La tutela cautelare in tutte le fasi del giudizio: novità del Decreto di riforma del contenzioso tributario
(di Serena Giglio e Chiara Lo Re)
Via alla riforma del contenzioso tributario. Lo scorso 26 giugno è stato sottoposto all’esame preliminare del Consiglio dei Ministri lo schema di Decreto Legislativo recante misure per la riforma del contenzioso tributario, in attuazione della delega fiscale. Nello specifico l’art. 10 della Legge n. 23 dell’11 marzo 2014 (“Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita”) ha delegato il Governo all’adozione di uno o più decreti per la riforma del contenzioso tributario, attualmente disciplinato dal D. Lgs. n. 546 del 31 dicembre 1992. Tra le diverse novità contenute nel Decreto si segnala l’introduzione della tutela cautelare per tutti e tre i gradi di giudizio.
La disciplina della tutela cautelare del contribuente è una questione molto controversa nell’ambito del contenzioso tributario.
Difatti, lo scopo dell’intervento normativo in commento è quello di provvedere all’uniformazione e generalizzazione degli strumenti di tutela cautelare nel processo tributario, al fine di consentire al contribuente, soccombente in una o più fasi del giudizio, di presentare un’apposita istanza di sospensione degli effetti della sentenza, altrimenti esecutiva, emessa dalle Commissioni Tributarie introducendo, quindi, una tutela cautelare ad ampio raggio.
Innanzitutto, il Legislatore delegato ha riscritto l’art. 52 del D. Lgs 546/92 (recante “Giudice competente e provvedimenti sull’esecuzione provvisoria in appello”), introducendo la possibilità per il contribuente/appellante di chiedere alla Commissione Tributaria Regionale la sospensione in tutto o in parte dell’esecutività della sentenza impugnata qualora sussistano gravi e fondati motivi, con la precisazione che il contribuente, comunque, potrà chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questo può derivargli un danno grave ed irreparabile (comma 2).
Parimenti, il Decreto introduce una tutela cautelare anche per il contribuente che abbia proposto ricorso per Cassazione con il nuovo art. 62 bis (rubricato “Provvedimenti sull’esecuzione provvisoria della sentenza impugnata per Cassazione”) consentendo, quindi, alla parte di chiedere alla Commissione Tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte l’esecutività allo scopo di evitare un danno grave ed irreparabile; anche in questo caso, il contribuente può, comunque, chiedere la sospensione dell’esecuzione dell’atto se da questo può derivargli un danno grave ed irreparabile (comma 1).
E’ evidente come le novità introdotte porranno fine, una volta per tutte, al tormentato dibattito che, per anni, ha coinvolto giurisprudenza e dottrina le quali, mediante varie soluzioni ermeneutiche, hanno tentato di interpretare le norme vigenti in modo tale da estendere la tutela cautelare a tutte le fasi del giudizio.
In attesa che il Decreto entri ufficialmente in vigore, di seguito si rappresenta un breve riepilogo del quadro normativo ancora vigente.
L’art. 47 del D. Lgs. 546/92 (recante “Sospensione dell’atto impugnato”) consente al contribuente/ricorrente di chiedere alla Commissione Tributaria Provinciale competente la sospensione dell’esecuzione dell’atto impugnato quando dallo stesso possa derivargli un danno grave ed irreparabile, attraverso un’istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato, notificata alle altre parti e depositata in segreteria.
L’orientamento giurisprudenziale più risalente limitava la tutela cautelare solo al primo grado del giudizio poiché l’art. 49 del citato D. Lgs. 546/92 (recante “Disposizioni generali applicabili”) escludeva l’applicabilità dell’art. 337 del c.p.c. e, conseguentemente degli artt. 283 e 373 del c.p.c., recanti rispettivamente la disciplina dell’inibitoria cautelare per l’esecuzione della sentenza di primo grado e dell’esecuzione della sentenza pronunciata in appello.
