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L’economia circolare: il modello di sviluppo del futuro?

Introduzione

Le ripercussioni economiche e sociali della pandemia hanno messo in luce alcune criticità del modello di sviluppo prevalente, fondato sulla cosiddetta “economia lineare”. In tale contesto, suscitano interesse esperienze di economia circolare e logiche di sviluppo alternativo, che hanno mostrato un’interessante attitudine alla resilienza, già durante i primi tempi della diffusione del virus.

L’articolo ne delinea le principali caratteristiche e differenze con il modello lineare o classico e riporta alcuni dati relativi alla sua diffusione, offrendo degli spunti di riflessione sulle potenzialità di questo modello economico.

Cos’è l’economia circolare?

La circolarità applicata all’economia è fondata sul principio di scarsità e non ripetibilità delle risorse primarie, per cui è necessario preservare il valore aggiunto della produzione – identificabile con l’output – minimizzando gli sprechi nelle fasi di progettazione e produzione.

Il concetto di circolarità si avvicina a quello di ciclicità, poiché si massimizza il ciclo vitale del prodotto, cercando di mantenerlo in vita nel sistema economico, quale risorsa futuribile per la creazione di ulteriori valori aggiunti.

Non è un caso che spesso ricorre il parallelo tra economia circolare e funzionamento dei biosistemi naturali, in cui ciclicità e circolarità spesso coincidono.

In pratica, un modello di sviluppo fondato sull’economia circolare mira a ridurre gli sprechi di prodotto e la produzione di scarti e/o rifiuti durante il ciclo produttivo, sperimentandone comunque il riutilizzo: si coniugano, pertanto, produzione e consumo in modo sequenziale e quale effetto di riciclo e riuso.

Ciò che si deduce è, quindi, la chiara antitesi tra il modello circolare e il tradizionale modello di sviluppo economico lineare, in cui lo schema è rigido e definito come successione di produzione – consumo – rifiuto.

Il postulato della riduzione degli sprechi ha effetto dal punto di vista ambientale, oltre che economico: difatti, implica un minore impatto in termini di inquinamento e, applicato su larga scala, potrebbe essere anche una risposta strategica alla crisi climatica ed ambientale [1].

La Ellen Mac Arthur Foundation è uno dei punti di riferimento nell’ambito della letteratura sull’economia circolare. Essa la definisce quale “economia progettata per auto-rigenerarsi in cui i materiali di origine biologica sono destinati ad essere reintegrati nella biosfera, e quelli tecnici devono essere progettati per essere rivalorizzati senza entrare nella biosfera” [2], intendendola di fatto come un vero e proprio framework, fondato su molteplici e diversi approcci ma che hanno come comune denominatore una serie di principi e valori condivisi.

L’eterogeneità dei modelli economici circolari, più specificamente, è data dai differenti approcci rispetto alle modalità di smaltimento e riciclo dei rifiuti, che sono azzerati quando le componenti biologiche – o nutrienti – di un prodotto sono tali da poter essere immessi in un ciclo biologico e tecnico di materiali.

Sostenibilità, circolarità e pratiche connesse

Analizzando la definizione di economia circolare, si comprende che si tratta di un modello imprescindibile dalla caratteristica di sostenibilità, ovvero garantisce un’operatività con pregiudizio minimo o nullo per le generazioni future e l’ecosistema.

La capacità di durabilità in termini di sostenibilità, si concretizza anche nella proprietà di resilienza dei prodotti, che devono avere modularità, versatilità e adattabilità: con esse si intende la possibilità di adattare l’uso del prodotto alle eventuali variazioni delle condizioni ambientali esterne.

Un siffatto prodotto deve essere progettato secondo una logica di ecosostenibilità, ossia – a partire dalla sua genesi – si imposta la sua riutilizzabilità nel tempo.

Sostenibilità implica considerare le generazioni future, poiché preservare l’ambiente e garantire la rigenerazione delle risorse significa dare loro eque opportunità rispetto a chi vive nel presente pur provvedendo al soddisfacimento dei propri bisogni.

Tutti questi elementi implicano che un modello economico sostenibile non possa fare a meno di aspetti collaterali ma non meno importanti, quali l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente, poiché tra loro complementari.

