Diritto Criminologia e criminalistica

L’omicidio nella prospettiva dell’universalismo

(di Elżbieta Żywucka – Kozłowska e Kazimiera Juszka -Traduzione dalla lingua polacca Jolanta Grębowiec Baffoni)

L’omicidio come atto compiuto dall’uomo è conosciuto fin dagli albori del genere umano. Nelle culture diverse, in tempi diversi, veniva compreso in modi diversi e di conseguenza punito in modi diversi. La pena per l’omicidio è sempre stata severa, anche se ancora non molto tempo fa gli esponenti della nobiltà godevano di trattamenti meno severi, mentre i rappresentanti degli stati inferiori non potevano contare sulla comprensione e indulgenza della corte.

L’omicidio come crimine è noto a tutti i sistemi giuridici del mondo moderno. In tutte le leggi penali esprime il concetto del crimine ed è punito nei modi più severi. L’omicidio quindi nella giurisprudenza viene qualificato come un delitto grave. T. Healey sottolinea che «in conformità con le leggi degli Stati Uniti per l’omicidio di primo grado si intende un reato commesso con premeditazione, con l’obiettivo di uccidere. L’omicidio di secondo grado invece si verifica quando non è possibile dimostrare gli elementi di scopo e la premeditazione[i]».

Facendo il riferimento alla legge polacca, va sottolineato che la divisione dicotomica americana degli assassini, corrisponde alla divisione polacca, che indica la forma di base di questo crimine e delle sue conformazioni denominate classificate e privilegiate.

La vita umana è il valore più alto ed è tutelata in modo eccezionale[ii]. Tutti i paesi del mondo moderno la proteggono in modo speciale come valore universale, senza distinzione in appartenenza culturale, nazionalità, origine sociale, razza o religione. L’omicidio è punibile con la pena più severa delle sanzioni previste nel catalogo delle pene.

L’arrecare la morte umana è un problema estremamente complesso e richiede la determinazione di una serie delle circostanze e non soltanto la constatazione della morte. Pertanto, è estremamente importante individuare il momento della morte, il suo meccanismo, i strumenti utilizzati, il motivo, l’intenzione del colpevole e il grado di colpa. Non è senza significato la determinazione dello stato psichico in tempore criminis dell’assassino. L’incapacità di intendere e di volere generale comporta l’esclusione della responsabilità penale, invece l’incapacità parziale comporta l’allentamento della pena per l’omicidio[iii].

F. Bolechała è del parere che «il diritto penale che definisce i criteri dell’incapacità di intendere e di volere ha utilizzato un metodo misto fra psichiatrico e psicologico, che permette di risalire sia all’origine che agli effetti. Esso considera l’incapacità di intendere e di volere come uno stato specifico della psiche della persona associato ad alcune proprietà dei processi motivazionali e il grado di funzionamento di auto-controllo (l’elemento psicologico), che deriva da specifiche cause biologiche (elemento psichiatrico)»[iv]. E’ difficile non essere d’accordo con questa tesi, poiché è stato il legislatore a decidere quale stato della psiche umana disattiva la comprensione di ciò cosa sta succedendo, e di conseguenza la gestione del proprio comportamento.

Nelle leggi penali straniere si evidenzia anche lo stato della incapacità di intendere e di volere dell’autore del reato, compreso l’omicidio. Il codice penale austriaco definisce lo stato dell’incapacità di intendere e di volere come una condizione in cui la persona non è in grado di comprendere l’illegittimità del proprio atto o agire conformemente a tale comprensione[v].

Il codice penale della Repubblica Francese determina le cause che rendono impossibili l’attribuzione della colpa in associazione con la personalità dell’autore del reato. Fra questi elenca i disturbi mentali o neuropsichiatrici della persona che nel momento dell’atto hanno soppresso la capacità del giudizio della persona (il riconoscimento del significato) o la capacità di controllo delle proprie azioni[vi].

Nella legge inglese l’incapacità di intendere e di volere è l’incapacità di riconoscere l’essenza o il significato del proprio comportamento, causata del disturbo delle funzioni mentali in seguito di una malattia o altri disturbi simili[vii]. Un po’ diverse soluzioni sono state adottate negli Stati Uniti, dove accanto alla legge dello Stato funziona la legge Federale. Si deve tuttavia notare che in alcuni stati, per determinare l’incapacità di intendere e di volere dell’autore dell’omicidio è richiesto il suo consenso in forma di una dichiarazione[viii].

Il momento della morte dell’uomo, come anche il momento della sua nascita, solo superficialmente sembra un atto uniforme. In realtà, entrambi i momenti sono molto complessi. Oltrepassando il momento della nascita, che si svolge in più fasi distribuite nel tempo, la nostra attenzione viene focalizzata esclusivamente sull’atto della morte avvenuta per l’omicidio ed è un elemento chiave delle nostre considerazioni.

A. Jakliński e Z. Marek ritengono che «la morte come un fenomeno biologico, segna il confine della vita, ovvero separa lo stato del movimento dallo stato di mancanza del movimento, in cui cessano tutti i fenomeni della ‘vita’ e inizia un periodo di distruzione dell’organismo fino allo stato in cui esso per intero entrerà in uno stato di “semplici composti chimici”, che verranno inclusi nella “circolazione” di questi composti nella natura[ix]».

Ne consegue direttamente che la morte è un processo diviso in più fasi.

Nella letteratura forense, e in particolare nella sezione relativa alla tanatologia, vengono evidenziate le varie fasi della morte. T. Marcinkowski ritiene che «la morte del corpo è la cessazione irreversibile delle sue attività, in particolare della funzione del cervello»[x]. Secondo questo autore si possono elencare diversi tipi di morte, e cioè:

  1. morte clinica,
  2. morte apparente,
  3. morte biologica[xi].

A sua volta, A. Jakliński, J.S. Kobiela, K. Jaegermann, Z, Marek, Z. Tomaszewska e B. Turowska sono del parere che nel processo del morire si distinguono non solo la morte clinica e biologica, ma anche dell’individuo[xii].

Il termine “la morte dell’individuo” è la morte del tronco cerebrale in seguito della morte corticale o cerebrale di cui scrive T. Marcinkowski[xiii]. In realtà, questi cambiamenti sono irreversibili. La moderna definizione della morte è diversa da quella tradizionale[xiv], nella quale per il momento della morte veniva assunto il momento della cessazione della circolazione.

V. J. DiMaio e D. DiMaio sottolineano che «la dichiarazione di morte di una persona, quindi la determinazione della presenza dei suoi fattori, è essenziale per riconoscere la morte dell’individuo nel caso specifico in esame» [xv].

Uno degli elementi della morte è l’agonia, ovvero una condizione che precede la morte dell’organismo, che ancora pochi anni fa era più spesso uno stato irreversibile. Oggi, nell’epoca di costante progresso e conquiste della medicina, è possibile ripristinare le funzioni vitali dell’uomo.

La circostanza più importante per la valutazione giuridico-penale dell’omicidio è l’indicazione precisa del momento della morte della persona. Ai sensi dell’art. 9 comma 1 della legge del 1 luglio 2005, relativa alla raccolta, conservazione e trapianto di cellule, tessuti e organi «la raccolta di cellule, tessuti o organi per i trapianti è consentita dopo la dichiarazione della cessazione irreversibile permanente delle attività cerebrali (morte cerebrale)»[xvi]. Tale soluzione legale è stata adottata non solo in Polonia, ma anche in altri paesi.

