Il segmento artisti affermati (Avanguarde Market) – prima parte
(di Marco Guenzi)
Dei numerosi artisti emergenti presenti sul mercato Alternative, solo una piccola parte riesce ad approdare su quello Avanguarde, ovvero arrivare a costruirsi progressivamente una reputazione tale da permettergli di esporre in contesti prestigiosi e di arrivare a quotazioni di tutto rispetto. In questo e nei prossimi articoli si studierà appunto il processo attraverso cui gli artisti riescono ad affermarsi sul mercato.
Nel presente scritto, dopo aver inquadrato il contesto di riferimento del mercato Avanguarde, si delineeranno, da un punto di vista sia socio-economico che antropologico, i diversi soggetti che vi operano, che rappresentano i cosiddetti stake-holder, ovvero i coloro che hanno un interesse, più o meno diretto, nell’affermazione personale di un artista.
Caratteristiche fondanti del mercato.
Se, come si è visto, la differenza tra il mercato Alternative e quello Junk consta nella presenza o meno delle gallerie come rappresentanti degli artisti, che cosa contraddistingue invece il mercato Avanguarde da quello Alternative?
La risposta in realtà non è né semplice né scontata, in quanto non vi è una distinzione netta tra i due mercati, come invece avviene tra Junk e Alternative Market. Si può comunque affermare che vi sono diversi fattori che differenziano un artista affermato da uno emergente.
In primo luogo vi sono degli elementi oggettivi di natura economica che riguardano la struttura del mercato, cioè da una parte la presenza di un mercato secondario parallelo attraverso compravendite private e all’asta, inesistente per gli artisti emergenti, e dall’altra un livello delle quotazioni superiore che si traduce in una conformazione della curva di domanda con andamento “classico”, ovvero inclinata negativamente, (mentre come si è visto per gli artisti emergenti la curva di domanda era inclinata positivamente per via dell’effetto qualità di Stiglitz). Si avrà modo di analizzare le determinanti di questi fattori nei prossimi articoli.
In secondo luogo vi sono elementi di natura più sociologica, che determinano presso gli addetti ai lavori sia un maggior grado di notorietà, sia una migliore reputazione. Tra questi fattori si riscontra innanzitutto un cambio di rappresentanza da parte degli artisti, che lasciano la galleria di scoperta con cui hanno mosso i primi passi sul mercato, per essere promossi da gallerie di maggior prestigio, denominate anche “tradizionali”. Tale cambio di rappresentanza è in genere conseguente a un certo successo artistico nelle prime fasi della propria carriera, che da un punto di vista commerciale significa che l’artista è riuscito a piazzare sul mercato molte delle opere da egli prodotte fino a quel momento, ad un prezzo che è teso ad aumentare al crescere dell’offerta (processo che è stato definito di “saturazione del mercato”).
Se il cambio di rappresentanza non è una scelta obbligata per un avanzamento di carriera, ciò si rende necessario nel caso la galleria di scoperta non abbia un’evoluzione parallela con l’artista e non guadagni insieme a lui anch’essa un nuovo status nel sistema dell’arte. Una certa reputazione infatti è il presupposto per la galleria per allargare la propria rete di contatti, sulla cui base implementare una strategia commerciale efficace.
Il processo di “ristrutturazione” della carriera di un artista in genere comporta che egli non si limiti a costituire un’unica partner-ship con una singola galleria, ma che, per ragioni di tipo commerciale e in base ad un suo maggiore potere contrattuale, preferisca piuttosto stringere contemporaneamente accordi con più gallerie di diversi paesi, allargando quindi l’orizzonte geografico della “distribuzione del proprio prodotto”.
Infine la carriera degli artisti affermati è contraddistinta da tutta una serie di accadimenti che ne consolidano la reputazione: le partecipazioni a biennali, a mostre in musei e in altri spazi istituzionali importanti; la presenza alle maggiori fiere internazionali; l’acquisto di opere da parte di musei e collezionisti importanti; i premi di rilevanza nazionale; le recensioni su riviste specializzate e saggi firmati da critici di rilievo sul proprio catalogo personale; l’acquisizione di un certo livello di notorietà presso gli addetti ai lavori, nonché infine l’avere una quotazione ufficiale consultabile dai collezionisti.
