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Svalutazione competitiva: costi e benefici

In macroeconomia il Pil, ovvero il prodotto interno lordo di un Paese, è dato dalla seguente equazione:
Y = C + I + G + X – M
In cui:
Y: Corrisponde alla produzione nazionale, ovvero al reddito complessivo generato in un’economia ;
C: Rappresenta i consumi effettuati dalle famiglie;
I: Indicano gli investimenti realizzati dalle imprese. Per investimenti si intende, a livello economico ed imprenditoriale, la variazione dello stock di capitale fisico (tipicamente macchinari e fattori di produzione);
G: Testimonianza la spesa pubblica effettuata dal Governo;
X: Rappresenta le esportazioni;
M: Rappresenta le importazioni;
Consumi, Investimenti, Spesa pubblica, incrementando la domanda interna, stimolano la produzione di beni e servizi, favorendo la crescita economica del Paese.

Concentriamoci adesso, brevemente, sul saldo della bilancia commerciale, ovvero la differenza tra le esportazioni e le importazioni (X – M).
Le espressioni rappresentano, a livello economico, una domanda esercitata da economia estera per beni e servizi prodotti localmente.
Stimolando la produzione interna, le esportazioni contribuiscono alla crescita e al progresso economico dell’economia.
Le importazioni, invece, riguardano una domanda interna per beni e servizi prodotti all’estero e, ovviamente, contribuiscono alla crescita economica delle economie estere.
Qualora XM > 0, l’economia sarebbe in una posizione di avanzo commerciale, mentre invece il saldo netto tra le esportazioni e le importazioni fosse negativo, l’economia registrerebbe un disavanzo commerciale.
E’ bene sottolineare come, nei rapporti economici tra nazioni, si adottino valute differenti le quali, per permettere e regolare adeguatamente gli scambi, si ancorano a differenti tassi di cambio.
Il tasso di cambio, economicamente parlando, rappresenta il prezzo al quale vengono scambiati due diverse valute.
Intuitivamente un’economia, per poter acquistare beni e servizi prodotti all’estero, necessiterà della valuta della suddetta economia poiché gli scambi, affinché vi sia trasparenza ed omogeneità, devono avvenire nella valuta dell’economia oggetto di interesse.
Dunque, per poter importare beni e servizi dall’estero, i produttori/consumatori nazionali dovranno vendere, nei mercati finanziari internazionali, valuta domestica per ottenere valuta estera e, contestualmente, lo stesso processo avverrà per le esportazioni.
I tassi di cambio, in macroeconomia, sono essenzialmente di due tipologie distinte e definite: tassi di cambio fissi o variabili.
Il tasso di cambio fisso, non essendo soggetto a mutamenti nel corso del tempo, mantiene un certo rapporto ancorato e stabile tra le due valute oggetto di interesse, il tasso di cambio variabile, invece, è legato alle tipiche fluttuazioni della domanda e dell’offerta nel mercato valutario.
Qualora due valute fossero legate da un tasso di cambio fisso, la Banca Centrale dei due Paesi dovrà attivamente impegnarsi, nella gestione della politica monetaria, per salvaguardare il tasso di cambio, garantendo così credibilità e fiducia alla valuta.
Il seguente esempio chiarirà meglio le argomentazioni appena esposte:
Immaginiamo che l’euro e il dollaro americano, le due valute più importanti e impiegate nei commerci a livello mondiale, fossero legati da un regime di tassi di cambio fisso.
Se l’economia europea fosse, ad esempio, in una spirale economica recessiva e depressiva, la BCE, ovvero la Banca Centrale Europea, per poter risollevare e sostenere l’economia potrebbe ridurre progressivamente i tassi d’interesse, ovvero il costo del denaro, al fine di stimolare gli investimenti e la domanda aggregata.
La Banca centrale, inoltre, potrebbe incrementare, attraverso una politica monetaria espansiva, la quantità di moneta all’interno del sistema economico; creando le condizioni affinché la fiducia possa riemergere tra gli agenti economici e l’economia possa tornare in salute e fertile.
