Economia

Alimentare bio-potere tramite contro-potere. Un approccio focaultiano alle nuove strategie di marketing

(di Antonio Fruttaldo e Silvia Scuotto)

Introduzione

Il seguente articolo si propone come obiettivo quello di aprire una riflessione riguardante le nuove strategie di marketing utilizzate da grandi e medie aziende negli ultimi anni. In particolare, concentreremo la nostra attenzione su di un aspetto peculiare di questo nuovo tipo di rappresentazione dell’azienda, ossia su come forme di contro-potere (ad es., discorsi di protesta contro ideologie vigenti) vengano utilizzate per rappresentare l’azienda ed i suoi prodotti a favore di determinate cause di interesse pubblico.

Tali strategie nascondono molteplici significati e, giocando su determinate (in)consce reazioni nel pubblico a cui si rivolgono, fanno uso di contro-poteri per alimentare l’egemonia sovrana del loro marketing, ossia il capitalismo.

Partendo da questa riflessione, prenderemo in esame alcuni particolari casi e cercheremo di offrire delle analisi che affondano le proprie radici nella Critical Discourse Analysis (Fairclough 1989, 1992, 1995, 2003) e, in particolar modo, nell’opera di Foucault (1975, 1978, 1984, 2002).

1. Potere, bio-potere e contro-potere

Le riflessioni offerte dal filosofo Michel Foucault prendono le loro mosse da una analisi sociale della storia della cultura occidentale. Come espressamente dichiarato da Foucault (2002 [1972]), l’archeologia del sapere è, infatti, una proposta di analisi della nascita, sviluppo ed evoluzione del rapporto “neither visible nor hidden” (Foucault 2002: 122) fra pratiche discorsive e non-discorsive, fra saperi e comportamenti sociali nella cultura occidentale.

Tali pratiche vengono viste come elementi centrali nella costituzione e costruzione (in)conscia di una determinata società a vari livelli. Fra questi livelli, possiamo distinguere la costituzione di oggetti del sapere, dei soggetti, delle relazioni sociali, di schemi concettuali, etc. (Foucault 2002).

Queste pratiche discorsive, tuttavia, non sono viste come entità evanescenti e prive di controllo: esse sono il frutto di una storia sociale e di istituzioni, le quali hanno definito e continuano a definire cosa sia, ad esempio, accettabile o meno, quali siano gli strumenti per delimitare e punire la degenerazione (Foucault 1975), e quali siano le altre forme più o meno percettibili di controllo dell’individuo e della società in cui è immerso.

Le pratiche discorsive sono, dunque, delle entità eterogenee, formate da concetti, valutazioni, prescrizioni morali ed istituzionali, che consentono di costruire un oggetto del sapere. Foucault (2002), al fine di spiegare in modo maggiormente chiaro tali concetti, offre esempi pratici nella costruzione della follia e della delinquenza. Tali costruzioni sono legate sia a procedure di individuazione e di rappresentazione di tali ‘anomalie’ sia a procedure di intervento a livello istituzionale (la struttura fisica di intervento del manicomio e della prigione).

La forma di intervento diventa, dunque, una prassi determinata e regolamentata. In tal modo, da una pratica discorsiva di rappresentazione dell’oggetto del sapere si passa ad una pratica non-discorsiva di intervento nei suoi confronti.

Ed è proprio da questa trasformazione di un oggetto del sapere, dal suo passaggio da entità discorsiva a strategia di intervento (Fairclough 1992) che prende le mosse la concezione di Foucault del potere, esemplificato nella cosiddetta funzione panoptica (Foucault 1975). Tale funzione viene definita come “[…] a way of making power relations function in a function, and of making a function function through these power relations” (Foucault 1975: 206-207).

In altre parole, il potere non è più concepito come racchiuso nelle mani di una singola entità, che impone la sua autorità sui suoi ‘sudditi’, ma come costruzione e, soprattutto, funzione che risulta da pratiche discorsive e non-discorsive in modo tale da preservare ciò che viene assunto come normale e coincidente con le norme sociali in un dato contesto storico e culturale.

Il potere, in quanto funzione, si sostiene ed alimenta tramite “numerous and diverse techniques for achieving the subjugation of bodies and the control of populations” (Foucault 1978: 140), le quali hanno dato inizio ad una era caratterizzata da ciò che Foucault definisce come bio-potere (Foucault 1978). Esso può essere definito come l’insieme dei meccanismi attraverso i quali i fondamentali bisogni biologici della specie umana sono divenuti oggetto di una strategia politica, di una generica strategia di potere.

