I professionisti e l’IRAP
(di Debora Mirarchi)
Che il professionista sia soggetto passivo di imposta ai fini IRAP è pacifico.
Ciò non significa, però, che il professionista sia tenuto al pagamento dell’imposta in parola per il solo fatto di essere titolare di redditi di lavoro autonomo. Per l’effettiva assoggettabilità al tributo de quo occorre, altresì, la sussistenza del presupposto impositivo che, ai sensi dell’art. 2 del D.Lgs. n. 446/97, “è l’esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”.
Numerosi professionisti si sono chiesti, negli anni, se la loro attività si svolgesse con l’ausilio di una autonoma organizzazione e, nell’incertezza, in molti hanno scelto di adottare un comportamento prudenziale versando l’imposta salvo poi chiedere il rimborso all’Agenzia delle Entrate, ovviamente, invano.
La presente disamina non ha la pretesa di ripercorrere la copiosa giurisprudenza pronunciatasi sul punto ma quella, forse meno elevata, ma più utile e concreta a parere di chi scrive, di fornire spunti per poter affrontare un eventuale contenzioso con l’Amministrazione finanziaria.
1. Il presupposto dell’autonoma organizzazione ai fini IRAP
Al fine di delimitare il campo di applicazione dell’imposta de qua con riferimento ai redditi di lavoro autonomo occorre chiedersi, in primis, cosa si intende per attività autonomamente organizzata.
La Corte Costituzionale ha tentato di rispondere a questo interrogativo con la sentenza del 21 maggio 2001, n. 156 con cui ha affermato che se “l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui”.
La predetta sentenza pur non risolvendo il punto controverso, relativo alla definizione di autonoma organizzazione, ha però l’importante merito di aver scardinato il radicato convincimento secondo cui l’attività di lavoro autonomo presupponga, ipso iure, quella tipica struttura organizzata che costituisce il presupposto ai fini IRAP. Infatti, a seguito della sentenza della Corte Costituzionale, la successiva giurisprudenza di merito e delle Corti superiori ha sposato tale principio e rigettato l’automatica assoggettabilità all’IRAP del reddito di lavoro autonomo.
Ma, il merito di aver chiarito il concetto di autonoma organizzazione va non al Legislatore ma alla Corte di Cassazione ormai consolidatasi nel ritenere sussistente il presupposto dell’autonoma organizzazione quando il contribuente: “a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell’organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti le qualità che secondo l’«id quod plerunque accidit», costituiscono nell’attualità il minimo indispensabile per l’esercizio dell’attività anche in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui” (ex multius Cass. 27 febbraio 2013, n. 4923 – Cass. 24 maggio 2013 n. 12967 – Cass. 16 febbraio 2007, n. 3678).
Per i giudici di legittimità l’autonoma organizzazione, rilevante ai fine dell’applicazione dell’IRAP, deve, quindi, consistere “in un apparato esterno alla persona del professionista e distinto da lui”(Cass. 15 giugno 2010, n. 14379) in grado di garantire “un qualcosa di ulteriore e diverso rispetto a quella razionale autoorganizzazione che necessariamente accompagna qualunque attività professionale svolta abitualmente” (Cass., n. 22020/2013).
In conclusione non vi può essere autonoma organizzazione, secondo i giudici di legittimità, senza una struttura distinta dal professionista. Diversamente opinando e, quindi, ritenendo in ogni caso sussistente il presupposto impositivo ai fini IRAP per il solo fatto di produrre reddito di lavoro autonomo si frusterebbe la ratio stessa dell’imposta de qua che, come noto, “colpisce un reddito che contenga una parte aggiuntiva di profitto, derivante da una struttura organizzativa «esterna», cioè da un «complesso di fattori che, per numero, importanza e valore economico siano suscettibili di creare un valore aggiunto rispetto alla mera attività intellettuale supportata dagli strumenti indispensabili e di corredo al know-how del professionista” (Cass., n. 22020/2013).
