Quale futuro per le “Garanzie procedimentali” dell’art. 37-bis, commi 4 e 5 del d.P.R. n. 600/73?
(di Serena Giglio e Alessandro Blatti)
L’articolo 37-bis, rubricato: “Disposizioni antielusive” è collocato nell’ambito dei vari articoli del d.P.R. n. 600/1973 che disciplinano i poteri e le modalità di accertamento di cui dispone l’Amministrazione finanziaria. In breve, tale norma prevede in capo alla stessa Amministrazione la possibilità di disconoscere i vantaggi fiscali realizzati nell’ambito di atti, fatti e negozi, anche collegati tra loro, privi di valide ragioni economiche e diretti ad aggirare gli obblighi ed i divieti previsti nell’ordinamento tributario.
E difatti, come osservato da autorevole dottrina (cfr. F. Tesauro, in “Istituzioni di diritto tributario, parte generale”, undicesima edizione, Milano 2012, p.242 e ss.) “L’elusione non è <<violazione>>, ma <<aggiramento>> di precetti fiscali. E’ un comportamento formalmente conforme alle norme (norme impositive, o norme di favore) ma non alla loro ratio; l’elusione realizza un <<risparmio fiscale>>, e non è giustificata da valide ragioni extrafiscali. Il contribuente che elude evita di realizzare il presupposto della tassazione più onerosa seguendo un percorso anomalo, abusivo. […] l’elusione può essere contrastata con norme a contenuto espressamente antielusivo, che disciplinano fattispecie espressamente qualificate come elusive. Con le norme espressamente antielusive, il legislatore non introduce una modifica delle ordinarie norme impositive, ma attribuisce all’Amministrazione finanziaria il potere di qualificare come elusiva una determinata operazione e di imporre il pagamento del tributo eluso. Vi sono ordinamenti in cui sono presenti norme espressamente antielusive di portata generale; il caso più noto è quello tedesco. Nell’ordinamento italiano non vi è, in forma esplicita, una clausola antielusiva generale. Una norma espressamente antielusiva è l’art. 37-bis del D.p.r. 29 settembre 1973, n. 600”.
Al riguardo, è tuttavia opportuno segnalare che, a fronte di un così potente strumento che il Legislatore ha fornito all’Amministrazione finanziaria per accertare i casi di elusione fiscale, vi sono delle altrettanto forti condizioni richieste a pena di nullità, espressamente previste dai commi 4 e 5 dell’articolo in esame, cui la stessa Amministrazione deve necessariamente attenersi al fine dell’emissione di un avviso di accertamento basato sull’articolo de quo.
E difatti, i commi 4 e 5 del suddetto articolo (ribattezzati anche, “Garanzie procedimentali”) prevedono che:
“4. L’avviso di accertamento è emanato, a pena di nullità, previa richiesta al contribuente anche per lettera raccomandata, di chiarimenti da inviare per iscritto entro 60 giorni dalla data di ricezione della richiesta nella quale devono essere indicati i motivi per cui si reputano applicabili i commi 1 e 2.
5. Fermo restando quanto disposto dall’articolo 42, l’avviso d’accertamento deve essere specificamente motivato, a pena di nullità, in relazione alle giustificazioni fornite dal contribuente e le imposte o le maggiori imposte devono essere calcolate tenendo conto di quanto previsto al comma 2.”
Ebbene, occorre rilevare che, in senso pressoché monolitico, le sentenze delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. 23 dicembre 2008, nn. 30055, 30056, 30057) hanno affermato che le garanzie recate dalla menzionata disposizione antielusiva esprimono principi imprescindibili, di tal che, a partire dall’introduzione dell’art. 37-bis, d.P.R. n. 600, citato, l’esercizio del sindacato antielusivo avulso dalla concessione delle suddette garanzie previste dallo stesso art. 37-bis, commi 4 e 5, determina la nullità dell’atto impositivo emesso anche in quei casi in cui vengano mosse contestazioni relative al c.d. “abuso del diritto”.
E, difatti, se le fattispecie contemplate dall’art. 37-bis e quelle contrastate dal principio antiabuso risultano tra loro “egualmente elusive”, allora, quest’ultime dovranno essere oggetto dello stesso trattamento sotto ogni profilo, ivi incluso quello procedimentale. Diversamente, l’art. 3 Cost. – peraltro anch’esso alla base del principio antiabuso – non potrebbe dirsi pienamente attuato.