In aggiunta a quanto sopra sulla divisione della morte viene indicata un’altra divisione in cui il punto chiave ed elemento centrale è la causa. Di conseguenza vengono elencate la morte naturale, la morte per cause di malattia e morte violenta[xvii]. Jakliński, J. S. Kobiela, K. Jaegermann, Marek Z., Z. Tomaszewska e B. Turowska concordando sulla la divisione per cause ritengono anche che in caso di morte naturale si possono elencare la morte lenta (preceduta da agonia) e la morte improvvisa, ma non causata dall’azione altrui. Questi autori descrivono anche la morte violenta, che può assumere le stesse caratteristiche di una delle due forme elencate[xviii].

Rimanendo su questo tema è importante fermarsi sulle reazioni interletali che si verificano durante le determinati fasi della morte e consistono nella possibilità di provocare una reazione dell’organismo ad uno stimolo elettrico, farmacologico, termico o meccanico[xix]. Essi hanno un valore inestimabile nei casi di omicidio, perché permettono appunto di determinare il momento della morte della vittima. Tuttavia, bisogna precisare che in pratica i casi di tali esami sono molto rari, perché i corpi più spesso vengono trovati in un secondo momento, il che rende impossibile l’esecuzione di tali analisi.

Nel diritto penale polacco l’omicidio è il reato. Nel Decreto del Presidente della Repubblica della Polonia del 11 luglio 1932[xx], il reato è stato descritto nel capitolo XXXV di questa legislazione e le disposizioni di cui all’art. 225, 226 e 227 descrivevano l’omicidio.

Il primo di questi, l’art. 225§1 indicava il carattere fondamentale dell’omicidio e prevedeva la pena di reclusione per un periodo non più breve di 5 anni o l’ergastolo o la pena di morte. L’omicidio veniva definito come atto compiuto sia per l’azione e che per l’omissione. J. Makarewicz ha dichiarato che «il codice polacco non conosce la divisione della uccisione intenzionale in tipi distinti di omicidio e omicidio, né dal punto di vista di un intento doloso dimostrato indirettamente (dolus indirectus), come è stato definito nel codice penale austriaco attuando l’omicidio del § 140 e successivi, né dal punto di vista di intenzionalità o non intenzionalità delle azioni (preaemeditatus e repentinus), come è stato realizzato nel codice penale tedesco (cfr § § 211-12). Il codice polacco conosce solo l’azione intenzionale causante la morte umana, la cattiva intenzione deve essere dimostrata direttamente e stabilità secondo le regole generali probatorie (libera valutazione del giudice), naturalmente può accadere dolus eventualis (l’autore del reato prevede la possibilità di morte ed ne è accondiscende)» [xxi].

La seconda disposizione che descriveva l’omicidio era l’art. 225§2 che riguardava l’omicidio sotto l’influenza di una forte emozione. La pena che poteva essere inflitta allora non poteva essere più lunga di 10 anni di carcere. Particolarmente importante in questo caso è stato quello di determinare le circostanze del reato e l’esistenza della forte emozione, che secondo J. Makarewicz «non può essere equiparata allo stato di “disturbi di funzionamento della mente”, per cui l’autore del reato non è in grado di riconoscere l’importanza dell’atto o gestire il proprio comportamento»[xxii].

Ne consegue direttamente che non era possibile attribuire la colpa all’autore del reato se questo mancava di capacità di intendere e di volere. Allo stesso modo questo problema è stato risolto nelle successive leggi penali polacchi.

Nell’art. 226 della Disposizione di cui in alto è stato incluso l’omicidio del neonato compiuto dalla madre (l’infanticidio), nella fase di parto sotto la sua influenza. La pena per questo reato consisteva nella privazione della libertà fino a 5 anni. In questo caso, il ruolo decisivo aveva sia l’autore dell’omicidio del neonato, sia il tempo in cui esso è stato compiuto. Quindi era necessario stabilire con la precisione il tempo del parto che, come risaputo, può durare anche diverse ore. Sicuramente l’unico soggetto che avrebbe potuto commettere questo delitto era la madre del bambino.

L’ultima delle disposizioni che descrivevano l’omicidio in quell’atto di legislazione era l’art. 227. Esso riguardava l’omicidio della persona sulla sua richiesta e sotto l’influenza della compassione per la sua condizione. La pena prevista per questo reato era la reclusione fino a 5 anni o l’arresto.

Dopo la modifica della legge penale nel 1969[xxiii], l’omicidio è stato descritto nel capitolo XXI. Nell’art. 148 il legislatore ha indicato il reato di omicidio. Al paragrafo 1 di questa disposizione è stata prevvista la reclusione per un periodo minimo di otto anni o la pena di morte. Al paragrafo 2, invece è stato descritto l’omicidio della persona sotto l’influenza di una emozione intensa giustificata dalle circostanze. Il codice penale prevedeva per questo reato la privazione della liberta fino a 10 anni.

La vita della persona era ed è sotto la protezione giuridica speciale, che si riflette in numerose decisioni giudiziarie. Nella sentenza della Corte Suprema del 17 febbraio 1989 si legge «la vita di ogni essere umano, senza distinzione di età, stato di salute, livello di conoscenza, cultura, stato di famiglia e reale utilità sociale è il valore supremo ed è soggetto alla stessa protezione della legge»[xxiv].

Nella letteratura, soprattutto per quanto riguarda la valutazione dello stato mentale della persona, esistono diverse tesi sulla alterazione emotiva. M. Jarosz e S. Cwynar sono del parere che «le emozioni, per esempio rabbia, paura, gioia, disperazione sono stati emotivi di solito caratterizzati da un esordio improvviso; segnati con i sintomi vegetativi; riduzione, in alcuni casi, della capacità del pensiero logico; di breve durata»[xxv]. Ne consegue, pertanto, che una emozione molto forte è incontrollabile dalla persona. In diversi studi le emozioni forti vengono identificate con le passioni.

M. Hasam ritiene che la passione è lo stato emotivo persistente[xxvi]. J. Przybysz invece ritiene che «una caratteristica importante delle passioni è la tendenza di scaricarle»[xxvii].

Si può pertanto ritenere che la forte agitazione è la passione, ovvero la sensazione eccessiva, sproporzionata, che una persona non è in grado di controllare.

Tale posizione ha espresso anche la Corte Suprema nella sua sentenza del 31 marzo 1978, in cui ha dichiarato: «in uno stato di una forte agitazione la persona non è in grado di percepire e di qualificare l’esperienza in modo naturale, le sue idee si formano in modo diverso che in uno stato di calma, l’intera coscienza subisce l’oscuramento, la valutazione delle opportunità, la correttezza delle azioni e il potere di determinare le azioni sono limitati, mentre i processi emotivo – motori guadagnano forza e intensità, e sfuggono dal controllo della coscienza. La regolarità dei processi mentali nella passione è in una certa misura limitata. Questo processo può includere non solo la fase preparatoria – che consiste nella consapevolezza delle finalità e della modalità della sua realizzazione, ma deve prorogarsi fino alla azione finale – vera e propria»[xxviii].

Lo stato emotivo del colpevole al momento dell’atto è estremamente importante per la valutazione del grado della comprensione e della capacità gestionale del comportamento. La forte agitazione può avvenire non solo in risultato della percezione dei fatti o della situazione esistente, poiché «può essere il risultato di un lungo processo mentale del colpevole, di una sua crescente tensione emotiva che alla fine porta all’esplosione e all’attentato alla vita della persona che ha dato il luogo a questa forte agitazione»[xxix].

Ogni persona ha una propria soglia individuale della resistenza psichica e fisica. Il suo superamento provoca il dolore, inteso non solo come sofferenza fisica, ma anche come una profonda lesione della psiche, dalla quale la persona desidera liberarsi più presto possibile. Questo tipo di resistenza è considerata nella sentenza della Corte Suprema del 28 giugno 1978: «la forte indignazione è lo stato emotivo causato da fattori esterni ed è il risultato dei sentimenti individuali dipendenti dalla resistenza mentale della persona, dal temperamento, competenze, autocontrollo e altre proprietà acquisite o congenite»[xxx].

