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Il sistema di prevenzione della crisi d’impresa: analogie e differenze con il modello 231

Abstract

L’oggetto della presente riflessione riguarda il rapporto fra il nuovo sistema di prevenzione della crisi d’impresa, fondato sugli “adeguati assetti organizzativi”, di cui all’art. 2086 comma secondo c.c., e la compliance 231, ed in particolare con i modelli organizzativi di gestione e controllo.

Premessa: uno sguardo d’insieme

Per effetto del D.L. 118/2021 recante misure urgenti in materia di crisi d’impresa e di risanamento aziendale, nonché ulteriori misure urgenti in materia di giustizia (convertito in L. 21 ottobre 2021 n. 147) le norme riguardanti le procedure di allerta e di composizione della crisi introdotte dal “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” entreranno in vigore in data 31 dicembre 2023. Le restanti norme, invece, in data 16 maggio 2022, ad eccezione di quelle modificative il codice civile, già entrate in vigore in data 16 marzo 2019.

Trattasi dell’ennesima proroga, dopo i precedenti del Decreto Cura Italia e del Decreto Liquidità, giustificata dal contesto emergenziale in atto.

Come noto, il D.Lgs. 14/2019, cd. “Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza” (da ora in avanti, CCII) in attuazione della Legge 19 ottobre 2017, n. 155, ha inteso riformare la normativa concorsuale introducendo istituti finalizzati al mantenimento e al recupero della continuità aziendale, cd. “going concern”, con il duplice auspicato effetto di tutela degli stakeholders, da un lato, e di superare lo stigma sociale ai danni dell’imprenditore che versi in uno stato di difficoltà, dall’altro. A tal riguardo, si inserisce la scelta lessicale del Legislatore di eliminare il termine “fallimento”, per indicare la procedura concorsuale dell’imprenditore in stato di insolvenza irreversibile, e di sostituirlo con “liquidazione giudiziale”.

Per comprendere il concetto di “crisi”, il CCII riporta una definizione all’art. 2, c.1 lett. a), intendendola quale <<stato di difficoltà economico-finanziaria che rende probabile l’insolvenza del debitore [ovvero] si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate>>. Tale stato si differenzia a livello temporale, in quanto precedente, e per intensità, in quanto reversibile, dall’ “insolvenza”, ovvero lo stato di decozione del debitore che non riesce più ad adempiere alle proprie obbligazioni.

In linea con questa ratio, il CCII delinea un sistema preventivo di rilevazione della crisi[i], al ricorrere di indicatori della crisi, introducendo:

  • doveri per il debitore sia imprenditore individuale che collettivo, al fine di individuare misure idonee per rilevare tempestivamente lo stato di crisi e per farvi fronte;
  • strumenti di allerta, interna ed esterna all’impresa, in capo a soggetti obbligati – sindaci e revisori o creditori pubblici qualificati –  mediante segnalazione al debitore-imprenditore dei primi sintomi della crisi;
  • procedura di composizione della crisi di natura stragiudiziale dinanzi a organi terzi – OCRI o OCC – attivabile dal debitore o dai soggetti obbligati in caso di inerzia dell’amministratore, senza il coinvolgimento dei creditori e finalizzata alla riorganizzazione dell’attività imprenditoriale. Da questa procedura si distingue la composizione assistita della crisi, attivabile dal solo debitore, che ha ad oggetto una trattativa con i creditori mediata dall’organo terzo, e la nuova composizione negoziata della crisi, introdotta dall’art. 2 del D.L. 118/2021 ed in vigore dal 15 novembre 2021.

Gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili

Il CCI, tra le varie modifiche al codice civile immediatamente applicabili, all’art. 375 prevede la nuova rubrica dell’art. 2086 c.c., da “direzione e gerarchia dell’impresa” a “gestione dell’impresa”, con ciò rimarcando l’intento di valorizzare una sana e prudente Corporate Governance. Inoltre, introduce al medesimo articolo della disposizione civilistica il seguente comma: <<l’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale>>. La norma in esame riprende il contenuto del dovere generale di cui all’art. 3 del CCII che è stato già anticipato. Il combinato disposto dell’art. 375 con gli artt. 377, 378, 379 del CCII (riguardanti rispettivamente il dovere in capo agli amministratori di dotare l’impresa di adeguati assetti organizzativi, la responsabilità degli amministratori nei confronti dei creditori sociali, nonché la nomina dell’organo di controllo) permette di fondare un minimo comune denominatore nella prevenzione all’insorgere della crisi d’impresa.

