Conformazioni dell’offerta sui mercati d’arte contemporanea – seconda parte
(di Marco Guenzi)
Dopo aver analizzato il mercato dell’art service e quello dell’art stock per quanto riguarda la produzione di nuove opere, in questo articolo si andrà a studiare l’offerta sul mercato secondario, cioè quello delle opere già in circolazione. Per completare l’argomento si prenderà in esame un importante aspetto dell’offerta, e cioè che il meccanismo di fissazione dei prezzi è tale per cui questi sono liberi di crescere, ma non di scendere, fenomeno (tra l’altro tipico anche dei salari) denominato in economia “viscosità verso il basso”.
Offerta potenziale e offerta effettiva
Nel caso dell’arte contemporanea, dove si presume l’artista sia ancora vivente, viene a crearsi una concorrenza tra l’offerta di opere appena prodotte (o rimaste invendute) messe in vendita sul mercato primario attraverso il circuito delle gallerie e quella di opere acquistate dai collezionisti, mercanti d’arte o investitori istituzionali e da questi successivamente messe in vendita sul mercato secondario.[1]
Cosa determina quindi l’importanza di un mercato rispetto all’altro? Per rispondere alla domanda bisogna distinguere innanzitutto tra offerta potenziale e offerta effettiva.
L’offerta potenziale (qui indicata con ) fa capo allo stock accumulato (quindi prodotto in passato dagli artisti), parte del quale tuttavia non è in vendita, poiché ad esempio fa parte integrante di una collezione di un privato o di un museo, o perché semplicemente è finita accatastata nel deposito di una galleria o nello studio dello stesso artista. Tale componente, sebbene sia molto consistente, non influenza direttamente il mercato, se non nel momento in cui i diversi proprietari dello stock dovessero decidere di metterlo in vendita. La consistenza dell’offerta potenziale per il singolo artista varia notevolmente in corrispondenza delle diverse fasi della sua carriera. Essa infatti tende costantemente a crescere con l’avanzamento dell’età, fino a fermarsi in corrispondenza della sua scomparsa.[2]
Un altro fattore che influenza il livello dello stock potenziale è il limite cui le opere sono soggette nel tempo, dovuto per alcune di esse alla natura immateriale delle opere d’arte (si pensi ad esempio alle performance); per altre al decadimento fisico cui esse sono soggette naturalmente[3]; per alcune infine alla loro distruzione[4].
L’ammontare dello stock potenziale sul mercato è inoltre ampliato per via del fenomeno della falsificazione delle opere. I falsi infatti, principalmente nel caso di artisti molto noti, costituiscono una importante porzione del mercato complessivo, che si sviluppa in genere dopo la loro scomparsa[5]. Da citare è anche il caso delle repliche, ricreate dagli stessi artisti per aumentare la produzione dei periodi rappresentativi (e più quotati), spesso accompagnate dalla pratica illecita della retrodatazione[6].
Infine la recente introduzione della stampa 3D può potenzialmente rappresentare un’invenzione rivoluzionaria, in grado di stravolgere il mercato, tenendo conto che le copie ottenute con tale tecnologia diventano riproduzioni perfette, impossibili da distinguere ad occhio nudo, e quindi il concetto di originale diventa del tutto labile.[7]
Se l’offerta potenziale coincide con il numero di opere esistenti, l’offerta effettiva (S) invece corrisponde al numero di opere messe effettivamente in vendita sul mercato. Si è precedentemente analizzata tale offerta sul mercato primario. Risulta ora interessante prendere in esame l’offerta effettiva sul mercato secondario, poiché essa influisce direttamente sul livello dei prezzi e risulta essere in concorrenza con il mercato primario.
L’offerta sul mercato secondario
Ha senso parlare di offerta effettiva sul mercato secondario solo per quegli artisti contemporanei per i quali esiste una domanda importante, dovuta al fatto che essi hanno conseguito una certa fama durante la loro carriera e le cui opere sono considerate quindi “liquide”, in quanto richieste dal mercato. L’offerta del mercato secondario poi si sostituisce in toto a quella del mercato primario una volta che l’artista di fama decede o decide di smettere la propria produzione. Per gli artisti invece nelle prime fasi della carriera (“non quotati”) il mercato secondario risulta essere marginale.
