Sindacabilità giurisdizionale della valutazione tecnica: un’analisi sul confine tra poteri amministrativi e controllo giudiziario
Abstract: L’articolo propone l’esame della sindacabilità giurisdizionale delle valutazioni tecniche. Si ripercorrerà l’iter giurisprudenziale che segue le sentenze del Consiglio di Stato n. 601 del 1999 e della Corte di Cassazione n. 507 del 2000 che distinguono l’opinabilità dall’opportunità e pertanto la mancata dichiarazione del difetto di giurisdizione. Si sottolinea l'equilibrio tra discrezionalità amministrativa e sindacato giudiziario nelle questioni di competenza tecnica.
- Premessa
In un ambito in cui il merito amministrativo è da considerare l’insindacabile baluardo del potere della pubblica amministrazione, si pone la necessità di comprendere quale sia il ruolo del giudice amministrativo dinnanzi alle valutazioni tecniche che, in luogo del primo, ammettono la sindacabilità dell’operato dell’amministrazione attiva (in termini di “opinabilità” e non di “opportunità”).
Vedremo che siffatta valutazione, prima che dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 507 del 2000, trova il proprio fondamento nella pronuncia del Consiglio di Stato n. 601 del 1999.
Il riferimento al Giudice di legittimità, oltreché al Supremo organo di consulenza giuridico-amministrativa, lascia intendere che la questione attinente al limite tra merito amministrativo e valutazione tecnica – o ancora tra opportunità e opinabilità – sia riconducibile alla giurisdizione. Non sarebbe altrimenti consentita la ricorribilità dinnanzi alla Corte di Cassazione in ordine all’art. 111, 8° comma, Cost.[1].
Vedremo come la sentenza n. 601 del 1999 del supremo organo di giustizia amministrativa ricolleghi alla valutazione tecnica, consistente nell’apprezzamento opinabile di concetti indeterminati, la possibile verifica dell’attendibilità delle operazioni tecniche effettuate dall’amministrazione attiva.
La tesi del Supremo giudice amministrativo è corroborata dalla sentenza del Giudice di legittimità n. 507 del 2000 che – nell’affermare che le vertenze aventi ad oggetto le valutazioni tecniche non ripetibili non determinano una pronuncia di difetto di giurisdizione – approva la sindacabilità giurisdizionale delle stesse attraverso il giudice generalmente competente.
Vedremo inoltre che la considerazione della sindacabilità delle valutazioni tecniche ha condotto alla diatriba sul controllo, forte o debole, riconosciuto dalla legge al giudice amministrativo, risoltasi successivamente con un sindacato limitato alla verifica di logicità e ragionevolezza delle stesse.
- Il confine tra poteri amministrativi e controllo giurisdizionale
Posta la necessità di padroneggiare la distinzione tra merito amministrativo e la discrezionalità amministrativa [2], si propone l’indagine delle questioni che ricomprendono le valutazioni tecniche [3] per le quali nel corso dei decenni sono stati sollevati seri dubbi di sindacabilità in considerazione della possibilità che queste potessero essere sottoposte ad apprezzamento ed eventuale riforma ad opera del giudice amministrativo.
Con sentenza n. 507 del 2000 la Suprema Corte ha distinto l’opinabilità dall’opportunità ampliando in tal senso il novero delle materie censurabili dal giudice amministrativo di legittimità e considerando pertanto sindacabili le valutazioni tecniche delle autorità amministrative. La riconducibilità di siffatte valutazioni in sede di giurisdizione generale di legittimità preclude la configurabilità del difetto di giurisdizione e pertanto della dichiarazione di improponibilità della domanda.
Evidenziamo però le tappe percorse dalla giurisprudenza prima che questa giungesse all’innovativa sentenza della Corte di Cassazione n. 507 del 2000.
Posteriormente ad una fase di assoluta insindacabilità del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche della pubblica amministrazione, si sono manifestati i primi segni di insofferenza provocata da una carenza di effettività della giustizia, non ancora in grado di sindacare le valutazioni tecniche in termini di opinabilità. Tali spinte hanno condotto la giurisprudenza verso un maggiore riconoscimento dei poteri di accertamento della realtà fattuale.
