Diritto Criminologia e criminalistica

“Da dove deriva il male?”: le teorie criminologiche sull’eziologia dei comportamenti criminali e la loro genesi

di Maciej Szostak*
(Traduzione dalla lingua polacca di Jolanta Grębowiec Baffoni)

“La conoscenza delle cause è la conoscenza del problema” – G. Bacon

L’interrogativo che riguarda i comportamenti criminali, quindi del perché le persone compiono azioni riconosciute come socialmente negative e dannose, accompagna l’uomo dal momento della fondazione della società, riconosciuta come una struttura organizzata e unitaria. Certamente il problema in sè è stato posto molto prima, ma è diventato una questione comune soltanto nel XVIII secolo, soprattutto per merito di importanti filosofi, giuristi e uomini di Stato. Le domande sul fenomeno della criminalità, sulle norme penali, sulle cause e sul loro sviluppo, da sempre sono state oggetto di interesse per gli scienziati. Probabilmente non sono esistiti filosofi che non si siano soffermati su tali questioni senza porsi la domanda sulle cause dei comportamenti asociali, autodistruttivi o socialmente patologici. La problematica delle cause dei comportamenti associali (che ancora non si possono definire criminali), i quali fuoriescono dall’ambito delle norme e delle regole sociali e di conseguenza sono contrari alla legge, incontrava interesse già nell’antichità. Implicitamente questa problematica è stata considerata dai classici del pensiero antico greco (per esempio Platone ed Aristotele) e romano (Marco Aurelio, Seneca). Un punto di svolta nello sviluppo delle ricerche e nella direzione dello sviluppo epistemologico degli orizzonti della conoscenza riguardante l’eziologia dei comportamenti asociali, è stata la concezione dell’origine del “male”, formata nell’epoca del Medioevo sulle fondamenta delle Sacre Scritture del Nuovo Testamento. Le Sacre Scritture in modo significativo hanno identificato l’origine e l’insorgenza del male personificando la sua essenza con la figura del “Satana-Lucifero”. Ovviamente la sua influenza veniva interpretata a seconda dei gruppi e delle classi sociali[i].

Questa concezione ha indicato il percorso di sviluppo delle ricerche sulla genesi della criminalità per alcune centinaia di anni; ciò quale conseguenza naturale della concezione teocentrica dello sviluppo del mondo e della vita sociale. Soltanto dopo la rottura del paradigma teocentrico a beneficio della concezione pro-sociale, paradossalmente pro-individuale e pro-umana dell’antropocentrismo, è avvenuta una svolta nella concezione del male e nella sua identificazione con il comportamento criminale, ossia socialmente atipico. Si è iniziata l’identificazione delle ragioni dei comportamenti “cattivi”, cioè asociali, non tanto con un movente dominante e trascendente, quanto mediante induzione delle diverse cause responsabili di questi tipi di contegno. Soltanto nell’epoca del Rinascimento e poi dell’Illuminismo sono stati intrapresi tentativi per descrivere le cause della criminalità prendendo in considerazione i fattori ambientali[ii] e biologici. Questi elementi furono di un grande valore conoscitivo, poiché in modo essenziale influirono sul cambiamento del paradigma del pensiero sul criminale e sul crimine, ciò di conseguenza nei secoli successivi portò al cambiamento sul paradigma del dogma del diritto penale.

L’influenza maggiore sullo sviluppo del pensiero criminologico, che in modo essenziale ha inciso sul paradigma del diritto e della pena nell’epoca dell’Illuminismo e sull’abbandono degli schemi comuni nella ricerca delle cause della criminalità, oltre che alla realtà nel mondo trascendentale, si deve alle concezioni filosofiche notevolmente progressive del diciottesimo secolo. Un’influenza particolare sullo sviluppo del pensiero criminologico hanno esercitato in quelle epoche le concezioni di Moneschio, di Baccarria, e più tardi di Lombroso e di Garafolo.  Così per esempio secondo Monteschio, il sistema delle punizioni basato sulla crudeltà sconsiderata provocava, invece della paura, inselvatichimento della società[iii]. Una posizione simile ha assunto C. Baccaria, biasimando il sistema delle punizioni fisiche crudeli, accentuando la necessità della lotta contro le cause della criminalità e non contro i suoi risultati, mediante la formulazione di norme di legge che potessero essere comprese e di conseguenza accettate, e nello stesso tempo presentassero ed esprimessero un monito rispetto alla loro violazione[iv]. Lo sviluppo del pensiero libero, dell’Illuminismo del XVIII secolo, ha comportato anche lo sviluppo di diversi concetti che, basandosi sulla critica del sistema feudale, coglievano la causa del male sociale, della povertà e del crimine nella divisione scorretta delle classi sociali, e perciò nell’ineguaglianza delle opportunità della vita e negli impedimenti nello sviluppo dell’educazione. Tali concetti, in modo più o meno unitario e logico, venivano espressi fra l’altro da Wolter, Merelly, Mably, Bentham, Godwin e altri.