Tali norme sono propedeutiche agli strumenti di allerta e all’obbligo di segnalazione da parte dei soggetti delegati, nonché dell’organo di controllo all’amministratore in presenza di segnali di instabilità transitoria che in chiave prognostica possano portare all’insolvenza. La tempestiva attivazione dell’organo amministrativo permetterebbe al debitore di beneficiare delle misure premiali previste all’art. 25 del CCII, ed in particolare della causa di non punibilità, laddove il danno cagionato sia di speciale tenuità, e dell’attenuante speciale ad effetto speciale, quando, fuori dall’ipotesi di danno di speciale tenuità, siano soddisfatti entrambi i seguenti requisiti: a) danno non superiore a 2 milioni di euro e b) valore dell’attivo, prima dell’apertura della procedura concorsuale, pari almeno ad un quinto dei debiti chirografari.

Il sistema di prevenzione della crisi del CCI e il Sistema 231: due facce dello stesso rischio di impresa

Alla luce delle novità introdotte, la logica che informa il CCII è di natura preventiva, volta ad attivare il debitore – rectius l’amministratore – al fine di superare la momentanea crisi e scongiurare il dissesto irreversibile.

Il rischio di impresa è connaturato all’attività imprenditoriale e preordinato alle possibili declinazioni che l’impresa assume, secondo “natura e dimensione”, e ciò giustifica il dovere per l’organismo collettivo e societario di dotarsi di un assetto organizzativo – per capire chi fa cosa, amministrativo – per capire di decide cosa, e contabile – per capire come vengono impiegate le risorse.

Un filo logico che si lega prima facie al “Sistema” di cui al D.Lgs. n. 231/2001. Un “Sistema” pensato per perseguire i “white collars crimes” con l’introduzione nell’ordinamento interno, a seguito di istanze sovranazionali e comunitarie, di una responsabilità da reato dell’ente compiuto da soggetti inseriti nel contesto pluripersonale per il suo interesse o vantaggio. L’irresponsabilità organizzata, che in passato aveva consentito il proliferare di condotte criminose all’interno dell’ente pur rimanendo impunite, diviene obiettivo di contrasto attraverso principi di trasparenza, tracciabilità e diversificazione delle funzioni ed una “Corporate Culture” ispirata alla legalità.

L’ente, quindi, non risponde per il verificarsi dell’evento-reato, ma per non essersi allertato, per mezzo dei propri apicali, nell’adottare e attuare idonee misure organizzative volte al prevenire o ridurre il rischio di reato. Questa inerzia giustifica l’imputazione anche a carico dell’ente di una responsabilità aggiuntiva rispetto al fatto commesso dalla persona fisica, pur con un duplice e differente grado di onere probatorio a seconda che il reato sia commesso dal soggetto apicale, invero più stringente, o dal soggetto dipendente.

Il “modello organizzativo di gestione e controllo” (d’ora in avanti, modello 231), pertanto, acquisisce una funzione esimente laddove adottato secondo un approccio basato sul “risk management” e “risk assessment” nonché attuato e aggiornato di volta in volta sussistano variazioni normative, di assetto societario, o fatti che possono indurre al verificarsi dell’evento-reato, e soggetto al controllo di un Organismo Indipendente di Vigilanza.

In particolare, il modello 231, come per gli adeguati assetti organizzativi del CCI, dovrà adattarsi al contesto particolare dell’ente, e rispettare il contenuto dettato dall’art. 6, c. 2 del D.Lgs. 231/2001, a differenza dell’art. 2086 cc. che non prevede misure specifiche ma rimane di portata generale, ovvero:

  • <<individuare le attività nel cui ambito possono essere commessi reati>>, il cd. “risk assessment”;
  • <<prevedere specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire>>, il protocollo dovrà formalizzare il processo decisionale aziendale secondo la tracciabilità delle scelte aziendali e della segregazione delle funzioni;
  • <<individuare modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione di reati>>, secondo i principi di trasparenza, chiarezza e completezza delle scritture contabili;
  • <<prevedere obblighi di informazione nei confronti dell’organismo deputato a vigilare sul funzionamento e l’osservanza dei modelli>> per garantire l’effettività e l’efficacia del controllo autonomo, indipendente, professionale, imparziale e continuo dell’OIV;
  • <<introdurre un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello>>, al fine di rendere effettivo il rispetto del modello stesso all’interno  della s
  • il modello, infine, dovrà prevedere norme a tutela dei soggetti che effettuano segnalazioni di illeciti, cd. “whistleblowing”.

È indubbio che il “risk approach” richiesto dal CCII attraverso l’obbligo per l’amministratore di dotare l’organismo collettivo di adeguati assetti sia paragonabile al modello 231[ii].