L’apertura giurisprudenziale del tempo si limitò al riconoscimento di un mero c.d. sindacato estrinseco [4] e ciò in considerazione della circostanza che le valutazioni complesse o opinabili della pubblica amministrazione potessero essere ammesse nelle ipotesi “di illogicità o ingiustizia manifesta della valutazione tecnica dell’autorità amministrativa, di errore nei presupposti di fatto, di incoerenza ed inadeguatezza della motivazione, di carenza di istruttoria”[5]; ossia in tutte le circostanze in cui il controllo dell’organo giurisdizionale fosse effettuato attraverso “massime di esperienza appartenenti al sapere comune”[6] e che però non si spingessero verso una verifica tecnico-specialistica della decisione amministrativa.
Apri fila del nuovo orientamento fu la sentenza n. 601 del 9 aprile 1999, del Consiglio di Stato, la quale dichiarava che “ricorre discrezionalità tecnica quando la norma tecnica da applicare da parte dell’amministrazione contenga concetti indeterminati che comportano apprezzamenti opinabili. Il sindacato giurisdizionale su tali apprezzamenti può svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì, invece, alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto al criterio tecnico e procedimento applicativo” [7].
La sentenza sopraccitata rileva nella misura in cui distingue l’opportunità del merito amministrativo – chiaramente non sindacabile dall’organo giurisdizionale al di fuori dei particolari casi espressamente previsti dalla legge – dall’opinabilità della discrezionalità tecnica. Quest’ultima ricorre ogni qualvolta il legislatore riconosca all’amministrazione l’applicazione di una norma tecnica cui una norma giuridica conferisce rilevanza diretta o indiretta. Rammentiamo che le valutazioni sono tali in quanto contenenti concetti indeterminati o apprezzamenti opinabili [8]. L’opinabilità di una valutazione tecnica è presupposto di fatto di una eventuale e solo successiva valutazione in termini di opportunità.
Cercando di fare chiarezza, si può asserire che esiste una “riserva di amministrazione” per tutte quelle questioni che richiedano una valutazione dell’interesse pubblico in termini di opportunità e convenienza (ossia in ordine al merito) [9] e si può avanzare la tesi per la quale l’apprezzamento dei presupposti di fatto (di un provvedimento amministrativo) sia correlato al giudizio di legittimità (e pertanto ad un sindacato del giudice amministrativo).
La valutazione tecnica va intesa, dalla sentenza testé richiamata, come presupposto di fatto sussumibile nella sfera delle questioni apprezzabili dal giudice di legittimità e al quale può dunque applicarsi un sindacato pieno c.d. intrinseco, per tale intendendosi quello con il quale il giudice faccia “utilizzo… di regole e conoscenze tecniche che appartengono alla medesima scienza specialistica ed ai modelli professionali applicati dall’amministrazione” [10]. Ciò è oggi possibile anche tramite l’impiego dello strumento della consulenza tecnica d’ufficio [11] che originariamente non era presente in sede di giurisdizione amministrativa e che adesso svolge una funzione pregnante in ordine all’apprezzamento dei caratteri tecnico-specialistici dei concetti indeterminati.
A sostegno di tale tesi la Suprema Corte con sentenza n. 507 del 19 luglio 2000 evidenzia come l’espressa sindacabilità ad opera del giudice amministrativo delle valutazioni tecniche poste in essere dall’amministrazione pubblica non ammetterebbe la pronuncia di improponibilità della domanda conseguente sovente ad una dichiarazione di difetto di giurisdizione.
La decisione della Corte pone pertanto un discrimine tra i poteri di esclusivo dominio della pubblica amministrazione, insindacabili dinanzi al giudice amministrativo, e i poteri che involgono un compatibile apprezzamento del giudice amministrativo.
L’insindacabile merito amministrativo comporta una scelta di valori che la valutazione tecnica non postula in quanto già “dal legislatore cristallizzati nella norma, venendo (nella previsione di questa) unicamente demandata all’amministrazione la verifica della sussistenza in concreto dell’interesse da attuare e dei presupposti (prestabiliti) della correlativa tutela, sulla base di determinate regole tecniche.” [12]
Gli elementi valutativi della valutazione tecnica sono sussumibili nella sfera dell’attività vincolata e non in quella della discrezionalità vera e propria. L’amministrazione è dotata di un comprensibile margine di opinabilità o valutazione che però non va considerato in par misura all’opportunità; “una cosa è l’opinabilità ed altra l’opportunità (cfr. Cons. Stato, IV, b. n. 601/1999)”. [13]
Il Giudice di legittimità ribadisce quanto prima vagliato dal Consiglio di Stato.