Se quindi non esiste una singola caratteristica distintiva dello status di artista affermato, vi sono diversi segnali che fanno presumere ad un artista emergente una migrazione verso il mercato Avanguarde.
Analisi degli attori
Le gallerie tradizionali
Mentre la svolta segnata dall’entrata nel circuito delle gallerie – e quindi sull’Alternative Market – rappresenta un po’ un “Rubicone” per un artista, il passaggio da uno status di “emergente” a quello di “affermato”, benché costituisca forse un punto ancora più cruciale della sua carriera, avviene, come si è appena visto, in maniera graduale, attraverso il compimento dei diversi passi che lo caratterizzano. Tuttavia forse il fattore più rilevante, tra quelli appena citati, che caratterizza questo passaggio (e in genere costituisce il primo step) è quello di cambiare sponsor e venire rappresentati da una o più gallerie più importanti (chiamate “tradizionali”).
In genere questo decisivo passo non avviene su iniziativa personale dell’artista, come invece spesso succede con le gallerie di scoperta. Se infatti l’aspirante artista, che è alla ricerca di una galleria che per la prima volta lo rappresenti, agisce come un cacciatore che al posto del fucile ha il suo portfolio in mano, l’artista emergente che vuole affermarsi, invece, si comporta più come un pescatore: mette in pratica, a fianco di quella portata avanti dalla galleria, una intensa attività di Public Relations che gli permette di entrare in contatto con gallerie più importanti, in modo che esse possano così, oltre a conoscerlo personalmente, accorgersi del suo lavoro. Saranno poi queste, colpite dalle opere e dalla reputazione costruite dall’artista, a offrirgli una collaborazione.
Questo processo a volte avviene anche in maniera indiretta, per mano di un critico o di un artista amico che collabora con la galleria tradizionale: su segnalazione di quest’ultimo la galleria contatta l’artista, visiona il portafoglio e, in caso le piaccia, gli fa la proposta.
A questo punto raramente l’artista rifiuta tale opportunità, poiché il fatto di essere rappresentato da una galleria più potente, con radicati agganci nel sistema dell’arte, gli permette di aprire davanti a sé tutta una serie di porte che rappresentano per lui nuove prospettive di crescita.
Se la promozione degli artisti nell’Alternative Market è rappresentata dall’organizzazione di mostre personali e collettive nello spazio della galleria, dall’ottenere qualche recensione sulle riviste d’arte minori e essere presentato nelle fiere nazionali, in quello Avanguarde questa operazione si presenta più dispendiosa e complessa.
In tale mercato l’aspetto più importante per un avanzamento di carriera non è più in primis costituito da una progressiva vendita di opere sul mercato che consente aumento delle quotazioni rapido e costante, ma piuttosto dalla costruzione di una solida reputazione all’interno del sistema che gli permetta di acquisire, attraverso l’attività espositiva, le recensioni critiche e il passaparola, una certa notorietà. Per questo le politiche delle gallerie tradizionali sono più interessate a portare avanti una complessa e articolata operazione di marketing, comprendente l’organizzazione di tutta una serie di sell-out situations che possano sostenere la reputazione dell’artista.
Da parte loro anche le gallerie commerciali hanno dei grossi vantaggi a collaborare con artisti emergenti. Si può infatti dire che l’artista, cambiando diversi intermediari nel prosieguo della sua carriera, si porta con sé, come bagaglio, gli effetti dell’attività di promozione portata avanti in passato dalle altre gallerie, di cui le nuove possono beneficiare in modo gratuito. Tale comportamento opportunistico, che vede un soggetto trarre vantaggio da investimenti effettuati da altri senza pagarne il prezzo, è denominato in microeconomia “free-riding”.
Tuttavia se le gallerie commerciali possono quindi trarre liberamente i frutti di quella che è stata l’attività promozionale della galleria di scoperta, quest’ultima può premunirsi da questo rischio, comprando un ingente quantitativo di opere dell’artista, in modo da potere invece godere i frutti della futura attività promozionale della galleria tradizionale. In questo modo la galleria di scoperta sarà in grado di influenzare il mercato dell’artista e gli sviluppi della sua carriera, accrescendo così la sua importanza all’interno del sistema.
