Economia

Donne ai vertici, ancora molto da fare

di Ivana Colombo

La flessibilità oggi è un criterio sul quale lavorare e le carriere delle donne offrono una straordinaria occasione per fare esercizio. Le differenze e le diseguaglianze non si mettono a posto da sole, occorrono azioni positive che diano il via al cambiamento del pensiero dominante.

L’Italia ha brillato fin da subito per la parità formale, (anche salariale) meno per la parità sostanziale o più in generale per le pari opportunità che prevedono uno spettro più ampio rispetto a quello di genere, entrambi applicano un principio di trasferimento attivo anche di forzatura rispetto a quanto avviene normalmente sul mercato. In Italia esiste una varietà di organismi paritari con produzione di figure paritarie istituzionali che riescono però a fare ben poco coi limitati fondi che percepiscono dallo Stato e spesso si impicciano a vicenda in assenza per ora di un coordinamento efficace.

Non occorre necessariamente essere giovani per fare le cose in modo nuovo, così come non è necessario essere esperti per apportare varietà di talenti, ma è invece auspicabile un’organizzazione del lavoro tale che tutti possano gestirsi la flessibilità della carriera a seconda delle strutture e delle professionalità, in un’ottica di miscelazione della diversità quale indice di ricchezza, sapendo inglobare il punto di vista dell’altro per acquisire ricchezza di contenuti, sfruttare posizioni lontane come occasione di imparare qualcosa e aggiungerlo al proprio vissuto-sapere.  Si rende necessario, da qui in poi, ampliare la permanenza al lavoro, anche attraverso la valorizzazione e diversificazione delle carriere, in controtendenza con le mode gestionali degli ultimi anni, anche nell’ottica di sostegno al sistema sociale, altrimenti destinato a correre seri rischi di collasso. Tutto ciò richiede certamente un cambio dei modelli organizzativi, ma l’informatica può ormai dare una mano a rendere meno pressante l’esigenza lavorativa di essere presenti sempre tutti nello stesso luogo e allo stesso tempo per lunghi periodi.

1. Smartworking

Alcune grandi aziende stanno già sperimentando lo smartworking (1). Tecnologia diffusa, lavoratori responsabili e datori di lavoro in grado di valutare i dipendenti sui risultati sono le tre componenti necessarie alla realizzazione dello smartworking (altrimenti detto lavoro agile).

Concretamente ai dipendenti, uomini e donne, è lasciata la libertà di lavorare da casa quando fa comodo. Due giorni alla settimana, tre, un pomeriggio soltanto: ciascuno decide in modo da non penalizzare (o addirittura favorire) il lavoro. E nello stesso tempo conciliare meglio gli impegni professionali con le esigenze del privato, con valutazione finale dei risultati da parte del direttore del personale. Alcune categorie non potranno sfruttare i vantaggi di questo modo di lavorare: dall’infermiere alla commessa, all’operaio della catena di montaggio. Ma per tanti altri la vita potrebbe migliorare, in primis per le donne.

2. Varietà delle competenze e delle capacità

La presenza femminile è favorita dalla flessibilizzazione degli orari. Aumentare la presenza femminile, per un fattore squisitamente numerico, un po’ in tutti i Paesi si riescono a pescare dei talenti che altrimenti non si sarebbero presentati sul mercato e si creano interessanti effetti dinamici quali:

– Circolo virtuoso di maggiori opportunità e crescita (2)

– Aumento della richiesta di servizi (per lavori domestici, servizi sociali)

– Aumento di alcuni consumi

– Può migliorare la performance delle imprese

– In generale aumenta la platea dei talenti dai quali selezionare i lavoratori migliori.

