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L’atto politico quale questione deducibile con il regolamento preventivo di giurisdizione: intrinseca natura e sua rilevabilità

  1. Premessa

L’istituto del regolamento preventivo di giurisdizione ha una storia travagliata che trova il proprio fondamento in una disposizione legislativa appartenente ad un ordinamento differente da quello italiano ma che mutatis mutandis introdusse le prime procedure di risoluzione dei conflitti tra autorità giurisdizionale e autorità amministrativa. [1]

Il regolamento di giurisdizione nella sua formula attuale [2] ha la funzione di dirimere questioni che attengano al rapporto tra autorità giurisdizionali (c.d. difetto relativo di giurisdizione), nonché tra autorità giurisdizionale e autorità amministrativa (c.d. difetto assoluto di giurisdizione).

Posto che una trattazione esaustiva della materia richiederebbe una monografia, la disamina verterà su un particolare atto che da adito alla dichiarazione di difetto assoluto di giurisdizione, l’atto politico.

Per comprendere al meglio la questione è però necessario individuare il significato che sta dietro all’espressione difetto di giurisdizione, discontinuamente rievocato in contesti processualcivilistici (come avviene per l’art. 37 c.p.c. [3], 41 c.p.c. [4] e 382 c.p.c.). [5]

Si definisce il difetto assoluto di giurisdizione – espressione che ha condotto a crescenti elaborazioni dottrinarie e giurisprudenziali – come “quel fenomeno che si concretizza ogniqualvolta… non risulti possibile individuare nell’ordinamento alcun giudice deputato alla tutela della posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio”.[6]

L’introduzione della Costituzione del 1948 e dell’art. 113 [7] diedero occasione di comprendere meglio uno strumento (ancora sino ad oggi) analizzato con attenzione. La disposizione de qua garantisce delle posizioni giuridiche tutelate – interessi legittimi e diritti soggettivi – senza deroghe, allorché l’atto sia della pubblica amministrazione.

Una interpretazione poco impegnata della disposizione potrebbe indurre il lettore a ritenere che il difetto assoluto sia un istituto non costituzionalmente orientato e che faticosamente possa permanere nel nostro ordinamento. [8]

L’inconfigurabilità del difetto assoluto di giurisdizione è piuttosto enucleabile solo allorquando sussistano delle questioni vertenti su interessi legittimi e diritti soggettivi. Peraltro, nel nostro sistema è ben chiara la presenza di posizioni giuridiche non tutelate che ammettono dunque la configurabilità del difetto. L’art. 113 ha ristretto il novero delle ipotesi che permettano di ravvisare un difetto di giurisdizione a quelle in cui “si affermi che il privato non è titolare, di fronte alla autorità amministrativa, di alcuna situazione giuridica sostanziale, ma solo di un semplice interesse”. [9]

Tra i casi di “semplice interesse” – ossia di situazione giuridica sostanziale non riconosciuta dall’ordinamento – che celano una particolare complessità di individuazione “dell’inafferrabile difetto” [10] si possono annoverare: il merito amministrativo, i c.d. atti politici e l’interesse di fatto.

Si vedrà come l’atto oggetto della trattazione – come questo anche gli altri succitati – richiami una questione intrinsecamente di merito e non di giurisdizione.

  1. L’atto politico: intrinseca natura della questione

L’atto politico è una tipologia di atto di per sé peculiare per via dei connotati governativi sottesi. L’espressione viene richiamata già all’art. 7, 1° comma d. lgs. n. 104 del 2010 che enuncia: “Non sono impugnabili gli atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico. [11]  

Una lettura superficiale dell’art. 7, 1° comma potrebbe indurre il lettore in errore e questo in quanto il provvedimento governativo stricto sensu non è l’unico atto politico. Gli atti governativi (latu sensu) possono essere emessi, indubbiamente dal governo, ma finanche da ogni altro organo costituzionale.