J. Przybysz descrive il caso di un omicidio commesso sotto l’influenza di emozioni intense, in cui una donna di 44 anni causò la morte di suo marito colpendolo con un coltello. L’accusata era la madre di sette figli nati dal matrimonio con la vittima, che trascurava la sua famiglia. Il marito abusava di alcool, picchiava la moglie e i figli e in precedenza è stato condannato per il loro maltrattamento. Il giorno dell’omicidio l’uomo è tornato a casa ubriaco e come al solito ha iniziato a picchiare uno dei figli e offendere l’imputata. La donna ha cercato di distrarlo dal figlio. L’uomo l’ha spinto con tutta la forza. La donna ha afferrato un coltello e ha pugnalato la vittima. Gli esperti psichiatri hanno concluso che la colpevole ha agito sotto l’influenza di un’intensa agitazione[xxxi].

Il Diritto penale del 1969 indicava una condizione necessaria per l’esistenza di una circostanza attenuante la condanna nel caso di un’azione svolta sotto una forte agitazione. La condizione era una circostanza giustificante. Questo termine è vago, di confini molto flessibili. È invano cercare la definizione di questo termine nella letteratura, per questo motivo la Corte Suprema ne ha dato la sua interpretazione. Nella sentenza del 6 maggio 1971 si legge: «le circostanze che giustificano il forte stato di agitazione bisogna considerarle come circostanze che dovrebbero giustificare questo stato secondo i criteri oggettivi e non solo secondo la percezione soggettiva del colpevole»[xxxii].

Particolarmente interessanti sono anche i casi di delitti commessi sotto l’influenza dell’alcool. Non è raro che l’imputato trovi il rifugio nell’oblio a causa di intossicazione o ubriachezza. Tuttavia, tale stato non può essere un fattore giustificante l’azione penale. Una tale posizione è stata presa anche in una serie di sentenze della Corte Suprema[xxxiii].

Un’altra disposizione che descrive l’omicidio in una forma privilegiata è l’art. 149 in cui il legislatore ha descritto l’infanticidio. Il soggetto di questo articolo di legge può essere solo la madre che uccide il proprio figlio durante il parto sotto l’influenza del suo corso. Per un tale atto la colpevole potrebbe essere condannata ad una pena detentiva da 6 mesi a 5 anni.

Nella dottrina e nella giurisprudenza della Corte Suprema il reato di infanticidio è il reato intenzionale che può essere commesso con l’intenzione immediata o con l’intenzione eventuale[xxxiv].

K. Janczukowicz è del parere che «l’essenza del privilegio dell’infanticidio consiste in una stretta connessione causale tra un particolare stato mentale della donna in travaglio e il suo atto, contrario ai naturali sentimenti materni»[xxxv].

Il parto, come uno stato definito in medicina (particolarmente in ostetricia), non è uniforme ed è diverso in ciascun caso. E’ vero che in letteratura vengono indicati i tempi fisiologici del processo del parto, ma non è possibile fare i riferimenti individuali al grado di provare il dolore[xxxvi]. In questo caso, tuttavia, si fanno i riferimenti alla fisiologia del parto, dove viene considerato il parto complicato, più difficile per la madre e il bambino, per non parlare del personale medico.

In pratica, però, non incontriamo i casi di infanticidio negli ospedali, dove sulla partoriente e il suo feto veglia un team degli specialisti. Questo tipo di evento si verifica nei casi di cosiddetti parti di strada, cioè non nei centri di servizi sanitari. Il termine il parto di strada non è molto accurato, dato che la maggior parte dei casi stabiliti di infanticidio ha avuto luogo nell’appartamento della colpevole. Tuttavia, in questo luogo è difficile polemizzare se il termine è rilevante o meno.

Bisogna aggiungere che nella maggior parte delle uccisioni dei neonati i bambini erano nati a termine e in buono stato di salute. Per il termine si intende il parto dopo 36 settimane della gestazione. Nella letteratura non abbiamo trovato la descrizione di nessun caso in cui le malformazioni del bambino avrebbero potuto influenzare il comportamento della madre.

La disposizione dell’art. 149 e 149 b del codice penale del 1969 ha descritto altri due reati di uccisione del bambino ancora non nato. Nella prima di queste (l’art. 149 a del codice penale), la madre non veniva sottoposta alla pena, tuttavia alla colpevole potrebbe essere implicata la pena in forma di reclusione fino a 2 anni. Mentre nel secondo caso (l’art. 149 b del codice penale) il legislatore penalizzava il comportamento di violenza contro la donna incinta causante la morte del feto. Come violenza è stata definita anche la costrizione della donna all’interruzione della gravidanza con la minaccia o con l’inganno. La pena per questo reato era la reclusione da 6 mesi a 8 anni.

La disposizione di cui all’articolo 151 del codice penale del 1969 ha descritto il reato consistente in persuasione a suicidarsi o in assistenza di un’altra persona nel tentativo di togliersi la vita. Per questo reato era prevista la pena di reclusione da 6 mesi a 5 anni.

I cambiamenti socio – politici conseguenti alla trasformazione politica hanno causato dei cambiamenti anche nel sistema giuridico. Nel giugno del 1997 è stato deliberato il Codice penale, entrato in vigore nel settembre dell’anno successivo[xxxvii].

Questo codice ha introdotto una serie di modifiche, tra cui in particolare il sistema di punizione. Prima di tutto, è stata abbandonata la precedente soluzione in cui il legislatore decise su due tipi di sanzioni (di base e supplementari). Al loro posto sono state introdotte le sanzioni e le misure punitive, che in genere sono una replica di quelli che erano conosciute in precedenza con il nome di sanzioni ulteriori. La trasformazione più importante, però, è stata (insieme ad altri importanti cambiamenti) la rimozione dal catalogo delle sanzioni della pena più severa, ovvero l’eliminazione della pena di morte. La decisione su tale soluzione sembra essere pienamente compatibile con lo spirito della riforma del diritto penale e delle leggi nazionali dei paesi dell’Unione Europea in cui tale punizione non viene applicata. Inoltre si dovrebbe sottolineare che ancora ai sensi della legge penale precedente è stata abbandonata l’attuazione della pena di morte, e le sentenze di morte venivano commutate al carcere, ciò risultava direttamente dalle disposizioni della legge del 12 luglio 1995 sulle modifiche del codice penale, del codice penale esecutivo e sull’innalzamento dei limiti inferiori e superiori delle sanzioni del diritto penale. Nell’art. 5 di questa legge si è deciso che «nei 5 anni successivi dalla entrata in vigore di questa legge la pena di morte non viene effettuata»[xxxviii].

Nel diritto penale attualmente in vigore, l’omicidio è descritto nel testo dell’art. 148 § 1 di questa normativa. L. Gardocki fa notare che si tratta del reato intenzionale di tipo base[xxxix]. Gli elementi costitutivi del delitto sono quegli aspetti che comportano il risultato in forma di morte della persona, con la quale attualmente si intende la morte del tronco encefalico.

Indubbiamente, la morte può essere causata sia da azione che da omissione. Nel primo caso è necessaria l’esecuzione di determinate azioni da parte del colpevole, come per esempio: sparare alla vittima, colpirla con un coltello, strangolarla con le mani o con una corda o con un altro mezzo ecc. Invece nel secondo caso l’autore del reato non fa nulla per salvare l’altra persona dalla morte. Un esempio classico è la denutrizione intenzionale.

Nell’analisi dell’essenza dell’omicidio è estremamente importante determinare quando, in effetti, la persona comincia a vivere autonomamente fuori del corpo della madre. L. Gardocki elenca quattro concetti presenti in letteratura, e cioè:

– fisiologico,

– spaziale,

– materno,

– criterio non nominato, in cui “il feto raggiunge la capacità di vivere al di fuori del corpo della madre” [xl].