3. Sviluppo di modelli di ruolo

Le ragazze con un diploma di scuola superiore che si iscrivono all’università sono quasi sette su dieci (contro poco più della metà dei diplomati maschi). Su 100 donne iscritte all’università 22 raggiungono la laurea: nel caso dei maschi, solo 15 su 100 si laureano. Eppure, nonostante la “superiorità” delle donne nella fase della formazione, le docenti universitarie sono poco più di un terzo del totale: il 35 per cento, in assoluto la percentuale più bassa del pubblico impiego, eccezion fatta per le aziende municipalizzate dei trasporti.

Entrano evidentemente in gioco elementi di cooptazione, sia pure di tipo puramente di tipo istintivo: la rete organizzativa è tradizionalmente maschile e si autoriproduce, ci si fida di chi è più simile a sé. In assenza di modelli femminili è difficile per le donne trovare un mentore (3). Attraverso l’autoselezione le associazioni femminili sostengono quindi la promozione della professionalità femminile, raccolgono i curriculum delle donne in data base dedicati: ne fanno parte 11.000 aziende partecipate pubbliche che promuovono la diffusione dell’autoformazione (4).

4. La Legge Golfo Mosca (5)

La legge, preso atto del forte squilibrio nella rappresentanza dei generi nelle posizioni di vertice delle società quotata in borsa e nelle società pubbliche, intende riequilibrare a favore delle donne l’accesso agli organi apicali. Ove si accerti il mancato rispetto della prevista quota di un terzo nella composizione degli organi sociali, si prevede una diffida alla società a ripristinare l’equilibrio tra i generi entro 60 giorni, ove la società non provveda è prevista la decadenza dei componenti dell’organo sociale e si provvede alla ricostituzione dell’organo nei modi e nei tempi previsti dalla legge e dallo statuto (oltre a sanzioni pecuniarie).

La questione centrale è che la legge apre alla concorrenza femminile, permettendo l’inserimento e l’utilizzo di una molteplicità di talenti altrimenti inutilizzati, introducendo la visione femminile delle tematiche e delle strategie, delle modalità di gestione delle organizzazioni (cd. “Sguardo diverso”, con ciò intendendo un taglio e un modo diverso di operare da quello tradizionale maschile). Questa legge dal taglio molto pratico, prevede l’osservanza di parametri internazionali con funzioni di monitoraggio, compresa la regola che stabilisce la scadenza dell’effetto distorsivo, in assenza della quale il provvedimento rischia di essere discriminante alla rovescia, ovvero quando il rimedio rischia di essere peggiore del male (6).

Non è auspicabile essere sostenute solo in quanto donne, ma avere pari occasioni di dimostrare le proprie capacità. Una volta avviato un inserimento riequilibrato tra i generi la creazione di modelli femminili sarà in grado di riprodurre da sé le risorse necessarie al consolidamento numerico della presenza di lavoratrici nei vari ambiti. Non mancano però aziende quali Luxottica, che hanno applicato i criteri della legge ancor prima che entrasse in vigore: che si tratti di azioni intraprese per senso di giustizia o perché strumentali all’immagine che l’impresa vuole dare di sé, comunque ben vengano.

5. Qual è veramente l’impatto?

Le quote rosa stimolano il cambiamento: salgono le percentuali di donne ai vertici aziendali, l’aumento di 2,2 punti percentuali rispetto a ottobre 2011 è il più significativo cambiamento su base annua fin qui rilevato. Il dato fa seguito alla proposta della Commissione, adottata il 14 novembre 2012, sull’equilibrio di genere nei CdA delle società quotate (IP/12/1205 e MEMO/12/860) che fissa come obiettivo una presenza femminile del 40% basata sul merito. Il dato riflette inoltre le discussioni ai vertici dell’Unione sulla necessità di norme che disciplinino la presenza di donne nei CdA (7).