Il primo segno distintivo dell’atto governativo è, difatti, il requisito di carattere soggettivo consistente nella sua emissione da un organo costituzionale quale (esemplificativamente) il Governo, il Presidente della Repubblica, il Parlamento in quanto “autorità cui compete la funzione di indirizzo politico e di direzione, al massimo livello della cosa pubblica”. [12]

Il secondo requisito è caratterizzato dall’esercizio di un potere politico composto dalle “più alte linee di indirizzo per il coordinamento e la gestione della cosa pubblica, con libera scelta anche dei fini (c.d. requisito oggettivo). [13]

Di particolare complessità è la differenziazione tra la categoria degli “atti di alta amministrazione” e la categoria degli “atti di governo” a causa dell’evanescenza che ne caratterizza il confine. Di norma gli atti di alta amministrazione vengono definiti come quegli atti che “segnano il raccordo tra la funzione di governo, che è espressione dello Stato-comunità, e la funzione amministrativa, che è espressione dello Stato-soggetto, e che essi realizzano al più alto livello”.[14]

La differenziazione delle due figure testé menzionate non rileva solo in termini nominalistici ma anche sostanziali e processuali.

Gli atti politici [15] sono, in quanto tali, insindacabili dal giudice laddove gli atti di alta amministrazione possono essere soggetti al regime giuridico della sindacabilità in sede giurisdizionale. [16]

Si può affermare che gli atti politici (o governativi che dir si voglia) [17] siano caratterizzati da residualità in ordine agli atti di alta amministrazione.

Il Supremo organo amministrativo evidenzia come solamente allorché non vi sia configurabilità della fattispecie nella figura dell’atto amministrativo, in via interpretativa, si sussumerà nella categoria degli atti governativi “estranei alla funzione amministrativa… espressione di una potestà di governo [ed esternalizzazione di] una volontà di indirizzo generale non idonea ad incidere su singole situazioni giuridiche soggettive”. [18]

Beninteso non è indispensabile l’appellativo di “atto politico” affinché questo possa essere ritenuto tale. [19] L’atto politico è caratterizzato “non dalla regolazione di interessi contrapposti” (come avviene nel rapporto amministrazione-cittadini), bensì nel perseguimento dell’interesse politico, “libero” ed “esente da conflittualità coi privati”.[20]

La libertà testé accennata, nondimeno, non può mai sfociare in arbitrio soggiacendo alle limitazioni dei precetti costituzionali.[21]

Proprio a causa del carattere residuale della politicità dell’atto, la categoria degli atti politici si è ristretta [22].

È appena il caso di accennare che l’enunciazione dell’atto politico ai sensi dell’art. 31 T.U. Cons. Stato, in dottrina non sembrava unanimemente conforme ai dettami filo-costituzionali ed in primis all’art. 113 Cost.

Nonostante parte di essa, negli anni addietro, abbia ritenuto che l’art. 31 fosse stato abrogato tacitamente dall’introduzione della norma costituzionale, per via della riconduzione di ogni atto – “produttivo nella sfera soggettiva dei terzi, e perciò capace di ledere diritti o interessi legittimi di questi… – nel regime proprio degli atti amministrativi (sia sotto il profilo sostanziale che sotto quello della tutela)” [23]; la dottrina maggioritaria, invece, ha ritenuto che l’art. 113 Cost. si riferisca ai soli atti amministrativi e non anche agli atti di governo [24].

A riconferma della tesi maggioritaria è l’emanazione dell’art. 7 c.p.a. che ne conferma l’approvazione in chiave filo- costituzionale.

Dopo aver analizzato concisamente i suoi caratteri sostanziali, tocca vagliare se la verifica dell’atto politico sia da considerare questione intrinsecamente di giurisdizione o se concerna il merito della controversia. Al pari del merito amministrativo e dell’interesse di fatto (per i quali si riserva un’apposita trattazione), la figura de qua non è oggettivamente, se non attraverso una valutazione nel merito, in grado di manifestare le proprie peculiarità. Sebbene il carattere soggettivo, configuri potenzialmente l’atto politico; questo non è l’unico requisito di cui bisogna essere in possesso per considerare l’atto come governativo.