Più precisamente, l’art. 373 del c.p.c. consente al giudice d’appello di sospendere con ordinanza non impugnabile l’esecuzione della sentenza impugnata con ricorso per Cassazione, dalla quale possa derivare grave ed irreparabile danno al ricorrente. Sebbene non espressamente richiamata dal D. Lgs. n. 546/92, tale disposizione è, in ogni caso, applicabile anche al processo tributario, sia per il generale rinvio alle norme del codice di procedura civile operato dall’art. 1, comma 2, del D. Lgs. n. 546/92, sia in virtù delle norme che regolano il procedimento (nella specie pendente) in Cassazione, ed in particolare in forza del richiamo disposto dall’art. 62 dello stesso D. Lgs. n. 546/92, concernente tutto ciò che attiene al procedimento di legittimità ex artt. 360 e ss. c.p.c , ivi compreso, dunque, l’art. 373 c.p.c.
A tale conclusione, con un definitivo superamento di contrarie interpretazioni, secondo le quali l’applicabilità dell’art. 373 c.p.c. al processo tributario avrebbe dovuto ritenersi esclusa in virtù del dettato normativo dell’art. 49 del D. Lgs. n. 546/92 (“disposizioni generali applicabili”), sono pervenute sia la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 217 del 17 giugno 2010, che la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2845 del 24 febbraio 2012.
Tuttavia, occorre osservare che la giurisprudenza di merito, ancor prima dell’intervento della Consulta e della Corte di Cassazione, ha ritenuto, nella maggior parte dei casi, pienamente applicabile l’art. 373 c.p.c. al processo tributario. Al riguardo, l’orientamento giurisprudenziale è unanime nell’affermare che “la norma di cui all’art. 49 del D. Lgs. n. 546/92” – che, si rammenta, si limita ad escludere dal processo tributario soltanto l’art. 337 c.p.c. e non anche l’art. 373 c.p.c. – “è finalizzata solo a sancire l’inapplicabilità al processo tributario stesso della regola che attribuisce immediata e diretta efficacia alle sentenze, non già ad escludere l’operatività delle norme sulla sospensione che quella efficacia esecutiva presuppongono” (ord. C.T.R. Molise, sez. IV, 27 luglio 1998; conformemente: ord. C.T.R.. Lazio, sez. I, 30 novembre 1998; ord. C.T.R. Lazio, sez. 15, n. 14/15/1999 del 27 ottobre 1999; ord. C.T.R. Lazio, sez. 15, n. 12/15/1999 del 27 ottobre 1999; ord. C.T.R. Lazio, sez. 21, n. 2/21/2000 del 6 aprile 2000; ord. C.T.R. Lazio, sez. 21, n. 3/21/2000 del 19 ottobre 2000).
Prima della sentenza del 2010, la Corte costituzionale si era limitata ad affermare la manifesta infondatezza della pretesa illegittimità costituzionale degli artt. 47 e 49 del D. Lgs. n. 546/92, nella parte in cui non prevedono espressamente, nel processo tributario, la sospensione ope iudicis dell’esecutività della sentenza di secondo grado, in pendenza di un ricorso per Cassazione (ord. Corte cost. 27 luglio 2001, n. 325; sent. Corte cost. 31 maggio 2000, n. 165).
A seguito di tali pronunce, i Giudici della Consulta, con la sentenza n. 217/2010, hanno dichiarato inammissibile la questione di legittimità dell’art. 49 del D. Lgs. n. 546/1992 nella parte in cui, così come interpretato dal giudice a quo, non consente la sospensione degli effetti delle sentenze del giudice tributario, affermando che, al contrario, un’interpretazione costituzionalmente orientata delle disposizioni del D. Lgs. n. 546/92 permette di leggere tale norma nel senso che le Commissioni Tributarie Regionali possono sospendere gli effetti esecutivi delle sentenze, in presenza dei requisiti prescritti dalla legge.