È difficile indicare quale di questi criteri è il più adeguato per determinare il momento in cui inizia la vita umana. Nel primo di questi l’inizio della vita avviene con il primo respiro autonomo, nel secondo con la separazione del feto dal corpo della madre, nel terzo con l’inizio del parto.

Per l’essenza del delitto non ha importanza alcun grado di disabilità della persona, e quindi la sua malattia, fisica o mentale.

Il reato può essere commesso con l’intenzione immediata, cioè quando l’autore del reato vuole privare un uomo della sua vita e prende le misure che comportano la morte della vittima. Il reato può essere commesso anche con l’intenzione eventuale il che significa che anche se l’autore del reato non intende di uccidere, prevede che il suo comportamento potrebbe portare alla morte della vittima. Un esempio del primo tipo di comportamento è lo sparare alla vittima con un’arma da fuoco, le percosse con gli strumenti pericolosi come per esempio una scure. Nel secondo caso possiamo avere a che fare con il soffocamento con un cuscino premuto sulla faccia della vittima o con percosse e calci sulla testa.

Il codice penale attualmente in vigore ha introdotto un nuovo tipo di omicidio, sconosciuto finora in Polonia definito omicidio aggravato (art. 148 § 2 c.p.)

Secondo L. Gardocki l’omicidio aggravato è l’omicidio intenzionale se è stato eseguito con:

“1. particolare crudeltà

  1. in relazione di sequestro di persona, stupro o rapina
  2. in risultato di una motivazione che merita una condanna speciale
  3. con l’uso di arma da fuoco o di materiali esplosivi[xli].

Di conseguenza l’omicidio aggravato è un comportamento che comprende uno degli elementi elencati in alto. L’omicidio (morderstwo) è il termine che contiene molti significati perché nella lingua comune viene utilizzato alla pari con il concetto di omicidio (zabójstwo). Nel “Dizionario della lingua polacca” l’omicidio viene definito come la privazione della vita umana, mentre l’omicidio significa l’uccisione di qualcuno ovvero l’intenzionale privazione della vita[xlii].
Dal punto di vista di queste considerazioni, sia l’omicidio che l’omicidio producono lo stesso effetto ovvero quello di privare la vita ad un altro essere umano. Indubbiamente il comportamento del colpevole descritto nel paragrafo 1 dell’art. 148 del codice penale è diverso dal comportamento indicato dal legislatore nel paragrafo 2 della disposizione.
A. Marek sottolinea che il solo modo di privazione della vita è irrilevante per l’esistenza di questo crimine, tuttavia, si ritiene che i motivi dell’autore del delitto costituiscono una tipologia del criterio ciò può essere estremamente utile nel processo di rilevamento e nella misura della punizione[xliii].

Il termine “particolare crudeltà” è un termine rilevante. Da una ricca giurisprudenza della Corte Suprema ne consegue direttamente che tale circostanza si verifica quando l’autore del delitto decide di privare la vittima della sua vita in modo tale da comportarle sofferenza e umiliazione[xliv]. Con il termine la particolare crudeltà si intendono quindi i maltrattamenti mentali e fisici della vittima, per esempio, la sua prigionia, percosse, applicazione delle bruciature con il fuoco e ustioni provocati con i liquidi caustici.

La crudeltà intesa in questo modo ha trovato il luogo anche nella giurisprudenza della Corte di Cassazione che è opportuno citarla per intero:

«Come particolarmente crudele, ai sensi dell’art. 148 § 2 punto 1 del codice penale, dovrebbe essere considerato anche il comportamento che viene assunto nei confronti di una persona incapace di sofferenza psichica (per es. nello stato di incoscienza, di profonda intossicazione alcolica o di stupefacenti) e alcune volte di sofferenza fisica, in risultato di commenti degradanti del trasgressore di cui l’intenzione era quella di causare la sofferenza a questa persona. […] Quindi al contrario all’art. 148 § 1 del codice penale nel paragrafo secondo è stato compreso il secondo tipo dell’omicidio che prevede la responsabilità penale più aggravata a causa del modo di procedere dell’autore del reato, che in questo caso consiste in uccisione dell’uomo con “particolare crudeltà”, dove, senza dubbio, tutti gli elementi indicati formano un insieme di caratteristiche del reato di cui all’articolo 148 § 2 punto 1 del codice penale. Questa ovvia affermazione porta a concludere che per il tipo di reato descritto nell’articolo qui riportato può essere ritenuta responsabile esclusivamente la persona che con il suo comportamento intenzionale ha realizzato tutte le caratteristiche di questo reato, dove la caratteristica della realizzazione del verbo “uccide” si distingue per la “particolare crudeltà”.

Quest’ultimo termine è stato più volte discusso da tribunali, anche se, va sottolineato, queste dichiarazioni il più delle volte riguardavano diversi livelli di questo argomento. Solo a titolo di esempio viene indicata la posizione assunta dalla Corte di Appello di Katowice, secondo cui il termine “con particolare crudeltà” è un termine ampio e complesso e significa più che il tipico e riprovevole modo di privare una persona della sua la vita. È un comportamento particolarmente drastico e violento, l’applicazione alla vittima delle ulteriori inutili sofferenze, torture e maltrattamenti, inutili dal punto di vista del raggiungimento dell’effetto della morte”. (cfr. La sentenza della Corte del 10 novembre 2005. II AKA 298/05 , OSPriPr 2006, n 7-8, pos. 22). Allo stesso modo si è espressa la Corte d’Appello di Lublino, che mettendo in evidenza la complessità della questione, nella sentenza del 19 settembre del 2002, II AKA 182/02, OSPriPr 2003, n 3, pos. 27, ha argomentato che, nel caso dell’art. 148 § 2 punto 1 del codice penale la particolare crudeltà «significa più che il tipico modo riprovevole di privare una persona della sua vita, ma si tratta di un comportamento particolarmente drastico e violento, applicare la morte “a rate”, in combinazione con l’inflizione di un inutile sacrificio e ulteriore sofferenze, torture, maltrattamenti, uccisione con crudeltà. Il modo di uccidere una persona nel contesto di questa disposizione è dunque legato a ulteriore sofferenza inutile dal punto di vista del raggiungimento dell’effetto della morte» (cfr. Le sentenze della Corte di Appello a Cracovia il 12 settembre 2002. II AKA 220/02, KZS 2002 No. 10, pos. 53 e del 3 luglio 2002. II AKA 28/02, KZS 2002, n 7-8, pos. 43, sentenza della Corte di Appello di Łódź, del 13 dicembre 2001, II AKA 168 / 00, OSPriPr 2002, n 7-8, pos. 24 e molte altre).

In questo modo, nella giurisprudenza delle corti di giurisdizione generale è stato sviluppato un principio peculiare di proporzionalità, che permette distinguere oggettivamente questi comportamenti, che mirano per “retta via” (ciò non significa priva di elementi drammatici e macabri) alla privazione della vita umana, da quelli che contengono alcune caratteristiche aggiuntive, inutili dal punto di vista di raggiungimento dell’l’obiettivo indicato, fondamentale dell’azione, e che di conseguenza dovrebbero essere definiti con il termine collettivo “particolare crudeltà”. […] E’ importante inoltre riflettere sulla questione in che misura queste “caratteristiche aggiuntive” dovrebbero riflettersi nella consapevolezza del colpevole, e più specificamente, in che modo dovrebbe plasmarsi questa consapevolezza nella persona che ha attuato tale comportamento perché potesse essere sottoposta alla responsabilità penale. Non vi è nessun dubbio che nell’articolo 148 § 1 del codice penale viene richiesta, per l’attuazione degli elementi costitutivi inclusi nel reato, l’intenzionalità sotto la forma d’intenti diretta (dolus directus) o l’intenzionalità del risultato (dolus eventualis). Non si può non considerare il fatto che il termine “con particolare crudeltà” è un complemento del verbo “uccide”, strettamente correlato con esso, questa correlazione esige – fra l’altro nell’ambito di dimostrazione (prova) dell’intenzionalità – di esporre tutti gli elementi discussi esattamente allo stesso rigore.

