Exit Tax nella Corte di Giustia Europea: la causa National Grid Ingus BV
di Alessandro Blatti
«Il trasferimento all’estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali, che comporti la perdita della residenza ai fini delle imposte sui redditi, costituisce realizzo al valore normale, dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale, salvo che gli stessi non siano confluiti in una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato. La stessa disposizione si applica se successivamente i componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti. Si considerano in ogni caso realizzate, al valore normale, le plusvalenze relative alle stabili organizzazioni all’estero.»
Così dispone il comma 1 dell’art. 166 del TUIR, rubricato: «Trasferimento all’estero della residenza».
Secondo quanto previsto, al verificarsi del suddetto evento (i.e. il trasferimento all’estero della residenza), il TUIR dispone il criterio della realizzazione, al valore normale, dei valori dei componenti dell’azienda o del complesso aziendale.
Tuttavia, lo stesso articolo 166 prevede un distinguo che permette di applicare il principio della neutralità fiscale qualora, a seguito del trasferimento all’estero, resti comunque in Italia una stabile organizzazione. Tale previsione consente da un lato di evitare che si realizzino delle plusvalenze, dall’altro permette allo Stato Italiano di conservare la propria potestà impositiva sulle plusvalenze latenti legate ai valori degli asset aziendali che si sono realizzati nello Stato. Infatti, sempre il comma 1 dell’articolo 166 prevede nuovamente l’adozione del “criterio del realizzo” al valore normale nei casi in cui i «componenti confluiti nella stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato ne vengano distolti.»
La previsione impositiva appena descritta prende anche il nome di «exit tax».
I temi e le problematiche legate a questa forma di realizzo sono per certi aspetti simili a quelli delle operazioni straordinarie transfrontaliere e hanno ingenerato in molti dubbi relativi alla compatibilità con il Diritto Europeo.
In primis, l’AIDC (Associazione Italiana Dottori Commercialisti di Milano) nel 2009 aveva presentato denuncia alla Commissione Europea mettendo in luce come una siffatta normativa potesse contrastare con il principio della libertà di stabilimento ex art. 49 TFUE.
Invero, è stato osservato che la norma non realizza una discriminazione tale da impedire la mobilità e quindi la libertà di stabilimento (nel nostro caso potremmo parlare di “libertà di trasferimento”).
E’ altrettanto vero che la Corte di Giustizia Europea (di seguito anche CGUE), nella causa C-196/04, ha affermato che le disposizioni del Trattato relative alla libertà di stabilimento vietano in egual modo che lo Stato di origine intralci lo stabilimento in un altro Stato membro attraverso la propria legislazione, anche se queste disposizioni, alla lettera, intendono specificamente assicurare il beneficio del trattamento nazionale nello Stato di stabilimento (sul punto vedi causa C-264/96, punto 21 e causa C-446/03, punto 31).
L’ordinamento italiano non è l’unico, a livello europeo, a prevedere la tassazione delle plusvalenze nelle ipotesi di trasferimento all’estero della residenza dei soggetti che esercitano imprese commerciali.
La CGUE, anche di recente (vedi C- 64/11), ha più volte avuto modo di analizzare il tema.
La causa sicuramente più importante che ha tracciato un solco netto in materia è stata la C-371/10 National Grid Indus BV (di seguito anche “National Grid Indus”).
La causa vedeva coinvolta la National Grid Indus BV, società a responsabilità limitata di diritto olandese che, pur avendo trasferito la propria sede amministrativa effettiva nel Regno Unito, sulla base del diritto olandese continuava a essere considerata società di diritto olandese.
Infatti, l’art. 16 della Wet op de inkomstenbelasting 1964 (legge olandese sull’imposta sul reddito del 1964) stabilisce che gli utili societari non ancora rilevati vengono imputati al profitto dell’anno di calendario in cui colui in nome del quale viene esercitata l’impresa cessa di percepire un utile imponibile nei Paesi Bassi (cosiddetta “imposta di liquidazione finale”). Questo momento rappresenta un momento fittizio di realizzo delle riserve tacite e dell’avviamento dell’impresa.