Quale elemento oggettivo, l’istituto di cui trattasi, richiede l’esercizio di un potere politico che in quanto tale non configuri alcuna posizione giuridica soggettiva azionabile [25]. La politicità dell’atto, essendo strettamente relazionata all’insussistenza di una posizione giuridica da tutelare, richiede inevitabilmente una valutazione della questione nel merito della domanda.[26]

Avalla tale tesi anche la circostanza che affinché possa declinarsi come politico, l’atto deve essere sottoposto a verifica che ammetta che la norma attributiva del potere lo contempli come tale e che appuri la competenza dell’autorità che ha agito.
Attraverso un’interpretazione sarà poi necessario che “sia impossibile individuare il parametro giuridico (norme di legge o principi dell’ordinamento) al quale deve essere ancorato… il sindacato giurisdizionale” [27]. Il giudice di merito prima e la Suprema Corte successivamente sono tenuti alla verifica della corrispondenza tra il potere esercitato e quello astrattamente delineato dalla norma di riferimento; indagini che attengono al merito e che hanno la finalità di verificare la legittimità dell’attività politica esercitata.[28]

È chiaro però che “dalla sussunzione della verifica in ordine alla natura politica di un atto nel genus delle questioni di merito non può discendere automaticamente l’inutilizzabilità degli strumenti di verifica della giurisdizione ex artt. 41 c.p.c., 360, 1° comma, n. 1, c.p.c. e 111, 8° comma, Cost…”. [29]

  1. Rilevabilità della questione e dichiarazione di improponibilità della domanda.

Secondo quanto affermato sino ad ora, può ritenersi che il Giudice di legittimità, investito della questione, sarà tenuto a dichiarare il difetto assoluto di giurisdizione cassando senza rinvio.

Come testè evidenziato, la Corte di Cassazione dovrà verificare la competenza dell’organo emittente (c.d. requisito soggettivo); interpretare la norma attributiva del potere, che dovrà dare esito negativo all’individuazione di un “parametro giuridico… [a cui ancorare] il sindacato giurisdizionale” [30]; verificare la corrispondenza tra potere esercitato e quello astrattamente delineato dalla norma di riferimento; accertare “la sussistenza delle condizioni che costituiscono i presupposti di fatto per l’esercizio del potere politico in esame”. [31]

È però appena il caso di sottolineare, che la Suprema Corte, nell’accostarsi alla teoria del merito ha tendenzialmente reso inoperabile gli strumenti di tutela giurisdizionali, ritenendo le questioni (vertenti nel merito) non sottoponibili alla sua ricognizione.

Eppure, se già nel 1907 le questioni che vertevano sull’improponibilità erano state devolute all’organo superiore, si può attestare con fermezza, ed in controtendenza con la tesi giurisprudenziale, che la Corte sia capace di accertare l’esistenza (o meno) di posizioni giuridiche soggettive tutelate dedotte in giudizio [32]. Infatti, la considerazione che alla Corte non siano devolute tutte le questioni che attengano alla giurisdizione è fuorviante. [33]

Si può ben affermare anche che l’organo regolatore della giurisdizione sia munito del potere di valutare la politicità (o meno) degli atti [34] e ciò dall’ipotesi sottintesa dall’art. 382 c.p.c. che nell’attribuire alla Corte l’autorità di cassare senza rinvio – “quando il giudice del quale si impugna il provvedimento e ogni altro giudice difettano di giurisdizione”[35]le riconosce implicitamente il potere di accertare nel merito quelle questioni “di massima espressione del potere amministrativo… [e gli] atti politici.” [36]

Fatta salva la considerazione che le decisioni della Corte – in tutti i casi in cui queste determinino un difetto assoluto di giurisdizione – provocano un pregiudizio del diritto e della domanda (e conseguentemente nel merito) [37] e che sono idonee al passaggio in giudicato sostanziale ex art. 2909 c.c. [38], preme evidenziare come la Corte di Cassazione “lungi dal poter essere considerata soltanto «supremo organo regolatore delle competenze» …, diventi nel caso concreto, inevitabilmente, giudice di merito” [39].

(A cura di Francesco Mastroianni)

NOTE

[1] Il riferimento è alla legge 7-14 ottobre del 1790, dell’ordinamento francese che introduce uno “strumento al di sopra e al di fuori dell’ordine giudiziario”: così CALAMANDREI, La Cassazione Civile, Torino, 1920, pp. 429.

[2] Per ultima introdotta con il codice di rito del 1940.

[3] “Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario nei confronti della pubblica amministrazione”: così l’art. 37, 1° comma c.p.c.

[4] “Il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a causa dei poteri attribuiti dalla legge all’amministrazione”: così l’art. 41, 2° comma c.p.c.