Sul mercato secondario si riscontrano diversi soggetti offerenti: non si tratta più delle gallerie che vendono le opere per conto degli artisti, o degli artisti stessi che vendono senza intermediazione, ma sono i collezionisti, i mercanti d’arte e gli investitori istituzionali ad offrire le opere, precedentemente acquistate. Sulla carta a questi soggetti bisognerebbe aggiungere la categoria dei musei. Essi, tuttavia, solo raramente vendono le opere acquisite.[8]
I collezionisti, da parte loro, in genere vendono sia nel caso in cui essi non ritengono più loro di gradimento un’opera (in corrispondenza quindi di un cambiamento personale o collettivo del gusto), sia quando essi devono fare cassa in ottica di operare nuovi investimenti. Motivo meno frequente, ma comunque rilevante, è il sopraggiungere di eventi sporadici (come le tre “D”: death, divorce e debt, cioè in caso di successione, divisione dei beni e di liquidazione fallimentare) che spesso comportano l’alienazione di opere dalla collezione.
I mercanti d’arte e gli investitori istituzionali invece legano la loro attività di vendita a scopi prettamente speculativi, per cui la determinante dell’offerta diventa l’aspettativa che si crea sull’andamento delle quotazioni dei diversi artisti, in relazione ai rendimenti delle attività di investimento alternative.
Come i soggetti offerenti, anche i meccanismi di formazione dei prezzi sono diversi e seguono logiche differenti. Due risultano essere di base le forme di contrattazione sul mercato secondario: la contrattazione privata e la vendita all’asta (nelle sue varie forme). La contrattazione privata in genere fa capo a due soggetti che entrano in contatto tra loro per opera di un mediatore, che segue la trattativa e funge da facilitatore. Come si è visto, essendo in causa solo due parti, il prezzo di vendita della contrattazione (huggling), è in genere più basso rispetto a quello all’asta, e corrisponde al prezzo di riserva del singolo compratore. Nella trattativa all’asta invece, condotta per mezzo di un auctioneer, vi sono molteplici possibili acquirenti e quindi il prezzo di aggiudicazione risulta essere mediamente più alto (nell’asta all’inglese esso risulta di poco superiore al secondo miglior prezzo di riserva tra gli astanti[9]). Ma forse la più grande differenza tra le due forme di contrattazione è che nella prima, secondo un accordo tra le parti, il prezzo è in genere tenuto privato, mentre nella seconda (se si escludono forme d’asta particolari come quelle in busta chiusa) il prezzo di aggiudicazione è sotto gli occhi di tutti.
Poiché sul mercato primario le vendite sono quasi esclusivamente eseguite tramite trattative private, le relative valutazioni delle opere risultano essere ufficiose. Si può quindi dire che i prezzi battuti all’asta sono l’unico sicuro (sebbene non sempre affidabile[10]) indicatore del valore delle opere sul mercato.
Sul mercato secondario, come pure su quello primario, risulta quindi esserci un grave problema di indeterminazione del valore intrinseco delle opere, essendo i prezzi dichiarati non veritieri dell’andamento del mercato. Soltanto gli addetti ai lavori, e cioè chi vende (galleristi, mercanti e case d’asta) hanno il polso sulla reale evoluzione della domanda, e usano queste informazioni confidenziali per speculare nella loro attività di compravendita.[11]
Questa premessa serve a sottolineare il fatto che la curva di offerta sul mercato secondario risulta variabile nel tempo. Come meglio si avrà modo di analizzare, in periodi di forte crescita del mercato (o meglio in presenza di bolle speculative), il fattore determinante dell’offerta diventa l’aspettativa di crescita dei prezzi. Poiché, in presenza di quest’ultima, nessuno vorrà vendere (se si escludono situazioni di necessità o di fattori contingenti, come nell’incorrere delle “tre D” o di manovre speculative per monetizzare l’alto livello delle quotazioni), l’offerta nel suo complesso tenderà a diminuire e a diventare più rigida spostando la relativa curva verso sinistra e inclinandola verticalmente (da S’ a S’’, si veda la figura 1).
Quando tuttavia scoppierà la bolla speculativa e si avrà un cambiamento nel paradigma dominante del gusto, si assisterà a un’ondata di vendite, sia perché le opere non saranno più alla moda, sia per limitare le perdite.[12] La curva di offerta del mercato secondario quindi tenderà a crescere considerevolmente spostandosi verso destra e a diventare più elastica, inclinandosi orizzontalmente (da S’’ a S’, vedere sempre la figura 1).
