Economia

Risk Management e Governance Quantitativa

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di Alessio Rombolotti 
(Twitter: alexrombolotti)

Nel mese di luglio del 1988 i governatori delle banche centrali del G-10, riuniti nel Basel Committee on Banking Supervision, siglarono un documento denominato International Convergence of Capital Measurement and capital Standards, comunemente conosciuto col nome di Basel Capital Accord. Quell’accordo non era solamente un documento di Risk Management ma piuttosto un indirizzo preciso di Governance nel quale metodi e obiettivi erano espressi in modo quantitativo.

Non è mia intenzione fare l’apologia di un accordo che, in una certa misura, ha contribuito alla bolla dei mutui sub-prime e che si pone l’obiettivo di controllare il rischio mantenendo una forte pro-ciclicità, una contraddizione che sta manifestando il suo effetto negativo in questi anni di crisi. Quell’accordo però rappresenta l’inizio della crescente importanza che il risk management e i metodi quantitativi stanno assumendo nella gestione delle imprese, finanziarie e non.

Quali sono gli spunti di riflessione che possiamo prendere dall’accordo di Basilea?

Prima di tutto, il ruolo che occupa la gestione del rischio nel più ampio tema della Governance. Gli organi di governo societario devono entrare nel merito delle dinamiche interne (rischio specifico) ed esterne all’impresa (rischio sistematico) che possono mettere in crisi il regolare svolgersi dell’attività seguendo una regola generale (da applicare con l’opportuna elasticità): il rischio specifico, anche chiamato idiosincratico, viene controllato e ridotto con operazioni di copertura, il rischio sistematico è invece contrastato dalla specifica struttura finanziaria e patrimoniale della società.

Un’altro elemento di interesse è l’utilizzo di strumenti matematici e statistici, i cosiddetti metodi quantitativi, allora una novità in un documento di governance ma assolutamente appropriati quando vogliamo fornire un indirizzo che sia privo di ambiguità e che stabilisca percorsi e obiettivi in modo rigoroso. Come spesso accade, sulla scia degli indicatori e delle funzioni statistiche adottate dal comitato di Basilea si è indirizzata una linea di ricerca che ha sviluppato gli strumenti e le metodologie e continua a produrre innovazioni nel campo del risk management quantitativo.

Una terza riflessione la possiamo spendere sul Capitale, considerato la principale barriera contro il rischio, sulla quale è focalizzata tutta la regolamentazione quantitativa dell’accordo di Basilea. La peculiarità del concetto di capitale adottato dalla regolamentazione di Basilea I, e in seguito mantenuta e sviluppata nei successivi documenti di Basilea II e III, è la definizione stessa di Capitale: il Regulatory Capital include le componenti del capitale che sono disponibili per assorbire le perdite di qualsiasi tipo e natura; queste componenti sono il capitale sociale e le riserve, riserve di rivalutazione, fondi rischi, strumenti ibridi di debito/capitale, strumenti di debito subordinato; questa composizione all’ epoca ha rappresentato una novità di vasta portata, una definizione nuova per una nuova funzione, in cui il capitale non è più definito in base alla provenienza ma piuttosto in base al ruolo assunto.

Vorrei concludere con l’auspicio di vedere un’organo italiano, magari l’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, prendere una posizione innovativa verso gli anglosassoni e produrre un principio contabile che tratti il rischio come una posta di bilancio delle attività.

Ringrazio Claudio Melillo per avermi dato l’opportunità di curare questa “Rubrica” del sito. Il mio intento è tenervi aggiornati sul tema del risk management, proporvi idee e promuovere l’interesse verso questa materia. Sarà mio privilegio farlo con passione e professionalità.