In altre parole, per condannare l’autore del reato dall’art. 148 § 2 punto 1 del codice penale è necessario dimostrare che egli almeno prevedeva e consentiva che nel suo comportamento si manifestasse una delle caratteristiche precedentemente citate, senza le quali avrebbe potuto ottenere lo stesso risultato della morte della persona. Non è importante invece se nel caso concreto la vittima ha subito realmente le inutili sofferenze fisiche o psicologiche, perché il legislatore nell’art. 148 § 2 punto 1 del codice penale in modo chiaro ha posto l’accento sul comportamento del colpevole (“uccide con particolare crudeltà”), e non sulla sofferenza reale dalla vittima prima della sua morte e sulle sue esperienze di particolare crudeltà. Va ricordato che, in conformità con la definizione linguistica, “la crudeltà”, significa: essere crudele, incline agli abusi e ai maltrattamenti , mentre “crudele” è colui “che implica dolore e sofferenza, non conosce pietà, è feroce, spietato, implacabile” (S . Dubisz [a cura di] Uniwersalny Słownik Języka Polskiego (Il Dizionario Universale della Lingua Polacca), Vol. 3, Varsavia 2003, p 204). Nell’ambito dei significati di questo concetto vengono quindi inclusi anche quei comportamenti che non sono stati percepiti fisicamente o psichicamente da un’altra persona ma che oggettivamente hanno avuto il luogo. In altre parole, sebbene la particolare crudeltà verrà probabilmente associata a una specifica sofferenza percepita dalla vittima, tuttavia questi concetti non possono essere sinonimici. Questa ultima parte delle considerazioni ha condotto alla conclusione che come “particolarmente crudeli”, ai sensi dell’art. 148 § 2 punto 1 del codice penale dovrebbero essere riconosciuti anche quei comportamenti che vengono presi nei confronti della persona ancora in vita ma inconscia o che rimane in uno stato di intossicazione alcolica profonda, e quindi incapace di soffrire psichicamente per le affermazioni umilianti del colpevole e a volte incapace di percepire anche la sofferenza fisica, la cui applicazione era l’intenzione del colpevole»[xlv]

Questa sentenza non richiede alcun commento, perché esaurisce l’essenza della particolare crudeltà dell’autore del delitto.

Nel secondo punto del paragrafo 2 dell’articolo 148 del codice penale il legislatore ha indicato i segni del comportamento del colpevole che consistono in cattura degli ostaggi, stupro o rapina. Tutti questi comportamenti consentono il riconoscimento dell’omicidio come omicidio aggravato. La cattura degli ostaggi, stupro e rapina sono elementi, che di per sé costituiscono un altro reato. La cattura dell’ostaggio è stata descritta nell’art. 252 del codice penale, lo stupro nell’art. 197 del c.p. e la rapina nell’art. 280 del c.p.

M. Bryła analizzando i casi degli assassini qualificati come omicidi aggravati ai sensi del diritto penale polacco, richiama l’attenzione sulle discrepanze nell’interpretazione e sulle incongruenze del legislatore, sollevate da molti altri autori, e cioè che «l’incoerenza sta nel fatto che il codice penale da un lato priva il crimine di stupro della sua forma aggravata (lo stupro con particolare crudeltà o insieme ad un’altra persona), d’altra parte presume che l’omicidio legato allo stupro bisogna sempre classificarlo come omicidio grave»[xlvi].

Sia la cattura di un ostaggio, sia stupro o rapina sono i comportamenti che sono di per sé di un particolarmente negativo impatto sociale. Mentre l’estorsione terroristica di solito è legata alle richieste di un tipo specifico (per esempio finanziario, ma può anche consistere nella costrizione di liberare dal carcere un’altra persona o di pubblicare un testo di un contenuto specifico), lo stupro e la rapina portano all’autore del reato esclusivamente i vantaggi individuali.

“La motivazione che merita la condanna speciale” è un concetto di confini non nettamente definiti, perché si adatta a tutti i comportamenti umani che non sono socialmente accettabili. La determinazione dei motivi che hanno guidato l’assassino spesso è molto difficile, ciò viene sottolineato nella letteratura specialistica[xlvii].

Per esempio la motivazione “che merita la condanna speciale” sicuramente sarà il desiderio di entrare in possesso di un oggetto che non presenta alcun valore, uccidendo la persona che per l’età, l’infermità o la malattia non ha potuto difendersi (anziani, persone malate o disabili e bambini). Nella letteratura giuridica si sottolinea che la vendetta è la premessa dei motivi che meritano la condanna speciale[xlviii]. Tuttavia, sembra che non sempre questo elemento viene citato come motivazioni “che meritano condanna speciale”. Immaginiamo una situazione in cui i genitori della vittima dell’omicidio attaccano l’omicida del loro figlio. Le circostanze della disgrazia, le perdite subite dalle vittime (il male) e gli altri fattori concomitanti dovrebbero essere decisivi per la valutazione giuridica del comportamento di queste persone.

L’omicidio con l’uso dell’arma da fuoco o degli esplosivi è la forma qualificata di questo delitto. La stessa arma da fuoco a causa della sua destinazione è un mezzo di lotta, così come esplosivi. Tiro a segno, che in questo caso è l’essere umano, praticamente priva la persona della possibilità di una difesa efficace[xlix].

L’intenzione di uccidere sia diretta che eventuale, causa la morte della persona e non è importante se la persona è fisicamente abile o disabile. Invece questo fatto sarà importante per determinare la punizione del colpevole, perché il giudice tiene conto di tutte le circostanze dell’incidente, così come il rapporto tra l’autore del reato e la vittima. Realizzazione del crimini contro l’uomo inerme suscita sempre il disgusto e la condanna sociale, ciò viene sottolineato non solo nella giurisprudenza della Corte Suprema, ma anche nelle giustificazioni delle condanne per omicidio.

Gli esplosivi, così come le armi da fuoco, sono utilizzati non solo come mezzo di guerra moderna, ma anche adoperati in molte industrie, compreso mineraria. Un esempio classico è TNT da anni utilizzato nelle miniere di superficie e sotterranee.

Nella letteratura, non mancano le descrizioni dei crimini commessi con armi da fuoco o esplosivi. Sbaglia chi crede che solo gli ultimi anni hanno portato un’ondata di terrore in cui entrambe le armi da fuoco, bombe e granate sono diventate i principali strumenti del crimine.

Nel 1927, in Stapleford Abbots, in Inghilterra, F. Browne e W. Kennedy hanno compiuto il furto d’auto. Fuggendo con l’auto, sono stati fermati da un poliziotto a cui hanno sparato uccidendolo. Inoltre, uno dei criminali, convinto che negli occhi rimaneva fissata l’ultima immagine, ha sparato negli occhi del cadavere, credendo di poter evitare la responsabilità penale. Entrambi gli assassini sono stati arrestati e condannati alla morte per impiccagione[l].

Nel 1984 a San Ysidro (California) J.O. Huberty ha ucciso 21 persone nel ristorante Mc.Donald. Non è stato possibile determinare le motivazioni del killer, che è stato ucciso durante l’azione della polizia SWAT che ha circondato la scena del crimine[li].

