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Imputato a vita: i devastanti effetti dell’abolizione di fatto dell’istituto della prescrizione

La prescrizione penale

Imputato a vita: i devastanti effetti dell’abolizione di fatto dell’istituto della prescrizione

(Avv. Giovanni Palmieri)

La riforma della disciplina della prescrizione del reato è contenuta nell’art. 1, lett. d), e), f) della l. n. 3/2019, disposizioni che, in base all’art. 1 co. 2 della legge stessa, entreranno in vigore l’1 gennaio 2020.

La nuova disciplina dell’art. 159 c.p., in vigore dal prossimo 1 gennaio, prevede la sospensione della prescrizione “dalla pronunzia della sentenza di primo grado o del decreto di condanna fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna“: in sostanza la prescrizione non potrà più maturare nei giudizi di appello e di cassazione.

Tale provvedimento legislativo “spazza prescrizione” è destinato ad avere effetti significativi, sebbene limitati a circa un quarto dei procedimenti penali che annualmente vengono definiti con una declaratoria di prescrizione del reato.

Tuttavia notevole sarà l’impatto sul sistema perché, a partire dall’1 gennaio 2020, si assisterà ad un’abolizione di fatto dell’istituto per tutti i reati e le contravvenzioni, indipendentemente dalla gravità degli stessi, trasformando in tal modo la vicenda penale che coinvolge l’imputato: essa non sarà più una parentesi temporale definita ma rischia di diventare un giudizio “eterno“.

L’effetto più devastante della riforma è rappresentato proprio dal rischio di trasformare l’imputato in un processato a vita, sia nell’ipotesi in cui sia colpevole sia nel caso in cui sia innocente.

Ne discenderà la necessità per l’imputato di dover essere necessariamente assolto nel giudizio di primo grado e sperare che non vi sia alcuna impugnazione della parte civile (se costituita) o del P.M. per porre fine all’incubo di dover passare ancora anni e anni sotto processo.

In caso di impugnazione della sentenza di assoluzione, l’esito favorevole e positivo del processo servirebbe solo ad alleggerire il peso della spada di Damocle che, comunque, continuerebbe a pendere sulla testa dell’imputato.

L’effetto più devastante della riforma si avrebbe certamente per l’imputato condannato all’esito del processo di primo grado. Egli si vedrebbe trasformato automaticamente in un imputato a vita costretto a vivere per i numerosi anni di durata dei restanti gradi di giudizio (appello e Cassazione) con l’ansia di subire una condanna ingiusta o con il rischio di non veder mai dimostrata la propria innocenza, con il pericolo permanente di dover risarcire in futuro un danno e con evidente impatto economico della vicenda sulla sua vita. Allo stesso modo anche la vittima del reato potrà restare parte lesa a vita senza mai essere risarcita, in attesa di una sentenza definitiva che potrebbe non arrivare mai.

In conclusione: tale provvedimento legislativo di impronta giustizialista rappresenta un’arma di denegata giustizia lesiva di diritti fondamentali dell’imputato ma anche della vittima del reato. Sarebbe pertanto auspicabile un immediato intervento legislativo per bloccare tale riforma che incentiverà la dilatazione dei processi e l’allungamento dei tempi della giustizia con evidente violazione dei principi costituzionali della presunzione di non colpevolezza, della funzione rieducativa della pena, dell’inviolabilità del diritto di difesa e della ragionevole durata del processo.