio presenta inoltre notevoli problemi da un punto di vista pratico in quanto i dati necessari per un suo calcolo sono di difficile determinazione.

Più in generale gli approcci basati sulle funzioni di benessere presentano evidenti limiti teorici, poiché non essendo indicatori della qualità e del merito della produzione artistica, ma solo del suo valore commerciale (che non ha niente a che vedere con essa)[5], non sono in grado di rappresentare né il la misura del dividendo estetico goduto dal pubblico, né il peso delle esternalità positive che l’arte produce, in termini di sviluppo culturale di un paese e di indotto all’industria del turismo e più in generale di ritorno in immagine.

Benessere e Capability Approach

Un interessante approccio alternativo per calcolare il benessere è quello di Amartya Sen[6]. Sen critica gli approcci tradizionali, basati sulle funzioni di benessere sociale, perché essi mettono in diretta correlazione le risorse con l’utilità degli individui. Egli fa notare che non sempre le singole risorse hanno le stessa funzionalità (functionings) per tutti gli individui: dare una bicicletta ad un disabile non produce la stessa utilità che darla ad un individuo fisicamente integro. Allo stesso modo anche se due individui hanno le stesse funzionalità non è detto che queste ultime abbiano per loro lo stesso significato: ben diverso è chi non mangia perché è senza cibo e chi non mangia perché vuole fare una dieta. Quindi si può dire che il set di funzionalità che un individuo ha a sua disposizione dipende dalle sue opportunità di partenza (capabilities). Inoltre la percezione degli individui dei propri bisogni reali non è sempre scontata, in quanto essi a volte sono ignari di ciò che li può far star bene. Sen quindi afferma che, partendo dalle risorse, è prima necessario che queste siano utilizzabili dal soggetto, poi che gli permettano di avere un equo set di opportunità tra cui scegliere, infine che egli sappia scegliere quelle opportunità che lo rendono felice. Rendere tutti gli individui felici quindi è più complicato che dar loro le stesse risorse, ma prevede anche degli step successivi, in modo che ognuno di essi vada nella direzione di realizzarsi.

Applicando questo approccio al sistema dell’arte contemporanea, risulta fondamentale il fatto di valutare prima le funzionalità degli artisti, poi determinare il set di opportunità a cui tutti essi devono avere accesso, ovvero le capabilities, infine valutare il grado di qualità del lavoro artistico prodotto in un determinato contesto istituzionale. L’accento è quindi posto su chi produce (gli artisti) e sul set di strumenti (il sistema dell’arte nel suo complesso) che permette loro, in base alle loro effettive capacità, di realizzarsi, esporre il proprio lavoro e ricevere un’adeguata ricompensa economica.

Da questo punto di vista va rilevato che non tutti gli aspiranti artisti godono di pari opportunità. C’è chi ha frequentato l’accademia, trovando un naturale canale d’accesso al sistema, e chi non ha potuto iscriversi o si è scoperto artista per vocazione in tarda età. C’è chi vive e lavora in un contesto geografico favorevole (come una grande metropoli internazionale), dove è possibile avere contatti e mostrare il proprio lavoro, e chi invece è emarginato in luoghi dove l’arte è rilegata nel dimenticatoio. C’è poi chi ha alle proprie spalle una condizione economica favorevole che gli permette di produrre senza grandi patemi d’animo e chi invece non può permettersi di avere tempo per la produzione artistica perché deve trovare mezzi di sostentamento. C’è chi per indole è un artista “puro” disinteressato ad un discorso di auto-promozione, ma rivolto solo alla produzione artistica, e chi è magari noncurante dell’autenticità della propria arte ma invece molto abile a sfruttare tutti gli stratagemmi del marketing e della comunicazione per avere successo. Naturalmente una diversa distribuzione delle opportunità di emergere è a discapito della meritocrazia, e in ultima analisi della qualità artistica e dello sviluppo culturale. E lo stesso discorso potrebbe valere per galleristi, critici, mercanti, curatori, direttori di museo e ogni altro soggetto coinvolto nel sistema dell’arte, poiché anch’essi con la loro attività contribuiscono a creare valore aggiunto al settore delle arti visive[7].