I notevoli vantaggi del free-riding fanno presumere che ci sia un alto numero di gallerie tradizionali. In realtà esse sono relativamente poche rispetto a quelle di scoperta (d’altronde si sale un gradino in su nella piramide che rappresenta la gerarchia del sistema dell’arte), e ciò può essere motivato dalla presenza di notevoli barriere all’entrata.
I motivi di una forte selezione non sono tuttavia di ordine economico: gli investimenti iniziali non sono infatti così elevati da precludere l’ingresso di nuovi operatori su questo mercato, nonostante i maggiori costi promozionali che queste gallerie devono sostenere. L’Avanguarde Market consente poi profitti molto maggiori e offre come vantaggio il free-riding, fattori che costituiscono un incentivo all’ingresso in questo mercato.
Una possibile interpretazione del fenomeno può avvenire invece se si analizza il mercato in termini sociologici e antropologici. Poiché, come meglio si vedrà, per la promozione degli artisti è necessario organizzare eventi che presuppongono una conoscenza diretta, se non personale, di altri soggetti operanti nel sistema dell’arte (collezionisti, direttori dei musei, curatori, critici, storici dell’arte, intellettuali, giornalisti, mercanti, consulenti d’arte, alti rappresentanti delle case d’aste, banchieri, industriali, politici, ecc..) è necessario da parte delle gallerie (e come si è visto degli artisti) un accumulo di un certo quantitativo di “capitale relazionale”[1]. Per l’accumulo di tale capitale è necessario possedere tutta una serie di atout. Innanzitutto serve una base di conoscenze iniziali (per le quali l’appartenenza di origine ad una classe sociale elevata aiuta sempre), che costituiscono il “biglietto da visita” del gallerista. Poi è fondamentale un “savoir faire”, ovvero il conoscere le regole interne al sistema dell’arte, in modo da sapersi muovere secondo le consuetudini senza incorrere in comportamenti che potrebbero portare ad un giudizio negativo da parte di questo mondo. Per ottenere tutto ciò è importante aver frequentato per un certo periodo questo ambiente, e, potendo, i salotti delle élite culturali e mondane. Last but not least è il fattore “competenza”, ovvero le capacità acquisite in termini umani, relazionali, culturali, organizzativi e di gusto, elementi che costituiscono un vero e proprio passaporto per cominciare a frequentare questo mondo esclusivo.
Un altro fattore che negli ultimi anni ha ridotto ulteriormente il numero delle gallerie tradizionali, è stata la forte competizione sul mercato. I nuovi sviluppi dell’arte infatti, nel mondo contemporaneo altamente globalizzato, sono caratterizzati da una omogeneizzazione delle forme espressive che trae origine dalla nascita di nuovi musei, nuove fiere e nuove biennali, nonché dalla diffusione di Internet: tutto ciò pone le gallerie tradizionali a dover far fronte a quelle che sono le nuove spinte competitive. A ciò si deve aggiungere la situazione di crisi internazionale, i cui effetti sono riscontrabili anche oggi, che pongono le gallerie tradizionali in una situazione di svantaggio nella sfida competitiva rispetto a quelle di scoperta, più piccole e quindi maggiormente flessibili, in grado quindi di poter meglio fronteggiare i periodi di vuoto della domanda. Inoltre si consideri che il canale Internet, che sta rivoluzionando gli usi e i costumi commerciali del mondo dell’arte, ha un notevole appeal sui settori più bassi del mercato (Junk e Alternative), ma fatica a diffondersi per le opere di un certo valore. I collezionisti in genere tendono infatti a voler apprezzare di persona i pezzi di maggior pregio che richiedono investimenti non irrilevanti, e soprattutto sono riluttanti ad effettuare cospicue transazioni finanziarie con strumenti telematici, gli e-commerce, che utilizzano un canale di trasmissione di tipo pubblico non esente da rischi[2].
Per ragioni diametralmente opposte le gallerie tradizionali risentono della concorrenza delle grandi gallerie di punta (brand galleries), che negli ultimi anni si stanno sviluppando fortemente aprendo numerose sedi in tutti i centri di arte internazionale, ampliando quindi il loro range operativo: non possono competere con loro perché impossibilitate a reperire le risorse necessarie per fare investimenti così imponenti[3]. Esse risultano essere quindi schiacciate tra l’incudine e il martello, risentendo fortemente di questa situazione.