Una maggiore liquidità nel sistema economico, condita da un taglio progressivo dei tassi d’interesse, contribuisce a deprezzare il valore economico della valuta del Paese poiché, per la semplice dinamica di mercato, l’offerta di moneta sarà superiore alla domanda e ciò finirà per gran parte crollare il valore economico reale della valuta.
Dato il regime di cambio fisso che regola i rapporti tra le valute delle due economie, la Federal Reserve, la Banca centrale degli Stati Uniti d’America, dovrebbe attuare specularmente una politica monetaria espansiva, garantendo così pieno rispetto ed armonia nella gestione del tasso di cambio.
Quando, perciò, le valute di due economie sono regolate da regimi di tassi di cambio fissi, le politiche economiche delle due nazioni, ovvero sia la politica fiscale che la politica monetaria, sono fortemente interconnesse e si influenzano reciprocamente.
In presenza, invece, di tassi di cambio variabili, le dinamiche valutarie sarebbero legate alla pressione e all’incidenza, sull’economia, dei mercati finanziari. Politica e istituzioni economiche, in questa circostanza, non dovrebbero l’obbligo di intervenire nel sistema economico per regolare il tasso di cambio.
Con l’espressione guerra valutaria, o svalutazione competitiva, si intende l’azione per cui un Paese cerchi di ottenere un tasso di cambio più basso, e dunque favorevole, per la propria valuta, allo scopo di rendere più competitivo il prezzo per le esportazioni , favorendo così una crescita economica.
La Banca Centrale di un Paese, ovvero l’istituto finanziario che ne gestisce la politica monetaria, qualora volesse deprezzare la valuta dell’economia, potrebbe attuare una politica monetaria espansiva in quanto, offrendo maggiore liquidità nel mercato, la valuta risulterebbe deprezzata e dal minor valore potere d’acquisto. Una moneta svalutata aiuta il Paese ad essere più competitivo sui mercati internazionali, poiché favorisce le esportazioni e, dunque, la crescita economica.
Nonostante questo fattore, sicuramente positivo, la valutazione, per un’economia, comporta anche un maggior costo per importare beni e servizi dall’estero e ciò, in termini economici, si tradurrà in una maggiore vendita, con una riduzione del potere d’acquisto di cittadini e imprese.
Se ogni Paese procedesse con queste politiche, generando una vera e propria guerra commerciale, l’effetto finale potrebbe essere addirittura un rallentamento del commercio internazionale.
Uno dei casi più eclatanti di ricorso alla svalutazione competitiva lo si ebbe negli anni Trenta, quando molti Paesi, per difendersi dalla grande depressione, tentarono di guadagnare quote di mercato deprezzando la loro valuta. Poiché la manovra è stata attuata da molti Paesi, il risultato è stato quasi nullo in termini di competitività, portando ad un crollo del commercio internazionale e ad un peggioramento della recessione.
Ricordiamo come, nella teoria economica, non esistano pasti gratis e per ogni azione vi deve sempre corrispondere una conseguenza ben specifica e definita.
Se un’economia importa più di quel che esporta, vi dovrà essere un’altra economia che compenserà il deficit commerciale, esportando perciò più di quel che effettivamente riuscirà ad importare.
Un Paese ad alto debito pubblico potrebbe aver convenienza nel disporre di un tasso di cambio favorevole, e dunque di una valuta deprezzata, in quanto la maggior vendita, che scaturirà dal maggior costo per importare beni e servizi esteri, abbatterà progressivamente, almeno nel breve periodo , il rapporto debito pubblico/Pil liberando così importanti risorse da poter destinare ad altri settori strategici dell’economia.