Si può rischiare la tesi che proprio l’epoca dell’Illuminismo presenta una delle tappe storiche più preziose dello sviluppo della riflessione sul fenomeno dell’eziologia del crimine. In epoca illuministiuca sono stati formati i fondamenti del paradigma moderno sui quale sono state poggiate le norme della legge penale. Per questo, in senso egualitario, l’Illuminismo è stata un’epoca nella quale ebbe l’inizio il formarsi delle “scuole” e degli “indirizzi” che furono il principio delle riflessioni sulle cause della criminalità. Eppure gli interrogativi sulle cause di un fenomeno specifico possono sorgere soltanto dopo aver osservato le sue conseguenze. Bisognerebbe quindi, facendo le domande sulle cause, giungere alle origini delle riflessioni sull’argomento criminalità e iniziare a caratterizzare le prove della sua prevenzione nel passato. Tuttavia, il problema e le questioni che lo stesso implica sono molto ampi e non è possibile formulare le risposte univoche, poiché tali risposte dovrebbero considerare tutte le posizioni, tutti gli aspetti connessi con l’eziologia della criminalità. Certamente, non siamo in grado di farlo avendo la consapevolezza della pluralità e della complessità della nostra conoscenza. La domanda dunque riguarda non soltanto gli aspetti sociologici, psicologici o culturali, ma soprattutto penali e legali, criminologici, vittimologici, e attualmente, grazie alle conquiste della conoscenza moderna sul corpo umano, anche medici e biologico-chimici.

Vale la pena di sottolineare che le riflessioni riguardanti l’eziologia del crimine sul principio delle scienze penali (cioè, per esempio, della criminologia) e sociali, ovvero: sociologia, psicologia o la filosofia, hanno una tradizione relativamente giovane. Prima, cioè dall’inizio del XVIII secolo, le riflessioni di questo tipo avrebbero costituito una parte immanente della scienza della legge penale; tuttavia anche oggi la situazione si presenta in modo simile. Da una parte, del problema di ricerca delle origini del male, ovvero della criminalità, si occupa la legge penale, analizzando le cause e formulando le regole della legge penale aventi per l’obiettivo di limitare e di impedire totalmente il processo del suo sviluppo, dall’altra, la legge penale moderna non è in grado di cavarsela senza le azioni – ricerche empiriche – che vengono intraprese per esempio a livello di criminologia, sociologia oppure di psicologia e delle altre scienze sociali.

Ai tempi dell’Illuminismo sono nati dunque diversi concetti che spiegavano, oppure che tentavano di spiegare, le cause della criminalità. Nonostante le diverse posizioni e le proposte, che attualmente ampliano piuttosto l’orizzonte della conoscenza, non si può dare una risposta univoca alla domanda che sembrerebbe semplice: quale è la causa della criminalità. La stessa categoria di criminalità, come il concetto di causa, rappresenta per le scienze sociali moderne, un autentico problema.

I pionieri, i pensatori, che per primi intrapresero la problematica della criminalità expicite, furono gli eccellenti filosofi dell’epoca dell’Illuminismo, che inaugurarono i fondamenti delle prime codificazioni penali, nelle quali fu esposto il loro contributo nella forma di regole come conseguenza di un determinato accordo sociale, avente per obiettivo la tutela della società dai comportamenti patologici, ovvero dannosi per essa.

Quindi, sorgono le domande: le norme della legge penale in se stesse possono essere considerate come la prima prova di prevenzione dei comportamenti criminosi? Le cause di tali comportamenti consistono nella loro costruzione errata, nell’inadeguatezza e nella non correttezza, che rendevano più difficile, e non più facile, la convivenza sociale?

Oppure, magari la causa è da riconoscersi negli stessi criminali e non è il risultato della non precisione delle norme che regolano la correttezza  della vita sociale, ma appartiene al criminale, come sua esclusiva caratteristica individuale?

O invece, infine, il comportamento criminoso è il risultato e la conseguenza di una serie dei condizionamenti sociali e  costituisce l’esemplificazione della realtà sociale?

Senza dubbio, fino ad oggi, la genesi delle teorie eziologiche della criminologia trova origine nelle concezioni del XVIII e del XIX secolo, che indirizzano su due fondamentali fonti eziologiche: 1/ la concezione bio-psichica e 2/ sociologica. Tuttavia in una gran parte dei criminologi che si occupano del fenomeno dell’eziologia della criminalità, prevale l’opinione che l’uomo come l’essere sociale costituisce il conglomerato degli elementi sociali, biologici e psicologici[v].

Le teorie dell’eziologia della criminalità si può dividerle quindi in seguente concezioni:

1/ biologico-psicogiche, sociologiche, miste e cosiddette situazionali. La loro comprensione esige in esaminare tutte le proposte separatamente, bensì senza omettere la loro direzione dello sviluppo essenziale, storico e metodico.

La moderna molteplicità e la quantità delle teorie chiarificanti le cause della criminalità, e soprattutto la loro multicasualità e molteplicità degli aspetti impossibili da sintetizzare, genera contese metodologiche riguardanti la difficoltà nella loro classificazione complessiva.

Il problema di trovare un criterio metodico ed adeguato per la loro classificazione, sembra un problema tanto essenziale in quanto esso segna la direzione dello sviluppo delle ricerche criminologiche nell’ambito eziologico.

Per esempio H. J. Schneider[vi]  ha distinto quattro principali direttrici di ricerca: 1/ criminale-biologico, 2/ dei sistemi multifattoriali, 3/ psicologica, 4/ sociologica e sociopsicologica.

J. Pinatel[vii] ha distinto nella storia della criminologia quattro epoche:

1/ di Lombroso (1876-1913), 2/ della reazione anti Lombroso (1913-1934), 3/ della conciliazione e della sintesi (1934-1960), 4/ moderna (dal 1960).

