Quando la matematica incontra la criminologia: opportunità o necessità?
di Lucio Tonello1,3, Fabio Gabrielli1,3, Massimo Cocchi1,3, Alfredo De Filippo2, Marino D’ Amore2 , Leandro Abeille2, Andrea Carta2, Alessandro Bozzi2
– Al liceo ero bravo in matematica e alla fine del V anno ero indeciso se iscrivermi a matematica o a legge. Alla fine ho scelto legge.
– Accidenti, eri indeciso tra due facoltà così diverse?
– Mah, se ci pensi bene, il discorso di un avvocato deve essere una sequenza logica, come una dimostrazione di un teorema. Pensa anche al lavoro di un giudice. Alla fine, legge e matematica non sono poi così diverse…
(Dialogo privato di Lucio Tonello con un vecchio amico)
1. Premessa
La Criminologia è una disciplina caratterizzata da un forte taglio interdisciplinare, espressivo di un confronto serrato ed euristico con diversi saperi, come, peraltro, la sua complessità epistemologica richiede. Si avvale, infatti, di competenze estremamente eterogenee che vanno, solo per fare qualche esempio, dalla biochimica (es: analisi del DNA) alla psicologia (es: personalità criminale), dalla fisica (es: balistica) alla sociologia (es: studio di bande criminali). In questo ampio spettro di discipline che collaborano e cooperano per lo studio del crimine e del criminale, la matematica occupa un posto di grande rilevanza. Essa è presente ad ogni livello: dallo studio della micro-criminalità fino al terrorismo internazionale.
Insomma, si può dire che Agatha Christie coglie nel segno, là ove afferma : «Ho continuato a fare aritmetica con mio padre, superando orgogliosamente le frazioni e i decimali. Sono finalmente arrivata al punto in cui tante mucche mangiano tanta erba e i recipienti si riempiono di acqua in tante ore. L’ho trovato avvincente» (An Autobiography).
2. Valore euristico della matematica applicata alla criminologia
Quotidianamente, i servizi di Polizia di tutto il mondo indagano utilizzando strumenti matematici più o meno complessi. Ad esempio, l’applicazione degli algoritmi di Geographic Profiling si rivelano un mezzo estremamente utile per intercettare i criminali seriali: permettono, infatti, di circoscrivere un’area di interesse dove concentrare gli sforzi degli agenti [1]. In questo caso una delle idee di base, fortemente semplificata, nasce dall’osservazione che il criminale seriale tende a colpire in modo modellizzabile come la diffusione di un innaffiatore automatico da giardino: riportando su una mappa i luoghi dove il predatore colpisce, questi si dispongono allo stesso modo delle goccioline d’acqua spruzzate da un innaffiatore. Il centro dello “spruzzino” è solitamente il punto in cui il criminale risiede, o dove comunque trascorre molto del suo tempo.
Oppure si pensi all’impiego di modelli matematici più complessi, quali le Self Organizing Map, un particolare tipo di Rete Neurale Artificiale. E’ un metodo matematico che, ispirato al funzionamento cerebrale, riesce a rilevare eventuali relazioni o caratteristiche comuni tra gli oggetti che gli vengono mostrati. Agendo in questo modo, trova ampio impiego in molti settori della criminologia. Ad esempio, può rivelarsi molto utile nello studio della struttura di bande criminali partendo dalle caratteristiche di sospettati [2][3].
Passando ai crimini di interesse internazionale, si consideri l’attività svolta dalle diverse agenzie per la sicurezza quali, ad esempio, l’americana NSA (National Security Agency) che studiano costantemente le reti terroristiche. Un capitolo della matematica che risulta essere efficace in tal senso è la “teoria dei grafi”: utilizzando le informazioni fornite dai servizi di intelligence si modellizzano i contatti (o le relazioni) tra i terroristi mediante un grafo costruito usando “nodi” (persone) connessi da “archi” (relazioni tra le persone). Ciò permette di individuare quei nodi del grafo (cioè quegli individui o gruppi) che occupano una posizione centrale rispetto a tutta la rete criminosa, fungendo da hub tra i diversi contatti, dunque caratterizzandosi come punti nevralgici, critici di tutta la maglia di interazioni. Questi algoritmi forniscono ai reparti operativi le indicazioni su dove possa essere prioritario un eventuale intervento. Analisi di questo tipo sono dette Social Network Analysis [4].