Nel lungo periodo, però, le aspettative di maggiore inflazione indurranno gli investitori, nazionali ma soprattutto esteri, a richiedere interessi crescenti sul debito pubblico, al fine di evitare, a causa della persistente e massiccia inflazione, rendimenti reali negativi. Tutto questo, inevitabilmente, comporterà un aumento del servizio del debito e del costo del finanziamento, che causerà un rapido incremento nel rapporto debito/Pil.
Un’economia che desideri mantenere un tasso di cambio variabile con le valute dei principali partner commerciali deve, inevitabilmente, anche essere pronta a fronteggiare le tensioni e le plausibili speculazioni sui mercati finanziari, con i rischi e i benefici ad esse associati.
La Banca Centrale di un Paese, in regime di cambi fissi e variabili, deve godere ed infondere nel sistema economico credibilità ed autorevolezza.
Le Banche Centrali dispongono di ampie riserve di valuta estera al fine di sostenere, in caso di attacco speculativo da parte dei mercati finanziari, la valuta domestica attraverso operazioni di acquisto e vendita di valute sui mercati.
Un regime di tassi di cambio fissi, ovviamente, inibisce l’azione della politica monetaria in quanto, la Banca Centrale, dovrà mantenere costantemente il controllo del tasso di cambio, rinunciando così a politiche monetarie, restrittive o espansive, al fine di controbilanciare la congiuntura economico.
Le riserve di valuta estera, dunque, sono fondamentali in quanto, attraverso esse, la Banca Centrale deve dimostrare la sua potenza e determinazione nel raggiungere gli obiettivi prefissati.
Un ammontare di riserve estere insufficiente potrebbe innescare, ai danni della valuta domestica, un attacco speculativo da parte dei mercati finanziari, come accadde in Italia nel 1992 in seguito all’attacco speculativo di George Soros.
Qualora una Banca centrale terminasse le riserve di valuta estera, non sarebbe più capace nel difendere la valuta domestica dagli attacchi speculativi dei mercati e la stessa sarebbe ridotta, tragicamente, a carta straccia con ovvie, e drammatiche, conseguenze economiche, politiche e sociali per l «L’economia in questione.
Una Banca Centrale, dunque, deve essere credibile e la politica monetaria, prima ancora di individuare gli strumenti finanziari da impiegare, deve essere volta alla pragmaticità e all’oralità.
Celebre fu il “ What it takes ” con cui Mario Draghi, allora governatore della BCE, pronunciò alla global investment conference nel luglio 2012, come risposta agli attacchi speculativi della finanza che scommetteva sul collasso dell’Unione economica monetaria, in seguito alla crisi dei debiti sovrani del 2011.
Anyway it takes ” ovvero, ribadendo le parole di Draghi, la BCE avrebbe fatto tutto il possibile, ea qualunque costo, pur di salvare l’euro e il sistema monetario europeo.
Queste brevi, ma incisive parole, furono ritenute credibili dai mercati finanziari, che comprendevano la determinazione e la fermezza della BCE nel voler contrastare le minacce speculative cui l’euro, e le economie europee, erano soggette.
Gli Stati Uniti è un’economia che importa molti più beni e servizi di quel che effettivamente esporta e, dunque, vive molto al di sopra delle sue possibilità, in termini piuttosto macroeconomici e finanziari.
La Cina, invece, secondo partner economico più importante al mondo dopo gli Stati Uniti, è un’economia che ha incentrato la sua crescita economica grazie, prevalentemente, a politiche mercantiliste, fondate sulle esportazioni di beni e servizi al resto del mondo.

Analizziamo, nuovamente, l’equazione di equilibrio macroeconomico che abbiamo definito all’inizio:
Y = C + I + G + X – M
Definiamo, adesso, C + I+ G = A. La somma di consumi, investimenti privati e pubblici e spesa pubblica, nel linguaggio economico, corrisponde all’assorbimento interno ovvero la quota di domanda aggregata, prodotta in un dato sistema economico, generata domesticamente.
Negli Stati Uniti, l’assorbimento interno della domanda aggregata (A) è superiore al reddito prodotto nell’economia (Y), ovvero il prodotto interno lordo.