Il tasso di vacanza
Se si considera la carriera di un artista è possibile rilevare che agli esordi egli avrà una grande percentuale di sue opere rimaste invendute. Con il progredire della carriera questa percentuale tenderà a diminuire, sebbene possa essere soggetta nel breve periodo a fluttuazioni derivanti dall’andamento del mercato. E’ possibile denominare tale percentuale, che esprime il rapporto tra offerta effettiva e offerta potenziale (cioè la quota dello stock messa sul mercato sul suo totale), come tasso di vacanza delle opere (art-works vacancy rate).
Poiché, come si avrà modo di analizzare a breve, i prezzi delle opere d’arte risultano essere viscosi verso il basso, un eccesso di offerta sul mercato non si traduce in una immediata discesa delle quotazioni dell’artista, ma piuttosto in un aumento del suo vacancy rate. Per questo motivo è possibile affermare che questo tasso è il primo indicatore sul quale si riflette un cambiamento delle condizioni di mercato, prima ancora che esse agiscano sul livello dei prezzi. L’andamento del vacancy rate a livello di mercato, cioè espressivo di tutti gli artisti che ne fanno parte, risulta quindi predittivo dei cicli economici e culturali dell’arte.
In realtà è molto difficile analizzare il vacancy rate per i diversi mercati dell’arte, perché il settore risulta essere torbido dal punto di vista informativo e quindi mancano dati che ne riflettano il reale andamento (o, come nel caso del settore high-end, essi risultano essere manipolati e conseguentemente non veritieri). Chi poi è seppur parzialmente al corrente di quello che sta succedendo, si guarda dal comunicare ad altri le informazioni in suo possesso[13].
Esiste tuttavia un pratico modo per avere polso del mercato, e cioè quello di esprimere una misura del tasso di vacanza su scala temporale. Infatti, se si esprime il vacancy rate come variazione percentuale del tempo medio impiegato per vendere un’opera, tale tasso può essere utilizzato come indice previsionale che esprime la liquidità. Se infatti i tempi di vendita aumentano significa che si è in presenza di una flessione della domanda. Se tale fenomeno, che potrebbe avere natura congiunturale, si protrae significativamente nel tempo, significa che, come meglio si avrà modo di studiare, l’artista o il mercato potrebbero essere sopravvalutati e di conseguenza potrebbe insorgere il rischio che si sia creata una bolla speculativa pronta a scoppiare.
Un attento analista, oltre a saper valutare il vacancy rate, deve poi saper riconoscere quei segnali di dissimulazione dei prezzi da parte delle gallerie e delle case d’asta, che tendono a determinare una rigidità verso il basso delle quotazioni degli artisti. Di tale argomento ci si occuperà ora.
La viscosità verso il basso della curva di offerta
Come ultimo punto dell’analisi in corso, ma non per questo meno importante, si vuole evidenziare una particolarità della curva di offerta, e cioè che essa tende, come si è già anticipato, ad essere viscosa nei suoi spostamenti verso il basso[14]. La spiegazione di questo fenomeno risiede nel fatto che i prezzi ufficiali di vendita di un artista (ovvero le sue quotazioni), alla stessa stregua dei salari dei lavoratori, raramente tendono a scendere. Il prezzo delle opere di un artista infatti costituisce un indicatore simbolico della sua appetibilità da parte del mercato. Un abbassamento delle sue quotazioni verrebbe a determinare una perdita di fiducia dei collezionisti nei suoi confronti e in ultima analisi la compromissione della sua carriera. Nelle fasce più basse del mercato, come si è visto, una discesa dei prezzi significa una percezione di minore qualità delle opere da parte dei collezionisti e quindi una minore domanda. Le gallerie sanno bene quindi che le quotazioni devono aumentare in maniera continuativa nel tempo e per questo cercano di farle crescere in maniera sostenibile, in relazione ad una corrispondente crescita della domanda (time driven strategy)[15].
