Debito pubblico e crescita economica: una combinazione sterile?
Come ogni organizzazione economica anche uno Stato necessita di risorse finanziarie per esercitare regolarmente le sue funzioni. Al termine di ogni anno solare l’esecutivo presenta al Parlamento il disegno di legge di bilancio, in cui illustra (attraverso un bilancio di previsione) le stime relative ai vari capitolati di spesa e alle entrate fiscali per l’esercizio successivo. Se, nel corso dell’esercizio finanziario precedente, le entrate fiscali saranno state superiori alla spesa pubblica, avremo registrato un avanzo (o surplus), mentre parleremo di disavanzo di bilancio qualora le spese fossero superiori alle entrate.
Analizziamo adesso, brevemente, le principali voci di spesa nel bilancio dello Stato italiano.
Voci economiche Ammontare % Pil
Fonte: dati Istat (Voci di spesa, bilancio consolidato della Pubblica Amministrazione 2017).
Nel 2017 il totale della spesa pubblica ammontava a circa 840 miliardi di euro (circa il 49% del Pil) con le prestazioni sociali a rappresentare la voce più ingente (340 miliardi di euro).[1]Ogni volta che lo Stato spende di più di quel che effettivamente incassa può procedere secondo due distinte strade:
- Riduzione della spesa pubblica;
- Emissione di obbligazioni per coprire il fabbisogno di risorse finanziarie.
Attraverso politiche fiscali di austerità, ovvero contenimento della spesa pubblica e aumento della tassazione, il Governo può riordinare i conti pubblici, riportando il bilancio in pareggio. Questa azione, seppur sul fronte della stabilità finanziaria si dimostra essere particolarmente efficiente, causa malcontento nella popolazione dal momento che, inevitabilmente, i costi sociali ricadranno principalmente sui cittadini.
Un’altra strategia è quella di emettere obbligazioni, anche identificate con l’appellativo di Titoli di Stato, al fine di recuperare nei mercati finanziari la liquidità necessaria. Vi sono vari tipologie di titoli obbligazionari che il Ministero dell’Economia e delle Finanze può emettere, tra essi ricordiamo:
- Btp – Buoni del Tesoro Poliennali. Essi rappresentano circa il 70% della composizione dei titoli di Stato, hanno una durata che varia da 3,5,7,10,15,20,30 e 50 anni. I Btp, oltre al valore nominale, che verrà garantito a scadenza, consentono di ottenere cedole variabili semestralmente. Tra i Btp vale la pena ricordare anche i Btp€i che, essendo indicizzati al tasso d’inflazione, garantiscono a scadenza una rivalutazione del capitale.
- BOT – Buoni Ordinari del Tesoro. I BOT costituiscono circa il 6% del totale dei Titoli di Stato emessi e hanno scadenze a breve termine tra i 3,6 e i 12 mesi. A differenza dei Btp i BOT non prevedono il pagamento di cedole ma vengono, generalmente, emessi sotto la pari[2] in modo che la remunerazione consista nella differenza di valore.
- CCT (Certificati di Credito del Tesoro) e CTZ (Certificati del Tesoro Zero Coupon). I CCT hanno scadenze tra i 5 e 7 anni mentre i CTZ hanno una durata di 24 mesi.
Grazie a differenti tipologie di titoli, il Governo riesce così a diversificare il debito emesso sia per tipologia che per scadenza. Attualmente la vita media residua del debito è di circa 6,78 anni e ciò consente al Governo di essere moderatamente coperto, almeno nel breve periodo, da variazioni nei tassi d’interesse stabiliti dall’autorità di politica monetaria.
Ogni anno lo Stato italiano deve rinnovare circa 334 miliardi di euro di Titoli di Stato giunti a scadenza con l’emissione di nuove obbligazioni.
E’ importante sottolineare come le politiche monetarie varate dalla Banca Centrale Europea siano particolarmente interconnesse con le politiche fiscali dei singoli Paesi membri. Un aumento dei tassi d’interesse, volto a contrastare l’inflazione, ha notevoli ripercussione sui tassi d’interessi richiesti dal mercato per sottoscrivere i titoli del debito pubblico emessi dai Governi. Un aspetto di cruciale importanza è la relazione vigente tra rischio e rendimento: all’aumentare del rischio percepito dai mercati (circa la stabilità e solvibilità) di un Paese aumenta il rendimento (premio per il rischio) richiesto dai mercati affinché essi si impegnino a prestare liquidità al Paese. L’Italia ha un debito pubblico molto elevato (circa 2700 miliardi di euro) pari al 130% del Pil.
Un grave problema macroeconomico che affligge il nostro Paese, e ne mina la stabilità delle finanze pubbliche, è la spesa per interessi sul debito pubblico che ogni anno pesa per circa 70 miliardi di euro. Ciò sottrae risorse al Governo che, in presenza di una spesa per interessi più moderata, potrebbe indirizzare tali risorse verso altri settori strategici dell’economia. Il debito pubblico, se non adeguatamente monitorato, può innescare una spirale potenzialmente esplosiva in quanto lo Stato potrebbe ritrovarsi nella condizione di dover emettere debito per poter ripagare il debito in scadenza.
Il debito pubblico è perciò un reale problema per l’economia di un Paese?
Si, dal momento che un elevato debito pubblico sottrae risorse finanziarie dal bilancio pubblico per ripagare gli interessi sul debito e, inoltre, potrebbe portare lo Stato a dichiarare default se non fosse in grado di onorare il debito. Sicuramente una gestione attenta dei conti pubblici, evitando disavanzi eccessivi di bilancio, contribuisce a stabilizzare il debito anche se, per evitarne una sua proliferazione, il Governo dovrebbe puntare ad ottenere avanzi di bilancio e a utilizzare tali risorse per ripagare gli interessi. Gli economisti, generalmente, misurano il debito pubblico di un Paese come rapporto tra il livello di debito e il Prodotto interno lordo (Il famoso rapporto debito/Pil), dal momento che la crescita economica risulta essere un buon indicatore circa la possibilità per un Paese di produrre ricchezza e reddito e, quindi, far fronte ai propri debiti. Un concetto quindi chiave dell’economia è che solo chi effettivamente non necessita di risorse finanziarie ne può usufruire a basso costo. Un debito pubblico elevato non risulta essere un problema per il Paese, a patto che esso sia in grado di onorarlo e provvedere ai suddetti pagamenti in tempo.
Pensiamo allo Stato come ad una famiglia: Se il reddito familiare è pari a 1000 euro e le spese risultano essere pari a 2000€, evidentemente bisognerà rinunciare a qualche serata al cinema o cena al ristorante ma, nel caso in cui nonostante la nostra liquidità non ce lo consenta, volessimo mantenere il nostro standard di vita ci ritroveremmo costretti a chiedere in prestito i 1000€.
(A cura di Matteo Bongiovanni)
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