Infatti, dal lato sostanziale, ossia della loro imponibilità, “dette fattispecie verrebbero ricondotte ad una comune regola impositiva in applicazione dell’art. 53 Cost, e quindi risulterebbero trattate allo stesso modo così come richiesto dall’art. 3 Cost.;tuttavia lo “strumento” dell’inopponibilità – dalla cui applicazione consegue, peraltro, la possibilità stessa di trattare parimenti fattispecie formalmente diverse – verrebbe ad essere applicato secondo due distinti moduli a seconda della norma (art. 37-bis) o principio (abuso del diritto) invocato. Sennonché un siffatto trattamento risulterebbe in contrasto con la sostanziale omogeneità tra le fattispecie abusive e le fattispecie elusive ex art. 37-bis” (cfr.: A. Giannelli, “Abuso del diritto con garanzie procedurali”, Riv. Del Notariato, n. 5/2011).
Ed, invero, anche secondo la Corte di Giustizia Europea il diritto al contraddittorio endo-procedimentale assurge a valore di principio fondamentale dell’Ordinamento e al contribuente non può essere negata la possibilità di esporre le proprie ragioni prima della conclusione del procedimento tributario ovverosia prima dell’emanazione di un provvedimento accertativo e tali ragioni devono essere effettivamente esaminate dall’Autorità fiscale.
Come precisato dai Giudici della Corte di Giustizia nella nota sentenza “Sopropè”, “il rispetto del diritto di difesa costituisce un principio comunitario che trova applicazione ogniqualvolta l’amministrazione finanziaria si proponga di adottare nei confronti di un soggetto un atto ad esso lesivo. In forza di tale principio, i destinatari di decisioni che incidono sui loro interessi devono essere messi in condizione di manifestare utilmente il loro punto di vista in merito agli elementi sui quali l’amministrazione intende fondare la sua decisione” (cfr. Corte di Giustizia Europea, sentenza 18 dicembre 2008, causa C-349/07). E tale principio è stato recentemente riconosciuto anche dalla Giurisprudenza di merito che ha sostenuto come “le garanzie procedimentali rafforzate introdotte dall’art. 37-bis devono applicarsi ad ogni caso di elusione fiscale, anche se contestata sulla base del principio generale dell’abuso del diritto ovvero dell’art. 53 Cost. od, ancora, delle norme speciali applicabili in funzione antielusiva, come l’art. 20 del TU sull’imposta di registro. Ragionare diversamente e non ritenere applicabili dette garanzie procedimentali determinerebbe una palese violazione del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, non essendo costituzionalmente legittimo trattare diversamente fattispecie ugualmente elusive” (cfr. Commissione Tributaria Provinciale di Milano, Sez. 42, 21 febbraio 2011, n. 54; in senso conforme v. Commiss. Trib. Prov. Emilia-Romagna Reggio Emilia Sez. I, 29 novembre 2010, n. 242, ancora Commissione Tributaria Provinciale di Genova, Sez. 1, 24 gennaio 2011, n. 2 che ha statuito che la norma antielusiva contiene “un principio ad ampio spettro…(omissis) detto principio così come elaborato dalla giurisprudenza nazionale e comunitaria, rappresenta un criterio interpretativo del sistema applicabile anche alle ipotesi di abuso del diritto”; infine, v. anche Commissione Tributaria Provinciale di Brescia, Sez. 7, 18 febbraio 2011, n. 14, che giunge ad analoghe conclusioni).
Peraltro, se ci si chiede cosa giustifichi il rinvio da parte della giurisprudenza di legittimità allo strumento dell’inopponibilità anche nel caso dell’abuso del diritto, si ritiene di dover far riferimento all’equivalenza delle fattispecie astratte contemplate tanto dall’abuso del diritto quanto dall’art. 37-bis, primo comma. Diversamente, si dovrebbe attribuire alla Corte la volontà di trattare egualmente fattispecie tra loro non equivalenti. Considerata l’assurdità di una tale conclusione, se ne ricava una conferma indiretta del principio enunciato dalla citata giurisprudenza di merito.
Se poi si considera che le operazioni indicate dal comma terzo dell’art. 37-bis sono state selezionate dal Legislatore proprio in virtù del loro frequente utilizzo nei vari disegni elusivi, la mancata applicazione delle garanzie previste dall’art. 37-bis alle contestazioni fondate sull’abuso del diritto di fattispecie non ricomprese nel citato comma terzo, non può che ritenersi portatrice di un ulteriore paradosso: le fattispecie oggetto di minori tutele risulterebbero essere proprio quelle ritenute meno “pericolose” dallo stesso Legislatore.