Fra i fondamentali bisogni biologici dell’essere umano quello che prima di tutti deve essere preservato è la volontà di vivere. Per questa motivazione, il potere nelle culture occidentali non si esprime più come racchiuso totalitariamente nelle mani di un sovrano, che può mettere a rischio il bisogno di vita di un individuo. Il potere si presenta come benevolo, come preservatore della specie umana.

Tuttavia, in questa preservazione, tutto ciò che si discosta dalla norma e che può minacciare il benessere umano deve essere contenuto e/o represso. E gli strumenti che consentono ciò sono la esemplificazione del bio-potere. Tali strumenti possono essere sia strumenti fisici e tecnologici (il manicomio, la prigione, i mezzi di comunicazione) oppure essi possono assumere la forma di discorsi dominanti nella nostra società (la minaccia alla specie dominante proveniente da specie non autoctone, la riproduzione della specie, etc.).

Fairclough (1992) critica, tuttavia, questa rappresentazione del potere offerta da Foucault ed opta per un approccio gramsciano. Infatti, mentre la rappresentazione di Foucault del potere sembra essere alquanto auto-riproduttiva1, la nozione di egemonia introdotta da Gramsci include al suo interno ciò che può essere definito come contro-potere e la nozione di lotta contro l’egemonia. Nelle parole di Fairclough (1992: 59):

In this [Gramsci’s] approach, hegemony is conceived as an unstable equilibrium built upon alliances and the generation of consent from subordinate classes and groups, whose instabilities are the constant focus of struggles […]. Foucault’s neglect of practice and of detailed mechanisms of change goes along with a neglect of struggle, other than modes of ‘resistance’ which are assumed not to have the capacity fundamentally to transform structures.

In altre parole, mentre la nozione di potere introdotta da Foucault include semplicemente forme di resistenza ad esso che, tuttavia, non ne modificano la sua natura2, la nozione di potere offerta da Gramsci include tutte quelle forme di lotta che fanno sì che si modifichi e cambi per nascondere sé stesso. Il potere è, dunque, sempre in evoluzione e tale evoluzione si basa su forme di contro-potere che lo alimentano e lo sostentano.

Un esempio offerto da van Dijk (1992) può aiutarci a comprendere meglio tale concezione del potere. Infatti, secondo l’autore, una delle caratteristiche centrali delle nuove forme di razzismo è rappresentata dalla sua negazione. La nostra sensibilità moderna, infatti, percepisce il razzismo come un valore negativo, come una forma di ideologia scaturita da un potere colonialista che non coincide con la nostra sensibilità post-colonialista. Dunque, il contro-potere, rappresentato da forme di discorsi e pratiche legate alla integrazione sociale, ha modificato questa forma di potere. Dunque, nell’esprimere un concetto che si percepisce come razzista e con il fine di non essere tacciato come tale, l’individuo presenterà sé stesso tramite un primo filtro legato ad una “positive self-presentation” (van Dijk 1992: 89), dovuto al fatto che “In interaction, people try to act, and hence to speak, in such a way that their interlocutors construct an ‘impression’ of them that is as positive as possible, or at least speakers try to avoid a negative impression” (van Dijk 1992: 88-89). Questo filtro consente, dunque, di presentare sé stessi come non razzisti e consente anche di introdurre commenti che, d’altro canto, nascondono dei pregiudizi nei confronti di un individuo altro. Offriamo di seguito un esempio tratto dal corpus di interviste raccolto da van Dijk (1992: 99):

(1)          [a Dutch woman talking] uhh… how they are and that is mostly just fine, people have their own religion, have their own way of life, and I have absolutely nothing against that, but, it is a fact that if their way of life begins to differ from mine to an extent that…

Come è possibile osservare, nella prima parte di tale esempio, l’intervistata presenta sé stessa come una persona tollerante, essendo la tolleranza un valore positivo.

Tuttavia, questa tolleranza è rappresentata verbalmente come un gradiente: essa può tollerare fino ad un certo punto. Oltre tale soglia, ritroviamo un atteggiamento intollerante verso coloro che professano altre religioni.

Dunque, come è possibile osservare, una forma di potere dominante si nasconde dietro un contro-potere di tolleranza ed accettazione di qualsiasi forma di espressione dell’altro. Tale contro-potere, tuttavia, viene strumentalizzato al servizio di un potere dominante: il contro-potere diviene una sorta di “positive face” (Brown & Levinson 1987) tramite la quale mantenere una sorta di potere vivo.

