I call center: stress e disagi psiocofisici dei lavoratori
di Sonia Cecchini
Il primo call center è nato trentacinque anni fa negli Stati Uniti. Nel 1968 un’associazione di consumatori fece ricorso per denunziare alcuni vizi che riguardavano un modello di auto Ford immesso sul mercato; un giudice federale ordinò alla casa automobilistica di istituire una linea telefonica gratuita per i reclami: venne attivato il primo numero verde contrassegnato dal prefisso che poi è divenuto il prefisso mondiale di tutti i numeri verdi. Il successo dell’iniziativa fu immediata, e portò tutti i clienti, che contattavano il numero verde a ottenere una risposta rapida e standardizzata.
Il caso Ford aprì la strada a tutte le grandi e medie aziende mondiali, chiamate a confrontarsi con i reclami dei clienti dopo la vendita di prodotti o servizi, che ben presto compresero che rispondere alle segnalazioni dei clienti non rappresentava solo un sistema per testare i prodotti immessi sul mercato per migliorare la produzione, ma anche un meccanismo per fidelizzare il cliente.
Negli anni settanta le tecnologie di comunicazione non consentirono un’efficace gestione dei flussi telefonici tale da garantire l’assistenza del cliente per tutto il ciclo di vita del prodotto; l’eccessiva promozione mediatica dei numeri verdi a fronte della debolezza tecnologica, provocò una scissione incapace di soddisfare gli utenti.
Negli anni ottanta fu immessa sul mercato una nuova soluzione: il distributore automatico di chiamate, [1]ACD, ideato negli USA. Si tratta di un centralino che riceve un numero infinito di chiamate e le smista in automatico al primo operatore libero; se nessuno degli operatori può rispondere, il distributore lascia in attesa l’utente, assegnandogli un ordine di priorità rispetto agli altri utenti. Tuttavia, con L’ACD sono sorti dei problemi sulle condizioni di lavoro degli operatori, che hanno denunciato le interferenze dovute allo stress e al rumore e l’isolamento dell’operatore, per ore dietro i pannelli fonoassorbenti e davanti al computer con le cuffie sulla testa.
Negli anni novanta la crescita della produzione informatica determinò il passaggio della funzione del call center da centro orientato ai reclami a centro di prevendita, assistenza e post vendita; inoltre Internet e la posta elettronica hanno favorito la presenza delle aziende nel mercato attraverso un proprio sito favorendo i contatti attuali e potenziali con i consumatori. Nasce una nuova forma di call center, definita “web enabled contact center”, un call center integrato con Internet; questo strumento si avvale di un software per la comunicazione telefonica definito VOIP, dove sulla stessa rete transitano dati elettronici scaricati dal pc e le voci dell’operatore e del cliente.
Uno dei presupposti del call center è la flessibilità del lavoro imposto e richiesto al lavoratore indipendentemente dal ruolo rivestito nell’azienda, risultando più forte nei call center in outsourcing.
L’organizzazione dei call center prevede la presenza di un direttore o manager che fissa gli obiettivi nei settori dell’azienda e che comunica con i supervisori, i quali riceveranno gratifiche economiche o premi al loro raggiungimento.
Ad un primo livello operano i team leader, che sono in genere operatori senior, ed è proprio in questa situazione che si realizzano vessazioni e violazione dei diritti.
Questa struttura piramidale a seguito della situazione sopra descritta, non può portare a un’azione di squadra, in quanto la ripetitività dei compiti, l’isolamento e la monotonia dei compiti, non crea spazi per la creatività, ma al contrario vincola l’operatore a svolgere compiti secondo protocolli imposti.
In questo contesto si manifesta l’insoddisfazione e il senso di inutilità percepita dall’operatore, che risulta essere l’ultimo anello debole della catena, ignaro degli obiettivi reali dell’attività; ma soprattutto emerge un isolamento culturale rispetto ai processi aziendali finalizzato a impedire il radicamento di una coscienza sindacale e dei diritti.
Le condizioni di lavoro nel call center sono caratterizzate da ritmi di lavoro tayloristici, dove porsi al servizio dei clienti esigenti, collaborare con spirito problem solving pone il lavoratore davanti a sfide ardue.
