Tra fisco e criminalità
(a cura della Redazione)
I più nostalgici ricorderanno i tempi in cui ricerca di imponibili fiscali e repressione penale erano ritenute attività incompatibili e assolutamente non comunicanti, indifferenti l’una all’altra.
Negli ultimi anni, questi due mondi – fisco e criminalità – sembrano intrecciarsi e vivere di reciproche connessioni.
Oggi è opinione comune che pretesa fiscale e attività criminale non costituiscano più universi a sé stanti, ma generino, al contrario, una serie di causa-effetto, la cui analisi appare decisiva per le sorti della lotta ai fenomeni di base erosion.
In effetti l’evasione è una scommessa, dove la posta in palio è la ricchezza non versata al Fisco.
Il rischio, insito in ogni condotta evasiva, è quello di un controllo da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Per anni si è creduto che l’evasione potesse essere ridimensionata semplicemente incrementando il numero di controlli e di verifiche fiscali, in modo da aumentare il tasso di rischio che il criminale evasore si trova a fronteggiare.
In sostanza, più che combattere l’evasione si è scelto, più o meno consapevolmente, di scoraggiarla.
Peccato, però, che il caso italiano sembra negare questa relazione inversa “più controlli, meno evasione”.
Si impone – come più volte sottolineato nella presente Rubrica di ECONOMIAeDIRITTO – la necessità di un approccio assolutamente diverso al problema, in grado di analizzarlo da diverse prospettive e che porti ad elaborare strumenti di contrasto realmente efficaci.
Due quindi le metodologie di ricerca che devono guidare l’azione del criminologo tributario.
La prima consiste nell’analisi statistico-sociologica, con il fine di spiegare e interpretare lo sviluppo delle tendenze evasive. La seconda si propone di analizzare le cause individuali delle condotte di evasione, attraverso lo studio delle singole fattispecie di erosione dell’imponibile con particolare riguardo alle cause, interne all’azienda o di contesto, che hanno reso preferibile la particolare scelta evasiva.
Esiste, in effetti, un’inclinazione evasiva tout court (quando il potenziale evasore è mosso da un generale desiderio di sottrarsi, in tutto o in parte, al pagamento delle imposte dovute) ed una particolare predisposizione a talune condotte evasive piuttosto che ad altre (in questo senso la correlazione esistente tra struttura di una multinazionale e meccanismo evasivo posto in essere è un fatto, degno di approfondimento).
Insomma, siamo davvero ancora convinti che l’evasione sia solamente un problema di carattere fiscale?
Alcune contraddizioni sono alla base del nostro ordinamento: ad esempio, se è vero che il bilancio civilistico debba rappresentare in modo veritiero e corretto la situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale della società, non si comprende perché il reddito imponibile debba discostarsi, talora anche considerevolmente, dall’utile civilistico. Sarebbe forse auspicabile che il legislatore fiscale si basasse in futuro maggiormente sui dati provenienti dal bilancio come da codice civile.
Ma anche lo stravolgere i principi cardini del nostro sistema potrebbe rivelarsi riduttivo se non si fa dello studio dettagliato delle fenomenologie evasive ed elusive il punto di partenza di una concreta lotta ai fenomeni di base erosion.
Studiare le condotte del criminale evasore deve significare, innanzitutto, analizzarne tendenze e prospettive d’azione per individuare criticità negli attuali strumenti di contrasto e spazi di manovra per improntarne di nuovi. Data la rilevanza internazionale dei fenomeni da osservare, la ricerca si impone sotto tre profili: nazionale, sovranazionale e comparato.
Le nuove tendenze evasive ci consegnano scenari in cui delle persone fisiche si associano tra loro allo scopo di commettere delitti di frode fiscale, utilizzando le strutture societarie di una multinazionale per l’attuazione del disegno criminoso, nelle cui fasi esecutive anche il soggetto formalmente privo di cariche sociali può svolgere un ruolo attivo quale amministratore di fatto, assistendo e collaborando nella costruzione di operazioni di base erosion.
La moderna evasione fiscale internazionale trascende sempre più dalle formali investiture societarie, vivendo piuttosto di solide relazioni esterne di non facile ricostruzione investigativa.
Spesso i soggetti aderenti al disegno evasivo si ripartiscono i ruoli secondo uno schema costruito con precisi vincoli, rafforzati da legami familiari o da una consuetudine di rapporti lavorativi e di affari prolungati nel tempo.
Si badi che l’insieme dei potenziali tax payers può essere immaginato come un dato stabile solo per quanto attiene agli individui; lo stesso non si può affermare per le imprese che nascono e possono dissolversi o cambiare assetto ed organizzazione in breve tempo, il che complica l’osservabilità dei fenomeni evasivi o elusivi.
Sempre in tema di tendenze evasive, giova rappresentare che le violazioni tributarie di rilevanza penale, ad oggi, si pongono in essere soprattutto agendo sui prezzi di trasferimento tra società di un gruppo e localizzando in territorio estero entità giuridiche operanti in Italia, sotto forma di soggetti interposti o di società cd. esterovestite, al solo fine di beneficiare di un trattamento fiscale di favore e di evadere, quindi, le imposte in Italia.
Non sono infrequenti , con riguardo a tale ultima modalità di sottrazione di materia imponibile, casi di ricostruzione di fatti di frode fiscale da parte della Guardia di Finanza con l’avvalersi di poteri e strumenti di polizia giudiziaria, rimanendo invece prerogativa dell’attività di verifica fiscale il citato fenomeno del transfer pricing.
Legare determinate caratteristiche del soggetto (potenziale criminale evasore) osservato alle singole modalità di sottrazione di materia imponibile potrebbe divenire la mossa decisiva del Fisco: in altri termini, ipotizzare e dimostrare delle correlazioni tra determinati fattori e determinate fattispecie evasive o elusive.
Gli assetti organizzativi di cui una società può dotarsi sono molteplici: diverso sarà il tasso di rischio di frodi fiscali da associare a ciascuna scelta organizzativa.
Si pensi al reticolo di controlli interni che esiste in un’impresa media: consiglio di amministrazione, comitato controllo e rischi, amministratore o amministratori incaricato/i di sovrintendere al sistema di controllo interno, funzione di internal audit, collegio sindacale ecc. E’ abbastanza plausibile ritenere che maggiore sarà il flusso informativo generato tra i vari organi, minore sarà la propensione a condotte evasive; maggiore sarà il grado di aderenza a codici di autodisciplina e a forme riconosciute di best practice aziendale, più basso sarà il tasso di rischio di evasione; una relazione sembrerebbe ricavabile anche considerando il grado di sviluppo della funzione di fraud audit aziendale, e così via.
L’analisi delle politiche di corporate governance porterebbe ad elaborare nuovi modelli capaci di descrivere in che modo le scelte di organizzazione interna delle imprese incidono sulle scelte di evasione o elusione fiscale.
Peraltro, le reciproche interconnessioni tra i due mondi di cui si è detto in apertura, quello della pretesa fiscale e quello dell’attività criminale, è bene che vadano considerate anche sotto il profilo della repressione dei fenomeni di criminalità tributaria: occorrerebbe cioè implementare le connessioni tra strumenti di repressione di attività criminali (ad esempio, l’antiriciclaggio) e la ricostruzione di imponibili fiscalmente rilevanti.
Una cosa appare sicura: il problema non è più rappresentato dalle politiche fiscali che una società può adottare, ma dagli effetti di genetica criminale di tali politiche.