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Il calcolo dell’usura: gli interessi moratori sono compresi nel calcolo?

Con la sentenza n. 19597/2020 le Sezioni Unite della Cassazione hanno risolto il contrasto interpretativo avente ad oggetto l’applicazione, o meno, della disciplina “anti-usura” (di cui agli artt. 644 c.p. e 1815 c.c.), anche agli interessi moratori.
I c.d. interessi di mora, a differenza degli interessi corrispettivi che si giustificano per l’altrui uso legittimo del denaro, assolvono una funzione riparatoria-risarcitoria e solo latamente sanzionatoria: essi decorrono in conseguenza del ritardo colpevole del debitore nell’adempimento della prestazione di pagamento. Cosicché mentre gli interessi corrispettivi rispondono ad una mera logica di scambio, gli interessi moratori rispondono, invece, a una regola di responsabilità.

Prima di conoscere le statuizioni dell’Alto Consesso riunito a sezioni unite, in merito alla prospettata questione, preme dare atto degli opposti orientamenti giurisprudenziali che per lungo tempo hanno composto il contrasto in oggetto.

La tesi restrittiva.

La tesi che esclude l’applicazione della disciplina “anti-usura” anche agli interessi moratori, si fonda su una pluralità di argomentazioni tra cui:

  • da un punto di vista letterale, l’art. 1815, comma 2, c.c. si riferisce unicamente agli interessi corrispettivi, così come l’art. 644, comma 1, c.p., punisce chi si fa dare o promettere interessi usurari “in corrispettivo di una prestazione di denaro”;
  • da un punto di vista teleologico: mentre gli interessi corrispettivi, come descritto, assolvono ad una funzione remunerativa, quelli moratori hanno natura risarcitoria e quindi rappresentano la liquidazione forfettaria minima del danno da ritardo nelle obbligazioni pecuniarie. Questa differenza, a parere dei sostenitori della tesi restrittiva, giustificherebbe il diverso trattamento ai fini del calcolo dell’usura;
  • da un punto di vista sistematico, si fa riferimento alla circostanza che gli interessi di mora non rilevano nel tasso soglia dei d.m.; in particolare, nelle voci computate dai decreti ministeriali al fine della rilevazione del tasso medio non sono inclusi gli interessi di mora, mentre i due dati – T.e.g. Del singolo rapporto e T.e.g.m. determinante il tasso soglia – devono essere omogenei: onde nel T.e.g. Del singolo rapporto gli interessi moratori non debbano essere conteggiati.

La tesi estensiva.

Di diverso tenore, invece, la teoria della riferibilità anche agli interessi di mora nella determinazione del tasso usurario ai fini dell’applicazione della descritta disciplina ex artt. 1815 c.c. e 644 c.p.

I fautori di questa opposta impostazione di tipo “inclusivo”, sostengono che:

  • da un punto di vista letterale, le norme in materia di usura ed interessi (art. 1815, comma 2, cod. civ., art. 644, comma 4, cod. pen., art. 2, comma 4, I. n. 108 del 1996 e art. 1, comma 1, d.l. n. 394 del 2000, conv. dalla I. n. 24 del 2001) non fanno distinzioni riguardo alle varie tipologie di interessi ed, anzi, in alcune di esse si fa riferimento agli interessi pattuiti “a qualunque titolo”; peraltro, la relazione governativa di accompagnamento alla legge n.24 del 2001 fa più esplicito riferimento a ogni tipologia di interesse “sia esso corrispettivo, compensativo o moratorio.
    A detta dei sostenitori di questa tesi che si espone, il linguaggio del legislatore sembra non lasciare spazio a interpretazioni (“in claris non fit interpretatio”);
  • da un punto di vista teleologico, entrambe le tipologie di interessi (corrispettivi e moratori) hanno una configurazione funzionalmente unitaria: hanno una funzione “reintegrativa” ovvero assolvono alla funzione di remunerare il capitale di cui il creditore non ha goduto, nel primo caso volontariamente, nel secondo caso involontariamente;
  • da un punto di vista sistematico, è irrilevante la circostanza che i decreti ministeriali di rilevazione non includano gli interessi moratori nella definizione del T.e.g.m., e quindi, del relativo tasso-soglia avendo la legge n. 108 del 1996 costruito il giudizio di usurarietà su di un unico tasso soglia per ciascun tipo di finanziamento e distinto solo tra i diversi modelli contrattuali, non anche tra le differenti specie di costo del credito, prevedendo uno spread tra T.e.g.m. e tasso-soglia, tollerato dal sistema, appunto per lasciare uno spazio ulteriore rispetto ai parametri di mercato.