Da queste considerazioni prende le mosse la nostra riflessione, e da questi concetti e visioni cercheremo di analizzare dei casi di strategie di marketing, in cui è possibile osservare come forme di contro-potere vengano utilizzate dal bio-potere per nascondere forme dominanti di potere. In particolare, vedremo come le pubblicità di determinate compagnie, viste come forme di bio-potere, in quanto strumenti tecnologici che sostengono una forma di potere, facciano uso di strategie di contro-potere per nascondere e mascherare l’egemonia capitalistica.

2. Il caso Barilla

Il primo caso che analizzeremo in questo articolo potrà sembrare non coincidente con ciò che è stato affermato fino ad ora. Infatti, più che di un caso in cui forme di contro-potere vengono utilizzate per rappresentare positivamente una azienda, il caso Barilla nasce da una polemica scatenata dalle dichiarazioni rilasciate da Guido Barilla, presidente della multinazionale, il 25 Settembre 2013 durante la trasmissione La Zanzara di Radio 24 (Strada 2013).

Durante tale trasmissione radiofonica, alla domanda sul perché la sua compagnia non avesse mai pensato di fare uno spot pubblicitario con una famiglia appartenente alla comunità LGBTI, Guido Barilla ha risposto con le seguenti parole (trascrizione della registrazione dell’intervista riportata dal Corriere della Sera, 26 Settembre 2013):

Guido Barilla Per noi, il concetto di famiglia sacrale rimane uno dei valori fondamentali dell’azienda.
Intervistatore 1 Cioè?
Guido Barilla La salute, la famiglia, il concetto di famiglia pulita, il concetto di…
Intervistatore 1 Cioè, non fareste mai uno spot…?
Guido Barilla No, non lo faremo perché la nostra è una famiglia tradizionale.
Intervistatore 2 Eh, ma la pasta la mangiano anche i gay
Guido Barilla E va bene, ma se gli piace la nostra pasta e la nostra comunicazione, la mangiano. Se non gli piace quello che diciamo, faranno a meno di mangiarla e ne mangeranno un’altra. Ma uno non può piacere sempre a tutti
Intervistatore 1 Cioè, lei non farebbe mai uno spot con una famiglia omosessuale seduta ad un tavolo?
Guido Barilla No, non lo farei. Non lo farei, ma non per mancanza di rispetto agli omosessuali, che hanno diritto di fare quello che vogliono senza disturbare gli altri. Ma perché non la penso come loro e penso che la famiglia a cui ci rivolgiamo noi è comunque una famiglia classica. Io rispetto tutti. Che facciano quello che vogliono senza infastidire gli altri.

Come è possibile osservare, Guido Barilla risponde alla domanda legando il concetto di famiglia tradizionale a quelli di salute e pulizia (“il concetto di famiglia sacrale rimane uno dei valori fondamentali dell’azienda. […] La salute, la famiglia, il concetto di famiglia pulita”). Si sta formando, discorsivamente parlando, una non espressa contrapposizione: la famiglia tradizionale viene legata ad un discorso quasi medico di condizione asettica al fine di prevenire qualsiasi forma di infezione, vista in questo caso come il discostamento dalla norma. Una famiglia che si discosta da quella tradizionale è, dunque, una famiglia, in primo luogo, non salutare. Inoltre, essa è vista come sporca, come indice di una infezione che potrebbe espandersi. La famiglia non tradizionale, dunque, se rappresentata in uno spot della compagnia Barilla, sembrerebbe mettere a repentaglio gli stessi standard igienico-sanitari dell’azienda.

In tal modo, Guido Barilla lega linguisticamente e concettualmente i valori che per lui sono legati alla nozione di famiglia tradizionale alla rappresentazione della sua azienda, che produce prodotti salutari ed in perfette condizioni igienico-sanitarie.

Nella parte finale di tale estratto, Guido Barilla sembra mitigare la sua personale visione (diciamo “personale”, poiché vi è uno slittamento nell’uso dei pronomi personali dal ‘noi’ dell’azienda all’ ‘io’ del presidente della multinazionale). Tuttavia, in questo caso, ci ritroviamo di fronte a ciò che van Dijk (1992) definisce come “apparent denial” accompagnato da una “relative tolerance” (“Non lo farei, ma non per mancanza di rispetto agli omosessuali, che hanno diritto di fare quello che vogliono senza disturbare gli altri. […] Che facciano quello che vogliono senza infastidire gli altri.”). Infatti, inizialmente Guido Barilla presenta sé stesso positivamente, rifacendosi ad un discorso di parità di diritti e di libertà dell’individuo. Tuttavia, tali diritti e tali libertà sono ristretti ai concetti di disturbo e di fastidio. Dunque, come precedentemente affermato, tale “positive self-presentation” è vista come una sorta di gradiente, il cui punto di rottura introduce una visione estremamente razzista nei confronti della comunità LGBTI (i verbi ‘disturbare’ ed ‘infastidire’ rappresentano tale rottura).