Attraverso tale interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 49 del D. Lgs. 546/1992, la Consulta ha sancito l’astratta compatibilità con il processo tributario della sospensione in appello ex art. 373 c.p.c., eliminando, in via definitiva, quella disparità di trattamento insita nel processo tributario, rispetto alle garanzie che ad oggi caratterizzano il rito civile.
Successivamente anche la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 2845 del 24 febbraio 2012, ha ribadito che “per quanto riguarda il ricorso per cassazione avverso una sentenza delle Commissioni Tributarie Regionali [la sussistenza del]la garanzia costituzionale della tutela cautelare, in un senso non difforme da quella che è assicurata rispetto al ricorso per Cassazione avverso qualsiasi altra sentenza” avvertendo, tuttavia, come non possa “sfuggire all’interprete quali siano le inderogabili esigenze di un necessario bilanciamento degli interessi in gioco, che nel caso della materia tributaria vedono contrapposti, da un lato, l’interesse del contribuente a non subire un danno irreparabile in conseguenza del pagamento di un tributo, che potrebbe alla fine essere giudicato come non dovuto, e, dall’altro, l’interesse dello Stato al regolare pagamento dei tributi e alle esigenze di tutela del bilancio. Tale situazione impone che i requisiti del fumus boni iuris dell’istanza cautelare e il periculum in mora, che possono giustificare l’adozione di un provvedimento di sospensione ex art. 373, comma 1, secondo periodo, c.p.c,, debbano essere valutati con particolare rigore”.
Successivamente, la Corte Costituzionale con la sentenza n. 109 del 26 aprile 2012, ha riconosciuto l’applicabilità dei principi espressi con riferimento all’art. 373 c.p.c. anche nell’ambito del giudizio di appello ai fini della sospensione delle sentenze emesse dalle Commissioni di primo grado.
A ben vedere tale interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 49 del D. Lgs. 546/92, promossa dai Giudici costituzionali e successivamente condivisa dalla Corte di Cassazione, ha consentito alle Commissioni Tributarie di poter garantire una tutela cautelare a tutti i contribuenti che, presentando apposita istanza di inibitoria della sentenza emessa in primo o in secondo grado, avessero adeguatamente motivato e provato i requisiti del periculum in mora e del fumus bonis iuris.
Il requisito del periculum in mora, espressamente previsto dal comma 1 dell’art. 47 del D. Lgs. n. 546/92, sussiste ogni qualvolta il contribuente provi che dall’esecuzione dell’atto possa derivargli un danno grave ed irreparabile; a tal fine, il contribuente dovrà provare che l’importo richiesto nell’atto impugnato, connesso all’esecutività della sentenza, sia oggettivamente elevato in relazione alla propria posizione economica provocando, per l’effetto, delle conseguenze gravi ed irreparabili anche a seguito di una successiva vittoria in sede giudiziale. L’individuazione dei requisiti di gravità e di irreparabilità del danno, tuttavia, può risultare poco agevole se si tiene conto che in questo settore, i giudici devono necessariamente mettere a confronto l’interesse del ricorrente a preservare l’integrità del suo patrimonio e quello opposto e non meno rilevante dell’Erario a non perdere le giuste garanzie della riscossione del tributo in esito al processo. Il requisito del fumus boni iuris, non contemplato nell’art. 47 del D. Lgs. 546/92, ma posto alla base di un qualunque provvedimento cautelare, risulta, invece, provato ogni qualvolta il ricorso del contribuente e, quindi, la sue ragioni non appaiano manifestamente infondate.
Di fronte a questo breve quadro riepilogativo è evidente che la novità introdotta dal Decreto in commento è di notevole importanza poiché pone fine a dubbi e criticità in merito ad un istituto che per anni ha trovato applicazione in modo “altalenante”, riconoscendo finalmente, anche per il processo tributario, una tutela cautelare ad ampio raggio attraverso l’introduzione di uno strumento processuale posto a tutela del diritto di difesa del contribuente.
Restiamo, pertanto, in trepidante attesa dell’entrata in vigore del Decreto.