Il riconoscimento all’organo amministrativo giurisdizionale “sia [del]l’accertamento autonomo dei fatti e [del]la loro diretta sussunzione entro lo schema normativo sia dell’interpretazione di quei concetti” [14] entro lo schema di generale legittimità [15], non consente (alla Corte) di ritenere la questione come attinente alla giurisdizione.
Il giudice amministrativo, nell’evenienza in cui dovesse errare nell’accertamento o nell’interpretazione, incorrerà in un errore che non potrà essere oggetto di ricorso in Cassazione. Rammentiamo, difatti, che il ricorso ex art. 111, 8° comma, Cost. è ammesso per motivi attinenti alla giurisdizione, “con esclusione, [dunque], di ogni controllo di pretesi vizi in procedendo o in iudicando” [16].
L’estensione della sindacabilità del provvedimento porge però il fianco ad un ulteriore diatriba relativa ai poteri riconosciuti al giudice amministrativo.
Si pose il quesito in ordine alla possibilità che il giudice potesse sostituirsi all’amministrazione financo riformando il provvedimento (c.d. controllo forte) ovvero se siffatto controllo dovesse essere effettuato in termini di ragionevolezza e coerenza tecnica (c.d. controllo debole). [17]
Con sentenza 6 ottobre 2001, n. 5287, la IV sezione del Consiglio di Stato, una volta evidenziato il quadro generale dei principi [18], esclude un controllo in senso forte sulle valutazioni complesse dell’amministrazione. La stessa afferma che: “la stretta connessione tra apprezzamento tecnico opinabile e scelta di merito è un indice dell’esistenza di un potere di valutazione tendenzialmente riservata all’amministrazione, non già nel senso della preclusione del controllo giurisdizionale, ma nel senso che, in tal caso, è concesso al giudice amministrativo un sindacato senza poteri sostitutivi, limitato alla verifica di logicità e ragionevolezza” [19].
Tuttavia, la tesi de qua non è incontrovertibilmente accettata in determinate materie, quali i concorsi pubblici, in cui alla tesi tradizionale del Consiglio di Stato del 2001 – per la quale oltre al controllo debole non è ammesso un sindacato che non invada il campo della discrezionalità attribuita alla commissione – si affianca una tesi più innovativa che ammette un sindacato intrinseco [20] e un controllo forte sulle decisioni delle commissioni. [21]
Per ultimo è il caso di accennare il limite di sindacabilità della discrezionalità tecnica da parte del giudice ordinario. Nonostante in un primo periodo la Suprema Corte avesse negato l’evenienza di una tutela di posizioni giuridiche lese da valutazioni tecniche dell’amministrazione, questa si è ricreduta affermando che le posizioni giuridiche soggettive sono tutelabili in seno al giudice civile anche se lese da valutazioni tecniche della pubblica amministrazione. [22]
- Conclusione
L’analisi della trattazione lascia intendere il motivo per il quale si sia mostrata l’esigenza di ampliare l’indagine del provvedimento ad opera del giudice amministrativo. L’impossibilità di sindacare un concetto indeterminato riconducibile a criteri tecnico-specialistici non rispondeva alle esigenze di effettività giustiziale e di certezza insite nel ruolo del giudice.
La circostanza che la Suprema Corte potesse, altresì, dichiarare l’improponibilità della domanda in sede di difetto di giurisdizione lasciava all’amministrazione pubblica un margine di operatività così ampio da essere a limite con arbitrio.
Si mostra, pertanto, la necessità di ampliare l’ambito di operatività del sindacato giurisdizionale che distinguendo tra opinabilità e opportunità pone un discrimen con confine marcato tra merito amministrativo e valutazione tecnica.
Può ritenersi che la lettura originaria dei poteri del giudice amministrativo, se non ampliata tramite apposite interpretazioni giurisprudenziali estensive, sarebbe stata in contrasto con l’art. 113 Cost. che nell’ammettere “sempre” la tutela giurisdizionale contro gli atti della pubblica amministrazione si pone in condizione di manifestare la volontà che tutti gli elementi che non appartengano alla valutazione amministrativa in termini di convenienza e di opportunità della debbano sempre essere sindacate dal giudice amministrativo.
NOTE
[1] “Contro le decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti il ricorso in Cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione”: così l’art. 111, 8° comma, Cost.
[2] A riguardo vedi MASTROIANNI F., Tra opportunità e convenienza: gli effetti processuali del merito amministrativo, in economiaediritto.it, 2023.
