Il divieto di doppia imposizione
di Paolo Antonio Iacopino
Il divieto della doppia imposizione è un principio cardine del nostro sistema tributario, che serve ad evitare che lo stesso reddito venga tassato più volte.
Nella disciplina delle imposte dirette questo principio è regolamentato dall’art. 163 DPR 917/1986 (da adesso TUIR) secondo il quale “ La stessa imposta non può essere applicata più volte in dipendenza dello stesso presupposto, neppure nei confronti di soggetti diversi”. In base alla citata disposizione sono vietate la doppia imposizione giuridica ed economica.
La doppia imposizione giuridica si ha quando lo stesso reddito è tassato più volte nei confronti dello stesso soggetto. Pensiamo al caso di una società Italiana Alfa Spa che ha una stabile organizzazione in Francia: il reddito della stabile organizzazione deve essere dichiarato in Francia, paese in cui l’imponibile è prodotto, ed in Italia paese di residenza della società.
La doppia imposizione economica si ha quando lo stesso reddito è tassato più volte in capo a soggetti diversi. Si pensi, ad esempio, all’utile conseguito nell’esercizio d’impresa da una società di capitali e successivamente distribuito ai soci: il medesimo reddito concorre alla base imponibile della società nel momento in cui è prodotto ed alla base imponibile dei soci nel momento della distribuzione degli utili.
I casi di doppia imposizione conseguono alla circostanza che sullo stesso reddito sono applicabili i regimi impositivi di Stati diversi o più regimi dello stesso sistema impositivo.
La sovrapposizione del potere impositivo di Stati diversi si deve all’art. 3 del TUIR, secondo il quale i residenti sono tassati in ragione dei redditi ovunque prodotti, mentre i non residenti sono tassati per i soli redditi prodotti nel territorio dello Stato.
Di conseguenza, un residente che produce un reddito fuori dal territorio dello Stato, ad esempio in Francia, è comunque soggetto all’imposta nazionale.
È evidente che l’applicazione di questa regola determina una sovrapposizione tra il potere impositivo dello Stato di residenza (Italia) e dello Stato in cui viene prodotto il reddito (nell’esempio la Francia) detto Stato della fonte.
Le regole adottate dall’Italia per la tassazione dei residenti e dei non residenti sono comunemente utilizzate in quasi tutti gli altri Stati, per cui lo stesso problema di duplicazione dell’imposizione si ha quando un non residente produce un reddito in Italia.
In tale ipotesi i problemi di doppia imposizione possono essere risolti dagli Stati mediante la sottoscrizione di convenzioni contro le doppie imposizioni o unilateralmente dal singolo Stato.
I metodi utilizzati dalle convenzioni per eliminare la doppia imposizione sono il metodo dell’esenzione ed il metodo del credito d’imposta. Con il metodo dell’esenzione la potestà impositiva esclusiva viene riconosciuta ad un solo Stato, come accade, ad esempio, per i redditi immobiliari che, ai sensi dell’art. 6 del modello di convenzione OCSE, sono tassati esclusivamente nello Stato in cui si trova l’immobile.
Il metodo del credito d’imposta, invece, è volto ad eliminare gli effetti derivanti dall’esercizio, da parte di due Stati, della potestà impositiva sullo stesso reddito, come accade nel caso dei dividendi, degli interessi e dei canoni. Mediante il credito d’imposta lo Stato della residenza riconosce al proprio contribuente un credito per le imposte assolte nel Paese della fonte.
In tale ipotesi si parla di potestà impositiva concorrente, in quanto gli accordi convenzionali riconoscono allo Stato della fonte la possibilità di applicare sui redditi interessati un’aliquota impositiva ridotta, generalmente tra il 5% ed 15%. Ciò consente ai due Stati interessati di distribuirsi l’imposizione: lo Stato della fonte percepirà sul reddito l’aliquota convenzionale, mentre lo Stato della residenza percepirà l’imposta in misura pari alla differenza tra l’aliquota piena ed il credito d’imposta riconosciuto al residente.
In assenza di convenzione il sistema tributario italiano risolve unilateralmente il problema della doppia imposizione riconoscendo al residente un credito per le imposte assolte definitivamente all’estero, secondo quanto disposto dall’art. 165 TUIR.
