Il segmento artisti affermati (Avant-Garde Market) – sesta parte
(di Marco Guenzi)
Nel presente articolo si prenderà in esame un problema che assilla fortemente, e in misura sempre maggiore, gli operatori della fascia alta del mercato dell’arte contemporanea: quello dei falsi e delle riproduzioni illegali. Si avrà modo di vedere diversi aspetti della questione, sia da un punto di vista economico che sociale e giuridico.
Il problema dei falsi
Il fenomeno delle asimmetrie informative sul mercato dell’arte[1] pone le basi per diversi casi di moral hazard, ovvero di comportamenti fraudolenti da parte degli operatori. Un primo grande problema a cui si viene incontro è legato alla difficoltà da parte dell’acquirente di valutare l’effettiva autenticità delle opere. Ciò ha contribuito sicuramente alla proliferazione del mercato dei falsi, fenomeno che riguarda soprattutto le fasce alte del mercato, ovvero quelle dei settori Avant-Garde e Classical Contemporary (o High End), in cui gli artisti sono conosciuti ed apprezzati a livello nazionale e anche internazionale.[2]
Nella categoria dei falsi in realtà si possono comprendere diverse tipologie di contraffazione (forgery)[3]: da una parte le copie pressoché identiche di lavori noti presenti sul mercato, che vengono invece spacciate come autentiche (copie falsificate); da un’altra variazioni sul tema fatte ad hoc, che seguono lo stile, la tecnica, l’utilizzo di materiali e i soggetti tipici di un artista, in modo che possano essere erroneamente attribuite all’artista (falsi originali)[4]; inoltre possono esserci opere realizzate dall’artista stesso (siano esse copie falsificate o falsi originali), che, rispecchiando una produzione passata particolarmente apprezzata dal mercato, vengono quindi retrodatate (repliche)[5]; infine si possono includere nella categoria, pur costituendo un caso a sé stante, le cosiddette copie-pirata (o meglio riproduzioni illecite), ovvero copie di opere d’arte che non portano con sé alcun certificato di autenticità contraffatto, ma rispecchiano per le loro caratteristiche intrinseche perfettamente l’originale (specie per quanto riguarda l’arte riproducibile come la fotografia e la video-arte)[6], assumendo quindi una funzione di bene sostituto.
Se in genere si può considerare il fenomeno dei falsi come patologico, in quanto lesivo del diritto d’autore e di fatto assimilabile al reato della truffa, in realtà come evidenziano gli economisti Frey da una parte e Candela e Scorcu dall’altra, la questione dal punto di vista economico risulta essere più complessa.
Secondo Candela e Scorcu[7] il mercato dei falsi nasce dal fatto che intorno al mercato di un artista si viene a creare un potere monopolistico: ciò determina che tra prezzo di vendita e costo di produzione ci sia un importante mark-up, che significa da una parte la presenza di una rendita e dall’altra un’offerta al di sotto del livello pareto-efficiente. A ciò consegue inevitabilmente che qualcuno cerchi di sfruttare tale potere a proprio vantaggio: nel caso ci si trovi di fronte ad una domanda consistente per la produzione di un artista relativa ad un periodo passato, il modo più semplice, rapido e conveniente per incrementare l’offerta è costituito dalla contraffazione. Quest’azione illecita può essere messa in atto da terzi (il falsario o chi per esso tenti di commercializzare le copie o le riproduzioni), oppure dagli stessi artisti e galleristi, evidentemente non interessati ad instaurare una relazione di lunga durata con i propri collezionisti[8]: più l’orizzonte temporale del rapporto si accorcia, più per la teoria dei giochi è probabile una strategia del tipo “prendi i soldi e scappa” (come ad esempio può avvenire nel caso di turisti stranieri frodati da albergatori che suppongono questi siano di passaggio).