[3] La dottrina si riferisce alle stesse anche con l’espressione “discrezionalità tecnica”. Tuttavia, contro siffatta denominazione si veda, CLARICH M., Manuale di diritto amministrativo, Il Mulino, Bologna, 2022, pp. 130-131 che afferma: “A proposito delle valutazioni tecniche è ancora oggi frequente l’uso dell’espressione «discrezionalità tecnica», che non è in realtà corretta proprio perché nella discrezionalità tecnica manca l’elemento volitivo che caratterizza invece, come si è visto, la discrezionalità in senso proprio, cioè quella amministrativa” e giustifica l’utilizzo del sostantivo dicendo che “soprattutto in passato, il problema dei limiti del sindacato del giudice amministrativo sulle valutazioni tecniche era posto in termini analogici a quello dei limiti del sindacato sulla discrezionalità amministrativa… [ritenendosi in entrambi i casi] precluso un sindacato pieno che comporti una valutazione autonoma del giudice che si sovrapponga (e sostituisca) a quella dell’amministrazione”.
[4] Al quale si contrapponeva il c.d. sindacato intrinseco. CINTIOLI F., Consulenza tecnica d’ufficio e sindacato giurisdizionale della discrezionalità tecnica, in Il nuovo processo amministrativo dopo la legge 21 luglio 2000 n. 205, a cura di Caringella F. e Protto M., Milano, 2001, pp. 920 e ss., afferma che il sindacato estrinseco “si concretizza in un controllo sulle valutazioni tecniche effettuato attraverso massime di esperienza appartenenti al sapere comune e non si spinge fino alla verifica dei caratteri tecnico-specialistici della decisione amministrativa, il sindacato intrinseco, invece, si caratterizza per l’utilizzo, da parte del giudice, di regole e conoscenze tecniche che appartengono alla medesima scienza specialistica ed ai modelli professionali applicati dell’amministrazione”.
[5] ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, Milano, 2007, p. 215.
[6] Vedi CINTIOLI F., Consulenza tecnica, cit., pp. 920 e ss.
[7] Sentenza Cons. Stato., Sez. IV, n. 601, 9 aprile 1999, in Foro Amm., 1999.
[8] Diversamente si ricondurrebbe alla figura dell’accertamento tecnico; privo di valutazioni, concetti indeterminati o apprezzamenti da effettuare.
[9] Per una migliore comprensione degli effetti processuali del merito amministrativo vedi MASTROIANNI F., Tra opportunità e convenienza: gli effetti processuali del merito amministrativo, cit.
[10] CINTIOLI F., Consulenza tecnica, cit., pp. 920 e ss.
[11] Il giudice amministrativo può accertare l’attendibilità delle operazioni tecniche attraverso l’impiego del consulente tecnico d’ufficio disciplinato dall’art 67 del codice di procedura amministrativa; v. anche ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 216.
[12] Corte cass., sez. un., 19 luglio 2000, n. 507.
[13] La Cass. civ., Sez. Unite, 19 luglio 2000, n. 507, cit., mostra che: “l’’applicazione di tali regole è, a sua volta, non priva di elementi valutativi (che valgono appunto a connotare l’accertamento in termini di discrezionalità tecnica), quando essa comporti la rilevazione di dati fattuali suscettibili di vario apprezzamento; soprattutto ove quelle regole contengano (come la norma di riferimento del caso concreto) concetti indeterminati (ad es., la “prossimità”, che non è predefinita distanza, rispetto a curve, incroci ecc.), o comunque richiedano apprezzamenti opinabili. Ma, una cosa è l’opinabilità ed altra l’opportunità (cfr. Cons. Stato, IV, b. n. 601/1999). La questione di fatto, attinente ad un presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo, non si trasforma – sol perché opinabile – in una questione di opportunità, anche se è antecedente ad una scelta di merito. Ed invero, quando la valutazione tecnica è presupposta dalla norma giuridica (che assume così una struttura, in certo qual modo analoga a quella della norma penale in bianco), il giudizio fondato su operazioni non corrette o insufficienti ha una inevitabile ricaduta sulla stessa norma (di cui il profilo tecnico è un segmento), comportando, con ciò, appunto, l’illegittimità dell’atto per violazione di legge.”; v. anche ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., pp. 212 e ss.
[14] Corte Cass., sez. un., 19 luglio 2000, n. 507, cit.