Invece R. Gassin ha distino gli indirizzi criminologici in:

  1. Le cosiddette “Scuole principali”;

1/ la scuola antropologica di C. Lombroso,

2/ la scuola dell’orientamento sociologico (in quel ambito la scuola: cartografica A Quetelet, A. M. Guerry, sociologica di inclinazioni di K. Marks e di F. Engels, dell’ambito sociale di Lacassagne, di interpsicologica di G. Tarde, di sociologia di E. Durkheim.

 3/ La scuola della sintesi multifattoriale (nel suo ambito le scuole di E. Ferri, antropologico-tedesca di F. von Liszt).

  1. Le cosiddette “Scuole moderne” :

1/ la scuola eziologica dei fattori con gli indirizzi:

-biologico – psicologico (biotipologia di N. Penck, E. Dupre, sociologica di E.O. Wilson)

– psicologico-sociale (marxismo-leninismo, teorie ecologiche di U. Shaw, H. Mckay, E. Sutherland, la teoria dell’insegnamento sociale di R. I. Akers, la teoria dei gruppi di riferimento di R.K. Merton, la teoria del conflitto di Th. Sellin, la teoria delle subculture criminose di A. K Cohen, la teoria dell’integrazione culturale diversificata di D. Szabo, la teoria dei fattori sociali condizionanti il rispetto della legge di H. s. Becker e di T. Hirsch, la teoria della neutralizzazione di G.M. Sykes e di D. Matza),

-psicologico – morale (le concezioni psicoanalitiche, le teorie della frustrazione e dell’agressione di J. Dollard, la teoria della personalità criminosa di E. De Greff, la teoria dell’agressione di J. Pinatel),

-sintetizzante (la teoria dell’alienazione sociale di C. R. Jeffery, la teoria di subculture delle violenze di P. Wolfgang e di F. Ferracuti).

2. La Scuola della criminologia dinamica dell’azione criminosa, attiva negli anni 1940-1960 ed attualmente:

– la teoria della criminologia dinamica aggiornata (il modello generale di A.K Cohen, il modello con l’accentuazione della personalità: oggettive – O. Konberg e J. Pinatel, e soggettive di E De Greff  e D. Matza; i modelli con l’accentuazione della situazione – G. Heyuer, i modelli delle fasi di passaggio all’azione di E. De Greff e di H. s. Becker),

– le teorie dinamiche autonome  (la teoria delle barriere, delle analisi economica, strategica ed altre.

3. La Scuola delle reazioni sociali – negli anni 60 e negli successivi dieci anni ebbe l’influenza sullo sviluppo ulteriore della criminologia:

– la concezione interazionistica (la teoria della designazione di E. M. Lemert, H.s. Becker)

– criminologica organizzativa, esaminante l’uso e l’ideazione della legge penale e la funzionalità delle istituzioni connesse con la legge penale, ovvero della polizia, delle magistrature, istituti penali e riformatori,

– la concezione radicale (la suola di Francoforte).[viii]

4. Le concezioni vittimologiche (1975-1980).

Invece un’altra distinzione delle teorie criminologiche propone la possibilità di utilizzo delle seguenti classificazioni:

1/ Le teorie demonologiche, 2/ Classiche e postclassiche teorie della scelta volizionale, 3/ le teorie positivista individualistiche (t. biologiche, t. psicoanalitica della personalità, t. di Eysenck), 4/ teorie positivista-sociologiche (t. ecologiche, t. della tensione strutturale, t. subculturale), 5/ teorie del processo sociale, t. di apprendimento, di neutralizzazione delle relazioni sociali e del controlli, t. dell’interazionismo, della designazione e delle relazioni sociali, t. del costruzionismo sociale), 5/ teorie critiche (t. conflittuali, anarchistiche, marxiste, t. femministe, t. postmoderniste.[ix]

Da questa prospettiva la descrizione di ognuna delle teorie soprannominate sembra un compito problematico e impossibile da realizzare in maniera sintetica e nello stesso tempo abbastanza adeguata. Per questo motivo sembra legittimo rappresentare lo sviluppo della concezione dell’eziologia della criminalità dal punto di vista della sua importanza, per comprendere  il senso, inteso modo ampio, della dogmatica penale-legale, in considerazione della cronologia storica.

Quindi nel novero delle prime codificazioni penali, il cui principale compito era la soluzione del problema della criminalità, senza considerarne l’estensione e le manifestazioni, bisogna includere: il codice penale della Rivoluzione Francese, deliberato nel 1791, il codice penale toscano (cosiddetto Leopoldino) del 1786, e il codice penale austriaco del 1787 (cosiddetto Giuseppino).