Secondo i dati parziali pubblicati il 25/1/2013 dalla Commissione Europea, la presenza di donne nei consigli di amministrazione delle società europee quotate in borsa è salita al 15,8%, contro il 13,7% di gennaio 2012: le amministratrici non esecutive sono in media il 17% (contro il 15% di gennaio 2012) e quelle esecutive il 10% (contro l’8,9%). L’aumento interessa tutti gli Stati membri dell’Unione, tranne Bulgaria, Polonia e Irlanda. I paesi che hanno introdotto le quote rosa continuano a fare da traino. L’aumento più forte si registra in Italia (+4,9%) dove, in virtù della nuova normativa, entro il 2015 le società quotate e a partecipazione pubblica dovranno assicurare una partecipazione femminile del 33% negli organi di gestione e vigilanza. Nel nostro paese la percentuale di amministratrici con incarichi non esecutivi e di donne top-manager ad ottobre 2012 era rispettivamente del 4% e del 13%. La Francia, che ha introdotto le quote rosa nel 2011, è diventata il primo paese dell’Unione ad avere più di una donna ai vertici delle principali società quotate (8).

La Bulgaria è l’unico paese a registrare un calo sensibile (-4 punti percentuali), mentre la percentuale di donne nei CdA rimane invariata in Polonia e Irlanda (rispettivamente 12% e 9%).

6. 2014: Anno europeo della conciliazione (9)

Le politiche per la conciliazione rappresentano un fondamentale fattore di innovazione dei modelli sociali, economici e culturali, servono a fornire strumenti che, rendendo compatibili sfera lavorativa e sfera familiare, consentano a ciascun individuo di vivere al meglio i molteplici ruoli che svolge all’interno di una società complessa. Sono politiche che coinvolgono la società nella sua interezza, uomini e donne, organizzazioni, la sfera privata e quella pubblica con un impatto sul riequilibrio dei carichi di cura all’interno della coppia, sull’organizzazione del lavoro e dei tempi delle città.

Per questa via si spera anche di contribuire a raggiungere gli obiettivi di Europa 2020, che mira a sottrarre almeno 20 milioni di persone dalla povertà e dall’esclusione sociale; innalzare al 75% il tasso di occupazione delle donne e degli uomini di età compresa tra i 20 e i 64 anni. Per il nostro Paese il tasso è stato fissato al 67%. Dati recenti rilevano che il tasso di occupazione in Italia è pari al 61%: serve aumentare il tasso di 6 punti percentuali. E proprio mettendo in campo politiche di conciliazione e di condivisione dei carichi di cura, si potrà rilanciare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, rafforzare l’uguaglianza di genere e contribuire a rispondere alle sfide demografiche.

È stato calcolato che l’ingresso di centomila donne nel mercato del lavoro comporterebbe un incremento di valore aggiunto pari allo 0,28% del PIL corrente che ripagherebbe da solo la creazione del 30% in più di posti di lavoro femminile (10), fattore considerato interessante rispetto alla tanto auspicata e sospirata ripresa economica. Servirebbe in concreto un ingresso di tre milioni di donne per raggiungere gli obiettivi di Lisbona (che prevedeva di portare il tasso di occupazione femminile al 60% entro il 2010, obiettivo raggiunto solo da alcuni tra i Paesi UE) e un ingresso di 900.000 donne per eguagliare il tasso di occupazione femminile e maschile nelle coorti più giovani.

Infine, secondo Goldman Sachs, la parità di genere porterebbe a un aumento del PIL del 13% nell’Eurozona, del 16% in Giappone e del 22% in Italia.

Note

(1)     Le deputate Alessia Mosca, Irene Tinagli, Barbara Saltamarini hanno preparato il testo per una proposta di legge che verrà depositata entro gennaio, che regola e definisce lo smartworking.