A pochi minuti dal rilascio di tale intervista a Guido Barilla, l’indignazione dei consumatori è stata inevitabile. Tuttavia, interessante è stata la reazione delle altre compagnie di produzione di generi alimentari e non. Prima fra tutte è stata l’azienda napoletana Garofalo specializzata nella produzione di pasta, la quale sulla sua pagina ufficiale Facebook, ha lasciato il seguente messaggio (Figura 1):

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Figura 1 – Screen-shot del messaggio pubblicato da Garofalo in risposta alle dichiarazioni di Guido Barilla.

Tuttavia, sebbene non pubblicata ufficialmente dalla azienda napoletana (Garofalo ha successivamente preso le distanze da tale iniziativa), una prima immagine a pochi minuti dalle dichiarazioni di Guido Barilla aveva iniziato a circolare (Figura 2):

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Figura 2 – Immagine da cui Garofalo ha preso le distanze, dichiarando di non essere di sua proprietà.

Alla Garofalo hanno fatto seguito altre compagnie, le quali hanno colto in questa azione di distanziamento dalle politiche dichiarate dal presidente della Barilla una possibile opportunità di promozione dei propri prodotti e della propria azienda. Fra le risposte più significative all’intervista di Guido Barilla possiamo ricordare quella della Misura, della Buitoni, del Pastificio dei Campi e, infine, quella dell’Althea, che nel 2012 aveva già lanciato uno spot pubblicitario che vedeva come protagonisti una coppia di uomini in intimità davanti ad un piatto di pasta al sugo. Riportiamo di seguito alcuni esempi di real-time marketing in risposta alle affermazioni rilasciate da Guido Barilla (Figura 3, 4, 5 e 6):

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Figura 3 – Messaggio rilasciato da Misura sul proprio canale Twitter in risposta alle affermazioni di Guido Barilla.

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Figura 4 – Messaggio rilasciato da Buitoni sul proprio canale Facebook in risposta alle dichiarazioni di Guido Barilla.

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Figura 5 – Messaggio promozionale del Pastificio dei Campi rilasciato in risposta alle affermazioni di Guido Barilla.

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Figura 6 – Messaggio promozionale rilasciato da Althea in risposta alle dichiarazioni di Guido Barilla.

Dunque, come precedentemente affermato, il caso Barilla da semplice fenomeno di contestazione di una posizione intollerante si è tramutato in un vero e proprio caso di marketing. Giocando sulla indignazione e sulla non condivisione delle visioni tradizionaliste del presidente della multinazionale, la sua concorrenza ha cavalcato questo sentimento di oltraggio nei confronti di una minoranza sociale, presentando la propria azienda come diversa dall’azienda Barilla, in quanto a favore di una determinata causa sociale. Questa azione nasconde un duplice messaggio:

–       da un lato, tale azione di marketing posiziona la concorrenza in un discorso di contro-potere. La Barilla si fa portatrice in questo assioma dell’ideologia della famiglia tradizionale, un tipo di potere che si nasconde dietro determinate rappresentazioni di ordinaria ‘normalità’. Contro questo potere si schiera la sua concorrenza, che si presenta positivamente come colei che rompe con gli schemi tradizionali e crede in valori positivi di tolleranza ed accettazione;

–       dall’altro, questa azione di marketing utilizza una “positive self-presentation” (van Dijk 1992) come strumento di vendita del proprio prodotto e, di conseguenza, di rappresentazione delle politiche dell’azienda in generale.

Dunque, nel caso specifico della polemica generata dalle posizioni espresse da Guido Barilla durante l’intervista rilasciata a La Zanzara, un contro-potere viene sfruttato dalla concorrenza per alimentare e, al contempo, nascondere un potere capitalistico.