La sostenibilità ha pure un impatto negativo sulla domanda e sull’estrazione di materie prime, giacché decresce in conseguenza del riutilizzo e della ciclicità dei beni.

Le risorse, così, vengono sfruttate in modo più oculato e rispettoso dell’ambiente, a differenza che nel modello lineare, in cui lo sviluppo è improntato sull’ipotesi di risorse abbondanti e non esauribili.

Il modello di economia circolare, fra l’altro, come quello lineare, interessa sia le attività economiche di produzione, di tutte le tipologie di imprese, sia quelle di consumo dei singoli agenti economici (consumatore e/o impresa, rispetto ai fattori produttivi impiegati).

In particolare, rispetto alla quotidianità dei consumatori, vanno segnalate alcune tipiche pratiche di circolarità, come lo sharing o condivisione, il vuoto a rendere, la raccolta differenziata, circolarità dei consumi, riutilizzo e riparazione, uso delle materie prime seconde, mercati e/o scambi o baratto dell’usato, il pay per use o i servizi al posto di prodotti (product as service).

Quanto si applica la circolarità?

Le applicazioni del modello circolare sono ravvisabili in vari settori economici.

Un settore d’interesse è quello della produzione di acciaio, tra le più grandi fonti di emissione di gas serra, soprattutto per il massiccio ricorso all’uso di carbone.

La produzione di plastica vergine è pure estremamente impattante in termini di emissione e di scarti.

Il riciclaggio delle plastiche consente una riduzione fino al 90% delle emissioni di CO2 rispetto a quelle dovute alla produzione di nuova plastica.

Secondo il Rapporto sull’economia circolare in Italia [3], l’Agenzia Europea per l’Ambiente propone per lo sviluppo della circolarità nel settore delle plastiche tre azioni: uso più intelligente per ridurre l’utilizzo di plastiche non necessarie ed eventualmente sostituirle con altri materiali; maggiore circolarità, ad esempio promuovendo il riutilizzo, incrementando il riciclaggio, imponendo il reimpiego di plastica riciclata; riduzione della dipendenza da fonti fossili, promuovendo target crescenti di rinnovabilità per i prodotti in bioplastica e aumentando l’informazione al consumatore.

Il settore della moda è in modo crescente interessato da una graduale virata verso l’adozione di fibre naturali e di procedure di produzione ispirate alla circolarità e alla riduzione degli sprechi, come pure i settori dell’agricoltura e della zootecnia, quello delle costruzioni e quello della gestione dei rifiuti.

Altri settori da menzionare in cui si sperimenta la circolarità è quello vasto delle Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche (AEE) (dagli elettrodomestici alle piccole apparecchiature, alle lampade, ai prodotti ICT, ecc.): per esse, va evidenziata la connessione tra digitalizzazione ed economia circolare, quale mezzo strategico di riduzione delle emissioni di CO2, come indicato anche dalla Commissione Europea, che ne stima un contributo alla riduzione di emissioni globali fino a circa il 15%.

Fra l’altro, in accordo con il Circularity Gap Report 2021 [4], ci sono ben 21 misure di circolarità che avrebbero la capacità di tagliare ben il 39% delle emissioni globali generate da categorie definite “bisogni della società”.

Questi ultimi sono individuati come:

  • bisogno sociale di abitazioni (adozione di soluzioni abitative naturali, bioedilizia, efficientamento energetico, materiale da costruzione circolari, ecc.)
  • bisogno sociale di nutrizione (produzione sostenibile di cibo, riduzione degli eccessi di cibo, dieta salutare, cucine alimentate da fonti energetiche pulite);
  • bisogno di trasporti (riduzione dei viaggi complessivi, condivisione viaggi, smartworking, hub regionali, ecc.)
  • bisogno dei beni di consumo (beni senza prodotti chimici e circolari, progettazione e utilizzo efficienti dei prodotti di consumo)
  • bisogno sociale di salute e comunicazione (sistema sanitario circolare, investimenti su attrezzature di lunga durata con manutenzioni preventive e programmate).

In ambito aziendale, molte organizzazioni stanno rivendendo la loro struttura alla luce della Corporate Social Responsibility (CSR) o Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI), affine alla logica della circolarità, giacché si tratta della <<integrazione volontaria delle preoccupazioni sociali e ambientali delle imprese nelle loro operazioni commerciali e nei rapporti con le parti interessate>> [5].

