Qualche riflessione sullo Schema di Decreto Legislativo recante disposizioni sulla certezza del diritto tra fisco e contribuente”
(di Federico Tosone)
Con Legge 11 marzo 2014 n. 23 – entrata in vigore il successivo 27 marzo 2014 – il Parlamento ha conferito al Governo la delega ad adottare decreti legislativi recanti la riforma del sistema fiscale con particolare riferimento al contenzioso tributario, al sistema di riscossione ad opera degli enti locali, all’evasione fiscale, ed, infine, al sistema sanzionatorio penal/tributario.
Sotto quest’ultimo profilo, la delega parlamentare consente altresì al Governo di prevedere un incremento del trattamento sanzionatorio – purché resti contenuto fra un minimo di sei mesi ad un massimo di sei anni – per gli illeciti tributari realizzati mediante comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione di documentazione falsa.
Inoltre, viene delegato al Governo il potere di individuare i confini tra le fattispecie di elusione ed evasione fiscale, regolare l’efficacia attenuante o esimente dell’adesione alle forme di cooperazione con l’amministrazione finanziaria e – soprattutto – prevedere la revisione del regime del reato di dichiarazione infedele, oltre alla possibilità di ridurre il sistema sanzionatorio per le fattispecie meno gravi o applicare sanzioni amministrative, anziché penali, sulla base di adeguate soglie di punibilità.
Sicché, il 24 dicembre 2014 il Consiglio dei Ministri ha approvato uno Schema di Decreto Legislativo recante disposizioni sulla certezza del diritto nei rapporti tra fisco e contribuente.
Tra le principali novità proposte, vi è l’introduzione nella L. 212/2000 (c.d. Statuto dei diritti del contribuente) dell’art. 10-bis – disciplinante l’abuso del diritto o elusione fiscale -.
Ai sensi di quest’ultima norma, l’istituto dell’abuso del diritto sarebbe configurato in caso di operazioni prive di sostanza economica che, indipendentemente dalle intenzioni del contribuente, realizzino vantaggi di natura fiscale. Diversamente, e sempre secondo la proposta di riforma, non costituirebbero una condotta abusiva le operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali – anche di ordine organizzativo o gestionale – volte al miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente.
Meritevole di un maggiore approfondimento è, invece, la revisione del sistema sanzionatorio penale/tributario che il Governo intende mettere in atto attraverso la riforma di diverse fattispecie delittuose già previste all’interno del D. Lvo 74/2000.
In particolare, il delitto di dichiarazione fraudolenta ex art. 2 D. Lvo 74/2000 rimarrebbe sostanzialmente invariato nella descrizione della condotta tipica, risultandone tuttavia mutata la disciplina della punibilità per effetto della previsione di un’unica soglia di rilevanza penale – fissata ad Euro 1.000 – calcolata sul valore degli elementi passivi indicati nella dichiarazione per effetto dell’emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti.
Per ciò che concerne il diverso reato di dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici ex art. 3 D. Lvo 74/2000, il Governo ha inteso elevare la soglia di rilevanza penale del fatto/tipico fissando ad un 1.500.000 di Euro l’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione per mezzo delle operazioni simulate ivi descritte – ferma restando l’alternativa applicabilità della diversa soglia del 5% computata sul rapporto tra i medesimi attivi sottratti all’imposizione e l’ammontare complessivo di quelli realmente indicati dal contribuente -.
Con riferimento al reato di cui all’art. 4 D. Lvo 74/2000 in materia di dichiarazione infedele la proposta di riforma è ancor più pregnante.
Infatti, la nuova formulazione del medesimo art. 4 D. Lvo 74/2000 prevedrebbe l’incremento da Euro 50.000 ad Euro 150.000 del valore dell’imposta evasa – ossia la soglia di punibilità prevista alla lettera a) del primo comma della norma – oltre all’aumento da 2 a 3 milioni di Euro della concorrente soglia di punibilità corrispondente all’ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all’imposizione.
Inoltre – e sempre in materia di dichiarazione infedele – vengono introdotte una serie di disposizioni ulteriori (dal comma 1-bis al comma 1-quinquies) aventi ad oggetto la disciplina di alcune ipotesi esimenti speciali (commi 1-quater e 1-quinquies), nonché di un’autonoma figura delittuosa (comma 1-ter) la cui condotta tipica – punita con la reclusione da uno a tre anni – consisterebbe nell’indicazione nella dichiarazione annuale di sostituto di imposta di un ammontare di compensi, interessi ed altre somme inferiori a quelle effettive, qualora l’ammontare delle ritenute non versate sia superiore ad Euro 50.000.
Con riferimento al delitto di omessa dichiarazione ex art. 5 D. Lvo 74/2000, sono invece previsti cospicui aumenti di pena – ossia la reclusione da un anno e sei mesi a quattro anni anziché da uno a tre anni – oltre ad un incremento della soglia di punibilità attualmente fissata in Euro 30.000 sul valore dell’imposta evasa.
Ancora, in relazione al delitto di emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ex art. 8 D. Lvo 74/2000, la riforma prevede l’introduzione di una soglia di punibilità fissata ad Euro 1.000 per ciascun periodo di imposta – corrispondente all’importo complessivo non rispondente al vero indicato nei suddetti documenti.
Ne risulta inasprito – invece – il trattamento sanzionatorio in materia di occultamento o distruzione di documenti contabili (art. 10 D. Lvo 74/2000) la cui cornice edittale viene portata ad un minimo di un anno e sei mesi ad un massimo di sei anni di reclusione.