Sulla stessa linea si ritrova l’opinione di Frey[9], che vede positivamente il mercato dei falsi dal punto di vista dell’efficienza, in quanto permette di aumentare l’offerta e ridurre il prezzo di mercato. Tali considerazioni tuttavia non considerano il fatto che sul mercato Avant-Garde le gallerie tradizionali usano come strategia commerciale la discriminazione dei prezzi (di primo, secondo e terzo grado) e inoltre sono in grado di sostenere minori costi commerciali attraverso il free-riding a scapito delle gallerie di scoperta. Ciò comporta che la produzione sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo si avvicini già di per sé considerevolmente al livello pareto-efficiente[10]. Un forte aumento supplementare dell’offerta aumenta la quantità di opere in circolazione e ha la conseguenza di imporre una limitazione alla produzione di nuove opere da parte dell’artista (se non vorrà che le quotazioni abbiano una spinta al ribasso). L’effetto complessivo non influenzerà quindi il totale di opere messe in circolazione, ma avrà un impatto diretto sulla qualità della nuova produzione: poiché la domanda rimarrebbe ancorata alla produzione passata dell’artista (quella più in auge), ciò di fatto farebbe ridurre l’interesse per le nuove ricerche artistiche che egli porta avanti.
La figura 1 illustra il meccanismo: la creazione di falsi fa aumentare l’offerta sul mercato secondario, in quanto le opere sono in genere messe in circolazione da mercanti d’arte e riguardano la produzione storicizzata dell’artista. La quotazione del mercato secondario quindi influisce sull’offerta di nuove opere sul mercato primario, che dovrà calare per mantenere inalterato i livello delle quotazioni.
Naturalmente queste considerazioni non sempre sono valide. Nel caso infatti di artisti di successo scomparsi prematuramente, come ad es. Piero Manzoni o Jean Michel Basquiat, quindi con una produzione di opere autentiche limitata e che non può aumentare nel tempo (manca in questo caso il mercato primario), a fronte di una domanda forte e crescente la creazione di falsi può giocare un ruolo positivo per sviluppare il mercato e quindi accrescere la considerazione da parte del sistema per questi artisti. Anche in un contesto di artisti arrivati alla fase di discendente della propria carriera (di “declino”), in cui si riscontra un evidente calo di creatività[11], la creazione di un mercato di repliche delle opere storicizzate, come avvenne ad esempio nel caso di De Chirico, se da una parte non può arrestare questo naturale processo, dall’altra garantisce all’artista la possibilità comunque di trarre profitto dalla propria arte, sebbene quest’ultima non risulti più essere innovativa.
Bisogna infine notare che i falsi, qualora siano commercializzati da terzi, oltre generalmente a danneggiare gli artisti, sono di nocumento alle gallerie. Queste infatti sostengono dei costi di promozione per dare un valore alla “firma” (cioè il brand) dell’artista, e vengono poi ingiustamente deprivate di parte del ritorno dei propri investimenti che va invece nelle mani dei contraffattori.
Le riproduzioni
Va rilevato a questo punto, come sostiene lo stesso Frey, che il consumo di una copia di un bene d’arte non debba essere necessariamente sostitutivo del consumo dell’originale, ma diventa l’opportunità di fruire direttamente di un bene esclusivo altrimenti appannaggio di pochi facoltosi collezionisti.[12]
Questo discorso è valido in particolare per le riproduzioni. Le riproduzioni (siano esse più o meno conformi all’originale), al contrario dei falsi (cioè le copie falsificate, i falsi originali e le repliche), non hanno in quanto dichiaratamente copie, un’intenzionalità fraudolenta, né vengono commercializzate in genere nel circuito delle gallerie. Esse non sono quindi sostitutive dell’art stock, cioè della proprietà dell’opera autentica, ma dell’art service, cioè tutte quelle funzionalità di godimento estetico dell’opera originale (e talvolta anche di status, al pari degli orologi Rolex o delle borse Luis Vitton contraffatti), offerte a prezzi accessibili. Il mercato delle riproduzioni non incide quindi, se non indirettamente (come si vedrà), su quello delle opere autentiche, ma funge da cassa di risonanza della produzione dell’artista, che, entrando direttamente nelle case della gente comune, finisce per divenire parte dell’immaginario collettivo.