[15] A riguardo vedi Cons. Stato, sez. V, 5 marzo 2001 n. 1247, in Cons Stato, 2001, I, p. 586, secondo cui: “L’esercizio della discrezionalità̀ tecnica… sostanzia un rilevante profilo di ricostruzione del fatto e, come tale, va conosciuto dal giudice, nell’esercizio dei suoi ordinari poteri istruttori… L’apprezzamento degli elementi di fatto del provvedimento, siano essi semplici o complessi (da rilevare attraverso valutazioni tecniche) attiene sempre alla legittimità̀ del provvedimento e, pertanto, non può essere sottratto al giudizio, pena la violazione del principio di effettività̀ della tutela giurisdizionale e del nuovo canone costituzionale della parità̀ processuale delle parti, come emerge dalla puntuale regola del giusto processo sancita dal novellato art. 111 della Costituzione…”.
[16] Corte cass., sez. un., 27 luglio 1998, n. 7348 , cit.
[17] Cfr. CINTIOLI F., Consulenza tecnica, cit., pp. 924 e ss., secondo cui: “Il primo modello si traduce in un potere sostitutivo del giudice, che sovrappone la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell’amministrazione o, più precisamente, sovrappone il proprio modello logico di attuazione del concetto indeterminato a quello prescelto dall’amministrazione… Il secondo modello utilizza le cognizioni tecniche solo per un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione amministrativa. Il giudice penetra nel procedimento conoscitivo dell’autorità e ne vaglia l’esito, ma solo allo scopo di accertarne l’attendibilità scientifica, arrestandosi di fronte alla sfera di opinabilità che sostanzia il nucleo forte del concetto giuridico indeterminato.”; ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 217, afferma che: “Il primo (ossia il controllo forte) si tradurrebbe, ad avviso del collegio, in un potere sostitutivo del giudice, che potrebbe spingersi fino a sovrapporre la propria valutazione tecnica opinabile a quella dell’autorità amministrativa; il controllo “debole”, invece, consisterebbe nella utilizzazione delle cognizioni acquisite tramite la consulenza tecnica al solo scopo di effettuare un controllo di ragionevolezza e coerenza tecnica della decisione amministrativa”.
[18] “Questi principi appaiono in certa qual misura confortati dalle innovazioni processuali, che, concedendo al giudice di avvalersi di un consulente terzo, esperto di una certa disciplina tecnica, inducono ad alcune affermazioni di massima: a) la presenza di una valutazione tecnica non implica, di per sé, l’instaurazione di un regime speciale di insindacabilità; b) il giudice amministrativo ha il potere di accertare tutti i presupposti di fatto del rapporto controverso, ivi compresi i processi conoscitivi seguiti dall’amministrazione che coinvolgano apprezzamenti di natura tecnica; c) il sindacato del giudice non deve attuarsi solo sulla base di massime d’esperienza appartenenti al sapere comune e di dominio dell’intera collettività, ma, quando effettivamente tali massime siano insufficienti, può disporre grazie al c.t.u. di tutte le conoscenze tecnico-specialistiche che appaiono, secondo i casi, necessarie alla più completa conoscenza dei fatti”: così statuisce la sentenza della IV sez., Cons. Stato, 6 ottobre 2001, n. 5287, in Riv. Giur. Edil., 2002.
[19] Sentenza IV sez., Cons. Stato, 6 ottobre 2001, n. 5287, cit.
[20] Per una definizione di sindacato intrinseco v. nota 4.
[21] Cfr. ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 219, che sottolinea: “Ed invero, con riferimento alla possibilità, per il giudice amministrativo, di sindacare il merito (inteso, ovviamente, non come “merito amministrativo”) dei giudizi espressi dalle commissioni giudicatrici, sono riscontrabili due antitetiche linee di pensiero. Secondo l’impostazione tradizionale, salvo restando il sindacato in caso di manifesta illogicità o di irragionevolezza, di arbitrio o di palese disparità di trattamento, sarebbe inammissibile sindacare il merito di tali giudizi, in quanto, così facendo, il giudice invaderebbe il campo della discrezionalità attribuita alla commissione, sconfinando, pertanto, in un ambito riservato alla pubblica amministrazione. Per la giurisprudenza più innovativa, invece, il giudice amministrativo potrebbe sottoporre a sindacato “intrinseco” e “sostitutivo” i giudizi espressi dalle commissioni in esami di abilitazione ed in concorsi a pubblici impieghi”; T.A.R. Sicilia-Catania, sez. III, 11 giugno 2001, n. 1219, e 5 ottobre 2000, n. 1802; T.A.R. Abruzzo, 29 gennaio 2003, n. 13, in Foro amm.-T.A.R., 2003, p. 2311.