A confermare il legame fra i due sistemi di prevenzione, è la circostanza che la violazione da parte degli organi societari degli strumenti di allerta e di segnalazione possono in linea teorica integrare direttamente fatti previsti come reato presupposto della responsabilità dell’ente, come le ipotesi di “impedito controllo” di cui all’art. 2625 c.c. e di “ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza” di cui all’art. 2638 c.c., rilevanti ai fini del Decreto 231 all’art. 25-ter.

E ancora, nel modello 231 ed in particolare nella parte speciale sarebbero (o dovrebbero essere) già disciplinate le misure idonee a contrastare fatti che indirettamente rappresentano comportamenti contrari alla “good fairness” societaria che determinano uno squilibrio economico-finanziario (ad esempio i reati tributari rappresentano, da un lato, un tipico esempio di Corporate crime, dall’altro un segnale di cattiva gestione e possibile crisi dell’impresa incapace di far fronte ai debiti con l’Erario).

Permangono tuttavia differenze tra i due sistemi di prevenzione. Invero:

  • la natura del modello 231 costituisce una facoltà per il soggetto pluripersonale che può decidere di adottarlo o meno. Al più, esso rappresenta un onere, alla luce della sua efficacia esimente o attenuante. Viceversa, il CCII introduce un obbligo per l’amministratore di curare la Corporate Governance con gli adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili;
  • il fine ultimo del modello 231 è scongiurare il rischio da reati presupposto per la responsabilità a carico dell’ente, contenuti agli artt. 24 e ss. del Decreto 231. Il sistema di prevenzione di cui al CCI è finalizzato ad intercettare e superare la crisi d’impresa;
  • la platea dei destinatari del D.Lgs. 231/2001, e quindi dei soggetti che possono dotarsi di un modello 231, è più ampia rispetto al sistema di prevenzione della crisi di impresa, in quanto gli strumenti di prevenzione della crisi di impresa non si applicano alle grandi imprese, alle società con azioni quotate in mercati regolamentati, o diffuse fra il pubblico in misura rilevante e agli intermediari finanziari, bancari e assicurativi;
  • come anticipato, se il D.Lgs. 231/2001 indica, seppure in termini generali il contenuto del modello 231, che comunque deve adeguarsi al contesto particolare di operatività dell’ente, l’art. 2086 c.c. introduce un obbligo a carico dell’amministratore la cui esecuzione è in forma libera. In altri termini, e in linea con il principio di libertà economica, l’amministratore può scegliere le modalità per attuare gli assetti adeguati ad una sana Corporate Governance.
  • infine, il sistema di prevenzione della crisi non contempla il controllo da parte di un soggetto terzo, quale l’OIV, come avviene per la vigilanza sul modello 231, ma da parte dell’organo di controllo apicale o di revisori. Per le imprese di minore dimensione il Decreto 231 prevede la possibilità di affidare le funzioni dell’OIV in capo all’organo dirigente, pur non senza critiche in termini di potenziale conflitto di interesse. Inoltre, se è vero che per le società di capitali le stesse funzioni possono essere affidati al collegio sindacale – al sindacato di sorveglianza o al comitato di gestione, a seconda del modello dualistico o monistico adottato dall’impresa – la Dottrina maggioritaria[iii] ritiene che l’organo interno di controllo non possa sostituirsi interamente all’OIV.

Conclusione: la possibile integrazione del modello 231 con il sistema di prevenzione della crisi

Ferme restando le differenze fra i due istituti, non può dubitarsi che il modello 231 per gli enti che lo abbiano già adottato, come segnalato in Dottrina, in virtù della sua esperienza ventennale e del consolidamento di prassi e spunti ermeneutici, rappresenti un punto di partenza solido per la predisposizione dei sistemi di prevenzione introdotti dal CCI.

Ciò garantirebbe una Compliance integrata che guardi ai fatti societari in maniera interdipendente, ed in sostanza, in chiave di opportunità e crescita per l’impresa e non di mero costo burocratico.

Per gli enti che non sono dotati di un modello 231, permane il dovere di adeguarsi al CCII con la predisposizione di un contesto societario che favorisca il flusso di informazioni verso l’organo decisorio, l’assenza di conflitti di interessi dell’organo di controllo, e la trasparenza della funzione contabile.

(A cura di Pierangelo Friolo)

RIFERIMENTI

[i] Per approfondimento del D.Lgs. 14/2019, Giorgetti M. (2019), Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Commento al Decreto Legislativo 12 Gennaio 2019, n. 14, Pisa, Pacini Giuridica.

[ii] Si segnala a tal riguardo, De Luca R. (2021), Prevenzione della crisi e compliance 231: binomio irrinunciabile per la goverance d’impresa, in Giurisprudenza Penale Web, 1-bis.

[iii] Ex multis, Colombo C. (2019), I soggetti, in Rampioni R. (a cura di), Manuale Diritto penale dell’economia, Torino, Giappichelli.


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