Il corrispettivo incassato prima del 2006 per la cessione della clientela di uno studio professionale è un “reddito diverso”
(di Marco Cardillo)
L’art.36 co. 29 lett. b) del D.L. 233/2006 (cd. decreto Bersani), ha introdotto una modificata all’art. 54 del D.P.R. 917/86 “Determinazione del reddito di lavoro autonomo” al comma 1 quater, che così statuisce: “concorrono a formare il reddito i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale”.
Tale riforma è stata inserita nel Titolo III del Decreto Bersani, il quale richiama le misure in materia di contrasto all’evasione ed elusione fiscale e di recupero della base imponibile; proprio per il richiamo al recupero della base imponibile, alcuni autori hanno interpretato che prima della suindicata riforma i corrispettivi per la cessione della clientela fossero redditi esenti, mentre l’interpretazione maggioritaria considerava tale corrispettivo, fino alla riforma introdotta dal Decreto Bersani, come reddito diverso ai sensi dell’art. 67, comma I lett. l) del D.P.R. 917/86.
Risulta opportuno ricordare che:
1. Il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, al Titolo 1 Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche, art. 1 recita: presupposto dell’imposta sul reddito delle persone fisiche è il possesso di redditi in denaro o in natura rientranti nelle categorie indicate nell’art.6;
2. all’art. 6, co. 1 del predetto T.U.I.R., si legge: i singoli redditi sono classificati nelle seguenti categorie:
a. redditi fondiari;
b. redditi di capitale;
c. redditi di lavoro dipendente;
d. redditi di lavoro autonomo;
e. redditi di impresa;
f. redditi diversi.
3. Proprio nella categoria dei redditi diversi di cui alla precedente lettera f., sono da ricondurre i corrispettivi ricevuti dalla cessione della clientela, infatti l’art. 67, comma I lett. l) del D.P.R. 917/86, stabilisce che fanno parte di redditi diversi i redditi derivanti dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere.
In questi giorni, la Cassazione Civile – Sez. V, Ord. con sentenza del 06-02-2019, n. 3400 ha confermato che il corrispettivo ricevuto per la cessione della clientela era da ricondurre ai redditi diversi ai sensi dell’art. 67 TUIR.
In particolare il contribuente denunciava “la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. l), nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la ricorrente lamentava che la CTR abbia incluso fra i redditi diversi i proventi derivanti dalla cessione della sua attività professionale, che ne andavano invece esclusi, come confermato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 29, che, disciplinando per la prima volta la fattispecie, ha inserito i corrispettivi per la cessione della clientela tra i redditi riferibili all’attività professionale, aggiungendo il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 54, comma 1 quater”.
Altresì, il contribuente deduceva la violazione a falsa applicazione dell’art. 23 della Costituzione per aver ritenuto tassabile un provento pur in assenza di una disposizione normativa che lo prevedesse.
La Suprema Corte ha chiarito che è stato introdotto dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36, comma 29 un regime di tassazione specifico per i corrispettivi di tali cessioni, modificando il TUIR all’art. 54, comma 1 quater, che nel disciplinare il reddito da lavoro autonomo, così espressamente recita “concorrono a formare il reddito (di lavoro autonomo) i corrispettivi percepiti a seguito di cessione della clientela o di elementi immateriali comunque riferibili all’attività artistica o professionale“. In presenza di una cessione avvenuta ante 2006, e quindi non soggetta temporalmente a tale normativa innovativa, l’Agenzia delle Entrate aveva comunque sottoposto a tassazione il provento dell’operazione economica riconducendolo ad un reddito diverso D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 67, comma 1, in quanto “non conseguito nell’esercizio di arti o professioni“, e rientrante nella lett. l) che ricomprende “i redditi derivanti da attività di lavoro autonomo non esercitate abitualmente o dalla assunzione di obblighi di fare, non fare o permettere“. Conseguentemente, la correttezza della motivazione va dunque verificata in riferimento esclusivo a tale disposizione.
L’art. 67 cit., all’incipit del comma 1, esclude in termini generali dalla qualificazione come redditi diversi solo quelli che siano conseguiti nell’esercizio dell’attività professionale, e non tutti quelli che trovino occasione o comunque origine in tale attività, per cui va ritenuto che il provento della cessione dell’attività professionale, in quanto non costituisce il corrispettivo di una specifica prestazione professionale resa ad un cliente, non rientri nell’esenzione, e che la norma ben possa essere applicata per sottoporre a tassazione detto provento in presenza delle altre condizioni ivi previste.
Ai sensi della lett. l) suindicata sono, tuttavia, redditi diversi tassabili esclusivamente quelli derivanti dall’assunzione di un obbligo di fare, non fare o permettere, e non, complessivamente, tutti quelli derivanti dalla cessione di attività imprenditoriale in forma di impresa, che ontologicamente ricomprende una pluralità di elementi materiali ed immateriali.
La Suprema Corte di Cassazione ha concluso che il corrispettivo ricevuto per la cessione della clientela debba essere tassato quale “reddito diverso” ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, comma 1, lett. l).
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