Uno dei primi indirizzi nello sviluppo della riflessione sulla criminalità, cui conseguenze si possono trovare nelle soprannominate codificazioni, era cosiddetto l’indirizzo progressivo – umanitario del XVIII, cui rappresentati furono:

Charles de Montesquieu, l’ideatore fra l’altro delle Lettere persiane (1971), “Lo spirito delle leggi” (1748), Jan Jacques Rousseau, l’ideatore de “Il contratto sociale” (1762); Cesare Beccaria, l’ideatore dell’opera molto popolare in quei tempi: “Dei delitti e delle pene” (1766); Denis Diderot, il redattore de “l’Enciclopedia” (1751-1772); Claude Adrien Helvetius, l’ideatore fra l’altro delle opere “Dello spirito” (1758),  “Dell’uomo” (1773); Paul Henry Holbach, l’autore de: “Il sistema della natura” (1770)

Invece nell’ambito polacco: Teodor Ostrowski, che ha tradotto l’opera rivoluzionaria di William Blackston: “Codice Criminale dell’Inghilterra” (1786) e Jozef Szymanowski, l’autore de: “Il pensiero al prospetto della legge criminale”. [x]

Proprio in quel periodo si sono formate le fondamenta per le norme della legge penale, basate sui postulati rivoluzionari del contratto sociale dell’Illuminismo, dell’epoca in cui dominava l’intelletto, l’epoca della dominazione dell’antropocentrismo, in vigore in linea di massima fino ad oggi, in forma delle norme del diritto penale[xi], che determinano le direttive delle ricerche non soltanto nel proprio ambito, ma anche nelle scienze affini, come per esempio la criminologia.

Il secondo indirizzo importante che influì sulla forma della consapevolezza legale e penale del XVIIX e del XIX secolo, fu l’indirizzo radicale.

I rappresentanti principali di questo indirizzo furono:

Jan Meslier, l’ideatore de “Il testamento” (1955 – edizione polacca), Morelly, l’autore de “Il codice della natura”, 1754; Gabriel Mably, l’autore de “Le norme delle leggi” (1776), “Le opere scelte” (1956), Jan Paul Marat, l’autore: de “Il piano della legislazione penale” (1780), Claude Henri Saint-Simon, de “Le systeme industriel” (1823), Charles Fourer , l’autore di “Teorie de l’unite universelle” (1822) e di Robert Owen, l’autore de “Opere scelte” (1959-edizione polacca).

«I rappresentanti dell’indirizzo radicale rivelavano le cause della criminalità nel sistema di allora».[xii]

«Per la colpa delle leggi errate e dei governi inefficienti la gente nasce insidiosa e cattiva, poiché le leggi scorrette e le autorità gli permettono di nascere nello sfarzo, fra gli onori vani e nelle ricchezze della terra, fra i quali vogliono poi mantenersi illecitamente, così come sono nati e cresciuti fra essi illecitamente. Gli stessi diritti e le usanze in un certo modo costringono gli altri al misfatto e alla malvagità, poiché per colpa del sistema quella gente è nata nella povertà e nella miseria, dalla quale poi, cerca di uscirne ad ogni costo, non scegliendo nei mezzi, poiché i mezzi onesti e legali non sempre sono efficienti.»[xiii]

Un altro importante movimento intellettuale che in modo essenziale influì sulla forma del paradigma moderno della legge penale, fu “La Scuola classica della Legge Penale”, creata nella prima metà del XIX secolo dalle seguenti personalità:
In Inghilterra da: Jareme Bentham, l’autore fra l’altro de “L’introduzione ai principi della morale e della legislazione” (1789) e de “La teoria delle punizioni e dei riconoscimenti” (1818).

In Francia da: Joseph Ortolan, l’autore fra l’altro di “Elements de droit penal” (1859).

In Germania da Anzelm Feuerbach, l’autore di “Revision der Grundsztze und Grundbegriffe des positiven peinlichen Rects” (1799) e di “Strafe als Sicherrungsmittel” (1800).

In Russia il rappresentante della scuola clasica fu Nicolai Stipanovic Tagancev, l’auotore fra l’altro di „Ruskoje ugulovnoje pravo“ (1867-1870).

Invece il rappresentante polacco della scuola classica della legge penale fu Edmund Krzymuski –  un eccelente legale e filosofo polacco, l’autore di diverse opere dedicate alla concezione di Immanuel Kant, fra l’altro “La teoria penale di Kant” ed anche “Le lezioni della legge penale con la particolare considerazione dei decreti austriaci” (1885).

Come scrive Witold Swida «(…) Accanto alle tesi addottate dagli scrittori dell’Illuminismo, ed adottate nella difesa dell’ordine sociale esistente, come nullum crimen, nulla poena sine lege, la congruenza della pena alla gravità del crimine, alle più caratterizzanti la scuola classica, bisogna includere le seguenti presupposti:

1/ il crimine è l’espressione di una forte volontà dell’uomo indipendente dalle condizioni esteriori (indeterminismo),

2/ la motivazione della pena è l’idea di una giusta rivalsa e l’obiettivo è l’intimorimento,

3/ il criminale è catturato astrattivamente attraverso il crimine, come una specie di homo criminalis, l’equivalente al homo econimicus dell’economia classica». [xiv]

In queste parole si colgono le idee della concezione di I. Kant molto di moda nel XIX secolo, soprattutto nell’ambito penale – legale, della teoria della ritorsione penale, che ricorda i principi formulati pure nel codice di Hammurabi.

Anche nella concezione di un grande idealista tedesco, Gorg Wilhelm Fridrich Hegel, i cui principi della filosofia della legge sono formulati nella forma astratta del pensiero, si colgono le idee dei suoi rappresentanti. I principi cardine della scuola classica in riferimento alle norme della legge penale, in particolare che riguardano la formale definizione del crimine, le norme della colpa, il significato e il senso della pena, non soltanto ritrovarono la loro espressione nelle codificazioni del XIX secolo, nelle quali si possono includere: il codice penale francese del 1810, il codice penale bavarese del 1813, elaborato da uno dei più eccellenti giuristi e dei filosofi della legge di quel periodo, Anzelm Feuerbach, il codice penale prussiano del 1851 e il codice penale generico tedesco del 1871, ma anche nei codici penali moderni, per esempio nei codici penali moderni tedesco, austriaco oppure nel codice penale polacco.