Misurare la circolarità. Alcuni dati

La misurazione della circolarità può essere utile come reporting interno alle aziende, specialmente se diretta a quantificare la capacità di riciclo dei materiali in uso, sia per analisi complessive dei settori economici.

Nel primo caso si ricorre ad indicatori specifici come quello di durabilità, di sostenibilità energetica, di sostenibilità di approvvigionamento, di scomponibilità, di riciclaggio, di gestione dei rifiuti.

I macroindicatori, invece, possono riguardare tanto singoli settori economici, quanto intere economie.

Si riporta all’attenzione l’indicatore di performance sull’economia circolare, costruito in base alla somma dei punteggi attribuiti a vari set di indici, associati a diverse dimensioni dell’economia circolare (produzione, consumo, gestione circolare dei rifiuti, investimenti e occupazione nel riciclo, riparazione e riutilizzo).

I set di indicatori così costruiti sono stati oggetto di comparazione tra cinque economie dell’Unione Europea [6], ossia Germania, Francia, Italia, Spagna e la Polonia.

Nel 2021 si conferma, come nel 2020, alla prima posizione l’Italia con 79 punti, seguita dalla Francia a 68, da Germania e Spagna a 65 e dalla Polonia a 54.

Nell’ambito del “Rapporto SDGs 2020. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia” [7], l’Istat diffonde alcune misure statistiche sulla circolarità basati sul cd. Goal 12 – garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo. Esse sono 19, connesse ad 8 indicatori UN-Inter-agency and Expert Group on SDG [8].

Il quadro che si desume da tali indicatori nel 2018 è abbastanza eterogeneo: l’Italia, infatti, ha mostrato progressi rispetto al passato per quanto riguarda il riciclo dei rifiuti, ma ancora è da migliorare il consumo interno, pro capite e per unità di PIL, come pure la sostenibilità del turismo (in allegato, la tabella n.12 del Rapporto

Circolarità ed economia equo solidale

Una tipologia di economia che rientra nella dimensione della circolarità e sostenibilità è quella del fair trade o economia equo solidale, per anni relegata a mercati di nicchia del consumo e della produzione “consapevole”.

Si tratta, infatti, di modelli di consumo e di produzione responsabile, in cui l’etica e la dimensione sociale assumono importanza quanto e più della logica di profitto.

In sostanza, l’economia equo solidale impone la giusta remunerazione dei fattori produttivi e il riconoscimento dei diritti di tutte le parti contrattuali coinvolte negli scambi: tutti aspetti che in realtà dovrebbero essere scontati, ma che non lo sono, specialmente in alcune parti del mondo e per specifici settori economici (come il tessile e l’alimentare), ove la concorrenza di prezzo dirotta verso modelli di produzione e consumo che si reggono spesso su sfruttamento, condizioni di lavoro inappropriate, in casi estremi schiavitù.

E’ stato individuato un marchio Fairtrade, dalla omonima organizzazione internazionale che ha lo scopo di migliorare le condizioni dei produttori agricoli dei Paesi in via di sviluppo, attraverso l’adozione e promozione di standard che possano stabilizzare il reddito di agricoltori e lavoratori.

In particolare, si fa riferimento al cd. “prezzo minimo”, che gli agricoltori ricevono per i loro prodotti e che non si ribassa mai al di sotto del prezzo di mercato, né dipende dalle speculazioni in borsa. E’ computato da Fairtrade in collaborazione con i produttori agricoli, al fine di coprire i costi di produzione in modo sostenibile.

I principi ispiratori del commercio equo solidale non possono prescindere da quelli propri del modello circolare, poiché entrambi tarati sulla sostenibilità dei consumi e delle produzioni. Lo dimostra anche l’iniziativa dell’organizzazione mondiale del Commercio Equo e Solidale WFTO , promotrice dell’iniziativa “People and Planet”, che ha scopo di dimostrare come il Commercio Equo e Solidale abbia già intrapreso percorsi orientati all’economia circolare in molte imprese e su diversi prodotti: difatti, molte imprese operanti nell’equo solidale praticano upcycling, cioè l’utilizzo di materiali di scarto nella creazione di nuovi oggetti di valore maggiore del materiale originale [9].