Il caso Barilla, tuttavia, può essere visto come una sorta di estremizzazione: una effettiva minaccia all’ideale di tolleranza, rappresentata dalle dichiarazioni di Guido Barilla, è lo spunto per dare il via ad una azione di marketing da parte delle sue concorrenti. In altri casi, invece, nessuna polemica può essere rintracciata e una azienda può utilizzare cause di interesse pubblico per vendere i propri prodotti. In questi casi, le aziende sembrano veicolare un ulteriore messaggio: l’azienda in questione sembra rappresentare sé stessa come differente dalle altre aziende che hanno una visione tradizionalista della società. Dunque, in questi casi, il contro-potere si oppone ad un potere generico rappresentato da tutte quelle rappresentazioni dominanti di una determinata società.

3. La figura femminile

Le figure femminili sono da sempre presenti nella pubblicità, e l’immagine prevalentemente presentata è quella di una “donna oggetto”. L’oggettivazione dei corpi delle donne è un tema sul quale, negli ultimi anni, si è sviluppato un ampio dibattito, in particolar modo in seguito al documentario di Lorella Zanardo Il corpo delle donne (2009), nato in seguito alla
constatazione che “le donne, le donne vere, stiano scomparendo dalla tv e che siano state sostituite da una rappresentazione grottesca, volgare e umiliante” (Zanardo 2014).

Sono molte le pubblicità che hanno fatto scandalo a causa dell’utilizzo del corpo della donna. Un chiaro esempio possono essere alcuni manifesti di Dolce & Gabbana, che possono essere definiti sessisti e istiganti allo stupro di gruppo.

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Figura 7 – Uno dei manifesti pubblicitari di Dolce & Gabbana

In risposta ad una figura femminile intesa come corpo, elemento decorativo, mero oggetto del desiderio, oggigiorno numerose aziende hanno basato le proprie campagne pubblicitarie sulla presentazione di un modello femminile alternativo, più vicino a quello delle consumatrici.

Basti pensare al marchio Dove® per l’igiene personale, che ha lanciato nel 2004 la Campagna della Bellezza Autentica, seguita dal Fondo Dove® per l’Autostima nel corso dell’anno successivo.

Le campagne pubblicitarie del marchio dichiarano di voler diffondere un concetto di bellezza più democratico e vicino alla realtà quotidiana rispetto a quello presentato quotidianamente dai media. Le protagoniste degli spot Dove® sono donne con forme, taglie ed età diverse, che si presentano come donne comuni, lontane dall’immagine di figure femminili perfette proposte dalle ideologie vigenti.

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Figura 8 – Manifesto pubblicitario della campagna Dove®

Altro tema affrontato da diverse aziende a favore della condizione femminile è sicuramente quello riguardante gli stereotipi sessisti.

Pantene, azienda di prodotti per capelli del gruppo Procter & Gamble, ha proposto nelle Filippine uno spot che punta le luci sugli stereotipi sessisti, in particolare sul posto di lavoro.

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Figura 9 – Screen-shot dal video Pantene

Il video pubblicitario in questione gioca su due livelli, quello delle immagini del video e quello della testualità. Il video mostra, infatti, come un uomo che ha un atteggiamento risoluto in ufficio è un ‘boss’ (capo), mentre una donna è vista come ‘bossy’ (dispotica, prepotente). Quando parla in pubblico un uomo è ‘persuasive’ (convincente), una donna è ‘pushy’ (insistente, assillante). Se un uomo lavora fino a tardi è ‘dedicated’ (dedito), una donna è ‘selfish’ (egoista). Un uomo che si prende cura del suo aspetto è ‘neat’ (curato), una donna è ‘vain’ (vanitosa). L’uomo elegante, ben vestito e sicuro di sé è ‘smooth’ (raffinato), ma la donna che si comporta allo stesso modo è una ‘show-off’ (appariscente).

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Figura 10 – Screen-shot dal video Pantene

Il video si conclude con un monito alle donne: “Don’t let labels hold you back, be strong and shine” (Non farti trattenere dalle etichette, sii forte e brilla).

È stato sicuramente di grande impatto anche l’esperimento di Always, brand americano di igiene intima di Procter & Gamble. Il filmato, diretto dalla documentarista Lauren Greenfield, è nato in seguito a una ricerca secondo la quale oltre la metà delle ragazze perde sicurezza e fiducia in sé durante la pubertà.