[22] Corte Cass., sez. un., 23 aprile 1997, n. 3567, in Giur. It., 1998, p. 572, secondo cui: “È principio costantemente affermato da questa Corte che la discrezionalità e conseguente insindacabilità, da parte del giudice ordinario, dei criteri, dei tempi con i quali la pubblica amministrazione provvede alla costruzione, all’esercizio e alla manutenzione delle opere pubbliche trovano un limite di carattere esterno posto a tale discrezionalità dal principio generale ed assoluto del neminem laedere, che comporta per la stessa amministrazione l’osservanza di specifiche norme tecniche e delle comuni regole di prudenza e diligenza a garanzia dei terzi (v. sent. 722/1988; 6635/1988; 8836/94; 3939/96)… In forza del ricordato principio, per il quale l’attività della pubblica amministrazione deve sempre svolgersi nei limiti posti non solo dalla legge, ma anche dalla norma primaria del neminem laedere, è consentito al giudice ordinario accertare se vi è stato, da parte della pubblica amministrazione, un comportamento colposo tale da determinare, in violazione di detta norma, la lesione di un diritto soggettivo…”. Per un’approfondita analisi dottrinaria cfr. OTTAVIANO V., Giudice ordinario e giudice amministrativo di fronte agli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1986, pp. 18-19, il quale osserva che: “…mentre prima l’amministrazione nel suo complesso veniva sottratta al controllo del giudice ordinario, successivamente ciò è apparso giustificato solo in quanto essa eserciti potestà pubbliche. L’amministrazione, pertanto, poiché quando arreca danno ad una persona ai suoi beni, non esercita alcun potere, non sussistendo certamente un potere siffatto, deve sottostare al sindacato del giudice ordinario anche con riferimento all’applicazione di criteri tecnici. Lo stesso deve dirsi per ogni altro caso in cui la giurisdizione spetti a giudici dei diritti, atteso che la loro competenza è legata appunto alla mancanza di un potere da parte dell’amministrazione. Né l’accertamento, per quanto complesso possa essere, può degradare il diritto soggettivo. Esso per sé stesso attiene al conoscere e non al provvedere, che caso mai si riferisce ad un momento successivo, e quindi ove all’accertamento non si accompagni un potere, non viene meno né la competenza del giudice ordinario, né i suoi poteri debbono incontrare limitazioni. La natura della controversia portata avanti al giudice ordinario importa la determinazione dei diritti o degli obblighi spettanti al cittadino o all’amministrazione, e se per risolvere una siffatta controversia occorre procedere ad accertamenti complessi, il giudice deve poterli eseguire, giacché altrimenti non sarebbe possibile decidere se siano fondate le pretese della p.a., ovvero quelle del privato. A ciò conduce lo stesso art. 2 della legge sull’abolizione del contenzioso amministrativo che, attribuendo al giudice ordinario «tutte le materie nelle quali si faccia questione di un diritto civile o politico», implicitamente gli attribuisce i poteri a tal uopo necessari, con le sole limitazioni di cui ai successivi artt. da 4 a 6” (pag. 18); “La tesi secondo cui la ricerca della colpa dell’amministrazione dovrebbe venire limitata ai soli comportamenti compiuti in esecuzione delle scelte adottate, mentre sarebbe vietata con riferimento all’adozione stessa delle scelte, tesi particolarmente cara all’Avvocatura dello Stato (v. Relazione dell’Avvocatura gen. dello Stato negli anni 1966-70, II, Roma, 1971, p. 248 ss.), suscita perplessità̀. Essa appare invero frutto di un equivoco qual è quello di ritenere che lo stabilire se una scelta violi il principio di neminem laedere, significa rifare le valutazioni riservate all’amministrazione su come curare un interesse pubblico. Il divieto di arrecare danno costituisce un limite alle valutazioni della p.a., che potrà scegliere la soluzione che ritiene più consona ai fini pubblici, nel rispetto però di tale principio. Il sindacato diretto ad accertare l’osservanza di esso non concerne le scelte in sé stesse, ma il limite in cui esse debbono venire contenute. Il danno per il terzo può derivare sia dalla scelta che dall’attuazione di essa, da ciò l’esigenza di garantire l’osservanza del principio anche con riferimento al primo momento.” (pag. 19, nota n. 19).