Le armi da fuoco sono diventate uno degli strumenti di omicidio utilizzati più frequentemente. Negli Stati Uniti l’accesso alle armi da fuoco è molto più facile che in Polonia, e questo a sua volta genera un numero di reati con il suo uso. La morte del presidente J. F. Kennedy è un classico esempio di un tale crimine[lii]. È errata la tesi che in Polonia tali eventi siano solo di natura occasionale perché ogni anno ci sono sempre più casi dei crimini che coinvolgono armi da fuoco di tutti i tipi.

Il numero di crimini verificati in Polonia nell’anno 2010[liii]

SNAG-15090323581200

La tabella in alto mostra che le armi da fuoco e le altre non classificate sono state utilizzate in 30 casi di omicidi, in 30 altri reati il cui risultato è stato il danno alla salute, in 10 scontri e pestaggi, e in 282 reati di rapina.

In totale nel 2010 l’arma da fuoco è stata utilizzata in 631 crimini.
I dati indicano anche che allo stesso tempo i criminali per due volte hanno utilizzato l’esplosivo con l’obiettivo di uccidere un’altra persona. Questi strumenti hanno causato gravi lesioni in quattro casi.

L’accesso a questa categoria di materiali altamente pericolosi solo apparentemente è difficile, perché (come dimostra la pratica) sono di facile conquista non solo nel settore minerario, ma anche nelle unità militari. I magazzini di armi e di munizioni sono sempre più spesso sorvegliate non dalle guardie militari ma dai dipendenti delle agenzie di sicurezza. Oltre ai cambiamenti sociali previsti dopo le trasformazioni politiche, sono sorti anche quelli nuovi di natura criminale. I furti di armi ed esplosivi dalle unità militari forse non appartengono a frequenti, tuttavia loro conseguenze sono molto pericolose[liv].

Nelle mani di gruppi criminali organizzati si trovano praticamente tutti i tipi di armi da fuoco, non escludendo i vari tipi di granate. Si tratta di un problema estremamente grave sia per le forze dell’ordine che per tutti coloro che potrebbero accidentalmente trovarsi sulla strada dei criminali[lv].
La forma qualificata dell’omicidio di cui sopra comporta una pena della reclusione non inferiore a 12 anni, la pena di reclusione 25 anni o l’ergastolo.

L’unicità delle pene previste per questo tipo di crimine è la conseguenza sia del sentimento sociale della giustizia, sia della necessità di tutela dei membri della società dai criminali totalmente demoralizzati, ciò si riflette non solo nelle espressione del legislatore ma anche nelle pratiche giudiziarie.

In una delle sentenze la Corte di Appello di Cracovia ha deciso: «Le armi da fuoco sono nella comprensione sociale lo strumento letale, progettato per la loro natura alla privazione della vita. Anche i bambini lo capiscono, di conseguenza, indubbiamente, anche l’imputato. L’imputato ha sparato due volte nella zona della testa della vittima, indirizzando precedentemente l’arma in questa parte del corpo, ciò dimostra sufficientemente l’intenzione di uccidere senza dover entrare in considerazioni più dettagliate, soprattutto perché non è stato verificato nulla che potrebbe fornire informazioni su un diverso processo motivazionale»[lvi].

Il contenuto di questa sentenza non richiede alcun commento.

Nel paragrafo terzo dell’articolo 14 del codice penale il legislatore ha sottolineato la stessa pena per l’autore del reato, che in un solo atto uccide più di una persona o che in precedenza è già stato definitivamente condannato per l’omicidio.

Un atto del colpevole, il cui risultato è la morte di molte persone, può per esempio consistere nell’aprire il fuoco con le mitragliatrici o con l’ordigno esplosivo la cui esplosione causa la morte di più di un uomo. Va sottolineato che nelle analisi descritte sopra bisogna distinguere l’evento dai suoi effetti. Il numero delle vittime (ad esempio, due, cinque o venti) indica il numero di omicidi. Così, il criminale con un atto può realizzare diversi omicidi contemporaneamente.

L’omicidio passionale presenta il caso speciale dal punto di vista del diritto penale, psichiatria e psicologia forense. Il legislatore ha deciso che talune circostanze possono avere un impatto significativo sul comportamento dell’uomo che per un breve tempo ha perso il controllo sulle proprie azioni. Questo stato comunemente si chiama passione. Dal punto di vista della valutazione giuridico penale del comportamento, questo tipo di omicidio ha una natura privilegiata.

L. Gardocki giustamente sottolinea che «la pena più mite prevista in tale disposizione è giustificata dal fatto che compimento di un omicidio passionale indica il minore grado della colpa del colpevole»[lvii].
L’omicida agisce nello stato di una forte emozione giustificata dalle circostanze, che è uno stato mentale di quel momento, ma non è né psicosi, né ritardo mentale, e nemmeno altri disturbi mentali di carattere patologico.

Nella giurisprudenza sia della Corte Suprema che delle Corti di Appello chiaramente viene sottolineato il male evidente, che in precedenza la vittima ha causato all’autore del reato.

Nella sentenza citata in basso viene descritto l’omicidio che nonostante sia stato realizzato sotto influenza delle emozioni, assolutamente non può essere classificato come passionale.

«Di regola, al di là dei casi assolutamente eccezionali, l’azione che mira a privare la vita ad un’altra persona viene accompagnata da uno stato di turbamento emotivo, ma nella situazione di cui all’art. 148 § 4 del codice penale si tratta dell’agitazione di più alto grado di gravità, che in un modo intensificato va oltre la semplice indignazione e in modo tale che le esperienze emotive (affettive) dominano sopra quelle intellettuali (logiche) e provocano una risposta rapida ai fatti esterni. Questi ultimi invece non devono essere banali, ma dovrebbero essere ragionevolmente proporzionali alla risposta presa dal colpevole. Di regola generale l’omicidio privilegiato è una reazione ai danni gravi, o è il risultato di accumulo a lungo termine dei vissuti emotivi dell’autore del reato che alla fine cade in uno stato di agitazione per un motivo banale. Quindi è difficile anche immaginare che fosse possibile entrare in uno stato di una forte agitazione in una situazione di party svolto con la grande quantità di alcool, quando si arriva ad uccidere una persona solo perché ha fatto le osservazioni all’autore del reato circa il suo stato di disoccupazione in presenza di diverse occasioni lavorative. Il concetto di agitazione è certamente in una stretta correlazione con la rabbia, ma non è lo stesso. Dopo tutto la rabbia è un’espressione di violenta opposizione contro i fatti che interessano il colpevole, a suo parere ingiusti, ciò di conseguenza viene accompagnato da un desiderio di vendetta, che presenta uno stimolo di agire in un modo illecito»[lviii].

La sentenza citata in alto distingue in modo preciso l’azione sotto l’influenza di un’intensa emozione, giustificata dalle circostanze, dai secondi fini che non meritano la comprensione non solo della magistratura, ma nemmeno della società.

L’infermità mentale o la idoneità mentale limitata in misura maggiore di lieve, induce a una valutazione completamente diversa del comportamento del colpevole. Nello stato di incapacità di intendere e di volere, di cui tratta la disposizione dell’art. 31 del codice penale, non si può dichiarare la colpa dell’autore del reato, perché essa non è attribuibile a causa della malattia mentale, ritardo mentale o altri disturbi dei processi psichici, che impediscono di agire in tempo per riconoscere il significato del proprio atto o gestire il proprio comportamento. Il reato di cui al paragrafo 4 dell’articolo 148 del codice penale è punibile con la reclusione da un anno fino a 10 anni.

L’infanticidio indicato nel testo dell’art. 149 del codice penale è un tipo di omicidio privilegiato, che può essere riconosciuto come tale solo se compiuto da “una madre che uccide il bambino durante il parto sotto l’influenza del suo corso”[lix].