Sulla definizione generale di autonoma organizzazione la Corte è chiara: il professionista non deve essere inserito in strutture riconducibili alla altrui responsabilità e deve svolgere la propria attività con l’ausilio di un insieme di strumenti che eccedono l’id quod plerunque accidit.
2. Come dimostrare all’Agenzia delle Entrate l’insussistenza dell’autonoma organizzazione?
Il professionista che omette il versamento dell’IRAP o che ne chiede il rimborso è tenuto a fornire prova negativa circa la sussistenza dell’autonoma organizzazione, in alcuni casi, tutt’altro che semplice (ex multius Cass. del 29 luglio 2009, n.17533).
Quanto al primo presupposto il titolare di redditi di lavoro autonomo deve dimostrare di non essere responsabile della struttura organizzativa. A tal proposito è utile produrre in sede di giudizio eventuali copie di fatture attive emesse dal professionista nei confronti del proprio committente al fine di dimostrare che i ricavi complessivi dello stesso derivano dall’attività prestata nei confronti del proprio cliente responsabile a cui sono attribuiti tutti gli incarichi. A nulla rileva che il professionista abbia un elevato volume d’affari per giustificare l’assoggettabilità all’IRAP. Diversamente opinando si giungerebbe a dare rilevanza a dati meramente quantitativi frustando la natura di imposta reale dell’IRAP che deve incidere sulla “capacità contributiva, impersonale, basata sulla capacità produttiva che deriva dalla combinazione di macchine, materiali ecc” (così Relazione al decreto istitutivo dell’imposta)
Le maggiori difficoltà si possono incontrare con riferimento alla prova che gli strumenti e i fattori utilizzati nello svolgimento dell’attività del professionista rientrino nel “minimo” indispensabile di dotazione organizzativa.
In tal caso può essere utile produrre in sede contenziosa copia delle dichiarazioni dei Modelli Unici al fine di sottolineare l’insussistenza di costi sostenuti per dipendenti.
Ma, occorre precisare, che l’inserimento di un dipendente nella struttura organizzativa del professionista non comporta assoggettabilità, tout court, all’imposta in parola.
Sul punto si è più volte pronunciata la giurisprudenza di legittimità, forse, in modo non del tutto risolutivo. Negli ultimi anni gli Ermellini, in alcune occasioni, hanno respinto “l’automatica sottopozione ad IRAP del lavoratore autonomo che disponga di un dipendente” (Cass., sent. 22020/2013) per poi, a distanza di pochi mesi, mitigare la propria posizione affermando che il professionista che si avvale part-time di una segretaria è tenuto al versamento dell’IRAP (Cass. n. 7609/2014).
Degna di nota è la sentenza n. 2520 del 5 febbraio 2014 della Corte di Cassazione con cui i giudici hanno affermato che il professionista che si avvale unicamente di praticanti per lo svolgimento della propria attività, non potrà definirsi autonomamente organizzato e, in quanto tale, non potrà essere assoggettato all’imposta regionale sulle attività produttive.
Altro importante aspetto da non sottovalutare per dimostrare l’insussistenza della autonoma organizzazione è la natura e la consistenza dei beni strumentali utilizzati dal professionista per lo svolgimento della propria attività. Sono considerati indispensabili e, pertanto, non integranti quel quid pluris rilevante ai fini IRAP strumenti quali fotocopiatrice, fax, pc, telefono cellulare e eventuale autovettura utilizzata ad uso promiscuo (Cass., n. 3674 e 3678 del 2007). Può costituire valido strumento di difesa contro eventuali pretese dell’Amministrazione finanziaria la produzione del libro cespiti con cui il professionista può dimostrare la natura e la tipologia di beni utilizzati. Sul punto meritevole di pregio è la sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto n. 36 del 26 marzo 2013 con cui i giudici di merito hanno affermato che non assume rilevanza alcuna l’eventuale elevato importo del “valore dei cespiti ammortizzabili e dei beni strumentali” nel caso in cui si tratti di “strumentazione senza la quale l’attività non potrebbe essere oggi efficacemente svolta: si tratta di strumentazione assolutamente necessaria”.