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Le spese nel giudizio tributario: evoluzione normativa e dibattito giurisprudenziale sulle compensazioni delle spese di lite

La presente opera, dopo aver introdotto le norme vigenti in tema di spese nel contenzioso tributario ed aver riportato le relative modifiche legislative che si sono susseguite anche in sede civile, ripercorre le posizioni della giurisprudenza sulla motivazione  della compensazione delle spese del processo tributario sino alle novelle del Legislatore tra il 2014 ed il 2015.

In seguito si citano gli orientamenti giurisprudenziali dominanti riguardanti  il potere del giudice di procedere alla compensazioni anche in altri casi e sulla necessità di motivare in ogni caso detto potere.

In data 06.04.2021 la Commissione Tributaria Regionale per il Lazio, Sezione/Collegio 2, ha deliberato la sentenza n. 1787 che è tornata a far luce sulla delicata questione della ripartizione delle spese tra le parti nel giudizio tributario.

Detta pronuncia ha ribadito un orientamento già consolidato, secondo cui la ripartizione delle spese del giudizio, operata dalle Commissioni tributarie al termine dello stesso, deve essere motivata in maniera corretta e puntuale e non riferirsi genericamente alla complessità della causa.

Si veda, sul punto, la nota n.1.

Tuttavia si è giunti a tale approdo giurisprudenziale dopo vari interventi sulle norme concernenti le spese del processo tributario e diverse posizioni assunte dalla Corte di Cassazione, quale giudice di diritto e di terzo grado nel contenzioso tributario ex articolo 62 del decreto legislativo n. 546/92.

Esaminiamo in primis le norme sulle spese nel giudizio tributario, che sono contenute nel decreto legislativo appena menzionato.

L’articolo 1, comma 2, del medesimo decreto stabilisce che le Commissioni tributarie applicano, in aggiunta alle norme del medesimo decreto anche le norme del codice di procedura civile; anche per quanto riguarda le spese si applicano i principi stabiliti dal codice di rito.

L’articolo 15 del decreto legislativo n. 546/92, più volte novellato come vedremo in seguito, e’ dedicato alle spese del giudizio tributario.

Quest’ultime sono regolate dal principio di diritto processuale della soccombenza di cui all’articolo 91 c.p.c:  il giudice condanna la parte sconfitta in giudizio a rimborsare le spese alla parte vittoriosa.

L’articolo  15 del decreto legislativo n. 546/92 nella sua originaria formulazione statuiva al primo comma che la parte perdente al termine della lite fosse tenuta a rimborsare le spese alla controparte vittoriosa, così come liquidate nella sentenza ; lo stesso disposto normativo disponeva inoltre che i giudici tributari potessero compensare le spese a norma dell’ articolo 92 del codice di procedura civile.

In seguito, il medesimo articolo 15 e’ stato oggetto di ben otto novelle legislative.

Si veda, per un ulteriore approfondimento sul punto, la nota n.2.

L’ultima modifica a tale  disposto normativo è stata apportata dal decreto legislativo n. 156/2015; tra  le novità vi è il riferimento all’applicazione dell’articolo 96, commi 1-3 c.p.c  e alle spese processuali nel caso di liti in cui sia stato proposto reclamo, istanza di mediazione e di conciliazione giudiziale.

Oggi il novellato articolo 15 del decreto legislativo n. 546/92 comprende i commi 1, 2, e dal comma 2bis al 2octies.

Il primo comma sancisce che il soccombente deve rimborsare le spese della lite alla controparte vittoriosa e il comma seguente prescrive che i giudici tributari possono compensare le spese tra le parti, oltre nei casi di reciproca soccombenza, solo quando sussistano gravi ed eccezionali ragioni comunque da motivare.

Al pari del giudizio civile, anche all’esito del contenzioso tributario possiamo avere una sola parte soccombente ( il ricorrente, l’amministrazione finanziaria, un ente impositore  o l’agente della riscossione) oppure entrambe le parti, ricorrente e resistenti,  possono essere parzialmente soccombenti.

Parte della dottrina sostiene che occorre guardare alla soddisfazione dell’interesse dedotto in giudizio. In tal modo “ è soccombente solo la parte che si vede negare dal giudice alcuni dei provvedimenti richiesti mentre l’amministrazione è soccombente quando veda solo anche in parte intaccato il proprio atto”.

Si veda nella bibliografia la nota n.3.

Dopo aver esaminato i principi e le norme che statuiscono sulle spese nel giudizio tributario, entriamo nel vivo del dibattito giurisprudenziale che ha riguardato la Sezione Tributaria della Suprema Corte sul dovere del giudice di motivare la compensazione delle spese tra le parti della lite, prima che il comma 2  del novellato  articolo 15 del decreto legislativo n. 546/ 92 chiarisse ogni dubbio in proposito.

All’interno della Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, sorta nel 2000 per decidere in terzo grado i ricorsi in materia tributaria, si sono affrontati tre orientamenti contrastanti.

In un primo orientamento giurisprudenziale, inaugurato dalla sentenza n. 137/2005, la Sezione Tributaria della Suprema Corte sosteneva che il giudice non fosse mai tenuto a motivare le ragioni alla base della compensazione delle spese di lite tra le parti.