[5] “Se riconosce [con riferimento alla Cassazione] che il giudice del quale si impugna il provvedimento ed ogni altro giudice difettano di giurisdizione cassa senza rinvio”: così l’art. 382, ultimo comma c.p.c.

[6] ZINGALES I., Pubblica amministrazione e limiti della giurisdizione tra principi costituzionali e strumenti processuali, Milano, 2007, p. 135.

[7] “Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa” art. 113, 1° comma, della Costituzione.

[8] Vedi a riguardo VILLATA R., Il conflitto di attribuzioni sollevato dal prefetto, in Riv. Trim. dir. proc. civ., 1967, p. 909 e ss.; ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 136 e ss.

[9] FERRI C., Note in tema di pronunce sulla giurisdizione, Pavia, 1968, pp. 6 – 7.

[10] CIPRIANI F., Sul difetto di giurisdizione nei confronti della pubblica amministrazione, nota a Cass., Sez. un., 27 luglio 1998, n. 7339, in Foro it., 1999.

[11] Precedentemente disposto dall’art. 31 r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (c.d. T.U. del Consiglio di Stato) che enunciava: “Il ricorso al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale non è ammesso se trattasi di atti o provvedimenti emanati dal Governo nell’esercizio del potere politico.”

[12] ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., pp. 188-189.

[13] T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 04 gennaio 2020, n. 54.

[14] SANDULLI A.M., Manuale di diritto amministrativo, I, Napoli, 1989, p. 21. Cfr. anche GARRONE G.B., sub art. 26 r.d. giugno 1924, n. 1054, in ROMANO A., Commentario, cit., pp. 334 e ss.; CARINGELLA F., Il diritto amministrativo, cit., pp. 22 e ss.; T.A.R. Lazio Roma, Sez. III, 04 gennaio 2020, n. 54, cit., ai cui sensi: “vanno distinti gli atti politici da quelli di alta amministrazione, i primi soltanto sottratti alla cognizione del giudice amministrativo, per ragioni di ordine sia soggettivo (in quanto emessi da organi, preposti alla guida dello Stato), sia oggettivo (in quanto concernenti le più alte linee di indirizzo per il coordinamento e la gestione della cosa pubblica, con libera scelta anche dei fini perseguiti). Gli atti di alta amministrazione, invece, si pongono in una posizione di raccordo fra l’attività politica e quella amministrativa, sempre tuttavia restando attinenti alla cura concreta di interessi della collettività: benché caratterizzati da una discrezionalità particolarmente ampia, tali atti non sono quindi liberi nei fini: tali atti possono intervenire – quando previsto dalla legge – per nomine di particolare rilevanza, o per superare situazioni di stallo fra amministrazioni pubbliche”.

[15] Un elenco esemplificativo di atti politici viene indicato da ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 188, in cui afferma che: “Nell’ambito della categoria degli atti politici di organi costituzionali vengono, normalmente ed esemplificativamente, ricompresi: la proposta di nomina dei ministri; la nomina dei sottosegretari; la deliberazione dei decreti legge e dei decreti legislativi; la stipula dei trattati internazionali; il conferimento di onorificenze; l’accettazione (c.d. gradimento) dei rappresentanti diplomatici stranieri; la proposizione della questione di fiducia; determinati atti in materia di rapporti internazionali, quale, ad esempio, la decisione di applicare sanzioni politiche ed economiche; la dichiarazione di guerra; la nomina, da parte del Presidente della Repubblica, dei senatori a vita e dei cinque giudici costituzionali; l’indizione delle elezioni politiche e dei referendum, lo scioglimento delle Camere, etc…”.