(2)     “Grace Perez-Navarro è una bella donna che occupa uno dei posti più di responsabilità al mondo, è infatti Vicedirettore del Centre for Tax Policy and Administration dell’Ocse. Secondo Grace non basta aver fatto e fare un buon lavoro per fare carriera, lo ha dichiarato durante il Seminario Permanente “Donna Economia & Potere” a Salerno, il cui focus dell’intervento erano le politiche fiscali a favore delle donne. Rispondendo alle domande della stampa italiana, Grace dà la sua ricetta per il successo delle donne nel lavoro, citando una sola parola: autopromozione, inteso come la promozione del lavoro che ci potrebbe essere riconosciuto per uno scatto di carriera. Gli uomini sono molto più brave delle donne nella promozione del loro lavoro – spesso mediocre – perciò le donne necessitano di un maggiore impegno nel marketing di se stesse. La carriera di Grace è stata favorita anche da un capo senza pregiudizi, un mentore giusto e meritocratico e in un contesto in cui viene riconosciuto un vero talento, come accade in tutte le organizzazioni internazionali. Le condizioni favorevoli per una carriera “rosa” dal suo punto di vista sono legate all’introduzione di politiche di genere, che si basano su una maggiore flessibilità ed efficienza di organizzazione. Nonostante la difficoltà delle donne a rientrare nel mondo del mercato, la chiave per la ripresa economica sta proprio nel puntare sulle donne, un avviso che arriva da una delle posizioni più alte nella piramide politico-economica al mondo.  (Fonte: Io Donna del 26/10/13)”; v. anche Saraceno C. (1991), La famiglia come soggetto economico e il patrimonio familiare, in Donne e uomini nella divisione del lavoro, Bonazzi G., Saraceno C., Beccalli B., Franco Angeli, Milano.

(3)     Ferrera M. (2008), Il fattore D, Mondadori, Milano.

(4)     In the Boardroom è un innovativo programma di formazione dedicato alle donne che siederanno nei consigli di amministrazione delle società quotate italiane. Interviene su tutti i passaggi necessari per promuovere e inserire nei CdA donne preparate e di talento, coinvolgendo direttamente le aziende e stimolandole a individuare al proprio interno potenziali candidate. È stato possibile presentare una candidatura – propria o di terzi – per la quarta classe del programma inviando il CV all’indirizzo candidature.intheboardroom@valored.it entro il 25/11/2013 scorso.

(5)      Legge n. 120/2011 con applicazione dal luglio 2012.

(6)     Il testo prevede vari passaggi da compiersi entro il 2022 quando il testo esaurirà la propria efficacia. L’auspicio delle due parlamentari promotrici è di riuscire a creare, nell’arco di un decennio, un contesto più favorevole all’ascesa delle donne ai vertici aziendali, così che poi, negli anni successivi, non si renda più necessario forzare la mano.

(7)     Le donne ai vertici delle quattro organizzazioni monitorate per l’Italia (Rai, Mediaset, Corriere della Sera, La Repubblica) sono soltanto l’11%. Un risultato molto lontano dall’obiettivo strategico fissato dalla Piattaforma di azione di Pechino nel 1995. www.ingenere.it

(8)     “La pressione normativa funziona e molte aziende hanno capito che per rimanere competitive all’interno di un’economia globale non possono ignorare le competenze e il talento delle donne”, ha commentato la vicepresidente dell’Esecutivo comunitario con delega alla Giustizia Viviane Reding, facendo riferimento ai paesi, come Francia e Italia, che hanno già adottato una legislazione in materia e iniziano ad apprezzarne i risultati. www.euractive.it

(9)     Il 7 febbraio il Parlamento Europeo ha adottato la Dichiarazione scritta n. 32 in cui si chiede la designazione del 2014 come Anno europeo per la conciliazione tra la vita lavorativa e la vita familiare, subito ribattezzato “Anno del pinguino”, per la nota capacità di questo animale nell’alternarsi di entrambi i genitori nell’organizzazione del nido e nel prendersi cura della prole in egual misura.

(10) Casarico A., Profeta P. (2012), Le disuguaglianze di genere, in Checchi D. (a cura di), Disuguaglianze diverse, Il Mulino, Bologna.