Diritto

Esercizio abusivo della professione di dottore commercialista: profili di responsabilità penale

(di Andrea Orabona e Giulia Piva)

Esercizio abusivo della professione di dottore commercialista: profili di responsabilità penale

La Suprema Corte di cassazione, con la recente sentenza n. 26617 del 24 maggio 2016, è nuovamente intervenuta in materia di esercizio abusivo della professione ex art. 348 C.p. che punisce “chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato” – per meglio delineare i profili di penale responsabilità riscontrabili in capo a soggetti non qualificati, ovvero, non abilitati allo svolgimento di una specifica attività professionale -.

In particolare, la Corte di legittimità ha ritenuto integrato il reato di cui all’art. 348 C.p. in caso di svolgimento di attività di consulenza fiscale e del lavoro ad opera di un soggetto privo del necessario titolo di studio ed abilitativo – così avallando l’orientamento delle Sezioni Unite Penali precedentemente reso con sentenza n. 11545 del 15 dicembre 2011 -.

Invero, la Suprema Corte di cassazione in seduta plenaria era già intervenuta nel tentativo di risolvere il contrasto giurisprudenziale sotteso alla configurabilità della fattispecie di esercizio abusivo della professione di ragioniere contabile – in caso di svolgimento di attività di tenuta della contabilità aziendale, redazione delle dichiarazioni fiscali ed effettuazione dei relativi pagamenti (ovvero, di atti non specificamente riservati agli esperti contabili) – laddove esercitate, in modo continuativo e

retribuito, da soggetti non iscritti al relativo Albo professionale custodito dall’Ordine di appartenenza.

Nello specifico, le Sezioni Unite della Suprema Corte di cassazione – pur escludendo, alla luce del dettato normativo ex D. Lgs n. 139/2005 (in materia di introduzione dell’Albo dei dottori commercialisti ed esperti contabili) le suddette attività di consulenza del lavoro e/o tributaria dal novero delle competenze esclusive degli esperti contabili – avevano comunque ritenuto integrato il reato di esercizio abusivo della professione in caso di svolgimento, vuoi continuativo vuoi organizzato vuoi retribuito, delle medesime attività anche ad opera di soggetti non qualificati.

Invero, la Suprema Corte in composizione plenaria aveva infatti pronunciato con sentenza – n. 11545/2011 – il seguente principio di diritto secondo cui configura la fattispecie p. e p. ex art. 348 C.p. “non solo il compimento senza titolo, anche se posto in essere occasionalmente e gratuitamente, di atti da ritenere attribuiti in via esclusiva ad una determinata professione, ma anche il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva, siano univocamente individuati come di competenza specifica di una data professione, allorchè lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e (almeno minimale) organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato”.

Pertanto, ed ancora a tutt’oggi, la recente sentenza n. 26617 del 24 maggio 2016, sulla scorta dell’unanime orientamento giurisprudenziale delle Sezioni Unite Penali, ha ritenuto integrato il reato p. e p. ex art. 348 C.p. – confermando la condanna nei confronti di un sedicente consulente del lavoro per lo svolgimento, in maniera professionale e continuativa, di plurimi atti univocamente riconducibili all’attività di esperto contabile, senza il necessario titolo abilitativo, ovvero, senza l’iscrizione al relativo Albo professionale di cui al D. Lgs n. 139/2005 -.

Da qui, la fattispecie di esercizio abusivo della professione ex art. 348 C.p. risulta sempre e comunque integrata dal compimento senza titolo anche di un solo atto (occasionale e gratuito) – laddove si tratti di attività specificamente riservate ad una determinata categoria professionale -.

Diversamente, la fattispecie delittuosa in commento potrà essere integrato dallo svolgimento – in modo continuativo, professionale ed oneroso – di plurimi atti di competenza non esclusiva, ma comunque univocamente riconducibili ad una determinata figura professionale, esercitati senza il necessario titolo di studio ed abilitativo dell’Ordine di appartenenza, non essendo sufficiente il compimento di un solo atto (occasionale e gratuito) da parte dell’operatore abusivo – suscettibile invero di escludere la penale responsabilità di cui all’art. 348 C.p. -.