I rappresentanti della cultura
Il ruolo fondamentale di promozione dell’artista in questo mercato risulta però essere quello dei direttori dei musei.
Per un artista infatti l’acquisto delle proprie opere e la loro esposizione in un museo (specie se di rilievo) significano una sorta di consacrazione. I direttori dei musei possono quindi, con le loro scelte, influire profondamente sulle carriere dei singoli artisti: svolgendo una funzione di “storicizzazione” dell’artista, queste figure fungono da gate-keeper per questo settore, designando chi realmente può considerarsi “affermato”.
Dal canto loro i musei, siano essi privati (come prevalentemente avviene negli Stati Uniti), o pubblici (come spesso si riscontra in Europa) si trovano di fronte al problema di trovare le risorse per le loro dispendiose attività di sia di costituzione della propria collezione, sia di sostenimento dei costi espositivi e amministrativi[4]. Infatti le risorse ottenibili dalle entrate dirette (vendita di biglietti, abbonamenti, cataloghi e merchandising) risultano nella stragrande maggioranza dei casi insufficienti alla copertura dei costi.
Ciò di fatto determina una dipendenza dei musei da altre fonti di finanziamento, quali le donazioni e i lasciti dei privati e i contributi pubblici, andando a minarne l’indipendenza. Questi fattori di ordine “politico” (quali la soddisfazione degli interessi di coloro che potrebbero portare utili risorse all’istituzione) spesso risultano purtroppo essere più determinanti delle opinioni espresse dal pubblico, al contrario di quanto avviene negli altri settori della cultura (letteratura, la musica, il cinema, il teatro), con ovvie conseguenze sulla qualità dell’offerta culturale.
Secondo una legge empirica che vede sempre una maggiore commistione di ruoli più ci si avvicina alla cima della piramide del sistema dell’arte, i direttori dei maggiori musei inoltre spesso svolgono anche la funzione di curatori e/o di critici, rafforzando in tale veste il proprio ruolo di gate-keeper del mercato Avanguarde. Curatori e critici di un certo rilievo infatti, in quanto risultano gli ideatori teorici delle nuove tendenze in atto nel mondo dell’arte contemporanea, sono in grado di segnare l’inizio[5] e la fine di movimenti d’avanguardia.
In particolare la funzione di gate-keeper risulta evidente nel caso dei curatori delle biennali e di altre manifestazioni temporanee, che non avendo il ruolo di presentare retrospettive, ma piuttosto quello di talent-scout, vanno alla ricerca di nuovi (o dimenticati) talenti da presentare sul palcoscenico dell’arte internazionale.
Poiché i direttori, i curatori e i critici di un certo livello sono in grado di garantire l’accesso al mondo dell’arte che conta, essi risultano essere molto corteggiati dagli altri soggetti di quell’ambiente. Essi inoltre, occupandosi principalmente di cultura, possono vantare un’apparente integrità disinteressata, se confrontati con gli intermediari avvezzi soprattutto a considerare l’aspetto più materiale della “merce” da loro scambiata.
Allora non è raro vedere galleristi, mercanti, case d’asta, consulenti, gestori dei fondi, nonché artisti e collezionisti, che cercano di avere un rapporto privilegiato con i rappresentanti della cultura attraverso il meccanismo dello scambio di favori. Il clientelismo, basato, nell’interesse del museo, su donazioni in denaro, lasciti di opere, prestiti di pezzi importanti, o, a titolo personale, su collaborazioni molto ben pagate e regali di ogni genere (tra cui ovviamente lavori dell’artista), è purtroppo all’ordine del giorno. I cosiddetti stake-holder sperano così di influenzare con il proprio potere direttori, curatori e critici, ottenendo in cambio da parte istituzionale un acquisto di opere di artisti ancora emergenti, l’esposizione di questi a fianco di artisti importanti, o addirittura la rappresentanza diretta nel consiglio di amministrazione (board) del museo.
Naturalmente ciò può essere vero fino a un certo punto: i rappresentanti della cultura infatti per ottenere un riconoscimento condiviso (e ciò è quello a cui maggiormente e fortunatamente sono interessati) non possono comunque derogare troppo dal principio del merito, salvaguardando in questo modo almeno in parte l’integrità di parte del sistema.