Si è quindi, come d’altronde in quasi ogni altro settore, in una condizione dove sussistono delle ineguaglianze di fondo da sanare. Va inoltre rilevato che tali differenze di partenza nelle capabilities comportano come conseguenza che la qualità artistica non venga premiata, indipendentemente valore di mercato che la produzione vada poi ad assumere (che purtroppo non ne è un valido indicatore)[8]. Urge in tal senso un intervento pubblico mirato a sostegno delle fasce più deboli del sistema (non solo relativamente agli artisti, ma anche alle professioni collaterali), per permettere loro, qualora ci fossero le qualità, di emergere: si può pensare all’istituzione di borse di studio, di artist in residence e di premi pubblici a partecipazione gratuita; alla creazione di un network dove scambiarsi informazioni e idee; all’organizzazione di mostre collettive in spazi istituzionali per gli artisti non rappresentati nel sistema.

In questo quadro anche per i giovani curatori sarebbero auspicabili soggiorni formativi, premi per gli allestimenti più interessanti, contratti a progetto per l’organizzazione di mostre in spazi istituzionali; e per le giovani gallerie sovvenzioni per rappresentare artisti esclusi dal mercato.

Naturalmente il problema maggiore in tal senso è trovare le risorse pubbliche necessarie ad intraprendere questa serie di misure. Una soluzione in tal senso potrebbe venire dall’istituzione della citata IVAC da destinare in parte ad un fondo pubblico con finalità assistenziali e promozionali dell’arte contemporanea[9].

La costruzione di indici del benessere sociale nel sistema dell’arte

Un importante strumento del monitoraggio dell’equità del sistema arte è costituito dalla creazione di indici ad hoc in grado di rappresentare alcuni specifici aspetti della questione del benessere sociale. In questo paragrafo si cercherà, senza pretesa di essere esaustivi, di introdurre alcune possibili misure indicative.

Per quanto riguarda la problematica della distribuzione dei redditi all’interno del sistema, che definiremo come “misura dell’equità dell’art stock”, un valido indicatore è sicuramente costituito dall’indice di concentrazione di Gini applicato ai prezzi di vendita sul mercato[10].

Nella fattispecie l’indice di Gini dell’art stock è in grado di analizzare la concentrazione del fatturato sul mercato delle opere prodotte dai singoli artisti vedendo come essa si distribuisca nel tempo tra le diverse fasce degli artisti: le celebrities, quelli affermati, quelli emergenti e coloro che non trovano mercato[11]. Tale indice, volendo analizzare la composizione del mercato nei diverse settori in base al loro valore commerciale, si calcola sui prezzi pattuiti per le transazioni ed è più significativo rispetto a quello costituito sul reddito percepito dai singoli artisti, il cui significato è di sola natura distributiva.

Un’ulteriore importante considerazione, come si avrà modo di vedere, è che dall’analisi nel tempo della composizione della curva di Gini si potrà trarre un importante spunto sullo studio dell’andamento dei cicli economici dell’arte. Tale importante strumento di analisi risulta utile non solo quindi per obbiettivi di politica economica, ma anche per comprendere lo stato del mercato e del sistema dell’arte nel suo complesso.

Il calcolo dell’indice di Gini dell’art stock trova tuttavia un grosso limite nell’indisponibilità dei dati. Allo stato attuale infatti gli unici dati ufficiali relativi alle compravendite di opere d’arte sono rappresentati dai prezzi battuti dalle case d’aste. Per tutte le altre transazioni non vi è traccia. In questo senso la costituzione di un registro pubblico di tutte le contrattazioni di opere d’arte concluse (accompagnato all’istituzione dell’IVAC) potrebbe, oltre a rendere più efficiente il mercato, anche andare nella direzione di renderlo decisamente più trasparente.

Per quanto riguarda invece il livello di democrazia del sistema in termini di pari opportunità (“misura dell’equità dell’art service”) l’indice di Gini può essere applicato ai giorni di allestimento in musei e spazi istituzionali ponderati per le presenze annuali di visitatori[12].

Tale indice sarà in grado di fornire una misura della distribuzione dei contributi delle istituzioni pubbliche alla possibilità di emergere dei diversi artisti. Tanto più sarà vicino all’unità tanto più concentrata risulterà essere l’offerta culturale, quanto più sarà vicino allo zero, tanto vorrà dire che l’offerta culturale risulterà essere diversificata.