Casi di doppia imposizione possono dipendere anche dall’applicazione delle regole interne al nostro sistema. L’esempio classico è l’utile delle società di capitali, che concorre alla determinazione del reddito d’impresa della società nel momento in cui viene prodotto e al reddito dei soci all’atto della distribuzione. Per evitare la doppia imposizione lo Stato ha previsto un regime di esenzione in favore dei soci sugli utili percepiti. L’esenzione per i soci persone giuridiche è del 95%, mentre per i soci persone fisiche è del 40%.
Da questa breve disamina è possibile sostenere che il divieto della doppia imposizione non viene risolto dall’art. 163 TUIR, che stabilisce un principio generale, ma dalle norme di sistema nazionali e convenzionali che regolano l’imposizione.
Tuttavia, analizzando attentamente la disciplina del reddito d’impresa emergono due ipotesi di doppia imposizione definitiva, per le quali manca una disposizione di sistema che ne elimini gli effetti.
Liberalità in natura
L’art. 85, comma 2, TUIR dispone che concorre alla formazione del reddito il valore normale dei beni assegnati ai soci o destinati a finalità estranee all’attività d’impresa.
Si pensi al caso della società Alfa spa che assegna alla propria controllante Beta spa un bene senza richiedere in cambio alcun corrispettivo: in questo caso il bene è chiaramente destinato a finalità estranee all’esercizio d’impresa dell’assegnante, poiché Alfa spa rinuncia all’utile derivante dalla cessione onerosa del bene assegnato gratuitamente in favore di Beta. Di conseguenza Alfa spa, ai sensi del citato art. 85 comma 2, dovrà far concorrere alla determinazione del reddito il valore normale del bene assegnato gratuitamente.
L’art. 88, comma 3 lett. b), TUIR dispone che sono considerate sopravvenienze attive i proventi in denaro o in natura conseguiti a titolo di liberalità. Secondo questa norma l’assegnatario di una liberalità in natura, come nel caso dell’assegnazione gratuita di un bene, deve far concorrere alla determinazione del proprio reddito il valore normale del bene ricevuto gratuitamente.
Con riferimento all’esempio sopra citato, risulterà pertanto che l’assegnante il bene Alfa spa (ai sensi dell’art. 85 comma 2 TUIR) e l’assegnatario Beta spa (ai sensi dell’art. 88 comma 3 lett. b TUIR) dovranno entrambe far concorrere alla determinazione del proprio reddito il valore normale del bene rispettivamente assegnato e ricevuto gratuitamente.
Ne consegue che l’imposta sullo stesso reddito sarà applicata, in dipendenza dello stesso presupposto, nei confronti di due soggetti diversi, nonostante il disposto dell’art. 163 TUIR.
Tassazione delle Controlled Foreign Companies
L’art. 167 TUIR dispone che i soggetti IRES, una persona fisica o una società di persone che controllano, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, una società o altro ente localizzati in uno dei territori indicati nel Decreto Ministeriale del 21 novembre 2001 (c.d. Black list) dovranno tassare per trasparenza in Italia il reddito prodotto dalla controllata. L’obbligo della tassazione per trasparenza potrà essere evitato se il controllante nazionale dimostra che:
ü Il soggetto controllato svolge una effettiva attività industriale o commerciale nel mercato dello Stato o territorio di insediamento. Per le attività bancarie, finanziarie e assicurative quest’ultima condizione è soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento (Art. 167 comma 5 lett. a del TUIR – prima esimente);
ü Dalle partecipazioni non si consegue l’effetto di localizzare il reddito in Stati a bassa fiscalità (Art. 167comma 5 lett. B del TUIR – seconda esimente).
Con la prima esimente il legislatore richiede che la società estera sia effettivamente radicata nello Stato a bassa fiscalità e che la presenza in detto Stato non abbia la sola finalità di ridurre la tassazione dei redditi prodotti. Sarà compito del residente dimostare che la controllata si approvvigioni ed effettui la cessione dei beni o la prestazione dei servizi presso il mercato locale di riferimento. Con la dimostrazione della prima esimente il soggetto controllante residente dovrà comunque tassare i dividendi percepiti in misura piena.