“Si ritiene, inoltre, opportuno osservare che il rispetto del particolare procedimento recato dell’art. 37-bis si presenta quale elemento costitutivo della possibilità stessa di ricorrere allo “strumento” dell’inopponibilità da parte dell’Amministrazione. Infatti, nel medesimo momento in cui il Legislatore ha dotato l’Amministrazione dello “strumento” dell’inopponibilità che lo stesso ha ritenuto di subordinarne l’applicazione al rispetto di una specifica procedura. Tale circostanza appare giustificata dal fatto che nell’ambito delle contestazioni antielusive la pretesa dell’Amministrazione viene a dipendere da una riqualificazione delle fattispecie imponibili secondo un diverso modulo giuridico rispetto a quello voluto e dichiarato dal contribuente. È parso, quindi, logico subordinare l’esercizio di un così penetrante potere dell’Amministrazione non solo ad una particolare cautela nella fase della riscossione della maggiore imposta accertata, ma anche alla partecipazione (in chiave di contradditorio) del contribuente al procedimento teso all’eventuale superamento, ovvero conferma, della forma giuridica delle operazioni dallo stesso correttamente dichiarate e su cui aveva posto il proprio ragionevole affidamento. In tale ottica appare, perciò, giustificata la previsione recata dal quarto comma dell’art. 37-bis in merito alla nullità dell’avviso di accertamento antielusivo ove non sia stato preceduto dall’invio di un’opportuna richiesta di chiarimenti al contribuente. Peraltro, la partecipazione del contribuente appare fondamentale per il buon andamento dell’azione amministrativa, non solo in ragione della particolare complessità della fattispecie oggetto di contestazione, ma anche in considerazione del fatto che in genere il contribuente è il depositario degli elementi (ad es. le ragioni economiche) eventualmente in grado di giustificare l’operazione contestata. A garanzia dell’effettività di tale procedimento, il Legislatore ha, quindi, imposto – a pena di nullità – la specifica motivazione dell’avviso di accertamento in relazione ai chiarimenti forniti dal contribuente (art. 37-bis, comma quinto).Il rapporto tra il generale obbligo di motivazione degli atti amministrativi (art. 3, L. n. 241/1991) e la c.d. “motivazione rafforzata” prevista dal comma 5 dell’art. 37-bis per gli avvisi “antielusivi”, conferisce, quindi, particolare rilevanza al ruolo del contraddittorio tra Fisco e contribuente. Tale previsione si giustifica, peraltro, anche alla luce del principio d’imparzialità dell’agire amministrativo che impone di considerare la totalità degli elementi acquisiti nella fase istruttoria nella motivazione dell’atto da emanarsi- ivi inclusi i chiarimenti resi in sede contraddittoria dal contribuente.
Pertanto, le particolari previsioni recate dai commi quarto e quinto dell’art. 37-bis appaiono caratterizzare in modo intrinseco, e costitutivo, l’utilizzo dello “strumento” dell’inopponibilità da parte dell’Amministrazione” (Cfr.: Giannelli, op. citata).
Ebbene, se anche le fattispecie abusive risultano inopponibili al Fisco secondo la stessa regola fissata dall’art. 37-bis, il potere di accertamento dell’Amministrazione finanziaria dovrà ritenersi parimenti subordinato al rispetto del procedimento previsto dai commi quarto e quinto dell’articolo de quo.
Se, infatti, come precisato dalla stessa Corte di Cassazione, l’art. 37-bis è un mero sintomo dell’esistenza di una regola antielusiva generale, non si vede come le garanzie previste in occasione della codificazione del sintomo di tale regola non debbano poi valere in misura piena anche nei casi in cui detta regola sia oggetto di diretta applicazione. Ragionare diversamente non può che portare ad un risultato inaccettabile: trattare diversamente fattispecie sottoposte al medesimo potere di accertamento.