Oltre a vedere l’andamento del valore dell’indice di Gini dell’art service sarà interessante confrontare, per capire l’evoluzione del sistema dell’arte, il grado di concentrazione dell’offerta culturale pubblica nei quattro segmenti del mercato delineati. Inoltre sarà indicativo studiare, a livello predittivo dei cicli economici del mercato dell’arte, come si comporta la correlazione dell’indice di equità dell’art stock con quello dell’art service con il variare delle diverse fasi del mercato.

Conclusioni

Nel presente articolo si è esaminata la questione dell’equità (intesa come massimizzazione del benessere dei soggetti interni a un sistema socio-economico), di primaria importanza nel mercato dell’arte contemporanea in quanto si visto esso produce per un paese esternalità positive in termini di immagine, sviluppo culturale e indotto per l’industria del turismo. L’equità può essere vista sia in termini di equa distribuzione dei redditi nel sistema tra i diversi individui e istituzioni che lo compongono (equità dell’art stock), sia come una condizione di partenza, se si prescinde dal merito, di pari opportunità di successo per i singoli artisti e operatori del mercato (equità dell’art service).

Si è visto che l’approccio tradizionale basato sulla definizione di funzione di benessere che soppesa le diverse utilità dei soggetti interni al sistema economico, sia essa nella forma Benthamina (utilitaristica), Rawlsiana o anche intermedia, presenta l’evidente limite di considerare la produzione artistica da un punto di vista quantitativo ma non qualitativo.

Un approccio più interessante e funzionale alla questione del benessere sembra essere quello di Amartya Sen, che analizza la questione in termini di opportunità (capabilities) e non di risorse. Seguendo tale visione è possibile individuare tutta una serie di interventi di politica economica a sostegno di coloro che sono penalizzati in partenza nel sistema dell’arte che abbiano un impatto sui meccanismi di selezione degli artisti e sulla qualità della produzione artistica. Tali interventi vanno dall’istituzione di borse di studio, ai premi pubblici gratuiti sia per gli artisti che per i curatori, all’organizzazione di eventi espositivi istituzionali e a sovvenzioni in diversa forma per le gallerie che lanciano artisti non rappresentati.

Tenendo conto delle considerazioni fatte si sono infine costruiti sulla base dell’indice di concentrazione di Gini due indicatori della misura dell’equità del sistema dell’arte, sia da un punto di vista dell’art stock, cioè della distribuzione dei redditi tra i soggetti all’interno del mercato,che dell’art service, cioè dell’opportunità per gli artisti di avere uno spazio espositivo garantito dalle istituzioni pubbliche.

Se la questione dell’efficienza risulta essere sicuramente di primaria importanza a causa della presenza di evidenti anomalie del mercato elencate nei passati articoli (e che si affronteranno nello specifico nei prossimi numeri della rivista), quella dell’equità comunque risulta anch’essa di un certo rilievo, essendo legata alle problematiche della qualità della produzione artistica, del merito e infine dei meccanismi di selezione degli artisti da parte del sistema. In ultima analisi è possibile concludere che sul mercato dell’arte contemporanea non risulta evidente esserci un trade-off tra obbiettivi di efficienza e equità; anzi semmai pare che essi vadano entrambi nella direzione di migliorare un sistema, quello dell’arte, che allo stato attuale rappresenta più un ostacolo che un aiuto alla libera espressione della qualità artistica.

[1] Bentham J. (1879), An Introduction to the Principles of Morals and Legislation, Clarendon Press, Oxford.

[2] Cfr. Guenzi M. (2014), “L’efficienza paretiana nel mercato dell’arte contemporanea”, in Economia e Diritto, n. 7 e Guenzi M. (2014), “L’efficienza dell’investimento in arte contemporanea”, in Economia e Diritto, n. 8.