Pertanto, la disciplina domestica olandese è alquanto simile all’art. 166 TUIR.
La Corte e l’Avvocato Generale Juliane Kokott per esaminare in punto di diritto la questione ripercorrono la giurisprudenza della Corte.
In particolare, nel paragrafo 27 della sentenza, la Corte, in piena armonia con le conclusioni dell’Avvocato Generale, enuncia che: «uno Stato membro dispone della facoltà di definire sia il criterio di collegamento richiesto ad una società affinché essa possa ritenersi costituita ai sensi del suo diritto nazionale e, a tale titolo, possa beneficiare del diritto di stabilimento, sia quello necessario per continuare a mantenere detto status (sentenza Cartesio, cit., punto 110). Uno Stato membro ha pertanto la possibilità di imporre ad una società costituita in forza del suo ordinamento giuridico restrizioni al trasferimento della sede amministrativa effettiva di quest’ultima al di fuori del suo territorio affinché tale società possa conservare la personalità giuridica di cui beneficia in base al diritto di questo stesso Stato membro (sentenza Überseering, cit., paragrafo 70).»
Tuttavia, nel paragrafo 30 la Corte ha modo di chiarire che: «La facoltà di cui al punto 27 della presente sentenza non implica tuttavia in alcun modo che le regole del Trattato relative alla libertà di stabilimento non si applichino alla legislazione nazionale in materia di costituzione e di scioglimento delle società (v. sentenza Cartesio, cit., paragrafo 112).»
Successivamente, nel paragrafo 37 viene esaminata la comparazione per la verifica dell’esistenza di una eventuale discriminazione rispetto ad una società che mantenga la propria residenza all’interno dei Paesi bassi.
Richiamando le sentenze de Lasteyrie du Saillant, paragrafo 46, e N, paragrafo 35, la Corte afferma che: “Tale disparità di trattamento relativa alla tassazione delle plusvalenze è tale da scoraggiare una società di diritto olandese dal trasferire la propria residenza in un altro Stato membro”.
Nel paragrafo 42 la CGUE ha l’occasione di ricordare una nutrita giurisprudenza che legittima l’esistenza di restrizione alla libertà di stabilimento qualora questa sia giustificata da motivi imperativi di interesse generale. «Anche in tale ipotesi, però, la sua applicazione dovrebbe essere idonea a garantire il conseguimento dello scopo in tal modo perseguito e non eccedere quanto necessario per raggiungerlo (sentenze 13 dicembre 2005, causa C‑446/03, Marks & Spencer, Racc. pag. I‑10837, punto 35; 12 settembre 2006, causa C‑196/04, Cadbury Schweppes e Cadbury Schweppes Overseas, Racc. pag. I‑7995, punto 47; 13 marzo 2007, causa C‑524/04, Test Claimants in the Thin Cap Group Litigation, Racc. pag. I‑2107, punto 64, nonché 18 giugno 2009, causa C‑303/07, Aberdeen Property Fininvest Alpha, Racc. pag. I‑5145, punto 57).»
L’Avvocato Generale prima (al paragrafo 46) e la Corte dopo (al paragrafo 45) ricordano l’esistenza di un consolidato orientamento di matrice giurisprudenziale in cui viene riconosciuta la validità di una giustificazione fondata sull’esigenza di ripartire un equilibrato potere impositivo come restrizione all’esercizio delle libertà fondamentali ( in tal senso, sentenze Marks & Spencer, cit., paragrafo 45; N, cit., paragrafo 42; 18 luglio 2007, causa C‑231/05, Oy AA, Racc. pag. I‑6373, paragrafo 51, nonché 15 maggio 2008, causa C‑414/06, Lidl Belgium, Racc. pag. I‑3601, paragrafo 31).