La scuola successiva, che ebbe una grande influenza sulla forma delle riflessioni moderne riguardanti la criminalità, è la scuola antropologica (cosiddetta scuola positiva in criminologia). Le idee annunciate dai rappresentanti di questa scuola e soprattutto di uno dei suoi creatori, Cesare Lombroso (1836-1909) divennero presumibilmente uno dei problemi più discussi e più controversi nell’ambito sociale, che riguardano le problematiche della criminalità. La forza dell’idea di Lombroso ebbe l’influenza così notevole che fino ad oggi le sue opinioni suscitano numerose polemiche e sono l’origine di diverse discussioni. Vale la pena anche di ricordare che proprio la concezione di C. Lombroso ha contribuito nello sviluppo di una disciplina autonoma e nuova per quei tempi, che si occupava del fenomeno del crimine nell’ampio senso, come un settore ausiliario per la legge penale – la criminologia, dando l’inizio alle ricerche autonome di questa scienza. Per primo questo concetto probabilmente fu adottato dal legale Raffaelo Garafolo, l’allievo e il continuatore delle concezioni di Lombroso.

Tra i principali rappresentanti della scuola antropologica, oltre a già menzionato italiano Cesare Lombroso, psichiatra e professore della medicina giuridica, creatore due delle famose opere “L’uomo criminale” (1876) e “Il crimine, causa e rimedi” (1899), bisogna includere Enrico Ferri, l’autore della “Sociologia criminale” (1893) e già menzionato Raffaello Garafolo, l’autore de “La criminologia” (1885), e il medico giuridico italiano e il criminalistico – Ottolenghi. Un altro appassionato continuatore dell’idea di Lombroso fu  il suo allievo, Di Tullio.

Le ricerche di Lombroso hanno rivoluzionato gli studi sull’eziologia della criminalità. L’autore, tra i primi, cercava le cause dei crimini, non nei condizionamenti sociali astratti, ma nella struttura dell’organismo dell’uomo, nelle sue predisposizioni innate. La principale tesi delle ricerche di Lombroso fu costituita in una delle sue opere più importanti: “L’uomo criminale” e riguardava l’idea che il criminale costituisse un tipo distinto, antropologico dell’uomo.

 Secondo Lombroso a tale uomo si possono attribuire le proprietà antropologiche determinate, sia anatomiche che fisiologiche – caratterizzanti la persona come delinquente.

Quali sono queste caratteristiche?

In che modo possiamo analizzarle?

Di quali mezzi si servì lo stesso Lombroso?

Secondo Piotr Horoszowski:

“Le prime ricerche di Lombroso si riferivano alle configurazioni dei teschi dei soldati, i quali furono qualificati da lui come disonesti. Quei teschi venivano confrontati con i teschi preistorici. Servendosi (nella prima fase delle sue ricerche) del materiale complessivo di circa 400 teschi di delinquenti, egli constatò diverse anomalie, aventi a quanto pare il carattere atavico. Le ricerche successive sui circa 6000 delinquenti l’hanno indotto ad adottare l’esistenza di il cosiddetto tipo delinquente, distinto in base alle manifestazioni della sindrome da almeno sei caratteristiche anomale nella struttura del corpo, soprattutto della testa. La sindrome di queste caratteristiche è costituito soprattutto da: fronte ritirata indietro, deformazione e il modesto volume del teschio, sviluppo ampio delle mascelle e le loro deformazioni (per esempio il prognatismo ovvero una notevole sporgenza delle mascelle in avanti), sviluppo ampio delle ossa delle gote, orecchie grandi e staccate, barba rada (negli uomini), capelli scuri e folti, anomalie nella dentatura, sviluppo inadeguato degli organi interiori e sessuali.

Queste sono, a quanto pare, le caratteristiche fisiche che si possono riscontrare nell’uomo primitivo, ovvero le caratteristiche ataviche. Con esse vanno di pari passo le caratteristiche di natura funzionale e psicofisiologica, soprattutto una eccessiva eccitabilità nervosa e mancinismo; una manifestazione frequente doveva essere una bassa sensibilità dei sensi (soprattutto agli stimoli di dolore) che si trasformava più volte in una totale mancanza di sensibilità, ovvero analgesia. Alle caratteristiche psichiche ataviche dovrebbero appartenere soprattutto: crudeltà, vendicatività, superficialità, menzogna, frivolezza, inerzia affettiva, inerzia morale.”[xv].

Nella convinzione di Lombroso, sulla base delle caratteristiche sopradescritte si poteva rappresentare il tipo antropologico del delinquente (il tipo criminale) possibile da riconoscere in base alla sua fisionomia.

Il metodo delle ricerche di Lombroso consisteva nella ricezione della concezione della scienza positiva, iniziata da Augus Comt – creatore delle tesi del positivismo. Nella convinzione di Lombroso, l’uomo che possedesse quelle caratteristiche ataviche – delittuose, non è in grado di cambiare le proprie tendenze. Ne è totalmente determinato dal suo organismo biologico, che lo costringe di essere il delinquente e il suo destino è certo a tal punto che egli rimarrà un delinquente, come la stessa certezza della nascita e della morte. Nessuna l’attività sociale, nessuna forma delle condizioni esteriori sono in grado di mutare le sue tendenze innate. Questi personaggi bisogna quindi eliminarli duramente dalla società per il bene della stessa, attraverso l’applicazione della morte, dell’ergastolo o dell’espulsione in terre disabitate.