Un fattore che fa presumere un notevole sviluppo del mercato delle riproduzioni rispetto ai falsi, è che esse, pur presentando minori possibilità di margini, hanno anche minori costi, complessità organizzativa ed eventuali rischi connessi: mentre i falsi devono utilizzare gli stessi canali commerciali delle opere autentiche, le riproduzioni (più o meno lecite) possono utilizzare canali alternativi, come ad esempio i book-shop dei musei, negozi specializzati o meglio ancora le piattaforme e-Commerce; inoltre la falsificazione ha conseguenze a livello penale[13], mentre le riproduzioni, nel caso siano commercializzate in maniera illecita, contravvengono alla sola legge sul diritto d’autore.
Bisogna sottolineare a questo proposito che al giorno d’oggi la difesa della proprietà intellettuale da contraffazioni e da riproduzioni illecite è più difficile per via del progresso tecnologico che ha creato nuovi mezzi riproduttivi. In particolare per quanto riguarda la fotografia e il video, essendo oramai quasi tutte le opere in formato digitale, esse risultano facilmente copiabili o rubabili. Se si pensa che i file in questione per essere riprodotti passano in genere per molte mani, non è difficile che si crei qualche copia pirata dell’opera da cui poter trarre una tiratura praticamente illimitata; se poi andasse sulla rete diventerebbe di dominio pubblico.
Pur restando il pericolo delle copie pirata, per difendere l’autenticità delle opere, l’artista dichiara inizialmente un certo numero massimo di multipli che potrà produrre (a cui si aggiunge una o due copie di artista), che verranno numerati e muniti di appositi certificati di autenticità che dovranno accompagnare il possesso dell’opera. Purtroppo è prassi diffusa che molti artisti, in seguito ad una forte richiesta sul mercato, di fatto superino il limite di tiratura, trovando stratagemmi, come nuovi formati o supporti, per giustificare la cosa.
Se il fenomeno dei falsi e delle riproduzioni è difficilmente arginabile (soprattutto il secondo) e costituisce una tendenza di cui bisogna prendere atto, bisogna rimarcare che, come Benjamin aveva con largo anticipo previsto nella metà del secolo scorso[14], si sta andando verso un nuovo modo di concepire l’arte: l’arte diviene sempre più diffusa e meno “hic et nunc”, più condivisa e meno élitaria, per cui l’esclusiva del possesso (art stock) dell’originale, si accompagnerà sempre più alla diffusione di forme più “soft” di godimento del bene, andando a modificare lo stesso concetto di cosa è un’opera d’arte.
Secondo questo approccio l’opera d’arte non può più essere concepita come un “bene originale” (unico o numerato), ma avrà un contorno più sfumato attorno all’idea di fondo ad essa sottesa, che potrà poi manifestarsi secondo diverse forme. Da questo punto di vista l’arte assomiglierà sempre di più alle altre forme culturali riproducibili per mezzo dei media (libri, musica, film), con tutte le problematiche annesse e connesse riconducibili alla difesa del diritto di autore.
La normativa sui falsi e sulle riproduzioni
I problemi relativi alla presenza di un mercato dei falsi non si fermano ad un abbassamento della qualità media della produzione di un artista (e in maniera indiretta, se è egli stesso a produrre repliche, ad un abbassamento dello stimolo alla creatività): la conseguenza più deleteria per il mercato è sicuramente l’aumento dell’incertezza dello scambio, e l’innesco di fenomeni di adverse selection che rischiano di far collassare il mercato. Come Akerlov in un suo famoso scritto mise in evidenza questo fenomeno per il mercato delle auto usate[15], anche nel mercato Avant-Garde, nel caso la contraffazione non fosse efficacemente contrastata, si arriverebbe allo stato in cui i soli lavori contraffatti (“lemons”) vedrebbero convenienza economica a essere commercializzati.