Un altro esempio, può essere fornito dai metodi di individuazione rapida di attacchi bio-terroristici. Mediante la costante osservazione di alcune variabili, cosiddette “critiche”, si applicano opportuni algoritmi di changepoint detection atti alla determinazione precoce di un possibile attacco. Questi algoritmi riescono ad individuare situazioni anomale associabili alle primissime fasi di un attacco di matrice terroristica, a mezzo di un virus o di un batterio [5].
In altre parole, monitorando costantemente alcuni parametri (si pensi ad esempio al numero di accessi al pronto soccorso associati ad una particolare diagnosi o alle uscite di particolari farmaci in misura superiore alla norma oltre alla loro collocazione sul territorio, ecc) e riuscendo a riconoscere precocemente una loro significativa variazione si riescono ad individuare le fasi iniziali di un attacco di natura biologica o chimica (es. avvelenamento da Botulino) consentendo, di fatto, di intervenire quanto prima per contrastarlo. In questo caso, il fattore tempo è fondamentale e, a seconda dell’efficacia dell’algoritmo matematico, può dipendere il numero di perdite.
Dunque la matematica è, di fatto, fortemente presente in criminologia, giocando un ruolo di primaria importanza. Ma non ci si deve limitare a pensare all’aspetto puramente investigativo o analitico: vi è ampio impiego anche in ambito giuridico e forense. Tuttavia, almeno in alcuni casi, si tende a trascurare l’importanza dei numeri.
Si pensi a quante volte, nelle aule dei tribunali, si porta come prova l’analisi del DNA. Una coincidenza di 2 DNA viene considerata prova certa che i due reperti confrontati provengono dalla stessa persona. In realtà, le cose non sono così dirette ed anzi sarebbe opportuno conoscere “la matematica” che c’è dietro. Il test del DNA, infatti, non valuta tutta la catena che lo compone (sarebbe un procedimento troppo lungo) ma solo alcuni punti, detti “loci” (ad esempio, l’FBI utilizza 13 loci, opportunamente selezionati). Pertanto, se da una parte si può ritenere vera l’affermazione che il DNA sia pressoché unico per ogni persona (con le dovute attenzioni per i gemelli), non si può avere altrettanta certezza (almeno in linea di principio) se di esso si prendono in considerazione solo 13 loci. Si intuisce che un test di DNA deve essere associato ad una probabilità di errore che va misurata e studiata. Il governo americano ha commissionato diverse ricerche, e scienziati di tutto il mondo hanno studiato a fondo il problema in tutti i suoi aspetti [6]. A tale proposito, si ricorda il noto caso del data base dei detenuti dell’Arizona che nel 2005 contava circa 65.000 unità di cui era noto il DNA: l’analisi rivelò che ben 144 individui avevano profili corrispondenti in 9 loci, un numero decrescente di individui con corrispondenze per 10 ed 11 loci, fino a 2 soggetti che avevano 12 loci identici [7]. Questo caso deve far riflettere ma non deve indurre falsi allarmismi: la giusta interpretazione degli studi sulle probabilità di errore del DNA Profiling ne consente un impiego corretto che lo rende una delle armi più potenti ed affidabili nelle mani della giustizia. A meno di errori di altro tipo, quali la contaminazione dei campioni, errori procedurali ecc, il test del DNA costituisce uno strumento decisamente efficace nella consapevolezza della matematica che lo caratterizza [6] [8].