[16] Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, Ordinanza, 12 luglio 2019, n. 18829 ai cui sensi: “la deliberazione del Consiglio dei ministri emessa all’esito del procedimento indicato dall’art. 14 quater della legge n. 241 del 1990 non costituendo un atto politico ma un atto di alta amministrazione, come espressamente confermato dal comma 3 di tale norma… è assoggettata al sindacato di legittimità del Consiglio di Stato”; T.A.R. Lazio Roma, Sez. I ter, Sentenza, 05 aprile 2012, n. 3151, per cui: “I provvedimenti di alta amministrazione sono assunti in base a criteri eminentemente fiduciari, sono basati sulla valutazione della capacità e delle attitudini dei nominati e sono sottoposti al sindacato di legittimità”; Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2000, n. 1996, in Foro amm., 2000, p. 1227, per il quale: “Il decreto che concede l’estradizione di un imputato o condannato non ha natura di atto politico bensì di atto di alta amministrazione, come tale soggetto al sindacato di legittimità del giudice amministrativo per quel che attiene alla lesione di interessi legittimi.”; Corte Cass., sez. un. 16 aprile 1998, n. 3882, in Giust. civ. Mass. 1998, p. 812, che evidenzia come “la nomina del direttore generale delle aziende sanitarie locali è disposta con provvedimento discrezionale di alta amministrazione… ne consegue la giurisdizione del giudice amministrativo riguardo all’impugnazione da parte del direttore generale dell’atto di risoluzione disposto in riferimento a tale norma e sulla base delle relative valutazioni discrezionali”.

[17] Vedi per la corrispondenza GROTTANELLI DE SANTI G., Atto politico e atto di governo, in Enc. Giur. Treccani, IV, Roma, 1988.

[18] GARRONE G.B., Atto politico (disciplina amministrativa), in Dig. Disc. Pubbl., I, Torino, 1987, p. 545.

[29] Cfr. ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., pp. 194-195; GARRONE G.B., Atto politico, cit., p. 545.

[20] GARRONE G.B., in ROMANO A., Commentario, cit., p. 299 afferma che tale atto è adottato “non già per la regolazione ed assetto di interessi contrapposti, quale quelli dell’amministrazione e del destinatario che dall’emanazione dell’atto medesimo ritiene di trarre un proprio personale vantaggio, bensì in considerazione di un interesse politico da perseguire, la cui scelta è del tutto libera ed esente da conflittualità con l’interesse del privato che, seppur esiste, si atteggia come mero interesse di fatto”.

[21] Cons. Stato, Sez. V, sentenza 27 luglio 2011, 4052, in Massima redazionale, 2011, che aggiunge: “la cui violazione [dei precetti costituzionali]può giustificare un sindacato della Corte costituzionale di legittimità sulle leggi e gli atti aventi forza di legge o in sede di conflitto di attribuzione su qualsivoglia atto lesivo di competenze costituzionalmente garantite”.

[22] Cfr. Corte cass., sez. un., ord. 5 giugno 2002, n. 8157, in Corr. Giur., 2003, p. 635, secondo cui: “Gli atti che vengono compiuti dallo Stato nella conduzione di ostilità belliche si sottraggono totalmente al sindacato sia della giurisdizione ordinaria che della giurisdizione amministrativa, in quanto costituiscono manifestazione di una funzione politica, attribuita dalla Costituzione al Governo della Repubblica, rispetto alla quale non è configurabile una situazione di interesse protetto a che gli atti, in cui detta funzione si manifesta, assumano o meno un determinato contenuto. (In applicazione del principio di cui in massima, le Sezioni unite hanno dichiarato il difetto di giurisdizione sulla domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri e del Ministero della difesa in relazione alla avvenuta distruzione, nel corso delle operazioni aeree della Nato contro la Repubblica federale di Jugoslavia, di un obiettivo non militare, e al conseguente decesso di alcuni civili)”; T.A.R. Sicilia- Catania, Sez. IV, 07 aprile 2022, n. 182, nella quale si afferma che l’obbligo vaccinale discende da un atto avente forza di legge, il quale, in quanto atto politico, non può essere sindacato dal giudice amministrativo.

[23] CERULLI IRELLI V., Corso di diritto amministrativo, Torino, 2001, p. 346.

[24] Vedi la nota 115 di ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 190, che sottolinea come: “Ad avviso di GALLI R., Corso, cit., pp. 368 ss., deve, al riguardo, ritenersi che il sopravvenire dell’art. 113 Cost. non abbia determinato l’implicita abrogazione del citato art. 31, posto che la lettera di tale norma costituzionale si riferisce esclusivamente agli atti amministrativi e non a quelli «di governo» e dunque non consacra in alcun modo, la sindacabilità delle scelte politiche degli organi costituzionali”.