Affinché la domanda aggregata sia uguale al prodotto interno lordo, ovvero la normale condizione di equilibrio macroeconomico presente sui mercati, gli Stati Uniti, ovvero i Paesi che sperimentano un assorbimento interno superiore alla produzione, dovranno inevitabilmente contrarre un disavanzo commerciale con le economie estere.
Servendoci della matematica otterremo il seguente risultato:
Y = C + I + G + X – M
C+ I+ G = A
• Se A > (<) Y : ( X – M) = Y – A
Riprendendo il saldo commerciale (X-M) possiamo facilmente concludere:
– (X-M) > 0 = Avanzo commerciale = afflusso di valuta estera nell’economia
– (X-M) <0 = Disavanzo commerciale = Deflusso di valuta domestica dall’economia

La Cina, invece, ha un assorbimento interno inferiore alla sua produzione nazionale e, per raggiungere l’equilibrio macroeconomico, dovrà impegnarsi nel raggiungere consistenti avanzi commerciali.
Gli Stati Uniti, infatti, pagheranno merci e beni cinesi utilizzando il dollaro americano, valuta cardine del sistema finanziario mondiale. I produttori e le imprese cinesi, necessitando di renmimbi per poter gestire i commerci, pagamenti di salari e stipendi, costi di gestione etc… cambieranno i dollari americani in cambio di renmimbi cinesi presso le banche commerciali.
Le banche commerciali, a loro volta, depositeranno i dollari presso la Banca Centrale Cinese che, così, si ritroverà a disporre di ingenti riserve di liquidità espresse in valuta estera.
Un commercio efficiente prevede che, affinché ambedue le economie coinvolte nello scambio possano godere di mutui vantaggi, i mercati finanziari debbano ricoprire un ruolo primario nell’allocazione e intermediazione dei fondi.
La Banca Centrale Cinese, tendenzialmente, acquista titoli di stato americani finanziando così il debito pubblico, e il disavanzo commerciale, favorendo al contempo il ritorno di dollari entro i confini dell’economia statunitense, al fine di rendere fluido il meccanismo di scambi e pagamenti appena descritto.
La Cina, inoltre, ultimamente, grazie alle copiose riserve di dollari frutto degli scambi con gli Stati Uniti, sta progressivamente intraprendendo politiche di colonizzazione ed espansione economica nel continente africano.
Il commercio internazionale è intrinsecamente interconnesso e le politiche economiche, varate a livello nazionale e mondiale, sono fondamentali per garantire e salvaguardare la tenuta dell’assetto economico-sociale a livello planetario.
Spesso si parla di dazi, politiche protezionistiche e limiti all’importazione, ovvero misure di politica economica volte a tutelare l’economia dalla concorrenza estera. Gli Stati Uniti, guidati dall’amministrazione Trump, hanno intrapreso una vera e propria guerra commerciale con la Cina introducendo, su molti beni e prodotti, dazi commerciali al fine di ridurre, progressivamente, il disavanzo commerciale con l’economia cinese che, secondo molti economisti, rappresenta una delle maggiori criticità e tensioni alla sostenibilità del debito pubblico americano.
E’ bene, però, ribadire come suddette politiche economiche, seppur guidate e spinte da interessi nazionalistici, conducano, se frutto di impulsi e isterie politiche, a una paralisi del commercio e a conseguenze potenzialmente devastanti per l’economia mondiale.
Tra i partner commerciali, dunque, la collaborazione e la cooperazione, sia in ambito politico e soprattutto economico, è fondamentale per mantenere relazioni commerciali sane, produttive che portino crescita e benessere diffuso.
Se non vi è collaborazione, ovvero si perseguono politiche incentrate sulla sconfitta dell’avversario, si può arrivare ad un gioco a somma zero potenzialmente dannoso, destabilizzante e spesso causa di tensioni, conflitti e guerre.

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