Inoltre, viene ricordato che: «da una giurisprudenza costante risulta che, in mancanza di disposizioni di unificazione o di armonizzazione adottate dall’Unione, gli Stati membri rimangono competenti a definire, in via convenzionale o unilaterale, i criteri di ripartizione del loro potere impositivo, in particolare, al fine di eliminare le doppie imposizioni (sentenza 19 novembre 2009, causa C‑540/07, Commissione/Italia, Racc. pag. I‑10983, punto 29 e giurisprudenza citata).»
Pertanto, conclude la Corte al paragrafo 48: «Alla luce di tali elementi, una normativa come quella di cui alla causa principale è idonea ad assicurare il mantenimento della ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri interessati.»
La Corte, tuttavia, non esaurisce qui la sua argomentazione ma muove oltre esaminando anche i profili relativi al momento di esigibilità dell’imposta sulla plusvalenza “realizzata”.
Infatti, nel paragrafo 73 viene individuata nella possibilità di optare per il differimento della tassazione la misura che «pur assicurando la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri, sarebbe meno contraria alla libertà di stabilimento rispetto alla misura di cui alla causa principale.»
Infine i Giudici rimarcano anche l’esistenza della Direttiva 55/2008 (Direttiva sull’assistenza reciproca in materia di recupero dei crediti risultanti da taluni contributi dazi imposte ed altre misure) – in particolare gli articoli 5‑9 – che consente alle autorità dello Stato membro di provenienza un ambito di cooperazione e di assistenza che permette loro di riscuotere effettivamente il credito fiscale nello Stato membro ospitante.
Il caso appena descritto ci offre lo spunto per analizzare la disciplina italiana in merito alla c.d. exit tax.
Infatti, secondo i giudici della CGUE una disciplina che preveda la tassazione di plusvalenze latenti non ancora realizzate al momento del trasferimento della residenza all’estero dei soggetti che esercitano imprese commerciali può essere considerata ammissibile nel quadro europeo qualora consenta la possibilità per il soggetto passivo di optare per il rinvio del prelievo.
Il legislatore italiano, con il D.L. 1/2012, ha tempestivamente preso atto della necessità di conformarsi all’ordinamento europeo per evitare procedure di infrazione e ha inserito il comma 2-quater all’interno dell’articolo 166.
Con tale modifica è stato prevista, all’interno del dettato previgente, la possibilità di optare per la sospensione della tassazione qualora si trasferisca la residenza in uno Stato appartenente alla UE o aderente all’Accordo sullo Spazio economico europeo con il quale l’Italia abbia stipulato un accordo sulla reciproca assistenza in materia di riscossione dei crediti tributari “comparabile a quella assicurata dalla Direttiva 2010/24/UE del Consiglio, del 16 marzo 2010.”
Concludendo brevemente possiamo osservare che la Corte di Giustizia Europea è rimasta sensibile al tema della ripartizione del potere impositivo tra Stati membri garantendo in tal modo, seppur con il limite previsto del differimento del momento dell’imposizione, da una lato la possibilità degli Stati di assoggettare a tassazione plusvalenze latenti realizzatesi in quello Stato, dall’altro la possibilità per il contribuente di differire il momento del realizzo. In tutto ciò viene fatta salva la libertà di stabilimento.
Inoltre, sotto un profilo prettamente domestico va segnalata la presa di coscienza da parte del legislatore italiano che è intervenuto nell’adeguare la propria normativa in un’ottica di coerenza con il sistema europeo, arrivando anche a citare all’interno del dispositivo dell’articolo la sentenza stessa.
In effetti, nel momento in cui il quadro europeo permette (prima con la Direttiva 55/2008, adesso con la Direttiva 24/2010) a monte agli Stati membri di non perdere “potere impositivo” (o, più volgarmente, gettito) attraverso l’adozione di strumenti idonei ad assicurarlo anche quando il contribuente si trasferisca all’estero si realizza un’unanimità di vedute tale per cui gli interessi delle singole parti in gioco non risultano essere in contrasto.