Tale iniziativa è coerente con il progetto del WFTO – World Fair Trade Organisation, l’Organizzazione Mondiale del Commercio Equo e Solidale, di corroborare la relazione tra circuiti di commercio equo solidale e modelli di economia circolare nel prossimo triennio.

Le realtà del commercio equo solidale sfruttano molto le reti locali (si pensi ai G.A.S., gruppi di acquisto solidali), dando sostegno e forza ai piccoli produttori e accorciando la filiera e riducendo il trasporto dei prodotti.

Il carattere solidaristico è stato fondamentale durante il lockdown: molti operatori del settore, infatti, si sono organizzati per attivare “spese solidali” e “spese sospese” per persone sole e/o indigenti e, per far fronte alla crisi da pandemia, questa fetta di mercato si è adeguata sperimentando alternative per garantire ai cittadini anche in quarantena la scelta di prodotti da filiere pulite, dirette, ambientalmente e socialmente sostenibili, nel rispetto del carattere di bottega locale. Per quanto riguarda i fornitori provenienti da altri paesi, durante l’esplosione della pandemia, si è comunque cercato di supportarli rifornendo altri rivenditori oppure potenziando il proprio e-commerce.

WFTO ha attivato la campagna #StayHomeLiveFair, a sostegno del movimento internazionale del fair trade composito da centinaia di cooperative e aziende che, anche in questa situazione di difficoltà, continuano a supportare i loro lavoratori, agricoltori, artigiani e comunità (si stima circa un milione di persone in 76 paesi) [9].

Il dossier di Altromercato ha evidenziato che durante la pandemia, il commercio equo solidale ha subito notevoli perdite di fatturato soprattutto per beni non di prima necessità, però è anche vero che nessuno dei fornitori, nonostante il periodo critico, ha annullato ordini: in pratica, è emerso tutto il valore solidaristico di questo tipo di economia, nonché la capacità di resilienza e il valore dell’asset relazioni, che può essere determinante nelle fasi di recessione [10].

La rete di relazioni ha permesso di sperimentare buone pratiche di resistenza alla pandemia e per riuscire ad affrontare insieme la difficoltà, poiché tutte le organizzazioni hanno dato sostegno ai propri soci e lavoratori, implementando diverse misure per far fronte all’emergenza, come attività di prevenzione, formazione, smart working, sostegno alimentare e solo il 30% delle organizzazioni ha dichiarato di aver avuto aiuti da realtà esterne, mentre l’80% ha prestato aiuto alle comunità vicine [11].

Perché si dovrebbe preferire il modello circolare? Prospettive e possibilità politica e agenda

L’adozione del modello circolare potrebbe essere una scelta più che auspicabile non solo per i vantaggi che implica, ma pure per le criticità insite nel modello lineare.

Quest’ultimo, infatti, induce allo spreco e alla produzione di rifiuti non riciclabili, giacché la sequenza delle fasi è produzione/consumo/smaltimento rifiuti (di consumo e/o di produzione), chiaramente incompatibile con la caratteristica di sostenibilità e propulsiva verso l’esauribilità delle risorse.

Nel modello lineare non può realizzarsi il processo di upcycling, per cui la composizione dei materiali di consumo è prevalentemente fatta da nutrienti tecnici a nutrienti biologici, utilizzabili nei diversi processi produttivi, prima di passare ad estrarre o approvvigionarsi di altre materie prime, ex novo; né si ravvede possibilità di realizzare un ciclo vitale del prodotto perpetuo o quasi perpetuo (cioè, al primo utilizzo, un prodotto esaurisce la sua utilità).

Quanto è più limitata la ciclicità vitale di un prodotto, tanto più è meno sostenibile e soggetta ad obsolescenza, né va trascurato il possibile impatto dell’alta riciclabilità dei prodotti rispetto alla gestione del ciclo dei rifiuti.

Il prodotto è così fonte della creazione del valore e i margini di profitto sono basati sulla differenza fra prezzo di mercato e il costo di produzione, mentre in un modello circolare, esso è parte integrata ed integrante di un business il cui target è la fornitura di un servizio e la competizione è basata sulla creazione di un valore aggiunto dello stesso servizio o di un prodotto e, dunque, non solo sul valore della sua vendita.