Nonostante la concezione di Lombroso si sia procurata numerosi sostenitori e altrettanti avversari, essa è stata ed è finora, una delle concezioni più “derise” nella storia della criminologia. Nonostante il suo carattere controverso, o forse proprio per questo motivo, essa trovò e trova finora i diversi propagatori, ciò viene comprovato per esempio dagli ultimi esiti delle ricerche sui serial killer, condotte dal gruppo dei criminologi e dei medici negli Stati Uniti, confermanti le determinati predisposizioni biologiche dell’uomo alle alcune deviazioni, che in conseguenza possono comportare alla realizzazione del crimine. In riferimento alla proposta di Lombroso, vale la pena di osservare anche che egli per primo ha considerato che le origini dei comportamenti bisogna cercarle non tanto nelle sfere astratte, cioè per esempio nel sistema sociale oppure nella proprietà privata, come cercavano di farlo per esempio i sostenitori dell’indirizzo radicale, per esempio Morelly o Meslier, ma nello stesso uomo, nella sua struttura biologica.

Prendendo in considerazione i risultati delle ricerche mediche moderne, la tesi di Lombroso in riferimento alle alcune personalità sembra non essere priva di senso, omettendo ovviamente alcune sue idee radicali. Tuttavia, attualmente sarebbe difficile accettare la tesi che in base all’aspetto fisico di un uomo saremmo in grado di attuare la caratterizzazione e la valutazione delle sue eventuali azioni sociali. La tesi di questo tipo costituisce indubbiamente la violazione di tutte quante norme della buona convivenza sociale e della principale regola dell’uguaglianza di tutte le persone, che sono state costituite nella coscienza sociale già nell’epoca dell’Illuminismo. I continuatori delle ricerche originate da Lombroso furono i suoi allievi che svilupparono le idee del maestro a tal punto che di fronte a tale concezione sorse un consistente gruppo degli avversari concentrati esclusivamente su questa critica, ai quali bisogna includere per esempio: Goring, Hooton, Tarde, Van Kan, Bonger ed altri. Nell’ambito della criminologia polacca la critica della concezione antropologica ha condotto soprattutto fra l’altro Adam Ettinger.

In particolare Goring, che ha condotto ed ha annunciato i risultati delle proprie ricerche svolte su circa 3000 prigionieri – recidivisti, una vasta quantità degli studenti, dei soldati e dei pazienti degli ospedali, ritenne che “(…) non esistono le prove dell’esistenza fisica del tipo criminale”. [xvi]

 Nonostante che Goring ritenesse che non esista il tipo fisico del criminale, egli stesso riconosceva la tesi di Lombroso sui determinanti biologici ed ereditari della criminalità, essendo il sostenitore della cosiddetta diatesi criminale (criminal diathesis) ovvero dei fattori costituzionali, favorevoli nel diventare il criminale.[xvii]

Nonostante una forte critica delle opinioni della scuola antropologica, il problema toccato da essa diventò vivo a tal punto che ancora oggi esso rimane uno degli argomenti cardinali della criminologia moderna. Certamente le ricerche odierne sull’organismo umano sono insolitamente avanzate e si concentrano sulla psiche, come sulla funzione coordinante le azioni dell’uomo. Il quesito moderno sul determinante responsabile per le azioni criminose è un quesito automatico che riguarda il meccanismo del pensiero umano. Quindi l’interrogativo posto da Lombroso è diventato odiernamente decisamente attuale. Di fronte alle conquiste della medicina del XX secolo, in particolare della genetica e della neurofisiologia, la risposta sulla domanda se la tesi sull’esistenza dei determinanti biologici della criminalità possa essere univoca, ancora oggi comporta la perplessità degli scienziati. Le ricerche condotte sui 22 serial killer negli Stati Uniti hanno dimostrato l’atrofia delle funzioni di una parte della corteccia cerebrale frontale nel 75% di questi personaggi, ciò potrebbe confermare questo determinante, poiché dal punto di vista medico, proprio nell’ambito del lobo frontale si trovano le strutture corticali che controllano i comportamenti impulsivi, aggressivi.[xviii]

Tuttavia tali riflessioni rimangono sempre soltanto una pura speculazione, non confermata con le ricerche effettive, poiché come sostiene una gran parte degli scienziati, non ancora è possibile condurne in riferimento dell’organo qual è il cervello umano, in cui sicuramente si cela la risposta sulla domanda  che tormenta l’uomo e che riguarda i suoi limiti psichici. Quindi le moderne ricerche genetiche riguardanti le origini della criminalità, tuttora suscitano le emozioni di curiosità degli scienziati, non meno rilevanti da quelle che suscitò la pubblicazione di “L’uomo criminale” di Cesare Lombroso, ottenendo sempre molti sostenitori ed ancor più grande gruppo degli oppositori, grazie a ciò la problematica dell’eziologia della criminalità rimane sempre il problema principale, non della sola criminologia e della legge penale, ma anche delle scienze ausiliari, come per esempio: psicologia, sociologia o medicina.[xix]