In tale cornice possono giocare un ruolo determinante quei politici che sono in grado di far pressioni su determinate leve di potere del sistema (attività di lobbying): più specificatamente gli assessori alla cultura e alle opere pubbliche, che sono l’ultimo anello della catena nelle decisioni che riguardano l’assegnazione di appalti per la costruzione di opere monumentali o la concessione di spazi pubblici locali agli artisti (si pensi in quest’ultimo caso al dilemma di come comportarsi di fronte al fenomeno della street art).
Alla luce di tutto ciò comunque, a tutela di svolge il lavoro in modo professionale e trasparente, è necessario una disciplina legislativa che sanzioni, o meglio ancora impedisca, comportamenti non deontologici, che eliminino le commistioni di interessi che finiscono per inquinare il panorama dell’arte contemporanea.
I collezionisti
Per quanto riguarda poi i collezionisti, il loro ruolo dipende direttamente dal potere che essi hanno all’interno del sistema. Ad esempio i collezionisti che si improvvisano tali e senza agganci né conoscenze del mondo dell’arte decidono saltuariamente di comprare, presso una galleria o ad una fiera, un’opera (sia anche di una certa importanza), hanno un peso marginale sull’andamento della carriera di un artista.
Si può dire invece il contrario per i maggiori collezionisti privati, che attraverso l’attività espositiva delle loro fondazioni, sono in grado di dare visibilità e lustro agli artisti da loro acquistati. Questi collezionisti, più che dei mecenati dei tempi moderni, sono veri e propri “pigmalioni” che plasmano la vita e a volte influenzano anche la produzione di questi artisti, così assumere una funzione che tende ad obnubilare e a volte a sostituire quello della galleria. Poiché questi collezionisti, acquistando un gran quantitativo di opere dell’artista, vengono di fatto a controllarne buona parte del mercato, essi sono in grado di decidere il bello e il cattivo tempo relativamente alla sua carriera. Per questo motivo gli artisti che trovano un grande collezionista come sponsor non sono di fatto completamente liberi nelle loro decisioni, ma sono condizionati dalle sue decisioni.
Paradossalmente però i collezionisti non amano in genere trovarsi di fronte a diligenti servitori, ma piuttosto ad artisti brillanti che, come giocolieri alla corte di un re, invece mostrano essere (anche se di fatto non lo sono) indipendenti e imprevedibili nelle loro scelte, così da produrre un operato artistico originale, talvolta persino irriverente. I veri collezionisti infatti amano vivere a contatto con gli artisti, quasi questi potessero, con il loro essere fuori dagli schemi, farli uscire dalla noia della quotidianità[6].
Se la sponsorizzazione da parte di un grande collezionista può significare per l’artista l’iniziazione ad una nuova prospettiva di vita, gli artisti che sono arrivati a questo livello sono anche in genere consapevoli dei rischi che ciò può comportare: nel caso infatti il collezionista un giorno decidesse, per i più svariati motivi, di sbarazzarsi in blocco delle opere dell’artista, come è avvenuto in diversi casi[7], metterebbe a serio rischio lo sviluppo della sua carriera. Gli artisti più accorti, che hanno una visione strategica della loro carriera, per avere la massima libertà d’azione si guardano bene dall’affidare troppe delle loro opere nelle stesse mani, siano esse di un collezionista o di una galleria, cambiando spesso compagno di viaggio[8].
Le figure dei segmenti superiori del mercato
Quando un artista raggiunge una certa fama ne consegue che le opere da lui vendute per mezzo della galleria possono trovare successivamente qualcun altro interessato all’acquisto, creando di fatto un mercato secondario delle opere; nascono così nuove figure di intermediari.
Su un mercato che, come quello Avaguarde, sia composto anche da un mercato secondario, seppur non pienamente sviluppato, innanzitutto viene ad operare la categoria dei mercanti d’arte, il cui ruolo è soprattutto speculativo[9]. La funzione speculativa in verità viene spesso anche svolta parallelamente anche dalle gallerie tradizionali e di punta[10], che utilizzano l’attività di compravendita degli artisti più conosciuti per finanziare l’attività di lancio degli artisti emergenti[11].