[25] “L’inammissibilità del ricorso avverso i c.d. atti politici non potrebbe discendere dalle peculiarità di tali atti in sé considerati, ma deriverebbe dall’impossibilità di configurare, nei loro confronti, alcuna situazione soggettiva azionabile in sede giurisdizionale”: così COMOGLIO L.P. La garanzia costituzionale dell’azione ed il processo civile, Padova, 1970, p.109.

[26] Cfr. ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 191.

[27] Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, Ord., 23 agosto 2022, n. 25159, in Massima redazionale, 2022, per cui: “per affermare il carattere politico dell’atto e quindi sottrarlo al sindacato giurisdizionale è necessario che sia impossibile individuare il parametro giuridico (norme di legge o principi dell’ordinamento) al quale deve essere ancorato detto sindacato… L’esistenza di una norma che disciplina il potere e le relative regole di esercizio rende, infatti, sia pure limitatamente al segmento oggetto di regolazione, l’atto suscettibile di controllo giurisdizionale come proprio dello Stato di diritto in cui non si danno poteri costituiti che non siano posti e disciplinati da norme giuridiche.”; GUICCIARDI E., Aboliamo l’art 31?, in Foro amm., 1947, II, p. 24: “è… quello politico, un potere che la legge attribuisce a determinati organi consentendo loro massima discrezionalità per la sua esplicazione, ma fissando al tempo stesso i presupposti ed i limiti per la sua esistenza ed esercizio conto che tale potere si chiami politico, non deve significare che esso non sia anche un potere giuridico, cioè regolato giuridicamente a mezzo di una norma rivolta a stabilire la pertinenza di esso, e tale quindi da non poter essere violata in modo alcuno dagli atti compiuti nell’esercizio del potere medesimo: poiché ogni atto emanato nell’esercizio di quel potere è conforme alla norma che il potere attribuisce ed ogni atto non conforme a quella norma non può considerarsi emanato nell’esercizio di quel potere. Nel primo caso l’atto è politico ma è in modo evidente necessariamente legittimo; nel secondo è illegittimo, ma non è più atto politico perché non può più considerarsi esplicazione del potere politico attribuito dalla norma. E nel primo caso non sarà impugnabile… perché non potranno dedursi contro di esso motivi di impugnativa; mentre nel secondo sarà impugnabile e sindacabile, ma non come atto politico, sibbene come un comune atto amministrativo”.

[28] Cfr. SANDULLI A.M., Il giudizio davanti al Consiglio di Stato e ai giudici sottordinati, Napoli, 1963, p. 74, che afferma: “… gli atti politici, come non sono suscettibili di ledere diritti soggettivi, così non sono suscettibili di ledere interessi legittimi: di fronte al potere politico… non possono infatti sussistere né diritti, né interessi legittimi.se delle lesioni di cotali posizioni soggettive possono verificarsi, ciò non può accadere, dunque, se non in quanto l’autorità dotata di potere politico abbia esorbitato dall’ambito del potere stesso: ma quando ciò sia avvenuto, gli atti in questione non saranno più atti politici e non saranno quindi soggetti a regime proprio di questi: eh si dovranno allora essere trattati alla stregua dell’enorme comuni, qualificandosi di volta in volta come fatti illeciti, come fatti irrilevanti, come atti amministrativi, ecc…”.

[29] ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 198.

[30] Cfr. Cass. civ., Sez. Unite, Ord., 23/08/2022, n. 25159, cit.

[31] ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 252.

[32] Nello stesso senso ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 230, secondo cui: “può, allora, affermarsi che il sistema attribuisce alla Suprema corte, in sede di verifica della giurisdizione, il potere di accertare l’esistenza o meno di una norma che tuteli la posizione giuridica soggettiva dedotta in giudizio nei confronti della pubblica amministrazione”; v. anche BERLATI A., «Limiti esterni» della giurisdizione amministrativa e ricorso in Cassazione contro le decisioni del Consiglio di Stato, in Arch. Civ., 1997, p. 248.

[33] A riguardo rileva quanto affermava CARNELUTTI F., Istituzioni del processo civile italiano, Roma, 1956, II, p. 38, secondo cui: “l’aver fatto passare l’inesistenza del diritto invocato contro la pubblica amministrazione come difetto di potestà del giudice è il risultato di un lungo e ingegnoso sforzo…rivolto… ad ottenere il controllo della corte di Cassazione”.

