Il rating di legalità
di Dott.ssa Giulia Piva ed Avv. Andrea Orabona
Con l’introduzione dell’art. 5-ter D.L. 1/2012 il legislatore ha demandato all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) i poteri di attribuzione alle imprese, vuoi individuali vuoi collettive, del c.d. “rating di legalità”, quale indicatore giuridico rilevante in vista dell’accesso al credito bancario, e concessione di finanziamenti ad opera di pubbliche amministrazioni, nell’interesse di società operanti in territorio italiano con un fatturato annuo non inferiore a due milioni di Euro.
Successivamente, l’Autorità Antitrust ha altresì proceduto all’adozione di un Regolamento di attuazione dell’art. 5 ter D.L. 1/2012 (con Delibere n. 24075 del 14 novembre 2012 e n. 25207 del 4 dicembre 2014), cui ha fatto seguito il D.M. n. 57/2014 recante disposizioni ad hoc sui requisiti imposti alle imprese per l’attribuzione, ad opera dell’ACGM, del “rating di legalità”.
Sotto questo profilo, l’elemento dirimente per l’attribuzione di tale indicatore reputazionale d’impresa – articolato su un range intercorrente tra un minimo di n. 1 punto e un massimo di n. 3 punti – va a tutt’oggi identificato nell’osservanza, ad opera delle società richiedenti, della normativa sulla responsabilità da reato degli enti prevista dal D. Lvo 231/2001, ovvero, nella predisposizione ed efficace attuazione di modelli organizzativi idonei ad impedire la commissione, ad opera di soggetti apicali e/o dipendenti, di fattispecie di penale rilievo.
Difatti – per l’acquisizione del c.d. “rating di legalità” – appare imprescindibile, in capo alle imprese richiedenti, il requisito della mancanza d’emissione di misure cautelari o sentenze di condanna per la verificazione di illeciti amministrativi derivanti da reato ex D. Lvo 231/2001, ovvero, di irrogazione di misure di prevenzione o sanzioni penali a carico dei propri legali rappresentanti pro tempore, o membri del consiglio d’amministrazione, per la commissione di determinate incriminazioni tributarie punite dal D. Lvo 2000/74 o comunque disciplinate dal vigente Codice Penale.
Il c.d. “rating di legalità”, ove positivamente deliberato dall’AGCM, possiede una valenza di carattere biennale – rinnovabile di volta in volta dietro espressa richiesta dell’ente -, anche se l’Autorità Antitrust ha il potere di disporre in ogni tempo la riduzione del punteggio inizialmente attribuito all’impresa, sino alla revoca dell’indice reputazionale già assegnato per la perdita sopravvenuta dei requisiti imposti da entrambe le succitate Delibere Attuative dell’art. 5 ter D.L. 1/2012.
Sulla scia di tale intervento normativo, l’art. 83, comma decimo, del nuovo Codice degli Appalti Pubblici ex D. Lvo 50/2016 ha recentemente introdotto nel nostro ordinamento l’analogo istituto del c.d. “rating di impresa”, quale distinta certificazione reputazionale di natura obbligatoria rilasciata dall’Autorità Nazionale Anticorruzione ad imprese e gruppi di società, vuoi italiane vuoi estere, per la partecipazione a gare d’appalto indette dalle Pubbliche Amministrazioni.
Anche per tale ultima normativa, la predisposizione di procedure di prevenzione dal rischio di commissione di reati ex D. Lvo 231/2001 costituisce requisito dirimente per la valutazione di affidabilità dell’ente in sede d’ammissione alle gare ad evidenza pubblica, onde assicurare la qualità della prestazione di opere e/o servizi nell’interesse di singole stazioni appaltanti e, vieppiù, contrastare la verificazione di eventuali fenomeni corruttivi nell’aggiudicazione dei relativi bandi ad imprese di diritto privato.
Infine, la stessa Autorità Nazionale Anticorruzione ha espressamente stabilito come per l’attribuzione del c.d. “rating d’impresa” debba altresì tenersi in debita considerazione il concorrente riconoscimento dell’eventuale “rating di legalità”, ad opera dell’ACGM, all’impresa partecipante alla gara ad evidenza pubblica.