La seconda esimente è soddisfatta quando si dimostra che i redditi conseguiti dall’impresa estera sono prodotti in misura non inferiore al 75% e tassati in Stati diversi da quelli a fiscalità privilegiata (ad esempio tramite stabili organizzazioni). In questo caso i dividendi distribuiti dalla controllata verrano tassati dalla controllante residente nella misura del 5% (Art. 89 comma 3 del TUIR).
La differente modalità di tassazione dei dividendi nelle due ipotesi citate consegue a ragioni di ordine sistematico, che si rinvengono nel disposto dell’art. 89 TUIR, secondo il quale il 95% degli utili che sono stati tassati con aliquota piena può usufruire dell’esenzione dalla tassazione.
Nel caso della prima esimente l’esenzione non spetta poichè, nonostante la disapplicazione, il reddito della CFC viene comunque tassato in uno Stato a bassa fiscalità. Nella ipotesi della seconda esimente l’esenzione della tassazione dei dividendi spetta poichè il reddito della controllata estera è tassato per più del 75% in uno Stato a regime fiscale non agevolato.
Qualora non venga riconosciuta la sussistenza delle esimenti invocate dal contribuente residente, il reddito della CFC da tassare per trasparenza deve essere rideterminato secondo le norme del reddito d’impresa domestico ed è assoggettato, in proporzione alla quota di possesso, a tassazione separata con l’aliquota media applicata sul reddito complessivo del soggetto residente, che comunque non può essere inferiore al 27%. Gli utili distribuiti dai soggetti non residenti non concorrono alla formazione del reddito dei residenti fino all’ammontare del reddito assoggettato separatamente a tassazione. Dall’imposta dovuta sono ammesse in deduzione le eventuali imposte definitive pagate dalla CFC.
Dopo questa breve premessa, confrontiamo le due seguenti ipotesi.
Ipotesi 1
La società Alfa LTD, con sede legale nelle Isole Vergini Britanniche, nell’esercizio 2012 ha conseguito ricavi per prestazioni di servizi per un ammontare pari a 100 ed ha sostenuto costi per 50, conseguendo un utile di 50 sul quale ha assolto imposte per 5. Nello stesso esercizio la società Alfa LTD ha, inoltre, distribuito alla controllante Italiana Beta SPA dividendi per 50. La controllante nazionale non è in grado di dimostrare nessuna delle esimenti richieste dall’art. 167 TUIR per disapplicare la relativa disciplina, di conseguenza dovrà dichiarare per trasparenza in Italia il reddito prodotto dalla CFC. In questo caso i dividendi non dovranno concorrere alla determinazione del reddito della controllante fino all’ammontare dell’imponibile dichiarato per trasparenza. Ciò al fine di evitare una doppia imposizione sullo stesso reddito: la prima volta sugli utili di impresa tassati per trasparenza, la seconda volta sui dividendi al momento della distribuzione.
Ipotesi 2
La società Gamma LTD, con sede legale nelle Isole Vergini Britanniche, nell’esercizio 2012 ha conseguito ricavi per prestazioni di servizi per un ammontare pari a 100, ed ha sostenuto costi per 50, conseguendo un utile di 50 e pagando imposte per 5. Nello stesso esercizio ha, inoltre, distribuito alla controllante Italiana Beta SPA dividendi per 50. La controllante nazionale ha dimostrato all’Amministrazione Finanziaria la prima delle esimenti richieste dall’art. 167 TUIR per disapplicare la relativa disciplina. Pertanto, alla determinazione del reddito della controllante Italiana concorreranno i dividendi ricevuti nell’esercizio d’imposta dalla controllata, che saranno tassati in misura piena senza poter usufruire di alcuna esenzione.
Dall’analisi delle tabelle riepilogative emerge con chiarezza che la doppia imposizione viene definitivamente eliminata nel caso in cui la disciplina CFC non venga disapplicata (ipotesi 1).
Viceversa, nell’ipotesi in cui la disciplina CFC venga disapplicata, il contribuente Italiano dovrà tassare definitivamente i dividendi senza portare in diminuzione dall’imposta Italiana il carico tributario sostenuto dalla CFC.
La norma innanzi commentata fa naturalmente riferimento solo ad una delle fattispecie previste dall’art. 167 del TUIR (quella relativa ai paradisi fiscali); per le ulteriori ipotesi si rimanda a futuri approfondimenti.