Il contenuto di tale disposizione è una continuazione della tradizionale comprensione dell’infanticidio, che è stato penalizzato anche ai sensi della legge precedente[lx].
L’infanticidio è conosciuto da secoli. Nei tempi antichi i bambini malati o disabili venivano uccisi o mutilati. Tali fatti avvenivano soprattutto in Sparta, in Egitto e nelle organizzazioni tribali dei Franchi.
Se nella versione originale del codice penale attualmente in vigore veniva indicato l’elemento della deformazione del bambino, che potrebbe portare la madre del neonato al suo omicidio, attualmente esso è stato rimosso dalla legge penale.

Nel 2010 in Polonia sono state aperte 10 inchieste di infanticidio[lxi], ciò non significa che il numero di questi assassini in realtà sia abbastanza basso. In effetti, in molti casi delle uccisioni dei neonati, le colpevoli non vengono scoperte e le cause di questi reati sono molto diverse. Fra questi casi molte madri sono straniere e molte di loro si recano lontano dalla propria casa per partorire il figlio e successivamente ucciderlo.

J. Kałucki descrive il caso di infanticidio multiplo, commesso da una residente del villaggio vicino ad Opole, Chruścice. La donna di ventotto ha dato alla luce tre figli, che poi seppelliva nella terra. Le uccisioni sono avvenute nel 2002, 2003 e nel 2010[lxii].

L’ultimo dei comportamenti umani della categoria dei delitti contro la vita è l’omicidio di eutanasia, cioè quello quando l’autore del delitto agisce sotto l’influenza di compassione per la sua vittima e per la sua insistenza. Il contenuto dell’art. 150 del codice penale viene comunemente indicato come l’eutanasia o l’omicidio per eutanasia.

L. Gardocki è del parere che «nell’art. 150 del codice penale occorrono due condizioni necessarie: l’esistenza di una richiesta della vittima (ovvero qualcosa di più del consenso) e un particolare stimolo che agisce sull’autore del delitto in forma di compassione per la futura vittima. La legge non specifica quale dovrebbe essere il motivo di questa compassione. I commentatori di questa legge ritengono abbastanza univocamente che la motivazione dovrebbe riguardare le sofferenze fisiche dei malati terminali» [lxiii].

Analizzando il contenuto di tale disposizione non è possibile non riflettere sull’essenza della richiesta della vittima e sulle azioni del colpevole. Mentre la vittima può trovarsi in qualsiasi stato di malattia (malato terminale, disabile dalla nascita o dal momento di un evento, con vari gradi di ritardo mentale, ecc), l’autore del reato deve rispettare pienamente le condizioni di salute mentale per poter classificare questo omicidio come eutanasia.

Una questione a parte è il desiderio di morire della persona che si rivolge ad un’altra persona con la richiesta di applicarle la morte. Dalla legge risulta che la vittima è la persona che non è in grado di per sé di compiere autonomamente un atto di autodistruzione per ragioni oggettive (per esempio per una eccessiva debolezza a causa della malattia). Esistono anche gli interrogativi sul suo stato mentale, non essendo sofferente di una malattia mentale o di un ritardo mentale, tuttavia, per esempio un paziente malato di cancro che assume gli antidolorifici del gruppo di narcotici può a momenti subire le alterazioni degli stati di coscienza. Bisogna porsi la domanda se in questi momenti la vittima è stata pienamente consapevole delle proprie richieste, oppure se queste non sono state l’espressione della sua volontà. Lasciando da parte gli aspetti giuridici dell’omicidio di eutanasia, vanno sottolineate le conseguenze psicologiche che senza dubbio si verificheranno nel colpevole.
Il legislatore ha previsto per tale azione la reclusione da 3 mesi a 5 anni e, in casi eccezionali, la straordinaria mitigazione della pena o addirittura rinuncia della sua imposizione.

Riassumendo le considerazioni di cui sopra si deve sottolineare che il reato di assassionio è sempre stato ed è al centro dell’interesse del legislatore e della società. Il senso di sicurezza e di giustizia sociale e legale, il rispetto dei fondamentali diritti umani, da sempre determina la punizione degli assassini e al loro isolamento. Le sanzioni vengono previste non solo dalla legge ma anche dal comportamento passato dell’autore del reato, così come le previsioni per il futuro.

Note

[i] T. Healey, Najsłynniejsze w świecie zbrodnie w afekcie, Ed. Elipsa, Warszawa 1991, p. 172.

[ii] Costituzione della Repubblica Polacca del 2 aprile 1997, (G.U. del 1997 , n. 78, pos. 483 con ulteriori modifiche); legge del 6 giugno 1997 – Codice penale ( G. U. del 1997, n. 88, pos. 553 con ulteriori modifiche).

[iii] Legge del 6 giugno 1997 r. – Codice penale ( G. U. del 1997, n. 88, pos. 553 con ulteriori modifiche.).

[iv] F. Bolechała, Stan psychiczny a odpowiedzialność karna – regulacje prawne i kryteria medyczne w Polsce oraz w innych państwach, Archiwum Medycyny Sądowej i Kryminologii 2009, LIX, 309-319, p. 310.

[v] J.K. Gierowski, T. Zyss, F. Popp, Psychologiczne i psychopatologiczne aspekty niepoczytalności – stadium porównawcze podstaw prawnych opiniowania niepoczytalności w RFN, Austrii, Szwajcarii i Polsce, Palestra. 1992, n. 36, p. 36-44.

[vi] Vedi A. Adamski, J. Bojarski, P. Chrzczonowicz, M. Filar M., P. Girdwoyń, Prawo karne i wymiar sprawiedliwości państw Unii Europejskiej, Wydawnictwo Naukowe Uniwersytetu Mikołaja Kopernika, Toruń 2007.

[vii] Ibidem.

[viii] Przypadek Aileen Wuornos (vedi Phyllis Chesler, A Woman ‘s Right to Self-Defense: The Case of Aileen Carol Wuornos, St. John’s Law Review, Fall-Winter 1993, Vol. 66, No. 4, Issue 4.

[ix] A. Jakliński, Z. Marek, Medycyna sądowa dla prawników, Kantor Wydawniczy “Zakamycze”, Kraków 1996, p. 100.

[x] T. Marcinkowski, Medycyna sądowa dla prawników, Wydawnictwo Prawnicze, Warszawa 1993, p. 111.

[xi] Ibidem, s. 112 – 116.

[xii] A. Jakliński, J.S. Kobiela, K. Jaegermann, Z. Marek, Z. Tomaszewska, B. Turowska, Medycyna sądowa. Podręcznik dla studentów medycyny, Wyd. PZWL, Warszawa 1983, p. 17.

[xiii] T. Marcinkowski, Medycyna sądowa…, op. cit., p. 116.

[xiv] Por. W. Grzywo – Dąbrowski, Medycyna sądowa dla prawników, Wydawnictwo Prawnicze, Warszawa 1957, p. 74.

[xv] V.J. DiMaio, D. Di Maio, Medycyna sądowa, wydanie I polskie pod red. B. Świątek, Z. Przybylski, Wydawnictwo Medyczne Urban & Partner, Wrocław 2003, p. 2.

[xvi] Decreto del 1 luglio 2005 sulla raccolta, conservazione e trapianto delle cellule, tessuti e organi (G. U. del 2005, n. 169, pos. 1411 con le ulteriori modifiche.).

[xvii] Z. Marek, M. Kłys, Opiniowanie sądowo – lekarskie i toksykologiczne, Kantor Wydawniczy „Zakamycze”, Kraków 2001, edizione II, p. 39 – 40.

[xviii] A. Jakliński, J.S. Kobiela, K. Jaegermann, Z. Marek, Z. Tomaszewska, B. Turowska, Medycyna sądowa…, op. cit., p. 21 – 22.