Se da una parte la matematica aiuta la criminologia, vi sono altresì ambiti in cui la mancanza di matematica può portare a situazioni potenzialmente pericolose. E’ il caso di alcuni tipi di test, tra i quali quello dattiloscopico, meglio noto come test delle impronte digitali. Di norma si ritiene che “la prova dell’impronta digitale” sia associata alla certezza assoluta. Si è soliti accettare che, se due impronte vengono giudicate appartenenti alla stessa persona, tale affermazione sia implicitamente garantita al 100%. Nella realtà, errori di valutazione sono possibili da parte dagli esperti che, in quanto “umani”, possono esprimere perizie errate. A tal proposito, si cita un esempio su tutti, scelto tra i più celebri: certamente si ricorderà l’attentato di Madrid del 11 Marzo 2004 nel quale persero la vita 191 persone e oltre 2000 furono ferite. In quell’occasione, le autorità spagnole rinvennero delle impronte e chiesero aiuto all’FBI. La polizia americana trovò un match (cioè che le impronte coincidevano) con tale Mayfield, un avvocato di Portland. Il confronto delle impronte fu verificato da 3 esperti ed il sospettato fu prontamente arrestato. Tuttavia, dopo qualche settimana, le autorità spagnole trovarono un match perfetto con un algerino dimostrando in modo inequivocabile che le impronte non erano del sospettato americano: un clamoroso errore degli esperti dell’FBI! [6]
Nemmeno l’impiego di strumenti informatici ed analitici avanzati, per quanto si rivelino sempre più efficaci ed affidabili, può sempre garantire la certezza del confronto. Si tenga altresì conto che spesso le impronte rilevate in una scena del crimine sono poco nitide, incomplete, comunque non strutturate nella forma ottimale per essere confrontate, aumentando così la probabilità di una valutazione errata.
Ciononostante e contrariamente al test del DNA, il test dattiloscopico viene molto raramente accompagnato da una misura della certezza dell’affermazione [7]. Ed anche quando questa è espressa, ciò avviene con metodi non universali. In effetti, non vi è un protocollo standard riconosciuto a livello internazionale, che definisca criteri univoci per determinare l’appartenenza di 2 impronte allo stesso soggetto . Ad esempio, in Italia sono richiesti «almeno 16 punti caratteristici uguali per forma, posizione ed orientamento» [10] ma in altre nazioni la situazione è differente: ad esempio, in Francia ed Australia ne bastano 12, in altri paesi, tipicamente quelli anglosassoni, non è richiesto uno standard minimo. Possono, dunque, esistere impronte digitali considerate dello stesso soggetto in Francia ma non in Italia, oppure in Inghilterra ma non in Francia.
Alcuni autori [11][6] individuano la radice del problema nel fatto che il metodo fingerprint, a differenza del test del DNA che è figlio della ricerca scientifica, nasce storicamente da necessità criminologiche pratiche, in modo empirico, basandosi sull’assunto che “mai si sono viste 2 persone con impronte uguali”. Pertanto, nonostante il suo largo impiego, non è mai stato condotto uno studio statistico su larga scala, che abbia valutato questo metodo con approccio scientifico, in modo sistematico, tale da produrre una metodica standard, universalmente accettata e riconosciuta. Sarebbe questa, per certi versi paradossale, situazione ad essere la causa delle differenze nei protocolli e, soprattutto, a non permettere di quantificare l’errore di una affermazione dattiloscopica su base probabilistica. Afferma Pascali: «l’intero regime di giudizio probabilistico è rifiutato, e ad esso si preferisce la regola piuttosto grossolana del tutto o niente (oltre 17 son certo, prima non so)» [9]; una regola che può rivelarsi, in alcuni casi, pericolosa. Dunque la dattiloscopia è senza dubbio uno strumento di larghissimo impiego e dagli infiniti vantaggi, ma occorre prestare molte attenzione ai suoi limiti di natura matematico-probabilistica.
In effetti, l’utilizzo della probabilità e della statistica a volte è un punto critico in ambito forense. Come emblematico esempio ricordiamo il caso di Juanita Brooks (Los Angeles, 1964). La malcapitata rimase vittima di una rapina, ma riuscì a fornire, assieme ad un testimone, una descrizione dei colpevoli. La polizia fermò due sospettati che però non vennero riconosciuti dalla vittima. In sostanza, i due presunti colpevoli, i signori Collins, avevano le caratteristiche indicate dalla vittima (lei bionda e con la coda di cavallo, lui moro con barba e baffi ecc) ma non furono riconosciuti con certezza al confronto visivo.
Al primo grado di giudizio, l’accusa si avvalse di un matematico che calcolò la probabilità che due persone prese a caso in città, avessero quelle caratteristiche: 1 su 12.000.000. Dunque la probabilità che fossero innocenti era così improbabile che non vi era dubbio: i signori Collins erano certamente colpevoli e furono condannati. Ma la Corte Suprema ribaltò la sentenza [12]. Gli errori riconosciuti nel giudizio furono 2, uno di natura logica e l’altro di natura strettamente matematica.