A tal fine i diversi ordinamenti hanno previsto tutta una serie di norme a tutela degli autori e dei collezionisti. Nel nostro ordinamento questa normativa si trova nel Codice dei beni culturali[16]. L’art. 64 del Codice, prevede “l’obbligo di rendere una dichiarazione di autenticità o della probabile attribuzione e provenienza dell’opera che i mercanti dell’arte sono tenuti a consegnare all’acquirente di opere d’arte; qualora queste siano ignote, è sufficiente rendere un’autodichiarazione che indichi tutte le informazioni disponibili sull’autenticità o la probabile attribuzione e provenienza. La dichiarazione di autenticità può provenire dall’artista, dai suoi eredi, da archivi, fondazioni (le finalità di una fondazione intitolata a un singolo artista sono generalmente quelle di diffondere e tutelare l’opera di quell’artista) o qualsiasi altro mandatario incaricato dagli eredi della catalogazione delle opere dell’artista. L’attestato di autenticità ha la funzione di assicurare la qualità dell’opera d’arte; mentre l’attestato di provenienza ha lo scopo di garantire la provenienza lecita del bene”.[17] La tracciabilità delle opere d’arte diventa quindi un aspetto fondamentale per combattere il fenomeno della contraffazione.
Le dichiarazioni di autenticità nel loro complesso dovranno poi confluire nell’archivio contenente la documentazione dell’intera opera dell’artista, al fine di creare un catalogo ragionato[18], che dovrebbe essere ovviamente curato da un soggetto che non dovrebbe avere alcun interesse economico diretto nel riconoscimento delle opere. Il catalogo ragionato in genere costituirà poi il principale riferimento per gli operatori del mercato dell’arte nel comprovare la paternità di un’opera.
L’autenticità delle opere d’arte è quindi un grosso una questione difficile. Quando l’artista è in vita e può dire la sua va rilevato effettivamente che egli dichiari il vero (e non si tratti invece di repliche o opere fatte da altri autori e spacciate per proprie). Quando questi è deceduto la palla passa alle fondazioni, qualora queste ci siano (come spesso avviene per artisti statunitensi), o direttamente agli eredi (come generalmente avviene in Europa).
Il problema che si pone per questi soggetti, in grado di dare paternità alle opere d’arte, è che essi hanno un grosso peso sulle spalle in termini decisionali. Infatti il loro giudizio ha un impatto diretto sulle tasche dei collezionisti e più in generale sul mercato. Partendo dalla presunzione che essi operino in maniera oggettiva e imparziale, questi hanno tutto l’interesse a limitare i riconoscimenti di nuove opere d’arte al fine di sostenere le quotazioni dell’artista; d’altronde essi si trovano contrapposti a soggetti spesso dotati di notevoli mezzi economici, che usano l’arma della minaccia di azioni legali per vedere riconosciuta l’autenticità delle opere da essi acquistate.[19] Ad esempio, per problemi di natura risarcitoria tutta una serie di fondazioni statunitensi (recentemente Warhol Foundation, Basquiat Estate e Keith Haring Foundation) hanno smesso di rilasciare certificazioni di autenticità.[20]
Quanto alla regolamentazione delle riproduzioni, essa è contenuta nella normativa relativa al diritto d’autore.[21] Il diritto di autore rivendica il diritto inalienabile dell’artista alla paternità dell’opera a cui si aggiungono i diritti di sfruttamento dell’opera (tra cui quello di riproduzione[22]) che sono invece trasferibili a terzi.
E’ interessante a proposito riscontrare sul mercato dell’arte contemporanea la recente nascita di nuove forme contrattuali e di intermediazione che riguardano l’arte riproducibile (soprattutto la fotografia). Tali nuovi intermediari, che si possono definire “sfruttatori di immagine” o semplicemente “brand users”, sono soliti proporre all’artista, in cambio di un compenso pattuito, il trasferimento di tutti i diritti di sfruttamento commerciale delle sue opere. I brand users assumono su di sé quindi tutti gli oneri ed onori dell’attività promozionale e di vendita. Se questo fatto a prima vista può sembrare vantaggioso per gli artisti, che vedono subito un ritorno economico per la loro attività e possono approdare ad un pubblico alternativo rispetto a quello tradizionale (si parla di negozi, ristoranti, locali, uffici ed abitazioni), tuttavia si ritiene che sul lungo periodo possa essere penalizzante per la loro carriera: sia da un punto di vista dell’immagine, visto che i luoghi dove l’arte viene esposta sortiscono un effetto dissacratorio, sia perché la creazione di valore aggiunto di un’opera segue ancora le leggi antropologiche, sociali ed economiche dettate dalla ristretta comunità, qui definita e studiata come “sistema dell’arte”.
