La Better Regulation come strumento di semplificazione normativa
Sommario
A partire dalla fine degli anni ’80 le istituzioni internazionali hanno prestato particolare attenzione ai temi della riduzione degli oneri amministrativi, della semplificazione normativa e dell’analisi di impatto della regolamentazione. Nel corso degli anni si è assistito ad una crescita del numero delle leggi e dei regolamenti, dei carichi regolativi che gravano sulle attività di cittadini, imprese e amministrazioni pubbliche e ad una complessità degli adempimenti burocratici imposti per assicurare e verificare il rispetto di tali regolazioni. Tutto ciò ha comportato un forte impatto sulla crescita e sulla competitività del singolo paese.
Le policies adottate da diversi paesi hanno tentato di dare una risposta alla domanda se una deregolamentazione sia da preferire una corretta ed efficace politica di regolazione. La risposta ritenuta più valida è nella ricerca del giusto equilibrio tra regolazione e buona qualità della formazione. In questo modo è possibile dare la giusta risposta alle opposte spinte alla deregolazione, per favorire il progresso economico, e alla iper-regolamentazione, per disciplinare la concorrenza o per tutelare gli interessi deboli o costituzionalmente sensibili.
La Better Regulation
Le politiche di semplificazione normativa e amministrativa hanno trovato un forte impulso nella Strategia di Lisbona. Ricordiamo che oggi, la gran parte dei servizi pubblici può essere gestita da soggetti organizzati in forma di società di diritto privato. Il potere pubblico viene chiamato a regolamentare i mercati con la produzione di regole specifiche con una disciplina pubblicistica che rimane quindi nella forma della regolazione. È questa una modificazione profonda delle funzioni dello Stato che pone la necessità di creare delle “buone” regole idonee al funzionamento del mercato d’interesse pubblico.
Gli effetti di un buon sistema di regolazione dei mercati sono infatti molto importanti poiché in primo luogo viene stimolata la nascita di mercati efficienti e concorrenziali anche a livello locale, in secondo luogo perché un effetto significativo è quello che consente al Paese di localizzare utilmente le imprese. Si sottolinea che, a seguito dell’impulso comunitario, è stato operato un vero e proprio passaggio tra uno Stato che erogava servizi pubblici ad uno Stato che opera una regolazione del mercato in cui esistono soggetti privati.
Prendendo spunto da queste considerazioni si cominciano a delineare i concetti “Regulatory Reform”, “Regulatory Policy” e “Better Regulation”, la cui matrice comune, aldilà delle sottili distinzioni termologiche, è costituita dall’esigenza di assicurare un contesto normativo di “alta qualità”.
Negli ultimi anni, l’espressione “Regulatory Policy” ha gradualmente preso il posto della denominazione “Regulatory Reform”, per sottolineare la diversa prospettiva che è andata assumendo la “politica” di regolazione come processo continuo, una strategia unitaria piuttosto che una serie di “riforme” ad hoc. L’espressione “Better Regulation” nasce, invece, nel Regno Unito e sta ad indicare l’azione svolta dal Cabinet Office per promuovere il miglioramento della regolazione. L’impostazione seguita dall’OCSE si basa su un’accezione assai ampia di “regulation”, che finisce per ricomprendere tre ambiti, distinti in funzione degli obiettivi e degli interessi tutelati:
a) “regolazione economica”, che interviene direttamente nelle decisioni di mercato, attraverso la regolazione dell’entrata e dell’uscita dei prezzi;
b) “regolazione sociale”, che evoca gli interventi tesi alla cura di interessi pubblici prevalenti, come la salute e la sicurezza dei lavoratori, la protezione ambientale e la tutela dei consumatori;
c) “regolazione amministrativa”, con la quale i pubblici poteri impongono una serie di adempimenti (il c.d. red tape), attraverso i quali raccolgono informazioni ed intervengono nelle decisioni economiche degli operators.
In tale ampia nozione di regolazione si fa rientrare anche la disciplina della concorrenza. Si tratta di un’ampia categoria definita dall’OCSE come “the diverse set of instruments by which governments set requirements in enterprises and citizens”, che include “leggi, provvedimenti formali ed informali e norme delegate adottate a tutti i livelli governativi e da organismi non governativi o di autoregolazione ai quali l’ordinamento abbia delegato poteri di regolazione”.
Una definizione così ampia di regolazione, che comprende tutti gli interventi pubblici e coincide con tutto il diritto pubblico dell’economia, è apparsa a molti sostanzialmente inutilizzabile e si è perciò fatta strada una nozione più ristretta di regolazione che potremmo definire “amministrativa” e che si riferisce a ogni forma di esercizio di poteri autoritativi da parte di amministrazioni pubbliche.
Non è mancato però chi ha subito sottolineato che anche questa nozione, seppure circoscritta, porta ad includere nella definizione di regolazione anche il diritto penale e si rivela, dunque, particolarmente ampia. Si è così affacciata la tesi di una autorevole dottrina, che suggerisce di limitare ulteriormente l’accezione di regolazione ai soli interventi di amministrazioni indipendenti, cui sia stato affidato un unico compito istituzionale e che adottino regolazioni prevalentemente “condizionali”, nel rispetto del principio del giusto procedimento, attraverso gli strumenti della partecipazione e della trasparenza (si parla di “regolazione amministrativa a carattere economico”). Sembra dunque imprescindibile un diverso approccio, meno teorico e più ancorato al diritto positivo, che delimita il concetto di regolazione a seconda dell’ampiezza dell’ambito operativo dello strumento di volta in volta utilizzato per pervenire ad una “buona” regola.
Le difficoltà di pervenire ad un concetto universalmente valido di regolazione si colgono, per esempio, quando si tenta di individuare il concetto di regolazione da sottoporre ad analisi di impatto. Basta infatti ricordare che mentre inizialmente il nostro legislatore aveva accolto una nozione ampia di regolazione che comprendeva, accanto alle “regolazioni normative” (schemi di atti normativi e progetti di legge), le “regolazioni amministrative” vincolanti (schemi di atti normativi adottati dal Governo e di regolamenti ministeriali ed interministeriali; atti amministrative generali delle autorità indipendenti di regolazione) e non vincolanti (circolari e regole tecniche contenute in atti non normativi) . In conclusione, la nozione di regolazione, non solo varia da ordinamento ad ordinamento, ma risulta positivamente condizionata dalle scelte operate dal legislatore nell’individuazione degli strumenti di Better Regulation e del loro ambito applicativo.
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