Dal punto di vista logico, la probabilità pari 1/12.000.000 dichiarata nel primo processo fu intesa come la probabilità che le 2 persone fossero innocenti. Questo tipo di errore, detto prosecutor’s fallacy, è piuttosto frequente quando si applica la teoria della probabilità (o la statistica) ai processi: in realtà 1/12.000.000 è la probabilità che 2 persone prese a caso corrispondano alla descrizione data, non che siano innocenti! Nulla vieta che, in una città come Los Angeles, vi sia più di una coppia con queste caratteristiche: studi successivi mostrarono, infatti, che la probabilità che vi fossero almeno 2 coppie rispondenti a quella descrizione era pari al 41.8%, quindi verosimilmente possibile. In altre parole, lo studio sulla probabilità di trovare una coppia che risponda alla descrizione data è molto bassa ma non implica che quando ne trovo una, sia necessariamente quella colpevole: implica solamente che ne ho trovata una che risponde alla descrizione, ma ce ne potrebbero essere altre.
Il secondo errore era strettamente matematico. Senza addentrarci nei dettagli: il calcolo della probabilità fu eseguito adottando ogni tratto descrittivo come indipendente e non utilizzando, come si deve in questo caso, la probabilità condizionale, che avrebbe reso il risultato molto diverso.
Questa vicenda appare quanto mai illuminante. Un doppio errore (logico e matematico) nel primo processo mostra come un cattivo uso della matematica possa avere conseguenze catastrofiche che potrebbero portare alla condanna di un innocente. Il secondo processo, di contro, mostra tutta la potenza della matematica: il suo uso corretto ha la forza di ribaltare una sentenza considerata altrimenti incontrovertibile. Si immagini ora un altro scenario, completamente diverso, nel quale il rischio sia la pena capitale: in questo caso la matematica avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte dell’imputato.
La matematica è fortemente presente in ambito criminologico, a tutti i livelli, molto spesso si mostra uno strumento estremamente potente. Per questo è opportuno conoscerla in profondità: un cattivo impiego può avere effetti devastanti. Ma un utilizzo corretto sia a livello investigativo/analitico che giuridico/forense, la rende un formidabile mezzo capace di portare a soluzioni che possono salvare la vita.
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1Facoltà di Scienze Umane -Università L.U.de.S., Lugano (Svizzera)
2Dipartimento delle Scienze Giuridiche e Sociali- Università L.U.de.S., Lugano (Svizzera)
3 Istituto “Paolo Sotgiu” per la ricerca in Psichiatria e Cardiologia Quantitativa e Quantistica – Università L.U.de.S., Lugano (Svizzera)
Riferimenti bibliografici
[1] Rossmo D. K. (2000). Geographic profiling. Boca Raton, FL: CRC Press.
[2] Mena, J. (2003). Investigative Data Mining for Security and Criminal Detection. Butterworth Heinemann, USA
[3] Kohonen T.(1982). Self-Organized Formation of Topologically Correct Feature Maps..Biological Cybernetics 43 (1): 59–69.
[4] Van der Hulst, R C (2008). Introduction to Social Network Analysis (SNA) as an investigative tool. Research and Documentation Center. Ministry of Justice. The Hague.
[5] Sebastiani P. Mandl K. (2004). Biosurveillance and Outbreak Detection. Data Mining: Next Generation Challenges and Future Directions, H. Kargupta A. Joshi K.Sivakumar and Y. Yesha (Eds). MIT Press. 185–198.
[6] Devlin K. Lorden G. (2007). The numbers behind NUMB3RS: solving crime with mathematics. Plume.
[7] Devlin K. Lorden G. (2008). Il matematico e il detective. Longanesi, Milano.
[8] Bramanti M. (2009). La Matematica nella Società e nella Cultura – Rivista dell’ Unione Matematica Italiana, Serie I, Vol.II, n. 3, pp.447-493.
[9] Pascali V. (2011) Causalità ed inferenza nel diritto e nella prassi giuridica. Medicina leg. criminologia deontol. med. Giuffrè Editore
[10] Corte di cassazione, sez 2 n. 2559 del 14/11/1959; Sez. 2 n. 10567 del 13/11/1985; sez 4 n.4254 del 02/02/1989; sez.5 nr.24341 del 23/5/2005
[11] Gennari G, Cucci M, Gentilomo A. (2012). L’uso della prova scientifica nel processo penale. Volume 5 di Medicina e diritto. Maggioli Editore
[12] People v. Collins, 68 Cal.2d 319