Se la normativa attuale a difesa dell’autenticità delle opere d’arte va nella direzione di limitare il fenomeno dei falsi e delle riproduzioni illecite, tuttavia si è lontani da una risoluzione del problema. A tal fine va sottolineato che un suo rimedio parziale è dato dagli anticorpi di cui è munito lo stesso sistema dell’arte: per far fronte al problema delle asimmetrie informative esso si è strutturato non in una maniera anonima, come invece gran parte dei mercati, ma secondo una struttura a rete sociale (social network), che permette al pubblico di avere un controllo diretto sugli operatori di questo mercato, attraverso lo strumento del passaparola, in modo da mettere in atto un’azione di moral suasion nei confronti di quegli operatori che non vogliano comportarsi secondo i codici deontologici.[23] A supporto dell’azione di moral suasion va poi la diffusione di Internet e dei social network, dove è facile condividere fatti ed idee, in modo che chi metta in atto comportamenti fraudolenti sia etichettato e veda compromessa la propria reputazione.
Nella stessa direzione è possibile prevedere nuovi interventi legislativi di contrasto al fenomeno della contraffazione. Si rimanda la questione al prossimo articolo quando si affronteranno le misure di politica economica che è possibile attuare nel segmento Avant-Garde.
[1] Cfr. Guenzi M. (2014), “Anomalie del mercato dell’arte contemporanea – le asimmetrie informative nel processo di contrattazione”, Economia e Diritto, n. 10.
[2] Non si è in presenza invece di tale problematica nei segmenti più bassi (Junk e Alternative), in quanto non ha senso la presenza di un mercato dei falsi per artisti sconosciuti o non ancora affermati, la cui firma non crea alcun valore aggiunto. Per questi ultimi settori invece, come già accennato, si pone semmai il problema della tutela della proprietà intellettuale e della prevenzione del furto di idee da parte di artisti più affermati.
[3] Per una classificazione della terminologia in uso nel diritto italiano cfr. Negri-Clementi G. – Stabile S. (a cura di) (2014), “I falsi di opere d’arte nel diritto Italiano” , Art&Law, n.2.
[4] Un esempio famoso, sebbene non fosse frutto di intenzionalità fraudolenta, ma semmai goliardica, è quello delle false facce di Modigliani, create per gioco da un gruppo di ragazzi, gettate nell’Arno e successivamente fatte ritrovare durante l’estate del 1984. I falsi Modigliani furono ritenute opere autentiche dell’artista dalla maggior parte della critica internazionale; questi giudizi furono poi confutati in maniera dissacrante dalle rivelazioni fatte dagli autori della burla. Cfr. Lorusso S. – Barone V. (2012), “La valutazione soggettiva e oggettiva dell’opera d’arte: due lingue di un’unica cultura”, Conservation Science in Cultural Heritage, N. 12, pp. 19 – 24.
[5] Il confine tra repliche e produzioni di massa di opere d’arte (art factory) è sottile ma netto: mentre le prime hanno alla loro origine un intento fraudolento, cercando di far rientrare nella produzione di un determinato periodo storico di successo opere prodotte successivamente, le seconde invece sono del tutto lecite e à bon escient: l’artista dichiara apertamente di non creare le opere con le sue mani, ma di controllarne soltanto il processo produttivo e di apporne la propria firma.
[6] Come meglio si vedrà ora grazie alle moderne tecniche riproduttive informatiche anche la pittura e la scultura in realtà sono perfettamente riproducibili e quindi presentano il problema delle riproduzioni illecite.
[7] Candela G. – Scorcu A. (2012), Economia delle arti, Zanichelli, Bologna.