I nuovi rischi legali alla qualità del lavoro e dell’ambiente sono classificati in due fattori:
1. La natura della prestazione all’interno della quale s’inseriscono i fattori di stress psico-fisico come:
- Ripetitività dei compiti;
- Intensità dei ritmi di lavoro;
- Saturazione dei tempi ossia il rapporto tra i tempi di attesa e pausa e quelli effettivi di esecuzione dei compiti;
- Self control richiesto nella relazione con il cliente.
2. L’ambiente fisico di lavoro come:
- Qualità tecnologica della strumentazione audio-video;
- Ergonomia della postazione;
- Disturbi oculo-visivi dovuto all’impegno visivo statico e ravvicinato;
- Rumorosità dell’ambiente;
- Microclima e ventilazione dell’ambiente collegato al fatto che l’attività viene svolta spesso in locali open space;
- Confort legati a spazi di ristoro per poter effettuare le pause.
Secondo il sociologo [2]Sebastiano Bagnara i teleoperatori hanno perso la possibilità di controllare lo stress in quanto si trovano spesso in situazioni imprevedibili: infatti l’intensità del lavoro e del ritmo variano in relazione ai flussi di domanda di servizio; spesso nei call center è presente un display con i numeri di chiamate in attesa che costituiscono un’ulteriore fonte di pressione.
Inoltre Bagnara parla di stress qualitativo in riferimento alla gestione di clienti difficili, e la cattiva sopportazione dei controlli; il sociologo ritiene che per sanare questo malessere occorre puntare sulla formazione, sul knowledge management e quindi consegnare agli operatori un sapere che li mette in condizione di difendersi e di essere professionali.
Stephen Coscia è un importante manager e scrittore che ha alle spalle diciotto anni di esperienza nel Customer Care Management.
Ho avuto modo di contattarlo e di porgli delle domande per capire in concreto quali siano i segnali di stress nei call center, le fasi che caratterizzano lo stress e come poter gestire particolari situazioni con l’utente.
Mr. Coscia sostiene che ci sono tre verità sullo stress:
- Spesso lo stress non deriva da una situazione oggettiva ma è data dalla percezione che l’operatore ha dello stress;
- Un eccessivo stress porta a uno spreco di energia a meno che non si reagisca a fronte di una minaccia percepita;
- Gli esperti sostengono che il 95% delle reazioni di stress sono una risposta a banali situazioni invece che riferirsi a importanti eventi della vita;
L’attività nel customer care è impegnativa perché spesso ci si trova a gestire clienti irritati o esigenti e a volte l’operatore non riesce a focalizzare il problema perché colto di sorpresa; la conseguenza è una reazione istintiva che impatta negativamente sull’organismo e crea stress, a questo si aggiunge una gestione irresponsabile, infrastrutture carenti e ingiuste politiche delle risorse umane, che rendono l’attività dell’operatore poco stimolante e lo inducono all’aggressività e alla poca professionalità nei confronti dell’utente con il quale sta interloquendo.
Esistono quattro fasi di stress:
- Stabilità (stability) del comportamento in riferimento alla fase che precede il contatto telefonico tra operatore e utente;
- L’incontro (encounter) di una minaccia percepita rappresentata dalla situazione in cui l’utente è irato e l’operatore è impreparato e colto di sorpresa;
- Reazione (reaction) che spesso trova espressione in una reazione istintiva;
- Recupero (recover) della stabilità.
Per far fronte a queste situazioni occorre prepararsi assumendo un atteggiamento razionale, collaborativo e porre in essere un’azione costruttiva; inoltre una risposta positiva all’utente permette di aumentare l’autostima, l’autocontrollo.
In ultima analisi si possono identificare cinque chiavi comportamentali che l’operatore deve considerare (keys behavior):
- Effettuare delle pause, profondi respiri ed entrare nel “personaggio”;
- Rallentare il discorso e selezionare le parole con attenzione, ed inoltre promuovere un discorso costruttivo e attivandosi per una massima cooperazione;
- Lasciare che il cliente si sfoghi in modo da avere il tempo per raccontare la sua situazione, prendere nota e ascoltarlo attivamente;
- Pensare in modo razionale per ottenere un risultato e una risposta positiva e la capacità di controllo l’eventuale istintività;
- Avere un approccio proattivo e avere una buona preparazione.