[xix] Ibidem, p. 22.

[xx] Deliberazione del Presidente della Repubblica della Polonia del 11 luglio 1932 (G.U. del 1932, n. 60, pos. 571); vedi anche J. Makarewicz, Kodeks karny z komentarzem, Wydawnictwo Zakładu Narodowego im. Ossolińskich, Lwów- Warszawa – Kraków 1935

[xxi] J. Makarewicz, Kodeks karny…, op. cit., p. 394.

[xxii] Ibidem, s. 395.

[xxiii] Laeggel del 19 aprile 1969 – il Codice penale (G. U. del 1969, n. 13, pos. 94 con le ulteriori modifiche).

[xxiv] La sentenza della Corte Suprema del 17 febbraio1989, IV KR 15/89; OSNKW 1989, n. 5-6, pos. 42.

[xxv] M. Jarosz, S. Cwynar (a cura di), Podstawy psychiatrii, Wyd. PZWL, Warszawa 1983, p. 61.

[xxvi] M. Haslam, Psychiatria, Wydawnictwo Zysk i S -ka, Poznań 1997, p. 585.

[xxvii] J. Przybysz, Psychiatra sądowa. Podręcznik dla lekarzy i prawników, edizione II aggiornata, Zakład Wydawniczo – Poligraficzny POZKAL, Toruń 2003, p. 273.

[xxviii] La sentenza della Corte Suprema del 31 marzo 1978, IV KR 68/78 (non pubblicata).

[xxix] La sentenza della Corte Suprema del 22 giugno 1977, V KR 73/77, OSNKW 1978, n. 4, pos. 47.

[xxx] La sentenza della Corte Suprema del 28 giugno 1978, VKR 100/78, OSNKW 1978, n. 10, pos. 114.

[xxxi] J. Przybysz, Psychiatra sądowa…, op. cit., Toruń 2003, s. 284-285.

[xxxii] La sentenza della Corte Suprema del 6 maggio 1971 r., II KR 50/71, OSNPG 1971, n.10, pos.178.

[xxxiii] Cfr. La sentenza della Corte Suprema del 10 agosto 1970, II KR 44/70 non publicata; La sentenza della Corte Suprema del 27 marzo 1986, II KR 61/86, OSNPG 1986, n. 11, pos. 144; La sentenza della Corte Suprema del 7giugno 1972 , III KR 54/71, OSNKW 1972, n. 11, pos. 175.

[xxxiv] Cfr. J. Brzezińska , „Okres porodu” i jego konsekwencje temporalne na gruncie art. 149 kk ( in: ) Nowa Kodyfikacja Prawa Karnego, tom XXV, AUW No 3165, Wrocław 2009, p. 71 – 88

[xxxv] K. Janczukowiecz, Kodeks karny z orzecznictwem, Wydawnictwo Prawnicze LEX, Gdańsk 1996, p. 518.

[xxxvi] Cfr. S. Soszka (a cura di) Położnictwo i ginekologia. Podręcznik dla studentów, Wyd. PZWL, Warszawa 1985, p. 74-93.

[xxxvii] Il decreto del 6 giugno 1997 – Il Codice penale (G. U. del 1997, n. 88, pos. 553 con le ulteriori modifiche)

[xxxviii] Il decreto del 12 luglio 1995 sul cambiamento del Codice penale, Codice penale esecutivo o sull e sull’innalzamento dei limiti inferiori e superiori delle sanzioni del diritto penale ( G. U. del 1995, n. 95, pos. 475).

[xxxix] L. Gardocki, Prawo karne, edizione 10, Ed. C.H. Beck, Warszawa 2004, p. 219.

[xl] Ibidem, s. 220.

[xli] L. Gardocki, Prawo karne…, op. cit., p. 221.

[xlii] M. Szymczak (a cura di), Słownik języka polskiego, Ed. PWN, Warszawa 1981, p. 887 e 212.

[xliii] A. Marek, Prawo…, op. cit., p. 425.

[xliv] Le sentenze della Corte Suprema: OSNPG 1980, n. 11, pos. 130, OSNPG 1980, n. 3, pos. 31, OSNKW 1974, n. 6, pos. 113.

[xlv] La decisione della Corte Suprema del 31 maggio 2007, segnatura. III KK 31/07, Orzecznictwo Sądu Najwyższego Izba – Karna i Izba Wojskowa, Wyd. Red. Palestry z 2007 n. 7-8 pos. 59.

[xlvi] M. Bryła, Zabójstwo ciężkie w polskim prawie karnym, Prokuratura i Prawo 2001, n. 3, p. 65

[xlvii] Cfr. K. Badźmirowska – Masłowska, Kto zabija człowieka, Gazeta Sądowa 1988, n. 7-8, K. Daszkiewicz, Ciężkie zabójstwa (nowe regulacje w kodeksie karnym), Monitor Prawniczy 1997, n. 12, R. Rynkun – Werner, Zabójstwo kwalifikowane, Prawo i Życie 1997, n. 48.

[xlviii] A. Marek, Prawo karne…, op. cit., p. 142.

[xlix] Cfr. P. Palka, Zabójstwo z użyciem broni palnej w kodeksie karnym z 1997 roku, Przegląd Policyjny 1998, n. 2 e P. Palka, Zabójstwa z broni palnej – niepowodzenia ścigania karnego, Wydawnictwo UWM, Olsztyn 2004.

[l] C. Evans, Detektywi w laboratorium. 100 największych zagadek kryminalnych świata, Wydawnictwo Adamantan, Warszawa 1998, p. 12 – 14.

[li] M.G. Wolcott, 100 największych zbrodniarzy, Wydawnictwo MUZA S.A., Warszawa 2007, pp. 170 – 172.

[lii] Cfr. J. Kasprzak, B. Młodziejowski, Anatomia zabójstwa, Wydawnictwo MUZA S.A., Warszawa 2004.

[liii] I dati statistici del Comando Generale della Polizia (accessibili: www.kgp.gov.pl ; data di accesso 25 novembre 2011).

[liv] Cfr. D. Janowski, Gadżet z granatu, Głos Wybrzeża, 27 marzo 2003.

[lv] Cfr. E. Ornacka, Arsenał podziemia, Wprost 1999, n. 38

[lvi] La sentenza della Corte di Appello in Cracovia del 29 ottobre 2003, segnatura. II AKa 175/03 ( publicata presso: Prokuratura i Prawo N. 10/ 2004, p. 11 )

[lvii] L. Gardocki, Prawo karne…, op. cit., s. 221

[lviii] La sentenza della Corte di Appello in Katowice del 13 novembre 2003r, segnatura. II Aka 244/03 ( pubblicata presso: Prokuratura i Prawo, N. 11-12/ 2004, p. 13 )

[lix] Il decreto del 6 giugno 1997 – Il Codice penale (G. U. del 1997, n. 88, pos. 553 con le ulteriori modifiche) (art. 149).

[lx] Cfr. K. Daszkiewicz, S. Dąbrowski, E. Chróścielewski, Dzieciobójstwo jako zagadnienie prawne, psychiatryczne i medyczno – sądowe, Prokuratura i Prawo 1967, n. 2; H. Makarewicz, Przestępstwo dzieciobójstwa z art. 149 k. k. w świetle badań statystycznych, Palestra 1975, n.12.

[lxi] I dati statistici del Comando Generale della Polizia (accessibili: www.kgp.gov.pl ; data di accesso 25 novembre 2011).

[lxii] J. Kałucki, Oskarżona o potrójne zabójstwo noworodków, Rzeczpospolita z dnia 27.09.2010 r.

[lxiii] L. Gardocki, Prawo karne…, op.cit., p. 223.