[8] La pratica delle repliche è stata ad esempio messa in atto in maniera continuativa dagli artisti Giorgio De Chirico e Salvador Dalì. Quest’ultimo affermava: “tutto ciò che mi interessa è il denaro”. Artisti e galleristi hanno dalla loro parte il fatto di avere un canale commerciale privilegiato ormai collaudato e di ottenere più facilmente la fiducia dei collezionisti.
[9] Frey B. (2000), Arts & Economics, Springer, Berlino
[10] Cfr. Guenzi (2016), “Il segmento artisti affermati (Avanguarde Market) – terza parte”, Economia e Diritto, n. 1.
[11] Cfr. Zorloni A. (2011), L’economia dell’arte contemporanea, Mercati, strategie e star system, Franco De Angeli, Milano.
[12] Ovviamente per chi non si può permettere un Picasso un poster sopra il letto può essere un sostituto funzionale. Recentemente, inoltre, attraverso le tecnologie digitali della stampa 3D ed altre, è possibile riprodurre perfettamente anche esemplari di dipinti e sculture assolutamente identici agli originali. Ad esempio il Museo Van Gogh di Amsterdam ha messo in vendita copie identiche delle opere dell’artista olandese, con tanto di certificato di conformità, alla “modica” cifra di 21 mila Euro. Cfr. Mastrolilli F. (2013), “La stampa in 3D di opere d’arte”, in Negri-Clementi G. – Stabile S. (a cura di), Art&Law, n.10.
[13] Secondo l’articolo 178 del Codice dei Beni Culturali, sono punibili sia la produzione, sia la commercializzazione che il riconoscimento doloso di opere false con multe da 103 a 3099 euro e la reclusione da tre mesi a quattro anni. “Se i fatti sono commessi nell’esercizio di un’attività commerciale vengono applicate delle pene accessorie, quali la sospensione dall’esercizio del commercio, se non addirittura l’interdizione in caso di recidiva”. L’articolo 138 dello stesso codice prevede che si debba apporre una dicitura che non si tratta di un originale ma di una copia. Cfr. Negri-Clementi G. – Stabile S. (a cura di) (2014), Op. Cit..
[14] Benjamin W. (2013, op. orig. 1936), L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica e altri scritti sui media, Bur-Rizzoli, Milano.
[15] Akerlof, George A. (1970). “The Market for ‘Lemons’: Quality Uncertainty and the Market Mechanism”, Quarterly Journal of Economics, The MIT Press, Vol. 3 No. 84, pp. 488–500. Cfr. anche Velthuis O. (2011), “Art Markets”, in Towse R. (a cura di), A handbook of Cultural Economics, Cheltenham, Edward Helgar.
[16] D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 e succ. mod..
[17] Più in particolare: “nel caso in cui l’artista sia ancora in vita, il venditore o l’acquirente devono chiedere all’artista di rilasciare un certificato di autenticità in cui riconosca esplicitamente la paternità dell’opera. Dopo la morte dell’artista, la normativa non prevede esplicitamente quali siano i soggetti abilitati a rilasciare il certificato di autenticità. Nella prassi, coloro che rilasciano la dichiarazione sono gli eredi, le fondazioni o altri soggetti mandatari, creando talvolta situazioni di incertezza e di conflitto. In questi casi i certificati sono rilasciati a seguito dello svolgimento di una comparazione dell’opera con altre dello stesso artista e dello stesso periodo storico-artistico, seguita da uno studio calligrafico.” (Negri-Clementi G. – Stabile S. (a cura di) (2014), Op. Cit.).
[18] Il catalogo ragionato (n.d.r.).
[19] Thompson D. (2014), The Supermodel and the Brillo Box, Back Stories and Peculiar Economics from the World of Contemporary
Art, Palgrave MacMillian, New York.
[20] Negri-Clementi G. – Stabile S. (a cura di) (2014), Op. Cit..
[21] Legge n. 633 del 22 aprile 1941 e succ. mod..
[22] Si veda l’articolo 13 della citata legge sul diritto d’autore.
[23] Cfr. Velthuis O. (2011), Op. Cit..