Sul punto si legga la nota n.4.

Un secondo indirizzo riteneva che il giudice dovesse indicare i motivi solo in alcuni casi.

Infatti, nella sentenza n. 23285/2004, la quinta sezione della corte di legittimità affermava che la compensazione non potesse essere sorretta da ragioni palesemente illogiche.

Un ulteriore indirizzo giurisprudenziale riteneva che il giudice tributario fosse sempre tenuto ad indicare i motivi alla base della compensazione delle spese tra le parti del processo, pena la nullità della decisione impugnata per difetto assoluto di motivazione  ( C. Cass., Sez. Trib.,sent. n. 2505/2004  e n. 8028/2005 ).

Per un ulteriore approfondimento, si legga anche in tal caso la nota n.4.

Tale ultimo orientamento suggeriva le modifiche legislative che interessavano le norme sulla compensazione delle spese nel giudizio ordinario di cognizione.

La legge n. 263/2005 introduceva, a partire dal 1 Marzo 2006, l’obbligo per il giudice civile di indicare i motivi della compensazione e poneva così fine al contrasto sorto all’interno della Suprema Corte relativamente al giudizio instaurato in sede civile.

In seguito l’articolo 45, comma 11, della l. 69 del 18 Giugno 2009, ritornava sul secondo comma dell’articolo 92 del codice di rito, e stabiliva che il giudice potesse compensare le spese non solo in caso di soccombenza reciproca, ma anche qualora egli ravvisasse “ altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente da indicare nella motivazione”, eliminando l’inciso degli “ altri e giustificati motivi”, sempre riportati nella motivazione.

La legge n. 162/2014 apportava l’ultima modifica al secondo comma dell’articolo 92 del codice di procedura civile.

Detto comma ora dispone che il giudice ( civile e anche tributario, in virtù del richiamo di cui all’articolo 1, comma 2 del decreto legislativo n. 546/92 ) può compensare le spese, in tutto o in parte, in caso di soccombenza reciproca e quando la questione trattata abbia il carattere di assoluta novità o vi sia stato sulla medesima questione un mutamento della giurisprudenza.

Sul novellato articolo 92 comma 2 c.p.c. le pronunce della giurisprudenza hanno dato vita a due  orientamenti prevalenti: il primo tende ad estendere i casi di compensazione ed il secondo assegna la giusta rilevanza alla motivazione alla base del potere di compensare le spese di lite.

In merito alla prima questione è intervenuta anche la Corte Costituzionale.

Essa,  nella sentenza n.77 del 2018 dichiarava il secondo comma dell’art. 92 c.p.c. in contrasto con gli artt. 3, comma 1, 24 comma 1 e 111, comma 1 della Costituzione.

Secondo il Giudice delle Leggi il comma 2 dell’art. 92 c.p.c. era illegittimo nella parte in cui  non prevedesse che il giudice potesse compensare le spese tra le parti anche quando vi fossero altre gravi ed eccezionali ragioni.

In seguito si è sviluppato un indirizzo della giurisprudenza di legittimità che riteneva essenziale definire nella motivazione della sentenza gli aspetti alla base delle “gravi ed eccezionali ragioni” ex art. 92, comma 2, c.p.c. ( Cass., Sezione VI Civile, ordinanza n. 4871/2017  e Cass., Sezione III Civile, sentenza n. 12867/2017; in senso conforme la recentissima  Cass., Sez. VI Civile , ordinanza n. 15989/ 2020).

Una diversa  pronuncia ravvisava il vizio della violazione di legge nell’ipotesi in cui le ragioni, alla base della compensazione, si mostrassero erronee o prive di logica ( Cass. sez. VI Civile  sent. n. 23059/2018).

Può dirsi quindi che la giurisprudenza dominante concorda in pieno con le modifiche apportate   all’articolo 92 c.p.c. sulla necessità, nel contenzioso  civile e tributario, della motivazione alla base del potere del giudice di compensare tra le parti le spese della lite al di fuori dei casi di soccombenza reciproca.

Concludendo, la sentenza n. 1787 emessa della Commissione Tributaria della Regione Lazio in data 06.04.2021, da cui ha preso spunto la presente disamina, ha applicato correttamente le norme sulle spese come novellate e ha recepito il recente insegnamento della giurisprudenza di legittimità.

Quindi, le gravi ed eccezionali ragioni che sono alla base della compensazione delle spese di lite devono, anche nel contenzioso tributario, fare riferimento a specifiche circostanze o in aspetti della controversia che devono essere indicati nella motivazione della decisione finale, e non possono nè  richiamarsi a clausole e formule generiche nè tantomeno basarsi su argomentazioni errate o illogiche.

(A cura di Roberto Colancecco)

RIFERIMENTI DAL WEB

1) giustiziatributaria.gov.it

2) def.finanze.it

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

3) Basilavecchia M., (2009), Funzione impositiva e forme di tutela. Lezioni sul processo tributario, Torino, Giappichelli.

4) Capitalia Gruppo bancario (2006), Il contenzioso tributario, Collana Tributaria.


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