Svolgono poi un ruolo importante sul mercato Avanguarde anche le case d’aste, specie quelle minori che operano su una dimensione nazionale, che si occupano a tempo pieno di vendere opere di questi artisti[12]. La funzione di questi operatori risulta essere determinante in quanto gli artisti cominciano a essere quotati, ovvero ad avere una valutazione ufficiale delle proprie opere.
Come meglio si avrà modo di vedere, questo fatto rappresenta sia una chiave di svolta nella carriera di un’artista, perché ne cambia completamente le dinamiche di mercato, sia una “cartina di tornasole”, perché associa ad un’evoluzione artistica un immediato rendiconto economico, con dei risvolti che a seconda dei punti di vista possono risultare positivi o negativi per l’artista.
E’ interessante notare che oltre ai mercanti e alle case d’asta, si affacciano sul mercato Avanguarde (comprando prevalentemente sul secondario) anche investitori istituzionali, come fondi di investimento, fondazioni bancarie e aziende. Questi investitori sono interessati a comprare arte principalmente per tre motivi: il primo è che alcune istituzioni, come i fondi di investimento in arte contemporanea o le fondazioni bancarie, possono prevedere per statuto che l’oggetto primario della loro attività (o di un ramo di essa) sia quella dell’acquisto di opere d’arte. Secondo, l’arte contemporanea può rappresentare un investimento interessante in ottica di diversificazione del portafoglio (questo aspetto riguarda sia l’attività diretta di investimento delle istituzioni finanziarie, sia quella per conto dei propri clienti, offrendo un divertissement all’interno dei servizi di Private Banking); terzo, come investimento in immagine (infatti il fatto di possedere e presentare al pubblico una collezione importante diventa uno strumento di marketing).
Se le banche quindi offrono spesso servizi di consulenza per l’investimento in opere d’arte ai loro maggiori clienti, per il collezionista, poco avvezzo al mercato, che volesse fare un acquisto importante, esiste anche un’altra opportunità: quella di rivolgersi direttamente ad un consulente d’arte (art advisor).
Gli art advisor sono una categoria che trova la sua ragione d’essere negli investimenti in arte di una certa rilevanza. L’acquisto sull’Alternative Market non lascia infatti spazio alla loro attività: il collezionista che compra opere del valore di qualche migliaio di euro non è tanto interessato all’aspetto dell’investimento, ma preferirà scegliere secondo i suoi gusti e a suo rischio, chiedendo tutt’al più un parere gratuito (e interessato) al gallerista. Sebbene l’acquisto di un artista affermato possa a prima vista apparire più semplice per via del fatto che magari se ne ha già conoscenza, sul mercato Avanguarde invece l’acquisto di un opera, oltre a essere più rilevante da un punto di vista dei costi da sostenere, risulta essere più complicato, perché i fattori di cui il collezionista deve tenere conto risultano essere più numerosi. Più si sale nei settori del mercato dell’arte infatti più le dinamiche risultano essere complicate, sia da un punto di vista economico, che culturale, sociologico e antropologico. Per questo motivo spesso i collezionisti, non avendo il tempo di capire e seguire tutti questi aspetti, tendono a rivolgersi per i loro acquisti ai consulenti d’arte.
I collezionisti non possono tuttavia essere ignari che esiste un potenziale azzardo morale nell’attività consulenziale degli advisor, a causa del forte intreccio di interessi e della commistione di ruoli ad un certo livello nel sistema (succede ad esempio a volte che i consulenti prendano delle commissioni non solo sull’acquisto, ma anche contemporaneamente sulla vendita)[13]. Comportamenti disonesti ed opportunisti da parte di questi ultimi sarebbero poi difficili da provare e non è detto che costituiscano un illecito punibile secondo la legge.
In questo articolo si è quindi riscontrato come l’elenco dei soggetti facenti parte del mercato Avanguarde si sia notevolmente infoltito rispetto a quello Alternative (e ancor di più rispetto a quello Junk)[14]. Si può quindi constatare che, scalando la piramide del mondo dell’arte, ci si trova di fronte a delle dinamiche del mercato sempre più complesse, non solo da un punto di vista economico, ma anche come espressione di un intricato gioco di potere e di equilibri tra le diverse controparti.