[34] Cfr. ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 230-231, secondo cui si può affermare che si attribuisce “alla Suprema Corte… il potere… di accertare la natura politica o meno di un determinato atto” e “di stabilire se le censure in concreto dedotte in un giudizio amministrativo di mera legittimità attengano, appunto, a profili di legittimità o al contrario, investano profili della determinazione amministrativa non sindacabili in sede giurisdizionale”; v. anche VERDE G., Profili del processo civile, Parte generale, Napoli, 2002, pp. 51-52, secondo cui: “È un caso ormai difficile da verificare, perché avendo l’art 24 Cost. posto il principio della generale tutela dei diritti e degli interessi, l’impossibilità di adire i giudici è ipotizzabile soltanto nei rapporti fra cittadini e pubblica amministrazione e… di fronte all’attività di governo”.

[35] Art. 382 cpv. cod. proc. civ.

[36] LA CHINA S., Diritto processuale civile, Le disposizioni generali, Milano, 1991, pp. 220-221.

[37] Cfr. ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., p. 232; CIPRIANI F., Il regolamento, cit., pp. 166 e 300; MONTESANO L., Processo, cit., pp. 212 e 227; NIGRO M., Giustizia, cit., p. 173; GASPERINI M.P., Il sindacato della Cassazione, cit., p. 298; CHIOVENDA G., Istituzioni, cit., II, sez. I., p. 601; BETTI E., Diritto, cit., pp. 138-139.

[38] Cfr. CIPRIANI F., Il regolamento, cit., 166, secondo cui: “si deve senz’altro riconoscere l’efficacia di giudicato sostanziale ai sensi e per gli effetti dell’art. 2909 c.c.”; GASPERINI M.P., Il sindacato della Cassazione, cit, p. 298, secondo cui: “Nell’ipotesi di statuizione declinatoria… il giudicato sulla carenza del potere decisorio del giudice ordinario sulla causa proposta si estende altresì alla causa giuridica per cui detto potere decisorio è stato escluso, rappresentata, nella specie, dall’impossibilità di configurare un diritto soggettivo in capo all’attore, cosicché si è in presenza di un giudicato che, prima ancora di escludere la giurisdizione, esclude il diritto soggettivo, e perciò assume valore di cosa giudicata sostanziale ai sensi dell’art. 2909 c.c.”; MONTESANO L., Processo, cit., 227, secondo il quale: “la declinatoria di giurisdizione nei riguardi dell’amministrazione, pronunciata in sede di «conflitto» attuale o virtuale… dev’essere… considerata come un rigetto della domanda con piena forza di giudicato sostanziale: rigetto e giudicato che, ovviamente, non escludono l’esistenza del diritto per una «causa petendi» diversa da quella disconosciuta dalla Corte suprema”; LAUDISA L., La sentenza processuale, Milano, 1982, p. 68, secondo cui: “la sentenza che nega la giurisdizione perché la situazione prospettata non è tutelabile… equivale,… ad una sentenza di rigetto nel merito e pertanto fa stato tra le parti ex art. 2909 c.c.”; DE CRISTOFARO M., sub. artt. 339-391, in CONSOLO C.-LUISO F.P., Codice di procedura civile commentato, I, IPSOA, 2000, p. 1955, per cui: la sentenza che “nega l’esistenza stessa di una situazione giuridica tutelabile ad opera di un giudice ordinario o speciale… viene a decidere una questione di merito” ed “ha quindi un’efficacia extraprocessuale di giudicato sostanziale”.

[39] ZINGALES I., Pubblica amministrazione, cit., pp. 233-234.


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Nato a Caltagirone , consegue il Diploma di Maturità Scientifica e successivamente la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Catania con una tesi in Diritto processuale civile dal titolo “Le questioni deducibili con il regolamento preventivo di giurisdizione” relatore prof. Ignazio Zingales. 

Svolge il tirocinio formativo ex art. 73 DL 69/2013 presso il Tribunale ordinario di Catania, in ambito penale, presso la Corte d’Assise d’Appello, nonchè la pratica forense.
 Frequenta assiduamente e con costanza scuole di formazione per l’accesso alla professione magistratuale.

Ha conseguito le certificazioni Cambridge e Trinity in lingua inglese Level Certificate B2.

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