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Figura 11 – Manifesto pubblicitario di Always, legato al filmato ‘like a girl’

Nel video, la regista chiede ad alcune donne, uomini e bambini di correre, combattere e lanciare qualcosa ‘like a girl’, come una ragazza. Mentre gli adulti di ambo i sessi hanno messo in scena lo stereotipo frivolo e di connotazione negativa dell’espressione, le bambine hanno invece agito normalmente e, anzi, quando viene chiesto a una di loro di spiegare cosa significa “correre come una ragazza”, una di queste risponde con grande naturalezza che “significa correre più veloce che posso”. L’obiettivo del video è, chiaramente, di lottare contro l’accezione negativa del “fare qualcosa come una ragazza”, un’espressione pronunciata tendenzialmente come un insulto, che potrebbe incidere negativamente sull’autostima e sul carattere delle bambine. Il messaggio della campagna è, infatti, “Rewrite the rules”, riscrivere le regole.

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Figura 12 – Screen-shot dal video Verizon

Riguarda un tema molto simile la campagna di Verizon, compagnia di telecomunicazioni americana, che prende spunto da una statistica USA secondo la quale il 66% delle bambine intervistate alle elementari dichiara di amare la matematica e la tecnologia, ma solo il 18% degli studenti universitari in ingegneria è di sesso femminile. Lo spot, che pone l’attenzione sull’impatto delle parole dei genitori nei confronti delle figlie, ha come protagonista Samantha, che in pochi minuti viene seguita dall’infanzia all’adolescenza. Fuori campo si sentono frasi tipiche dei genitori come ‘who’s my pretty girl?’ (chi è la mia bambina bella?), ‘Sammy, sweety, don’t get your dress dirty’ (Sammy, tesoro, non sporcarti il vestito). Affermazioni e consigli che potrebbero scoraggiare le ragazze dal seguire interessi scientifici, tradizionalmente ritenuti più indicati ai ragazzi. Lo spot si conclude chiedendo ai genitori: ‘Isn’t it time we told her she’s pretty brilliant, too?’ (Non è ora di dirle che ha anche molto talento?).

Tutte le pubblicità proposte sono chiari esempi di forme di contro-potere, proteste contro le ideologie vigenti, in questi casi particolari, sull’immagine delle donne che viene tradizionalmente proposta, utilizzate per rappresentare l’azienda (e ovviamente i suoi prodotti) a favore di cause di interesse pubblico.

4. Conclusioni

Concentrando la nostra attenzione su particolari esempi, abbiamo potuto osservare come forme di contro-potere, quali discorsi a favore della parità di genere, vengano utilizzate per rappresentare determinate aziende ed i suoi prodotti.

Come sottolineato precedentemente, tali strategie nascondono molteplici significati e, giocando su determinate reazioni nel pubblico a cui si rivolgono, fanno uso di contro-poteri per alimentare l’egemonia sovrana del loro marketing. Se, dunque, da un lato, tali discorsi si fanno portatori di una denuncia nei confronti di ideologie e rappresentazioni dominanti all’interno della nostra società, dall’altro, essi diventano strumento del genere discorsivo in cui sono inseriti, ossia di ciò che Bhatia (2004) definisce come “promotional genre”.

Dunque, in tale contesto, assistiamo ad una sorta di “marketization” (Fairclough 1992) di determinate forme di contro-potere, le quali vengono trasformate in veri e propri beni che, accanto al prodotto sponsorizzato, l’azienda vende al suo pubblico. L’azienda diviene, dunque, una produttrice di contro-poteri e ciò favorisce la sua “positive self-presentation” (van Dijk 1992) in un contesto moderno in cui il razzismo e la discriminazione vengono visti e percepiti come valori negativi.

Note

1 Contestazioni del potere fanno sì che le strutture di bio-potere si modifichino in modo tale da rendere di nuovo nascosta la natura del potere stesso. Si tratta, dunque, di una visione ciclica del potere, che resta per questo identico a sé stesso.

2 In una situazione ‘normale’, vi è un bilanciamento fra potere e forme di resistenza. Quando vi è uno squilibrio, una rottura epistemologica è inevitabile.

Bibliografia

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Siti web

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Strada, Maria, Barilla: «Mai uno spot con famiglie gay, se a qualcuno non va, mangi un’altra pasta», in «Corriere della Sera», 26 Settembre 2013, <http://www.corriere.it/cronache/13_settembre_26/barilla-no-spot-omosessuali-famiglia-sacrale_f9506e70-268f-11e3-a1ee-487182bf93b6.shtml> (Ultimo accesso: 1 Luglio 2014).

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Zanardo, Lorella 2014. Il corpo delle donne, <http://www.ilcorpodelledonne.net/documentario/> (Ultimo accesso: 5 Settembre 2014).