Note
[1] La definizione è di Pier Luigi Sacco. Cfr. Sacco P. (2005), “La selezione dei giovani artisti nei mercati delle arti visive”, in Santagata W. (a cura di) (2005), Economia dell’arte. Istituzioni e mercati dell’arte e della cultura, Torino, Utet, pp. 42-75.
[2] Cfr. Adams G. (2014), Big Bucks, The Explosion of the Art Market in the 21st Century, Lund Humphries, Farnam, e Horovitz N. (2012), “Internet and Commerce”, in Lind M. – Velthuis O. (2012), Contemporary Art and its Commentary Markets, Sternberg Press, Berlin.
[3] Cfr. Adams G. (2014), Op. Cit..
[4] Cfr. Guenzi M. (2015), “Conformazioni dell’offerta sui mercati dell’arte contemporanea – prima parte”, Economia e Diritto, n. 4.
[5] Si pensi ad esempio la promozione negli anni ’80 del movimento della transavanguardia italiana, che ha in seguito ottenuto risonanza e prestigio internazionale, da parte del critico-curatore Achille Bonito Oliva. Cfr. Poli F. – Corgnati M. – Bertolino G. – Del Drago E. – Bernarelli F. – Bonami F. (2008), Contemporanea, Arte dal 1950 a oggi, Mondadori Electa, Milano.
[6] Cfr. Adams G. (2014), Op. Cit.. Spesso i collezionisti di un certo livello, come i re e i nobili dei secoli passati, vogliono che l’artista li ricompensi con un omaggio personale, cioè una o più opere che li rappresentino. Ad esempio il collezionista americano Peter Brant una volta invitò l’artista Maurizio Cattelan a casa sua e questi gli propose come opera il ritratto di sua moglie, una famosa ex-fotomodella, a mezzo-busto nuda da appendere alla parete come un trofeo di caccia. Brant fu divertito dall’idea e commissionò l’opera. Thompson D. (2014), The Supermodel and the Brillo Box, Back Stories and Peculiar Economics from the World of Contemporary Art, Palgrave MacMillian, New York.
[7] Ad esempio, il famoso collezionista inglese Charles Saatchi, che aveva sostenuto al suo nascere la Transavanguardia Italiana acquistandone diverse opere, ad un certo punto ha deciso di vendere in blocco tutta la sua collezione relativa a questo movimento italiano. Ciò oltre a far scendere naturalmente le quotazioni di questi artisti, diede al mercato un chiaro segnale che la Transavanguardia non fosse più in auge e che il suo valore economico e culturale fosse destinato a scendere. Thomson D. (2009), Lo squalo da 12 milioni di dollari, La sorprendente economia dell’arte contemporanea, Mondadori, Milano.
[8] In realtà per l’artista la cosa più auspicabile sarebbe quella di trovare un collezionista che li sponsorizzi, ma che non venda. Sul mercato tuttavia si riscontrano spesso casi di collezionisti con l’attitudine di comprare, far crescere vertiginosamente le quotazioni per poi rivendere in blocco gli artisti (“pump and dump”). Per via dei loro discutibili comportamenti essi vengono scherzosamente denominati “specullectors”, una combinazione tra “collectors” e “speculators” (Adams G. (2014), Op. Cit.). Purtroppo per gli artisti, sebbene i comportamenti passati possono spesso far presagire i quelli futuri, non è possibile avere certezze a riguardo.
[9] Guenzi M. (2014), “La struttura del sistema dell’arte contemporanea – prima parte”, Economia e Diritto, n. 3.
[10] Con questa commistione di ruoli è difficile spesso distinguere a questo stadio una galleria da un mercante.
[11] Velthuis O. (2005), Talking Prices: Symbolic Meanings of Prices on the Market for Contemporary Art, Princeton University Press, Princeton.
[12] Le grandi case d’asta, come si vedrà, invece tendono a svolgere un ruolo decisivo sul segmento più alto del mercato (High End o Classical Contemporary).
[13] Adams G. (2014), Op. Cit..
[14] Si è inoltre omessa nella rassegna l’analisi di diverse figure collaterali, quali avvocati, agenzie di gestione dei diritti d’autore, assicuratori, aziende di stoccaggio, spedizionieri e trasportatori, aiutanti di galleria, economisti dell’arte, giornalisti, istituzioni che offrono servizi finanziari e non applicati all’arte, uffici stampa e infine il pubblico.