Infine, per ciò che concerne i reati di omesso versamento di ritenute certificate (art. 10-bis D. Lvo 74/2000) ed omesso versamento I.V.A. (art. 10-ter D. Lvo 74/2000) – viene innalzata la soglia di non punibilità dei rispettivi fatti/tipici da Euro 50.000 ad Euro 150.000 -.
Tuttavia, è la previsione di un nuovo art. 19-bis al D. Lvo 74/2000, rubricato come “Causa di esclusione di punibilità”, che ha scatenato polemiche per i presunti risvolti favorevoli nei confronti dell’On. Silvio Berlusconi – in relazione alla sentenza definitiva sui diritti Mediaset – tali da imporre al Governo di rinviare l’approvazione finale del provvedimento in esame a data da destinarsi – previa adunanza del Consiglio dei Ministri onde provvedere alle opportune modifiche al testo della medesima norma o alla sua possibile eliminazione.
Ciò detto, il testo dell’art. 19-bis – che verrà certamente modificato – prevede l’esclusione della punibilità della condotta per i tutti reati/fiscali allorquando l’importo delle imposte sui redditi evase non sia superiore al 3% del reddito imponibile dichiarato, ovvero, l’importo dell’I.V.A. evasa non sia superiore al 3% dell’I.V.A. dichiarata.
Tale norma ha scatenato ingenti polemiche mediatiche per la presunta finalità – o effetto indesiderato – di favorire Silvio Berlusconi nella suddetta vicenda giudiziaria in materia tributaria.
Quest’ultimo, invero, è stato condannato a quattro anni di reclusione e a due anni di interdizione dai pubblici uffici per una frode fiscale inferiore al suddetto limite del 3% rispetto all’accertato reddito imponibile.
In effetti, il tenore letterale della norma – così come formulata ab origine – consentirebbe a Silvio Berlusconi di ottenere la revoca della sentenza di condanna e – per l’effetto – l’esclusione degli effetti a proprio carico conseguenti all’applicabilità della celeberrima Legge Severino, con particolare riferimento alla sanzione dell’incandidabilità di natura politica.
Di talché, la formulazione della norma in questione ha imposto al Governo di bloccare la definitiva approvazione del decreto legislativo sulla certezza dei rapporti tra fisco e contribuente.
Sembrerebbe che il Governo – onde ovviare all’errore di natura politica – debba compiere la seguente ed ardua scelta: provvedere alla cancellazione della suddetta norma, che introduce una franchigia per la commissione dei reati tributari corrispondente al 3% dell’evasione d’imposta, o mantenerla ad esclusione dei reati di frode, o meglio, di dichiarazioni fraudolente mediante atti simulatori o attraverso l’emissione di documenti falsi per operazioni inesistenti.
A parere di chi scrive, i risvolti politici della vicenda hanno distolto l’attenzione dalla reale problematica dell’ordinamento tributario italiano, ossia, la carenza di certezza e trasparenza dei rapporti giuridici tra fisco e contribuente, oltre all’impellente esigenza legislativa di contemperare – secondo un generale principio di proporzionalità – la legittima pretesa sanzionatoria delle condotte illecite alla reale gravità delle stesse ed alla portata lesiva ai danni dell’Amministrazione finanziaria.
A tal proposito, si evidenzia che – sulla base della delega conferita con la L. 23/2014 – il Governo era altresì chiamato ad un atteso intervento sulla disciplina del raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento fiscale in presenza della commissione di reati tributari ex D. Lvo 74/2000.
Sotto questo profilo, il Governo ha tuttavia perso una notevole occasione per regolare in modo più pregnante e certo la disciplina del raddoppio dei termini per l’accertamento tributario in ipotesi di violazioni fiscali contestualmente costituenti fatti/reato puniti dal D. Lvo 74/2000.
Infatti, nello schema di decreto legislativo di attuazione della legge delega viene disposta esclusivamente l’addizione agli artt. 43, III comma, D.P.R. 600/1973 e 57, III comma, D.P.R. 633/1972 – che prevedono il raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento fiscale in caso di violazioni fiscali che comportano l’obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 C.p.p. – della mera locuzione “il raddoppio opera a condizione che la denuncia sia presentata o trasmessa entro la scadenza ordinaria dei termini”.
E’ evidente che quest’ultimo intervento costituisce una riforma solo apparente e priva di un rilievo degno di nota – non assolvendo all’espressa finalità di rendere certi i rapporti tra Erario e contribuente anche mediante l’introduzione di una disciplina più rigorosa del complesso tema del raddoppio dei termini di decadenza per l’accertamento tributario nelle ipotesi in commento -.
E’ dunque inequivocabile come una strutturale e ponderata riforma del sistema fiscale italiano, unita all’agognata riforma della giustizia, costituiscano gli elementi cardine per rendere il nostro Paese più credibile e soprattutto appetibile agli investitori italiani ed esteri.
Si auspica pertanto che il Consiglio dei Ministri – chiamato a revisionare lo schema di decreto legislativo da approvare in via definitiva – non si limiti a formulare una mera modifica della soglia generale di esclusione della punibilità del 3% di cui al novello art. 19 bis D. Lvo 74/2000 (rapporto tra imposta evasa ed imponibile).
E’ invero opportuno che l’Esecutivo estenda i propositi di riforma – anche in una fase successiva con il coinvolgimento diretto del Parlamento – ad altri e ben più rilevanti profili tutt’ora oscuri, oltre che ingiustificatamente sbilanciati – del rapporto tra Fisco e Contribuente, quali, a titolo esemplificativo, la disciplina del raddoppio dei termini di decadenza dell’accertamento tributario, in uno alle fattispecie incriminatrici relative al mancato o parziale adempimento di obblighi fiscali a cagione del salvataggio dell’impresa in crisi o del mantenimento di adeguati livelli occupazionali.