Nel caso la domanda dovesse rivelarsi insufficiente a sostenere un determinato livello dei prezzi raggiunto, le gallerie e gli stake-holder tendono a ricorrere a collaudati stratagemmi per camuffare (per quanto possibile) la discesa dei prezzi. Le gallerie possono da una parte decidere, in attesa di tempi migliori, di aspettare a vendere le opere dell’artista, accumulandole nei propri depositi. Un altro metodo è quello di mettere in vendita solo le opere di maggiore qualità, o di grandi dimensioni maggiori, o che utilizzano tecniche più pregiate, che in genere hanno quotazioni più alte[16]. Le gallerie poi possono camuffare i prezzi concedendo sconti sui prezzi di listino non solo ai clienti maggiori ma anche a quelli nuovi e minori, tenendo poi segreti i prezzi effettivi di vendita. Un ulteriore stratagemma è quello di proporre all’artista di cambiare completamente genere di lavori e tecnica, così da dover applicare criteri di valutazione del tutto nuovi. Infine la galleria può consigliare all’artista stesso di trovarsene una nuova, così da poter ristrutturare i prezzi in maniera meno evidente.[17]
Non sono solo le gallerie, i cui prezzi non sono mai ufficiali, ma ufficiosi, a sostenere in maniera artificiale le quotazioni degli artisti, ma, anche le stesse case d’asta, benché esse operino sotto la luce del sole. I prezzi battuti infatti risultano spesso più alti dei valori di equilibrio del mercato, non solo perché durante le aste le auction houses fanno leva sui sentimenti di rimpianto e competizione dei collezionisti, ma piuttosto perché esse offrono ai venditori prezzi di vendita garantiti (detti “di riserva”) particolarmente appetibili, che tengono ovviamente segreti, e ai compratori commissioni ridotte e eventuali prestiti a tasso zero.[18] A volte la casa d’aste per raggiungere il prezzo di riserva prefissato procede a praticare rilanci fasulli (i cosiddetti “chandeliers bid”, così chiamati perché il banditore rilancia puntando ad un fantomatico lampadario), con il rischio (calcolato) che l’opera possa essere riacquistata internamente. Inoltre nell’attività di sostegno dei prezzi risulta fondamentale il ruolo dei “garanti esterni” (in genere altre case d’aste, mercanti d’arte o collezionisti con interessi coincidenti), che, in cambio di commissioni elargite dalla stessa casa d’aste, si impegnano a rilanciare sul prezzo finale di acquisto.”[19] Inoltre nel caso evidente di un calo della domanda, e conseguente forte rischio di invenduto, le case d’asta preferiscono consigliare ai propri clienti di aspettare per un lasso di tempo indeterminato, finché il mercato non si riprende, piuttosto che lucrare su improbabili commissioni e mettere a repentaglio la propria immagine[20].
Per le fasce superiori del mercato un ulteriore fattore che può in parte spiegare il fenomeno della viscosità verso il basso dei prezzi dell’arte contemporanea è legato al fatto che su tale mercato, al contrario di quanto avviene in quello azionario, non vi è la possibilità di vendere allo scoperto (short selling) e quindi di speculare sui ribassi. L’unico modo di lucrare sugli investimenti in arte è allora quello di vedere aumentare di valore nel tempo il capitale investito, in relazione alla crescita delle quotazioni degli artisti tenuti in portafoglio.
Conclusioni
Si è finora illustrato un modello di funzionamento del mercato dell’arte contemporanea, passando in esame domanda e offerta. Manca adesso all’appello lo studio della struttura stessa del mercato nei suoi singoli segmenti, dal punto di vista di un’analisi, sia della concorrenza, sia dei meccanismi di formazione dell’equilibrio (sempre che si riesca a raggiungere), sia delle imperfezioni che ne condizionano un efficiente andamento, nonché delle dinamiche che determinano i cicli economici dell’arte, ovvero di come si aggiustino i prezzi in relazione a variazioni della domanda e dell’offerta: argomenti per la cui trattazione si rimanda ai prossimi numeri.
Note
[1] Come si è già visto, il mercato secondario esiste solo per i settori più avanzati della carriera, cioè per quegli artisti che acquistano una fama tale da essere rivendibili (liquidi). In genere questo mercato si crea in corrispondenza della vendita delle opere dell’artista all’asta, che funge da riferimento per la fissazione dei prezzi relativi alle successive transazioni private.