In riferimento alle azioni aventi per l’obiettivo il ritrovamento dei determinanti della criminalità, le ricerche condotte nell’ambito delle scienze sociali sembrano meno controverse. Vale la pena ricordare che le ricerche di questo tipo furono iniziate già nel XIX secolo, e sviluppate con un gran successo nel XX secolo, in forma di cosiddetto indirizzo sociologico, i cui principali rappresentanti nei terreni di Belgio furono: Adolf Prins, l’autore fra l’altro de “La defense sociale el les transformations du droit penal” (1910);

In Francia: Emil Durkheim, l’autore fra l’altro de “Le norme del metodo sociologico” (1968 – ed. polacca), “Le suicide” (1898); Jean Lacassagne (la redazione) “Archives d’antropologie criminelle” (1886-1913); Gabriel Tarde (1843-1904): “La philosophie penale” (1890); “La criminalite comparee” (1899);

In Olanda: Gerard Anton van Hamel;

In Germania: Franz  von Liszt, l’autore di “Strafrechtliche Aufsatze und Vortrage” (1905);

In Russia: Ivan Jakovic Fijnicki;

In Polonia: Juliusz Makarewicz: „Einfuhrungin die Philosophe des Strafrechts“ (1906); „La legge penale“ (1924); Waclaw Makowski: „I fondamenti della filosofia del diritto penale“ (1917), Bronislaw Wroblewski: „Penologia“ (1926); „Gli studi dell’ambito della legge e dell’etica“ (1934).[xx]

La conquista della scuola sociologica è stata la considerazione del fatto che la criminalità accanto alle cause collegate alla personalità specifica dell’individuo, ha le cause anche nelle condizioni sociali.[xxi] Vale la pena di sottolineare che nonostante che la scuola sociologica si differenzi nominalmente in modo principale dalla scuola antropologica, essa assume la posizione simile in riguardo al trattamento del crimine e del criminale come i reali fenomeni sociali, e non come astratti concetti legali (come per esempio nei rappresentarti della scuola classica). La differenza essenziale risulta dal trattamento del crimine non come il fenomeno esclusivamente individuale e connesso esclusivamente con una sola persona – artefice, ma come un fenomeno sociale – di massa. L’indirizzo sociologico, come scrive W. Swida:

«(…) non negando il significato dei fattori individuali nella genesi della criminalità, il ruolo decisivo attribuiva alla società e, precisamente, alle condizioni che la società predispone all’unità che o, permane nell’ambito criminale già dalla prima infanzia, oppure già come persona adulta viene rigettata dalle normali carreggiate della vita e respinta al margine della società».[xxii]

Quindi secondo i rappresentanti di questo indirizzo si può effettuare una distinzione dei criminali per i motivi dei criteri sociali. Il primo tipo dei delinquenti, sono «(…) i delinquenti occasionali, casuali, per i quali la criminalità è un episodio passeggero nella vita e cui i principali fattori nella genesi del crimine sono gli elementi esteriori (esogeni), sono i personaggi non aventi il bisogno dell’azione educativa, oppure coloro che si possono educare in modo facile. Il secondo tipo è totalmente diverso, sono i criminali cronici, induriti; il crimine è per loro un’espressione caratteristica della vita nella società. Esso viene provocato almeno in modo uguale dalle proprietà individuali dell’artefice (i fattori endogeni) e dai fattori esterni».[xxiii]

L. Gardocki invece sostiene che, in riferimento alla scuola sociologica è avvenuto lo spostamento degli accenti dall’azione al suo artefice.

«Non l’azione, ma il suo artefice verrà punito».[xxiv]

In riferimento a ciò «(…) Liszt divideva gli artefici in tre categorie:

1/ gli artefici per consuetudine, nei confronti dei quali la pena dovrebbe essere la loro eliminazione, poiché essi non si possono più correggere;

2/ gli artefici che si possono correggere, nei confronti dei quali bisogna adottare le pene non necessariamente congruenti alla gravità del crimine, ma quelle che potrebbero stimolare una correzione;

3/ degli artefici casuali, che non esigono la correzione, ma soltanto un avvertimento tramite una punizione.»[xxv]

Le moderne ricerche sociologiche si dirigono verso una descrizione approssimativa dei pericoli sociali. Il loro obiettivo è la prognosi, ma non sempre appropriata. L’obiettivo delle ricerche moderne dei socio-criminologi si indirizza verso la verifica, in forma della statistica delle alcune dipendenze, per costruire il modello che permetterebbe di formulare le prognosi in base alle quali si potrebbe valutare il rischio di avvicinarsi di un membro concreto alla strada del crimine. Bisogna però porsi la domanda se i postulati di questo tipo sono realizzabili. Eppure l’organismo vivo qual è la società, è sottoposto all’autosviluppo, quindi la descrizione delle tendenze di qualsiasi tipo (nel nostro caso la valutazione di un’eventuale scala ed estensione della criminalità potenziale), sembra soltanto un postulato, irrealizzabile in questa fase dello sviluppo della coscienza sociale.[xxvi]

 


* L’autore è titolare della Cattedra di Criminalistica della Facoltà di Legge, Amministrazione ed Economia, Università di Wroclaw

[i]               Vedi Holyst B. (1994), Kryminologia, Wydawnictwa Prawnicze PWN Warszawa, p. 379

[ii]              Per esempio T. Morus come uno dei primi pensatori intraprese la prova di dimostrare che il crimine costituisse la manifestazione delle relazioni sociali scorrette, delle disuguaglianze delle classi, la cui uniformità potrebbe risolvere il problema. Cfr. Morus T. (1947), Prawdziwie zlota ksiazeczka o najlepszym urzadzeniu Rzeczypospolitej i o nowej wyspie utopii,. Altri utopisti come per esempio P. della Mirandola o T. Campanella osservavano le connessioni essenziali fra lo sviluppo del crimine e le condizioni socio-economiche.