[3] Al contrario di quanto è avvenuto per secoli, dove è stato il genio dell’artista e il contesto politico e sociale a determinare la nascita e il declino di correnti e movimenti artistici, ora a scandire i periodi di crescita sono i cicli economici. Al giorno d’oggi, come meglio si avrà modo di vedere, è molto più probabile che la nascita di nuove avanguardie avvenga solo una volta sgonfiata l’attuale bolla speculativa. Finché i vari Hirst, Koons, Cattelan e Murakami vedranno crescere le loro quotazioni, sostenuti da una sempre crescente richiesta dei loro lavori da parte dei nuovi ricchi dei paesi emergenti, sarà infatti difficile per artisti emergenti di qualità farsi strada nel sistema dell’arte.

[4] Rawls J. (1971), A Theory of Justice, Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge, Massachusset.

[5] Come si avrà modo di vedere il valore di mercato della produzione artistica è solo marginalmente determinato dalla qualità della produzione artistica offerta, ma è dipende quasi esclusivamente dalla componente della domanda (che fa capo a sua volta al livello del reddito pro-capite, alla concentrazione della ricchezza e alla diffusione dell’arte contemporanea in un determinato paese).

[6] Sen A. (1989), “Development as Capability Expansion” , Journal of Development Planning, n. 19, pp. 41–58 e Sen A. (1999), Development as Freedom, Oxford University Press, Oxford.

[7] Questo discorso vale anche per il pubblico, che secondo l’approccio delle capabilities, dovrebbe essere messo in condizione di capire l’arte contemporanea attraverso una adeguata educazione in storia dell’arte portata avanti nella scuola primaria e secondaria. Inoltre per chi deve apprezzare l’arte sorge il problema che parte delle collezioni non sono accessibili se non privatamente. Sarebbe interessante a riguardo valutare la possibilità di istituire agevolazioni di varia natura per i collezionisti disposti a prestare le proprie opere ai musei o ad esibirle in maniera permanente al pubblico.

[8] Cfr. la nota 5.

[9] Cfr. Guenzi M. (2013), Il mercato dell’arte contemporanea: politiche economiche, fiscali e diritto di seguito, in G. Negri-Clementi – S. Stabile(a cura di), Il diritto dell’arte, La circolazione delle opere d’arte, Ginevra-Milano, Skira.

[10] L’indice di Gini misura la disuguaglianza di una distribuzione. Esso è nella fattispecie misura della concentrazione del commerciabilità dei singoli artisti sul mercato e può avere valori compresi tra zero (equidistribuzione) e uno (massima concentrazione). Da un punto di vista matematico esso si può esprimere come:

dove G è il valore dell’indice, n è il numero degli artisti, yi è il valore del fatturato sul mercato derivante dalla vendita di opere del singolo artista e i rappresenta l’indice rappresentativo dei singoli artisti in ordine non decrescente.

[11] Come meglio si avrà modo di vedere, la segmentazione del mercato in base al prezzo di vendita viene operata sulla base di diversi criteri di distinzione. Le celebrities vengono identificate come quegli artisti conosciuti a livello globale, presenti nei maggiori musei del mondo, per cui valgono i meccanismi economici delle Superstar (Rosen S. (1981), “The Economics of the Superstar”, American Economic Review, n. 71 pp. 825-58 e Ader M., “Stardom and Talent”, American Economic Review, n. 75, 208-12), il cui fatturato è pari almeno a 10 volte alla media di quello degli artisti affermati. Gli artisti affermati sono quelli che ormai sono consolidati nella fama, sono presenti sul mercato secondario e le cui opere sono bandite all’asta (che quindi hanno una quotazione ufficiale). Gli artisti emergenti sono quelli rappresentati dalle gallerie e cominciano ad avere un mercato primario e in alcuni casi secondario. Gli artisti esclusi sono quelli senza rappresentanza né sbocchi sul mercato, ovvero tutti gli artisti rimanenti.

[12] Nella fattispecie l’indice assumerà la forma:

dove G è il valore dell’indice, n è il numero degli artisti, m è il numero dei musei e delle istituzioni pubbliche, gi è il numero di giorni espositivi per ogni singolo artista in istituzioni pubbliche raggruppate per queste ultime, vi è il fattore di ponderazione dell’istituzione sulla base delle visite medie giornaliere, i rappresenta l’indice rappresentativo dei singoli artisti in ordine non decrescente e k rappresenta l’indice rappresentativo dei singoli musei e istituzioni pubbliche in ordine non decrescente.