[2] In realtà ciò paradossalmente non sempre è vero, specie per gli artisti di maggiore fama, poiché esiste collateralmente un grosso mercato dei falsi, che continua ad operare anche dopo che questi sono deceduti. Si veda poi.
[3] Molti artisti (come Joseph Beuys, Damien Hirst, Rirkrit Tiravanija e tanti altri) per loro scelta hanno utilizzato e utilizzano materiali (in genere di natura organica) che decadono nel tempo. Famoso è il caso dell’opera “The Physical Impossibility of Death in the Mind of Someone Living”, raffigurante uno squalo imbalsamato contenuto in una teca riempita di soluzione di formaldeide, prodotta nel 1991 dall’artista inglese Damien Hirst, che fu acquistata per 12 milioni di dollari da un collezionista. Nel 2004, il materiale organico ha cominciato a decomporsi. In seguito alle lamentele del collezionista, l’artista si ha quindi deciso di sostituire gratuitamente l’opera con una replica (Thomson D. (2009), Lo squalo da 12 milioni di dollari: la bizzarra e sorprendente economia dell’arte contemporanea, Milano, Mondadori). L’artista Felix Gonzalez-Torrez crea invece come opere degli enormi cumuli di caramelle, che il pubblico è libero di prendere e che quindi si scompaiono progressivamente (Negri-Clementi G. –Stabile S. (2014) (A cura di),”Opere d’arte effimere: conservazione e restauro tra tecnica e diritti dell’autore”, Art and Law, Studio Legale Associato Negri-Clementi, n. 3).
[4] Sono diversi i motivi che possono portare alla distruzione di opere d’arte: il volere dell’artista (si ricorda ad es. il caso dello scultore svizzero Jean Tinguely che costruiva macchine autodistruggenti), la mancanza di valore economico, i disastri naturali, i motivi ideologici, le guerre, .. Secondo il nostro ordinamento la distruzione volontaria di opere d’arte (altrui) costituisce un illecito penale (cfr. Benini S. (2014), “I reati in materia di beni culturali”, in D’angelo N. (2014) (a cura di), Reati e abusi edilizi, Maggioli Editore, Santarcangelo di Romagna).
[5] I falsi vengono eseguiti da specialisti del mestiere, in genere su commissione, e corredati da falsi certificati di autenticità. I migliori falsi non sono riproduzioni dei lavori esistenti, ma piuttosto opere completamente nuove eseguite sulla falsariga di quelle già note per un artista. Non stupisce quindi la stima che su dieci Pollock ce ne sia in realtà solo uno autentico (cfr. Thomson D. (2009), Op. Cit.)
Il mercato post-mortem dei falsi viene in genere controllato dagli eredi dell’artista e dalle fondazioni che ne curano gli interessi, attraverso la pubblicazione di cataloghi che ne descrivono la produzione completa e l’emissione di certificati di autenticità. Tuttavia in alcuni casi la falsificazione può andare nella direzione di favorire lo sviluppo del mercato dell’artista. Può succedere infatti che il numero di opere prodotto in vita dall’artista sia limitato rispetto alla sua fama e alla domanda da parte di collezionisti e musei (come nel caso di Manzoni la cui esigua produzione è conseguenza della sua prematura scomparsa). Poiché tende a sanare un’offerta asfittica e determina che l’artista possa finire in collezioni importanti, il fenomeno dei falsi a volte può quindi trovare il bene placet degli eredi e delle fondazioni (G.C. Negri-Clementi – S. Stabile (2014) (a cura di), I falsi di opere d’arte nel diritto italiano, Art and Law, Studio Legale Associato Negri-Clementi, n.2).
[6] Si ricorda ad esempio il pittore Giorgio de Chirico che produsse in tarda età molteplici repliche dei suoi capolavori del periodo metafisico (Candela G.- Scorcu A.(2004), Economia delle arti, Zanichelli, Bologna).
[7] Si pensi ad esempio che il museo Van Gogh di Amsterdam ha recentemente messo in vendita copie identiche dei capolavori dell’artista, o meglio dei veri e propri “cloni”, ottenuti con tecnologia digitale (Reliefography), a 22.000 Euro ciascuna (Mastrolilli F. (2013), “La stampa in 3D di opere d’arte”, Art and Law, Studio Legale Associato Negri-Clementi, n. 11).