È pur vero che un’economia circolare resta ancora poco diffusa su larga scala, anche in ambito pubblico e che la ciclicità del prodotto su lunghi tempi non è sempre fattibile, sebbene favorisca la riduzione degli sprechi, il controllo delle risorse e l’attivazione di processi a circuito chiuso, per cui l’economia si mostra meno vulnerabile rispetto a fluttuazioni dei prezzi dei materiali e la curva dei costi tende ad appiattirsi.

Occorrerebbe quindi sensibilizzare sulle possibilità offerte dalla circolarità, sia tra l’opinione pubblica sia tra gli operatori economici, pubblici e privati.

L’attenzione e l’interesse verso il modello circolare dal mondo delle istituzioni è crescente e concreto, come testimonia l’iniziativa del Green Deal promossa nel 2019 dalla Commissione europea, che propone il ricorso a un nuovo modello di sviluppo imperniato sulla transizione ecologica e sulle sfide climatiche, con l’obiettivo di diventare il primo continente climate-neutral entro il 2050 (assenza di generazione di emissioni nette di gas a effetto serra), con una crescita economica dissociata dall’uso delle risorse e in cui nessuna persona e nessun luogo sia trascurato, col supporto di uno specifico Piano di investimenti (almeno 1.000 miliardi di investimenti, tra risorse pubbliche e private, nell’arco di un decennio) [7].

Il Green Deal europeo si fonda sull’idea di trasformare la crisi generata da emergenze globali in opportunità, partendo dal ricorso alla mobilitazione dell’industria per un’economia pulita e circolare, anche a beneficio dell’occupazione, giacché l’economia circolare è indicata come grande potenziale per la creazione di nuove attività e posti di lavoro.

Non è un caso che nel piano d’azione previsto per l’economia circolare si fa riferimento ad una politica per i “prodotti sostenibili”, in particolare su settori ad alta intensità di risorse quale tessile, edilizia, elettronica, materie plastiche; alla responsabilizzazione del consumo; al contrasto alle pratiche di green washing.

Il rafforzamento della digitalizzazione sarà propulsiva e funzionale alla diffusione dell’economia circolare.

La circolarità è coerente con il principio del “doing more and better with less” e con il Goal 12 dell’Agenda 2030, che promuove modelli di Produzione e Consumo Sostenibile (PCS), da realizzarsi attraverso il contributo delle imprese (incoraggiate all’adozione di pratiche sostenibili e alla loro tracciabilità), dei cittadini (la cui consapevolezza deve essere incrementata facendo leva sull’informazione in materia di sostenibilità degli stili di vita e di consumo), delle amministrazioni pubbliche (indirizzate a far crescere il Green Public Procurement, GPP, e a dare impulso alla fiscalità ambientale).

Con il governo Draghi, il Ministero della Transizione Ecologica si canalizza sulla scia del Green Deal europeo, quale risposta alle esigenze di cambiamento dell’economia e della società rispetto alle crisi ambientali e climatiche, almeno nelle intenzioni: è auspicabile che l’operato di tale ministero sia concretamente determinante in un cambio di rotta e non solo in una variazione della denominazione del Ministero dell’Ambiente.

La sua operatività, infatti, non può prescindere dai principi dell’economia circolare, come si desume già da alcuni degli obiettivi propri dello stesso (sviluppo sostenibile, efficienza energetica ed economia circolare, gestione integrata del ciclo dei rifiuti) [12].

Sulla convenienza della transizione al modello circolare è opportuno riportare altre due riflessioni.

La progettazione ecocompatibile, la prevenzione e il riutilizzo dei materiali, secondo la Commissione Europea, può comportare risparmi per le imprese pari a 604 miliardi di euro, oltre che una riduzione delle emissioni totali annue di gas a effetto serra del 2 – 4 % e un effetto positivo sul PIL di quasi l’1% [8].

Altro dato fondamentale: l’Earth Overshoot Day segna la data per cui, in un anno solare, la domanda da parte della popolazione umana per le risorse e i servizi naturali deve essere rigenerata in quell’anno (indica di fatto quando l’uomo esaurisce le risorse a disposizione in un anno); il deficit segnalato da questa data è costituito dal consumo risorse naturali, dallo spreco, dall’accumulo di rifiuti e scarichi, principalmente anidride carbonica.