L’incontestabilità di tale ricostruzione è intuibile, del resto, sol che si ponga mente alla circostanza che nell’ottobre del 2011 è stato posto un question time – il n. 5-05602 a firma dell’On. Fugatti relativo ad “Interventi per la disciplina dell’abuso del diritto in materia tributaria” – alla Commissione Finanze della Camera con il quale sono stati chiesti chiarimenti, tra le altre cose, circa l’applicabilità delle garanzie procedimentali previste dal comma 4 e 5 dell’art. 37-bis d.P.R. n. 600/73 anche alla fattispecie dell’abuso del diritto.
Al riguardo, nel testo della risposta si legge che lo stesso Dipartimento delle finanze rileva che sarebbe “certamente auspicabile una previsione normativa volta a coordinare l’attuale norma antielusiva con il principio dell’abuso del diritto, richiamato dalla giurisprudenza di Cassazione, che avrebbe così il merito di definire i confini e le modalità di applicazione di detto principio, garantendo, al contempo, l’affidamento del contribuente attraverso le tutele già previste nell’applicazione dell’art. 37-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 600/73”.
In definitiva, tutti gli operatori specializzati – a tutti i livelli (dottrina, giurisprudenza, atti parlamentari) – rilevano come l’abuso del diritto abbia natura procedimentale, posto che anche l’art. 37-bis risulta collocato tra le disposizioni relative ai controlli e all’accertamento (e quindi non tra quelle sostanziali). Di conseguenza, “non è possibile che per le disposizioni dell’articolo 37-bis del d.P.R. 600/1973 vi siano fortissime garanzie procedimentali a favore del contribuente prima della rettifica (richiesta di informazioni prima di emettere l’atto e motivazione <rinforzata> a pena di nullità del medesimo), mentre per le situazioni riguardanti l’abuso queste garanzie non vi siano” (cfr.: D. Deotto, “Abuso del diritto alla ricerca di difese solide”, in Il Sole 24 ore del 28 ottobre 2011).
Tuttavia, tutto quanto appena riportato è stato di recente posto nuovamente in discussione attraverso la recente Ordinanza della Corte di Cassazione n. 2473/2013 che ha sollevato questione di legittimità Costituzionale del comma 4 della norma in esame “laddove quest’ultimo sanziona con la nullità l’avviso di accertamento “antielusivo” che non sia stato preceduto da richiesta di chiarimenti nelle forme e nei tempi ivi prescritti”.
In breve, la questione posta all’attenzione della Suprema Corte vede coinvolta una società che aveva impugnato un avviso di accertamento, relativo a presunte operazioni elusive, in quanto emesso sei giorni prima del decorso del termine di sessanta giorni previsto dal comma in esame.
Ebbene, una delle argomentazioni su cui poggia il ragionamento degli “Ermellini” riguarda il confronto con altre norme dell’ordinamento domestico che vengono ritenute avere carattere anti-elusivo. Tra queste viene richiamato l’articolo 20 del d.P.R. n. 131/1986.
Invero, occorre fare un breve cenno al fatto che l’articolo appena richiamato dalla Suprema Corte non è unanimemente ritenuto essere norma avente carattere antielusivo. Tuttavia, la Corte pone l’accento sul fatto che tale norma non preveda, come condizione ai fini della propria applicabilità, la garanzia del contraddittorio endoprocedimentale attraverso la richiesta al contribuente di fornire chiarimenti entro il sopra richiamato lasso di tempo di 60 giorni né, tantomeno, commini la pena della nullità nei casi in cui venga ignorato tale obbligo, così come disposto, invece, dall’attuale formulazione del comma 4 dell’articolo 37- bis.
Ovviamente, l’ordinanza in esame ha suscitato e suscita forti perplessità (sul punto, vedi anche Antonino Russo in “Dubbio di costituzionalità sulla sanzione di nullità per mancato contraddittorio sull’abuso del diritto”, Il fisco n. 43/2013, p. 6757 e Tundo Francesco in “Illegittimo il diritto al contraddittorio nell’accertamento antielusivo per disparità con l’abuso del diritto?”, Corriere tributario, n. 1/2014, p. 29), pertanto, restiamo in attesa del pronunciamento degli aditi giudici della Corte Costituzionale per capire se verrà cancellata la garanzia procedimentale – ed a parere di chi scrive ciò costituirebbe davvero un’abberatio giuridica considerando tutti quei contenziosi vinti già solo alla luce della sollevata eccezione del mancato rispetto, da parte dell’Agenzia delle Entrate, del contraddittorio endoprocedimentale – prevista dal comma 4 dell’articolo 37-bis del d.P.R. n. 600/1973.