[8] Ciò è dovuto alle politiche dei musei che raramente si disfano di opere acquisite, anche se, con il passare degli anni, queste dovessero rivelarsi di scarso valore culturale. Essi preferiscono piuttosto conservarle nei propri depositi e, qualora qualche altra istituzione ne facesse richiesta, cederle in prestito o in contropartita di altre opere. Per questo motivo quando nell’aggiudicazione di un opera incorrono i musei la competizione si fa più agguerrita: i possibili acquirenti sanno che un capolavoro finito nelle mani di un museo è un capolavoro tolto dal mercato (Thomson D. (2009), Op. Cit.)
[9] Infatti il prezzo battuto continuerà a salire finché esso sarà inferiore al secondo prezzo di riserva degli offerenti. Quando la competizione sarà tra due soli astanti, si aggiudicherà l’asta colui che farà un’offerta superiore al prezzo di riserva del concorrente. Talvolta l’ultima offerta va ben oltre il prezzo di riserva del concorrente e si avvicina al prezzo di riserva del maggior offerente (fenomeno chiamato dagli economisti winner’s curse: cfr. Thaler, R.H. (1992), The Winner’s Curse: Paradoxes and Anomalies of Economic Life, Princeton University Press, Princeton). Bisogna tuttavia pensare che a volte all’asta vengono fatte offerte con il solo intento di far alzare le quotazioni dell’artista (le cosiddette “chandeliers bids”, si veda poi) e quindi il prezzo di aggiudicazione potrà in realtà essere ancora maggiore.
[10] Si veda poi.
[11] E’ interessante osservare che, mentre il mercato dell’arte risulta non essere assolutamente regolamentato da un punto di vista informativo, i mercati finanziari vietano l’utilizzo di informazioni confidenziali per lucrare sull’attività di contrattazione (esso è punito come reato: l’insider-trading), nonché la diffusione di informazioni false e tendenziose al fine di influenzare l’andamento stesso del mercato (l’aggiotaggio).
[12] Tale ondata di vendite non interesserà naturalmente i capolavori e gli artisti di talento autentico, che, come il vino buono, invecchiando acquisiscono valore.
[13] Si noti a riguardo la differenza con i mercati finanziari, caratterizzati da un livello di efficienza informativa ben superiore, in cui l’andamento del mercato è di pubblico dominio (cfr. Guenzi (2014), “Efficienza dell’investimento in arte contemporanea”, Economia e Diritto, n. 8).
[14] Cfr. Velthuis O. (2005), Talking Prices: Symbolic Meanings of Prices on the Market for Contemporary Art, Princeton University Press, Princeton.
[15] Questa strategia è quella normalmente impiegata al giorno d’oggi dalle gallerie, memori degli effetti delle campagne di marketing intese alla sola massimizzazione dei prezzi nel breve che hanno portato alla formazione negli anni ottanta di bolle speculative che hanno stroncato la carriera ad artisti come il tedesco Julian Schnabel (Velthuis O. (2005), Op. Cit.).
[16] Il calcolo del valore di un opera in base alle dimensioni e la tecnica è pratica spesso utilizzata dalle gallerie. In Italia e in altri paesi, ad esempio, si applica nel caso dei dipinti il cosiddetto “parametro dell’artista”, indice del livello raggiunto dalle sue quotazioni, moltiplicandolo per dieci volte la somma in centimetri dei lati dell’opera. Un quadro di parametro “2” e dimensioni 80X120 cm. varrà 4.000 Euro (Candela G.- Scorcu A.(2004), Op. Cit.).
[17] Nel caso di artisti contemporanei già deceduti, sono le relative fondazioni che hanno il potere di controllare il livello dei prezzi attraverso una politica di restrizione dell’offerta. Questa viene effettuata negando la concessione di certificati di autenticità delle opere ai collezionisti (specie a quelli meno influenti). Cfr. Negri-Clementi G. –Stabile S. (2014) (A cura di),”I certificati di autenticità”, Art and Law, Studio Legale Associato Negri-Clementi, n. 2).
[18] Lewis B. (2009),The Great Contemporary Art Bubble, BBC (DVD), Londra.
[19] Thomson D. (2009), Op. Cit..
[20] Horovitz N. (2011), Art of the Deal, Contemporary Art in a Global Financial Market, Princeton University Press, Princeton.