Il calcolo[1] è elaborato dal Global Footprint Network, organizzazione di ricerca internazionale con scopo di fornire ai decisori pubblici un insieme di strumenti per supportare l’economia ad operare secondo il rispetto dei limiti ecologici della Terra.

Nel 2020 tale data è stata individuata nel 22 agosto (ma è stata ritardata rispetto agli anni passati per il fermo dovuto alla pandemia Covid-19) [13].

E’ chiaro che la pandemia ha svelato tutte le fragilità della società e dell’economia improntate al modello di sviluppo classico, facendo addivenire ad un giudizio sulla sua incapacità ad essere reattivo e resiliente rispetto a shock inattesi [14].

Come evidenzia bene la Fondazione Ellen MacArthur, cinque sono i settori chiave su cui investire: edilizia e costruzioni; imballaggi in plastica; mobilità; tessile e moda; agricoltura e produzione di cibo poiché si mostrano già pronti per sperimentare la sfida della transizione all’economia circolare, investendo su ottimizzazione dell’uso di risorse, materiali e nutrienti e sulla garanzia che i materiali e le sostanze nutritive possano essere rimesse in circolare per mantenere il loro valore [2].

Insomma, è forse il momento che il modello socio economico prevalente abbia il coraggio di cambiare e di rendere celere ed effettiva la transizione ad un rinnovato modello di sviluppo, tenendo ben presente che le ragioni del cambiamento sono una necessità più che un’esigenza solo etica.

(A cura di Elvira Ciociano)

Riferimenti

[1] «Circle-economy,» [Online]. Available: https://www.circle-economy.com/.
[2] «ELLEN MAC ARTHUR FOUNDATION,» [Online]. Available: https://www.ellenmacarthurfoundation.org/our-story/mission.
[3] Circular Economy Network, «RAPPORTO SULL’ECONOMIA CIRCOLARE IN ITALIA,» 2021. [Online]. Available: https://circulareconomynetwork.it/wp-content/uploads/2021/03/3%C2%B0-Rapporto-economia-circolare_CEN.pdf.
[4] Circle Economy, «Circularity Gap Report 2021,» 2021. [Online]. Available: https://www.circularity-gap.world/2021#downloads.
[5] Commissione Europea, «LIBRO VERDE – Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese,» Bruxelles, 2001.
[6] C. E. Network, «RAPPORTO SULL’ECONOMIA CIRCOLARE IN ITALIA,» 2021. [Online]. Available: https://circulareconomynetwork.it/wp-content/uploads/2021/03/3%C2%B0-Rapporto-economia-circolare_CEN.pdf.
[7] ISTAT, «RAPPORTO SDGS 2020. INFORMAZIONI STATISTICHE PER L’AGENDA 2030 IN ITALIA,» 2020.
[8] Commissione Europea, «Green Deal Europeo,» [Online]. Available: https://ec.europa.eu/info/strategy/priorities-2019-2024/european-green-deal_it.
[9] «Equogarantito,» [Online]. Available: https://www.equogarantito.org/fair-trade-ed-economia-circolare-insieme-per-il-pianeta-e-le-persone/.
[10] M. Acanfora, «L’impatto della Covid-19 sui produttori del commercio “equo e solidale”,» Micromega, 2021.
[11] «Commercio equo, l’impatto del Covid: soffre l’artigianato, riparte chi produce alimenti,» https://www.redattoresociale.it, 2020.
[12] «Sito del Ministero della Transizione Ecologica,» [Online]. Available: https://www.minambiente.it/.
[13] [Online]. Available: https://www.overshootday.org/.
[14] «Economia circolare e Covid 19,» [Online]. Available: https://www.snpambiente.it/2021/02/04/economia-circolare-e-covid-19/.

Note

[1] Il calcolo si basa sulla biocapacità del pianeta in un anno (ammontare delle risorse naturali che la Terra è in grado di generare per quell’anno) diviso l’Impronta Ecologica dell’uomo (Humanity’s Ecological Footprint), moltiplicando tale rapporto per 365 giorni.

Elenco delle misure statistiche diffuse dall’Istat, tassonomia rispetto agli indicatori SDG e variazioni rispetto a 10 anni prima e all’anno precedente (fonte: Rapporto SDGs 2020. Informazioni statistiche per l’Agenda 2030 in Italia).


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