[iii]              Monteschio C.L. (1748), O duchu praw, (De l’esprit des lois) edizione del 1777.

[iv]              Cfr. Baccaria C., (1953). O przestepstwach i karach 1764, l’ultima edizione polacca, Warszawa.

[v]              Vedi Firkowska A., Mankiewicz (1970), Znaczenie czynnikow biologicznych w przestepczosci, Prawnicy, socjologowie i psychologowie o przestepczosci i jej zwalczaniu, Warszawa,.

[vi]              Vedi. Schneider H.J.,(1974), Kriminologie, Standpunkte und Problem, Berlin, pp. 359-360

[vii]             Pinatel J., Lombroso C., (1977) La criminology, Revue de Sience Criminelle ed le Droit Penal Compare,. n 3 (in) Tyszkiewicz L. (1991), Od materializmu do humanizmu w kryminologii, Katowice  p. 28.

[viii]            Cfr. Grott K. (2002), Psychospoleczne koncepcje etiologii przestepczosci, Wroclaw,. La tesi di laurea non pubblicata, da consultare nella biblioteca della Facoltà di Legge, Amministrazione ed Economia dell’Università di Wroclaw, pp. 24-26

[ix]              Cfr. Ibidem, p. 26

[x]              Vedi Swida W., (1989) Prawo karne, Warszawa, p. 32,

[xi]              Fra esse si possono includere:

1/ la regola dell’uguaglianza,

“(…) il decreto della legge dovrebbe trattare alla pari tutti i cittadini, poiché tutti sono uguali di fronte alla legge”;

2/ la regola: nullum crimen, nulla poena sine lege

(non c’è il crimine, non c’è la pena senza il decreto)

“(…) il decretto della legge dovrebbe precisamente descrivere il crimine e la punizione, in modo che il giudice potesse essere soltanto l’esecutore fedele del legislatore”,

3/ la regola che: “(…) il crimine sussiste in un comportamento esteriore e non solo in un pensiero”;

4/ la regola secondo la quale: “(…) la gravità del crimine è il male sociale e non le cattive intenzioni dell’artefice”;

5/ la regola secondo la quale: “(…) la pena non deve essere una rivincita ceca e crudele, una vendetta per il crimine commesso, ma il mezzo prezioso per combattere il crimine e poi non un solo mezzo unico”;

“(…) l’obiettivo delle punizioni non è né torturare ne tormentare l’essere sensibile, né fare inesistente un crimine che è già stato commesso. L’obiettivo della pena è ostacolare il colpevole nella realizzazione dei nuovi danni ai concittadini e nell’impedire agli altri di commettere i danni dello stesso tipo”;

6/ la regola secondo la quale “(…) la pena, per essere efficace nella lotta con il crimine, dovrebbe essere proporzionale alla gravità del crimine.”

È molto importante che i crimini siano valutati secondo le loro proporzioni, poiché è molto importante che si eviti un delitto grande piuttosto che quello piccolo; ciò che sia pericoloso per la società e non ciò che è meno pericoloso (…). È un gran peccato che la pena per colui che ruba nel cortile sia la stessa che per colui che ruba ed uccide. È chiaro che per motivi della sicurezza pubblica si dovrebbe introdurre una differenza nelle punizioni.”.

[xii]               Swida W, cit, p. 38

[xiii]            Swida W in:  Meslier J. (1955) , Testament, PWN, p. 417

[xiv]            Swida W,. cit. p. 40.

[xv]             Horoszowski P., (1965), Kryminologia, Warszawa, p. 148

[xvi]            Ibidem, p. 152.

[xvii]            Vedi di più sull’argomento: Ibidem.

[xviii]           Vedi Wayt Gibbs W. (1995), W poszukiwaniu zrodel przestepczosci, Swiat Nauki (Scienttific American) ed. polacca, maggio, n. 5(45) p. 79.

[xix]            Vedi di più sull’argomento: fra l’altro in Moir A., Jessel D., (1998)Zbrodnia rodzi sie w mozgu, Warszawa,

Raine A., (1993) The Psychopatology of Crime, Academic Press,

Oppure sotto l’indirizzo elettronico: gopher//justice2.usdoj.gow:70/1/ojp. in Word wide Web

[xx]             Swida W., cit., p. 45

[xxi]            Vedi: Gardocki L., (1999), Prawo karne, Warszawa p. 22.

[xxii]            Swida W. cit. p. 46.

[xxiii]           Ibidem.
[xxiv]           Gardocki L. in: Fr. Von Liszt, op. cit. p. 22.
[xxv]            Ibidem

[xxvi]           Il testo presentato costituisce una forma approfondita dell’articolo di M. Szostak, W poszukiwaniu odpowiedzi. Rozwazania o przestepczosci i jej etiologii, (In ricerca della risposta. Le riflessioni sulla criminalità e sulla sua eziologia), Przeglad Prawa i Administracji XLV, (red. Banaszak B.), Acta Universitatis Wratislaviensis No 2271, Wroclaw, pp. 85-94.