In conclusione si afferma che l’equiparazione degli interessi moratori a quelli corrispettivi, così come dimostrata, vale ad escludere qualsiasi trattamento diversificato – tra le due tipologie di interesse – con riguardo al calcolo dell’usura.

La decisione delle Sezioni unite.

A dirimere il contrasto interpretativo generato dai due contrapposti orientamenti da poco descritti è intervenuta la Corte di Cassazione che, con sentenza depositata il 18 settembre 2020, ha affermato il seguente principio di diritto:

La disciplina anti-usura si applica agli interessi moratori, intendendo essa sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, ma anche la promessa di qualsiasi somma usuraria sia dovuta in relazione al contratto concluso.”

In particolare, le Sezioni Unite ritengono che alla luce delle rationes legis sottese alla disciplina anti-usura ( tra le tante la tutela del fruitore del finanziamento, la repressione della criminalità economica e  la stabilità del sistema bancario), così come alla luce della necessità di tutelare il soggetto debitore, il concetto di interesse usurario e la relativa disciplina repressiva non possono dirsi estranei all’interesse moratorio.
Pronunciandosi in tal senso, la Corte di Cassazione mostra di aderire alla tesi estensiva che include il tasso di mora ai fini del calcolo dell’usurarietà.

La disciplina anti-usura – affermano le Sezioni Unite – ha come obiettivo quello di sanzionare la pattuizione di interessi eccessivi, convenuti al momento della stipula del contratto quale corrispettivo per la concessione del denaro, inclusi gli interessi moratori – dunque – che sono comunque convenuti e costituiscono, pertanto, un possibile debito per il finanziato.

Più nel dettaglio poi la Corte di Cassazione, nella citata sentenza, si sofferma su alcune specifiche questioni legate al tema che si esamina, degli interessi moratori ai fini del calcolo dell’usura.

Con riguardo all’individuazione dei tassi soglia per gli interessi di mora, puntualizzano che “la mancata indicazione dell’interesse di mora nell’ambito del T.e.g.m. non preclude l’applicazione dei decreti ministeriali, i quali contengano comunque la rilevazione del tasso medio praticato dagli operatori professionali, statisticamente rilevato in modo del pari oggettivo ed unitario, essendo questo idoneo a palesare che una clausola sugli interessi moratori sia usuraria, perché “fuori mercato”, donde la formula: “T.e.g.m., più la maggiorazione media degli interessi moratori, il tutto moltiplicato per il coefficiente in aumento, più i punti percentuali aggiuntivi, previsti quale ulteriore tolleranza dal predetto decreto. Ove i decreti ministeriali non rechino neppure l’indicazione della maggiorazione media dei moratori, resta il termine di confronto del T.e.g.m. così come rilevato, con la maggiorazione ivi prevista.”

Le Sezioni Unite, in fine, enunciano quali sono gli oneri probatori a carico delle parti nelle controversie sulla debenza e misura degli interessi moratori, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ.

Il debitore, il quale intenda provare l’entità usuraria degli stessi, ha l’onere di dedurre il tipo contrattuale, la clausola negoziale, il tasso moratorio in concreto applicato, l’eventuale qualità di consumatore, la misura del T.e.g.m. nel periodo considerato, con gli altri elementi contenuti nel decreto ministeriale di riferimento.

Dall’altro lato, la banca dovrà allegare e provare i fatti modificativi o estintivi dell’altrui diritto: fra di essi, la pattuizione negoziata della clausola con il soggetto sebbene avente la veste di consumatore, la diversa misura degli interessi applicati o altro.

(A cura di Francesca Paola Solito)


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